Cristopìa
Inviato: domenica 24 marzo 2019, 18:41
Cristopìa
Di Eugene Fitzherbert
1. -6h 46m alla Maddalena
Alfio teneva a bada i nervi sgranando il rosario di denti, come era usanza tra i Succhierichetti. Le dita passarono sui denti da latte che gli avevano strappato durante il primo addestramento e pensò alla foto scattata dall’Occhio di Dio, il satellite vaticano: una donna, il corpo torturato, le dita delle mani mozzate tranne i pollici, stesa al centro di un tetto di una casa, con le braccia spalancate. Intorno a lei, scritto col sangue, c’era una parola, le lettere alte quanto al ragazza:
CRISTOPÌA
Alfio sgranò i denti definitivi che gli avevano tolto dopo l’investitura a Succhierichetto. La ragazza della foto era Zaira, dell’Ordine delle Punitrici, sorpresa come infiltrata tra i Terroristi di Geova, da quando quei figli di meretrici avevano trafugato il Tabernacolo Celeste direttamente dalla Santa Sede facendo incazzare tutto il Papato.
Le sue dita toccarono la croce: era finito il rosario e iniziava la sua missione. Recuperare il Tabernacolo Celeste e porre fine a questa Cristopìa, qualsiasi cosa fosse.
2. -5h 08m a. M.
Aveva sempre considerato Lucera un paese di merda, ma Alfio si rese conto che la definizione era fin troppo morbida. Va bene che era notte, ma per le strade non c’era niente: non una luce accesa dietro una finestra, non un ragazzetto idiota senza casco sul motorino, non un’insegna illuminata. Sembrava un paese fantasma.
Almeno non ci sono molte possibilità di essere scoperto.
Il pensiero poteva essere rassicurante, ma in realtà avvertiva solo inquietudine. Era dai tempi del casino di Damasco, quando aveva perso quasi tutta la sua squadra, che non si sentiva così. Imboccò un vicolo deserto e un rumore attirò la sua attenzione.
Si accovacciò e lasciò scorrere l’attenzione lungo la stradina. Allentò i sensi, socchiuse gli occhi e cercò con la mente. Eccola lì, la sorgente del rumore, a pochi metri da lui.
Gli bastò un salto sul muro e un volteggio, ombra tra le ombre, per arrivare dietro il cassonetto con il coltello sguainato. Afferrò la ragazza alle spalle e le puntò la lama nera alla gola: «Chi sei?»
La sentì irrigidirsi. Non doveva pesare più di quaranta chili e dall'odore di sudore e paura doveva aver passato le ultime settimane in giro per strada, cercando una salvezza che non aveva ancora trovato.
«Te lo ripeto, Stronzetta. Chi sei?»
Si dimenò, ma la lama le fece cambiare idea. «Enza.»
«E che ci fai qui, Enza?»
«Cerco del cibo, non si vede?»
Alfio la rivoltò e la spinse contro il bidone dell’immondizia, bloccandola per il collo. «Sei di qui?»
Annuì.
«E dove sono tutti gli altri?»
«Li hanno presi e portati alla Fortezza.»
«I Tizi di Geova?»
«Sì. Hanno suonato a ogni campanello…»
«Tipico.»
«E li hanno radunati.»
«E tu perché sei qui e non nella Fortezza, Enza?»
«Io…»
«Rispondi seriamente: convincimi che non sei una nemica.»
«Io vivo per strada. Non ho un campanello e non hanno mai suonato alla mia porta.»
«Mi sembra una stronzata. E perché non te ne sei andata?»
«Mio fratello…»
Lui le strinse ancora di più la gola. «Shh.» ruotò la testa da una parte e dall'altra. «Non lo senti?»
Prese la ragazza e la infilò nel bidone senza tanti complimenti. La sentì protestare, ma poi si zittì. Alfio si appiattì al muro.
Dal fondo della strada si affacciarono due figure vestite di scuro e dai movimenti guardinghi. Non aveva tempo da perdere. «Guida i miei proiettili verso il cuore del bersaglio.» sussurrò a labbra strette Alfio e poi sfoderò il Soffio di Adamo: due sbuffi di silenziatore e le teste dei due uomini esplosero in una nuvola rossa.
Alfio si fece il segno della croce «Requiescant in pace.» E si avvicinò ai cadaveri.
Enza lo raggiunse. Alfio la sentì trasalire. «Li conosci?»
