Now we need a member (Il sosia)
Inviato: lunedì 18 febbraio 2019, 22:36
Now we need a member (Il sosia)
di raffaele palumbo
È il signor Martin che va a vedere. «Ehi, tutto ok? I ragazzi mi dicono che hai di nuovo quella cosa».
Lui si è messo gli occhiali da sole, non vuol far vedere gli occhi semichiusi. «Insomma». La voce gli esce impastata e confusa. «Un po’ giù».
«Chiamo qualcuno. Un medico, l’ambulanza».
«No, ora passa. Come le altre volte, è sempre passata. Tra poco, vedrai, mi rimetto in piedi». Parla lentamente, con un tono basso, spera di apparire convincente.
«Sì, vero, è sempre passata». Non è vero. Una volta era rimasto in clinica per oltre un mese. Lo davano già per morto. Ma l’avevano sostituito e nessuno se ne era accorto. «Ce la fai a fare la foto?»
«Non so, adesso proprio no; ma tra poco passa. Dammi 5 minuti, ok? Dammi 10 minuti e vediamo come sto».
«Ok».
«Ti ricordi quando eravamo giovani? Non avevo mai bisogno che qualcuno mi aiutasse–». Non finisce la frase.
«Sì, mi ricordo. Ora riposati». Con lo sguardo cerca un telefono pubblico per chiamare il sostituto. Magari tra 10 minuti è davvero tutto ok, ma meglio essere pronti. Lo guarda: piccole gocce di sudore gli coprono tutta la fronte. Gli tocca una mano: è gelida, fa impressione. Sì, adesso chiama il sostituto. C’è una cabina rossa all’angolo con Carlton.
Intanto i ragazzi stanno provando per le foto. Non stanno bene insieme, non si sopportano più. Quasi non si parlano. Il fotografo dice «Tu mettiti così, voi camminate così». Loro sbuffano ma eseguono. Sanno che è l’ultima volta. Non gliene frega più niente a nessuno.
Ora dovranno cambiarsi, mettersi i vestiti. Ubbidiranno. Facciamocela questa foto, poi ognuno per conto suo. E poi basta, basta davvero.
È appena arrivato il sostituto. Cazzo, come gli somiglia.
«Fatti la barba» gli aveva raccomandato al telefono, «sei l’unico sbarbato, si deve vedere». Il signor Martin gli dà la borsa con i vestiti. Un completo grigio elegante, gli spiega. Non abbottonarti la giacca.
L’altro guarda nel borsone. «Non ci sono scarpe, mi lascio queste?»
«Come sarebbe a dire che non ci sono scarpe?»
«Be’, guardi» e gli mostra l’interno della borsa.
Martin ci pensa su. «Facciamo che te ne stai scalzo, ok?»
«Ok» fa il sostituto, poco convinto. «Ma lui come sta? Sempre la solita cosa? Si riprende?» Vorrebbe parlare di compensi, ma pensa che non è il momento, meglio aspettare.
«Vado a vedere. Qui tra 5 minuti, ok?» Guardano l’orologio, un unico gesto.
«Be’?»
Martin è bianco in viso. Fa di no con la testa.
«Sta ancora male? Allora lo sostituisco, è definitivo?»
«È– È morto».
«COSA?»
«Non respira più. È gelido. Adesso viene l’ambulanza. Ma non ce n’è bisogno, è andato».
«O mio Dio» dice il sostituto, e intanto pensa al suo futuro: non più il Sostituto, d’ora in poi Quello Vero. «I ragazzi come l’hanno presa?»
I ragazzi non sono sorpresi più di tanto. Se l’aspettavano, prima o poi doveva succedere.
George si cerca un posto all’ombra, si accovaccia, gambe incrociate, mani sulle ginocchia. Chiude gli occhi. Om.
John fa qualche battuta ma nessuno ride. Parla col fotografo: avverti Yoko, gli dice.
Ringo è l’unico che va a vedere il corpo. Giusto un attimo, prima che carichino la barella sull’ambulanza.
Poi George Martin li chiama. «Tutti qua, presto». Arrivano tutti. «Che questa cosa non si sappia in giro. MI RACCOMANDO. I Beatles devono continuare a vivere».
