La signora che giocava a dadi
Inviato: lunedì 18 febbraio 2019, 23:14
La signora che giocava a dadi
Un mattino, ricevetti una telefonata da parte della signora che giocava a dadi. Recuperai tutto il necessario e mi incamminai verso casa sua. Una casetta piccola che stava sotto un ponticello, sopra il quale passava il treno ogni quindici minuti. Durante il tragitto, mi accorsi di aver preso il camice invece che l’impermeabile, gli occhiali piuttosto che la fisarmonica e qualche medicina rispetto alla boccetta di rum.
Con un leccalecca convinsi un tassista a portarmi all’indirizzo che dovevo raggiungere, in meno di quindici minuti. Il tassista era stato campione di slalom gigante in Friuli, in Liguria e nelle Marche e, quindi, procedeva spedito tra una corsia e un’altra di quelle strade a tratti a valle e a tratti a monte. Arrivato a destinazione, feci per aprire il portafogli per poterlo pagare, ma quello, senza indugio mi disse:
- Metta via. Non sono un tassista! Io non sono un bel nulla! - e sparì all’improvviso.
Un poco scosso, mi decisi a suonare al campanello. Quando mi fu aperta la porta di casa, la cara Elisabeth, figlia della signora che giocava a dadi, senza indugio mi accolse spargendo caramelle per il corridoio, che era lungo qualche chilometro. Conoscevo la vecchia Elisabeth da almeno un millennio; eravamo stati in clinica assieme. Eravamo entrati per la stessa ragione - Pazzi! - ci dicevano. Sta di fatto che, durante quegli anni, all’interno di quella enorme struttura piena di personaggi variopinti, mi specializzai e divenni medico.
- Congratulazioni al dottor Barattolo, che è entrato in manicomio come pazzo e ne esce come medico! - mi disse, apparentemente, qualcuno di mia conoscenza.
La vecchia Elisabeth, tuttavia, uscì dalla finestra e per questo, secondo alcuni, continuò a esser pazza. Ci ritrovammo una notte delle più blu, nel bel mezzo dell’immenso parco della città. Io ero andato li a pesca, lei per mirtilli. Il parco aveva un laghetto profondo qualche centinaio di metri e un area boschiva dove vivevano trapezisti o tutti quelli che evadevano dal manicomio attraverso la finestra.
- Illustre dott. Barattolo, che piacere vederti. La vecchia sta là - mi disse Elisabeth, dopo che aveva terminato le caramelle da lanciare in aria, che nel frattempo erano diventate piccoli aeroplani.
Mi avviai verso la stanza dove stava la signora che giocava a dadi. A un tratto, mentre stavo per varcare la soglia percepii un suono, come se qualcuno avesse dato un colpo di fisarmonica.
- Fermo li! - disse la vecchia - Lasciami almeno tirare il dado - proseguì.
Un poco scosso, rimasi fermo come una pietra, in attesa dell’esito del lancio. Passarono dieci minuti, poi altri cinque; nel frattempo arrivò il treno che fischiava e procedeva veloce – Sciagurato! – mi urlò il capotreno. Le pareti traballavano e la vecchia rideva come in preda alla follia.
- Il quattro! Puoi entrare, ma saltellando quattro volte con la gamba destra - mi implorò.
Improvvisamente, il panico. Mi accorsi di non saper distinguere l’orientamento spaziale.
- Fammi tirare. Vediamo cosa ne esce! – affermò la vecchia – In entrambi, il due. Quale dei due sei tu? – proseguì.
- Se non erro, il dottor Barattolo - dissi.
- Io non vedo un dottore, bensì un trapezista - rispose la vecchia, continuando a lanciare dadi per la stanza.
Lorenzo Diddi (Marra Edition del 18.02.2019)
Un mattino, ricevetti una telefonata da parte della signora che giocava a dadi. Recuperai tutto il necessario e mi incamminai verso casa sua. Una casetta piccola che stava sotto un ponticello, sopra il quale passava il treno ogni quindici minuti. Durante il tragitto, mi accorsi di aver preso il camice invece che l’impermeabile, gli occhiali piuttosto che la fisarmonica e qualche medicina rispetto alla boccetta di rum.
Con un leccalecca convinsi un tassista a portarmi all’indirizzo che dovevo raggiungere, in meno di quindici minuti. Il tassista era stato campione di slalom gigante in Friuli, in Liguria e nelle Marche e, quindi, procedeva spedito tra una corsia e un’altra di quelle strade a tratti a valle e a tratti a monte. Arrivato a destinazione, feci per aprire il portafogli per poterlo pagare, ma quello, senza indugio mi disse:
- Metta via. Non sono un tassista! Io non sono un bel nulla! - e sparì all’improvviso.
Un poco scosso, mi decisi a suonare al campanello. Quando mi fu aperta la porta di casa, la cara Elisabeth, figlia della signora che giocava a dadi, senza indugio mi accolse spargendo caramelle per il corridoio, che era lungo qualche chilometro. Conoscevo la vecchia Elisabeth da almeno un millennio; eravamo stati in clinica assieme. Eravamo entrati per la stessa ragione - Pazzi! - ci dicevano. Sta di fatto che, durante quegli anni, all’interno di quella enorme struttura piena di personaggi variopinti, mi specializzai e divenni medico.
- Congratulazioni al dottor Barattolo, che è entrato in manicomio come pazzo e ne esce come medico! - mi disse, apparentemente, qualcuno di mia conoscenza.
La vecchia Elisabeth, tuttavia, uscì dalla finestra e per questo, secondo alcuni, continuò a esser pazza. Ci ritrovammo una notte delle più blu, nel bel mezzo dell’immenso parco della città. Io ero andato li a pesca, lei per mirtilli. Il parco aveva un laghetto profondo qualche centinaio di metri e un area boschiva dove vivevano trapezisti o tutti quelli che evadevano dal manicomio attraverso la finestra.
- Illustre dott. Barattolo, che piacere vederti. La vecchia sta là - mi disse Elisabeth, dopo che aveva terminato le caramelle da lanciare in aria, che nel frattempo erano diventate piccoli aeroplani.
Mi avviai verso la stanza dove stava la signora che giocava a dadi. A un tratto, mentre stavo per varcare la soglia percepii un suono, come se qualcuno avesse dato un colpo di fisarmonica.
- Fermo li! - disse la vecchia - Lasciami almeno tirare il dado - proseguì.
Un poco scosso, rimasi fermo come una pietra, in attesa dell’esito del lancio. Passarono dieci minuti, poi altri cinque; nel frattempo arrivò il treno che fischiava e procedeva veloce – Sciagurato! – mi urlò il capotreno. Le pareti traballavano e la vecchia rideva come in preda alla follia.
- Il quattro! Puoi entrare, ma saltellando quattro volte con la gamba destra - mi implorò.
Improvvisamente, il panico. Mi accorsi di non saper distinguere l’orientamento spaziale.
- Fammi tirare. Vediamo cosa ne esce! – affermò la vecchia – In entrambi, il due. Quale dei due sei tu? – proseguì.
- Se non erro, il dottor Barattolo - dissi.
- Io non vedo un dottore, bensì un trapezista - rispose la vecchia, continuando a lanciare dadi per la stanza.
Lorenzo Diddi (Marra Edition del 18.02.2019)