Enza sollevò lo sguardo verso di lui, una lacrima che le rigava il volto sudicio. Poi fece un passo e prese a calci la testa del cadavere più vicino. «Questo bastardo ha preso mio fratello!» Il sangue schizzava fuori dall'orbita svuotata dal proiettile.
«Smettila, adesso. Non possono morire più di così.»
La ragazza si calmò e rimase ansimante. «Tu vorresti ucciderli tutti?» gli chiese.
«Ce l’ho tra le cose da fare, sì.»
«Ucciderai anche il loro capo? Quel pezzo di merda di Deusex?.»
«Lo ucciderei solo per il nome che si è scelto.»
«Allora vieni, ti porto alla Fortezza.»
«Mi devo fidare?»
«Puoi sempre uccidermi qui.»
«Ci sto pensando.»
«Senti, santo guerriero: non ho paura di morire, altrimenti sarei già schiodata. Voglio solo riavere mio fratello. Io ti aiuto e tu mi aiuti e pace per sempre.»
«Io non porto pace.»
«Ok, sterminatore, non me ne frega un cazzo. Vogliamo andare alla fortezza, o continuiamo a grattarci a vicenda?» E si voltò inoltrandosi nei vicoli di Lucera.
«Vieni qui un momento, Stronzetta.» Quando gli fu vicino, la afferrò per la nuca e la guardò negli occhi. «Se mi stai fregando, ucciderò te, tuo fratello, e tutti quelli che ti conoscono fino alla settima generazione. Capisci?» E le strinse ancora di più il collo.
Lei deglutì, perdendo parte della sua spavalderia. Annuì appena.
Alfio le sorrise.
3. -4h 33m a. M.
La Fortezza era un castello antico, fatto di mattoni, contrafforti, bastioni e mura alte qualche decine di metri. L’Occhio di Dio, lassù nel cielo, aveva scattato un po’ di foto e per fortuna aveva la vista a raggi infrarossi e quella termica, perché avevano avuto conferma che era un posto complicato da infiltrare.
«Perché porti la dentiera d’oro?» Gli chiese la ragazza.
«Sono stato promosso.»
«Ma hai anche i denti normali?»
«Sì, solo che non ce li ho in bocca.» le rispose Alfio. L’afferrò per un braccio. «Ora io proseguo da solo. Più avanti c’è un buon punto dove scalare questo muro.»
«Scalare il muro è una stronzata. Meglio passare da sotto. Vieni.»
Enza si mise a camminare veloce, curva e agile, verso uno dei contrafforti. Si fermò poco oltre e gli fece cenno di avvicinarsi. Lui guardò le mura, alte e imponenti.
La ragazza lo stava aspettando vicino a una grata arrugginita. «Questo scivolo per il carbone ci farà entrare lì dentro, sempre che tu riesca ad aprirlo.»
Il sorriso dorato di Alfio baluginò alla luce della luna. Il Succhierichetto afferrò la grata e cominciò a strattonarla. Ci fu un crack metallico e qualche calcinaccio venne via con il resto della struttura metallica.
«Prima le stronzette.» disse Alfio.
La ragazza grugnì e si lanciò giù per lo scivolo per il carbone.
4. -4h 02m a. M.
La stanza del carbone era buia e puzzava di piscio. Quando la sua vista si abituò alla penombra, Alfio notò una vecchia porta di legno con cardini di ferro. Per il resto la stanza sembrava completamente sgombra, a parte qualche detrito e resti di mattoni.
«Enza, ora resti qui davvero. Mi rallenti.»
«Vengo con te.»
«Non costringermi a tramortirti.» rispose lui avvicinandosi alla porta per esaminarla.
«Sei uno stronzo.»
«Là fuori è pieno di gente cattiva. Aspettami qui, ritorno tra qualche ora.»
«Ricordati della promessa.»
«Ucciderò tutti e ti riporterò tuo fratello.» Alfio si girò verso la ragazza e le afferrò ancora la nuca, stringendo con forza.
«E smettila di pizzicarmi!»
Alfio sorrise.
La ragazza lo mandò a fanculo con gli occhi mentre ruotava il collo per rimetterlo in sesto.
Alfio la ignorò e provò a tirare la porta: con un lieve cigolio cedette e lui spiò oltre. «Ma che cazzo…» disse. Non fu per quel che vedeva, ma quello che sentiva. Lungo il corridoio illuminato fiocamente, arrivavano urla e gemiti di gente che soffriva le pene dell’inferno. Stava per voltarsi verso la ragazza, quando Enza gli saltò alle spalle e lo spinse contro la porta, facendolo rovinare nel corridoio. Poi iniziò a colpirlo con un sasso in testa e in faccia.