Dice tante altre cose, e intanto John non riesce a trattenere un sorriso.

di raffaele palumbo
È il signor Martin che va a vedere. «Ehi, tutto ok? I ragazzi mi dicono che hai di nuovo quella cosa».
Lui si è messo gli occhiali da sole, non vuol far vedere gli occhi semichiusi. «Insomma». La voce gli esce impastata e confusa. «Un po’ giù».
«Chiamo qualcuno. Un medico, l’ambulanza».
«No, ora passa. Come le altre volte, è sempre passata. Tra poco, vedrai, mi rimetto in piedi». Parla lentamente, con un tono basso, spera di apparire convincente.
«Sì, vero, è sempre passata». Non è vero. Una volta era rimasto in clinica per oltre un mese. Lo davano già per morto. Ma l’avevano sostituito e nessuno se ne era accorto. «Ce la fai a fare la foto?»
«Non so, adesso proprio no; ma tra poco passa. Dammi 5 minuti, ok? Dammi 10 minuti e vediamo come sto».
«Ok».
«Ti ricordi quando eravamo giovani? Non avevo mai bisogno che qualcuno mi aiutasse–». Non finisce la frase.
«Sì, mi ricordo. Ora riposati». Con lo sguardo cerca un telefono pubblico per chiamare il sostituto. Magari tra 10 minuti è davvero tutto ok, ma meglio essere pronti. Lo guarda: piccole gocce di sudore gli coprono tutta la fronte. Gli tocca una mano: è gelida, fa impressione. Sì, adesso chiama il sostituto. C’è una cabina rossa all’angolo con Carlton.
Intanto i ragazzi stanno provando per le foto. Non stanno bene insieme, non si sopportano più. Quasi non si parlano. Il fotografo dice «Tu mettiti così, voi camminate così». Loro sbuffano ma eseguono. Sanno che è l’ultima volta. Non gliene frega più niente a nessuno.
Ora dovranno cambiarsi, mettersi i vestiti. Ubbidiranno. Facciamocela questa foto, poi ognuno per conto suo. E poi basta, basta davvero.
È appena arrivato il sostituto. Cazzo, come gli somiglia.
«Fatti la barba» gli aveva raccomandato al telefono, «sei l’unico sbarbato, si deve vedere». Il signor Martin gli dà la borsa con i vestiti. Un completo grigio elegante, gli spiega. Non abbottonarti la giacca.
L’altro guarda nel borsone. «Non ci sono scarpe, mi lascio queste?»
«Come sarebbe a dire che non ci sono scarpe?»
«Be’, guardi» e gli mostra l’interno della borsa.
Martin ci pensa su. «Facciamo che te ne stai scalzo, ok?»
«Ok» fa il sostituto, poco convinto. «Ma lui come sta? Sempre la solita cosa? Si riprende?» Vorrebbe parlare di compensi, ma pensa che non è il momento, meglio aspettare.
«Vado a vedere. Qui tra 5 minuti, ok?» Guardano l’orologio, un unico gesto.
«Be’?»
Martin è bianco in viso. Fa di no con la testa.
«Sta ancora male? Allora lo sostituisco, è definitivo?»
«È– È morto».
«COSA?»
«Non respira più. È gelido. Adesso viene l’ambulanza. Ma non ce n’è bisogno, è andato».
«O mio Dio» dice il sostituto, e intanto pensa al suo futuro: non più il Sostituto, d’ora in poi Quello Vero. «I ragazzi come l’hanno presa?»
I ragazzi non sono sorpresi più di tanto. Se l’aspettavano, prima o poi doveva succedere.
George si cerca un posto all’ombra, si accovaccia, gambe incrociate, mani sulle ginocchia. Chiude gli occhi. Om.
John fa qualche battuta ma nessuno ride. Parla col fotografo: avverti Yoko, gli dice.
Ringo è l’unico che va a vedere il corpo. Giusto un attimo, prima che carichino la barella sull’ambulanza.
Poi George Martin li chiama. «Tutti qua, presto». Arrivano tutti. «Che questa cosa non si sappia in giro. MI RACCOMANDO. I Beatles devono continuare a vivere».
Dice tante altre cose, e intanto John non riesce a trattenere un sorriso.