Alfio la scagliò via con una manata, mentre le altre porte si spalancavano. Un uomo a torso nudo, sporco di sangue e armato di un ferro rovente uscì e corse verso di lui.
Alfio tirò fuori il Soffio di Adamo e sparò due colpi.
L’uomo si accasciò con un gemito, ma ne stavano uscendo altri: uno con un machete, un altro con una frusta. Alfio si mise in piedi, parò il fendente con un braccio e sparò ancora.
Uno schiocco secco gli tolse il respiro e gli fece perdere la pistola. La frusta si era arrotolata intorno al collo e una spira gli stringeva la bocca. Con un grugnito strozzato, Alfio serrò i suoi denti d’oro e tranciò di netto la corda. Con una scrollata di spalle si liberò e si voltò verso il bastardo sfoderando il coltello.
Un colpo lo raggiunse alla testa, da dietro. «Così impari a chiamarmi Stronzetta, bastardo!»
La coscienza di Alfio si spense.
5. -2h 58m a. M.
Non fu tanto il dolore a svegliarlo, quando il senso di vuoto che sentiva in bocca.
Un pugno alla pancia gli fece sputare un fiotto di sangue rancido. Aveva le spalle in fiamme, la testa gli pulsava e ondate di dolore si infrangevano lungo tutto il corpo.
Non temerò alcun male.
Alfio aprì gli occhi e fu costretto a richiuderli quando una scudisciata gli squarciò le carni sulla schiena. Si inarcò, e provò a stringere i denti, ma le gengive nude si chiusero su loro stesse.
Tossì, mentre altri colpi lo martoriavano, uno dopo l’altro.
Tremò da capo a piedi, quando una voce arrivò da molto lontano. «Fermi tutti! Perché non sono stato avvertito della cattura?»
Alfio cercò di guardare attraverso gli occhi gonfi. La voce aveva qualcosa di familiare.
«Fuori tutti, teste di cazzo moscio!»
Il tono autoritario portò il silenzio nella stanza, e Alfio intravide un uomo e una donna uscire con il capo chino: «Chiediamo perdono, Deusex Signore.»
La vista di Alfio si snebbiò sentendo il nome di Deusex, il grande capo. Con uno sforzo enorme, sollevò al testa: era appeso per i polsi a due catene e questo spiegava il dolore incandescente alle spalle. Era nudo e i piedi sguazzavano sul pavimento sporco.
«E tu chi sei, topo di fogna?» Deusex lo apostrofò con disprezzo. Si muoveva in modo strano, anche se Alfio non riusciva a capire cosa lo disturbasse. Portava un elmo di metallo calato sugli occhi, senza feritoie, e indossava un vestito a metà tra l’abito talare e una divisa militare.
Deusex mosse qualche passo ancora.
«Mi è arrivata voce che avevano trovato un tipo con la dentiera d’oro. Un guerriero senza pari.»
«Sarà stata Enza. Spia di merda.»
«Era un’esca. Dopo la fuga di Zaira e il suo messaggio sul tetto, vi stavamo aspettando.»
Alfio sputò.
«La solita arroganza dei Succhierichetti. Vi addestrano a non fare domande, a odiare il vostro corpo, tanto da disprezzare la morte, vi indottrinano a eseguire gli ordini, con la bocca chiusa e quando diventate bravi abbastanza, vi regalano una dentiera d’oro e vi mandano in giro a uccidere gente.»
«Solo i torturatori come te, bastardo.»
Deusex sorrise, e con orrore, Alfio vide baluginare un lampo metallico tra le labbra del suo aguzzino. «Perché hai quei denti?»
L’altro fece qualcosa di inaspettato: cominciò a palpargli la faccia. «Sono io a fare le domande, qui.» I polpastrelli si muovevano decisi sulle guance ferite di Alfio, passarono sul naso rotto e scivolarono sulle sopracciglia, poi all’improvviso si irrigidirono. «Non è possibile.» disse Deusex. «Damasco.»
A quelle parole, il cuore di Alfio accelerò. «Cosa?»
E Deusex si tolse il suo elmo. Nonostante le bruciature intorno agli occhi, come lacrime di carne carbonizzate, nonostante lo sguardo ormai cieco, Alfio riconobbe il volto del suo tenente in seconda. «Paolo… Pensavo che fossi morto a Damasco, insieme agli altri.»
«Morto? Io sono risorto a Damasco, ho visto la luce!»
«Hai preso tu il Tabernacolo Celeste?»
«Tu non puoi capire, Alfio.»
«Ma certo! Ci voleva qualcuno che conoscesse la Santa Sede, per arrivare a prendere una reliquia del genere. Un ex Succhierichetto. Traditore!»
«Alfio, ci hanno mentito, sempre.»
«Non è vero! Il Tabernacolo contiene il vero Corpo di Cristo, unica comunione tra il Papa e Dio. E tu l’hai rubato per darlo a questi coglioni dei Terroristi di Geova!»
«Non sai di cosa parli, Alfio. In nome della nostra vecchia amicizia, cercherò di spiegarti…»
«Amicizia? Stavamo insieme, Paolo, eravamo amanti! E tu, prima sei sparito e poi sei passato dalla parte del nemico. Come faccio a darti un minimo di credito!»
«Il Tabernacolo Celeste è vuoto!», quasi urlò Paolo. «Non c’è nessun corpo di Cristo dentro. È finito, da chissà quanto tempo.»
Alfio rimase senza parole. Niente vero Corpo di Cristo. Niente Vera Comunione del Papa. Niente parola di Dio.
«Capisci? Dio ha girato lo sguardo dall'altra parte. Ci ha lasciato soli.»
«Non è vero.»
«Lo è.» Paolo si avvicinò e gli accarezzò il volto ancora una volta, quasi con affetto. «Ma possiamo porre rimedio. O meglio, io lo sto già facendo. C’è un modo.»
Alfio collegò le informazioni. «La Cristopìa.»
«Sì. Il rito avrà inizio, poco prima dell’alba. Stiamo allestendo la Via delle Croci.»
«Con quei poveretti che avete rapito?»
«Non abbiamo rapito nessuno. Sono tutti volontari, martiri!»
«Eretici immondi!»
«Basta invocare Dio. È venuto il momento di evocarlo! E la tua strafottenza mi ha stancato. Ucciderti sarebbe troppo poco. Vedrai tutto da una posizione privilegiata. Un’ultima cosa: Paolo è morto. Ora sono Deusex»
6. -1h 12m a. M.
«La mia anime imputridisce in mezzo a questo scempio.»
«Smettila di agitarti, Alfio e goditi la Cristopìa, la Parusia artificiale.»
«Brucerete all'Inferno.» Uno scossone del pianale del camion su cui stavano viaggiando lo face cadere in ginocchio. Si tirò su aggrappandosi con le mani imprigionate da fascette di plastica e si sporse a vedere la scena davanti a lui.
Era una immonda carovana di cassonati che si muoveva lentamente lungo una strada tortuosa in mezzo ai monti al confine nord della Puglia e loro erano l’ultimo veicolo. Deusex era in piedi su un palco improvvisato e continuava a urlare ordini, a chiedere rapporti ai suoi attendenti, cercando di farsi un’idea di quello che stava accadendo. Non doveva essere facile guidare una cosa del genere senza poter contare sulla vista.
«E allora non sono più Stronzetta?» lo apostrofò Enza, venendogli incontro barcollando. Il pugno lo raggiunse allo zigomo inaspettatamente. «E preparati che tra un po’ è il tuo turno.» e si allontanò da lui.
Alfio tornò a osservare la scena. Non credeva ai suoi occhi: i camion trasportavano delle enormi croci di legno, alte ameno due metri e mezzo, e a reggerle c’erano persone, donne, uomini e qualche bambino, anche. «Quelli sono i martiri? Quelli che avete torturato per tutta la notte?»
«Sì. Sono le effigi viventi di Nostro Signore Gesù. Dimmi, sono sofferenti? Hanno lo sguardo pieno dell’amore di Dio?»
«Sei uno psicopatico. Quelle persone stanno per morire!»
All'improvviso il loro camion si fermò. E questa cosa lo terrorizzò ancora di più. Enza gli venne vicino nuovamente con un sorrisetto sbilenco sulla faccia. Lui quasi chiuse gli occhi in attesa di un altro colpo, ma la ragazza lo prese per le manette e gli diede uno strattone. «Salta giù, bellezza. Sei il nostro ospite d’onore.»
Lo scaraventò giù dal camion, dove due uomini lo presero e lo trascinarono verso una collinetta al termine della strada. Intorno a lui si snodava l’orrore senza fine che aveva solo intuito. Lungo i bordi della strada, una dopo l’altra, si stagliavano le croci. Gli occhi dei martiri erano pieni di lacrime, le labbra tremavano di dolore. Vide un filo di saliva sanguinolenta scendere indolente dalle labbra di una bionda che stava con il capo piegato sul petto, il corpo appeso alle braccia inchiodate al legno.
«Senti questi suoni?» gli urlò Deusex. «Non c’è niente di meglio per attirare l’attenzione di Dio. Il suo sguardo si sta volgendo su di noi. Continuate a urlare di dolore, invocate il nostro Amato Creatore, mandategli questo messaggio! E che le croci siano levate dritte al cielo!» Deusex continuava il suo sproloquio. Enza gli porse un oggetto color indaco, iridescente. Lui la ringraziò e le fece un cenno di andare avanti, verso il corteo di camion. Lui sollevò il Tabernacolo Celeste. «Il più grande mistero di tutti i tempi sta per essere svelato! Riporteremo il corpo di Gesù qui, in questo ricettacolo mistico. Ristabiliremo il contatto con il divino, ritorneremo tutt'uno con il Salvatore.»
«Ehi, Paolo! Se sei così convinto di aver vinto, ridammi la mia dentiera. In nome dei vecchi tempi!» urlò Alfio.
Deusex volse verso di lui lo sguardo cieco. Si frugò in tasca e tirò fuori la dentiera d’oro. «Questa? La vuoi proprio? E perché no?» E la lanciò.
Enza la afferrò al volo. «Sarà tua, te lo prometto, ma prima…»
A quel punto, uno dei due uomini lo colpì a un ginocchio e l’altro lo ribaltò a terra. Con un coltello tagliò la fascetta di plastica e, insieme all'altro, gli divaricarono le braccia e lo trascinarono fino a una croce. Enza corse verso di lui ridendo. In una mano aveva la dentiera e nell'altra aveva una sparachiodi.
Lo trafisse sei volte alla mano destra, e altre quattro al polso. Alfio sentì i muscoli della mano prima irrigidirsi per il dolore indicibile che gli arrivò alla spalla, mentre cercava di ricacciare dentro le urla. Quando per passò all'altra mano, non ce la fece più e si sfogò squarciando l’aria con le sue grida.
«Ti ho fatto male? Scusami tanto!» gli disse Enza. «E ora, passiamo ai piedi.»
Alfio lottò con tutte le sue forze per non perdere i sensi, inspirando e espirando rumorosamente tra le labbra ripiegate sulle gengive nude. Non immaginava neanche fosse possibile, ma il dolore triplicò quando con una corda misero la croce verticale.
«Ah, dimenticavo!» esclamò Enza. «Ecco la tua dentiera!» E con il tacco della scarpa la schiacciò.
Alfio vide un lampo rosso baluginare tra i denti d’oro. Quasi udì il bip del tracker che si attivava e disse: «L'Occhio di Dio veglia su di me.» Il suo sguardo calmo si perse lungo la distesa di croci.
7. -3m a. M.
Enza urlò.
«Che succede, Enza?» chiese dal suo pulpito Deusex.
La ragazza si stava contorcendo afferrandosi la nuca. Tra le dita, oltre i capelli, una luce verde lampeggiava.
Era l’alba più oscura che Alfio avesse mai visto. Nuvole grigie si stavano addensando sopra le loro teste, lampi squarciavano quella distesa minacciosa. Il tabernacolo tra le mani di Deusex quasi si accese di luce propria.
«Che la Maddalena mi liberi da tutti i peccati.» disse Alfio.
Si alzò un vento freddo, odoroso di foglie morte. Alfio alzò gli occhi al cielo.
«Siete fottuti. Mancano pochi secondi alla Maddalena. L’occhio di Dio non ha mai smesso di osservarvi.»
8. La Maddalena
Con una ciocca dei suoi stessi capelli, Enza si strappò un dispositivo grande quanto una lenticchia, che emetteva ora una luce continua verde. «Me l’hai attaccato tu?» urlò, in mezzo al vento.
Alfio le volse uno sguardo pieno di pietà. «Avete suonato al citofono sbagliato, stavolta!»
E sopra le loro teste, le nubi furono squarciate da un’enorme luce violacea, quasi solida. Alfio vide le centinaia di croci che venivano abbattute al suolo, mentre il plasma violaceo le ricopriva e si solidificava intrappolandole come zanzare nell'ambra. La strada ne fu riempita, il camion con Deusex venne spazzato via e mentre volava, inondato dalla luce della Maddalena che spargeva il suo carico di morte, vide anche il Tabernacolo Celeste sfuggire dalle mani di Deusex, e affondare in mezzo a quel cimitero di croci orizzontali. La porta del Tabernacolo era aperta, e dalle sue profondità stava venendo fuori qualcosa di immondo.
«Il Salvatore sta arrivand-» urlò Deusex, che non aveva visto quello che stava emergendo, e la sua voce fu spenta dall'ondata di calore che lo vaporizzò.
9. 2 settimane dopo la Maddalena
Dal rapporto del Camerlengo, Strettamente riservato
[Omissis]... abbiamo ragione di pensare che il rito dei Terroristi di Geova si sia concluso con un parziale insuccesso. A causa della diversa posizione delle Croci, l’invocazione non ha raggiunto il Regno dei Cieli, ma ha aperto uno squarcio sulle pendici del Purgatorio. La zona tra San Giovanni Rotondo e i confini con lo Stato Pontificio è purtroppo compromessa… [omissis] Il cannone orbitale a Olio Santo, nome in codice Maddalena, è stato efficace a interrompere la minaccia, ma il suolo rimane contaminato. Stiamo avviando una procedura di Bonifica Sacra per recuperare quanto più possibile…[omissis].
Seguono immagini scattate dall’occhio di Dio.
Di Eugene Fitzherbert
1. -6h 46m alla Maddalena
Alfio teneva a bada i nervi sgranando il rosario di denti, come era usanza tra i Succhierichetti. Le dita passarono sui denti da latte che gli avevano strappato durante il primo addestramento e pensò alla foto scattata dall’Occhio di Dio, il satellite vaticano: una donna, il corpo torturato, le dita delle mani mozzate tranne i pollici, stesa al centro di un tetto di una casa, con le braccia spalancate. Intorno a lei, scritto col sangue, c’era una parola, le lettere alte quanto al ragazza:
CRISTOPÌA
Alfio sgranò i denti definitivi che gli avevano tolto dopo l’investitura a Succhierichetto. La ragazza della foto era Zaira, dell’Ordine delle Punitrici, sorpresa come infiltrata tra i Terroristi di Geova, da quando quei figli di meretrici avevano trafugato il Tabernacolo Celeste direttamente dalla Santa Sede facendo incazzare tutto il Papato.
Le sue dita toccarono la croce: era finito il rosario e iniziava la sua missione. Recuperare il Tabernacolo Celeste e porre fine a questa Cristopìa, qualsiasi cosa fosse.
2. -5h 08m a. M.
Aveva sempre considerato Lucera un paese di merda, ma Alfio si rese conto che la definizione era fin troppo morbida. Va bene che era notte, ma per le strade non c’era niente: non una luce accesa dietro una finestra, non un ragazzetto idiota senza casco sul motorino, non un’insegna illuminata. Sembrava un paese fantasma.
Almeno non ci sono molte possibilità di essere scoperto.
Il pensiero poteva essere rassicurante, ma in realtà avvertiva solo inquietudine. Era dai tempi del casino di Damasco, quando aveva perso quasi tutta la sua squadra, che non si sentiva così. Imboccò un vicolo deserto e un rumore attirò la sua attenzione.
Si accovacciò e lasciò scorrere l’attenzione lungo la stradina. Allentò i sensi, socchiuse gli occhi e cercò con la mente. Eccola lì, la sorgente del rumore, a pochi metri da lui.
Gli bastò un salto sul muro e un volteggio, ombra tra le ombre, per arrivare dietro il cassonetto con il coltello sguainato. Afferrò la ragazza alle spalle e le puntò la lama nera alla gola: «Chi sei?»
La sentì irrigidirsi. Non doveva pesare più di quaranta chili e dall'odore di sudore e paura doveva aver passato le ultime settimane in giro per strada, cercando una salvezza che non aveva ancora trovato.
«Te lo ripeto, Stronzetta. Chi sei?»
Si dimenò, ma la lama le fece cambiare idea. «Enza.»
«E che ci fai qui, Enza?»
«Cerco del cibo, non si vede?»
Alfio la rivoltò e la spinse contro il bidone dell’immondizia, bloccandola per il collo. «Sei di qui?»
Annuì.
«E dove sono tutti gli altri?»
«Li hanno presi e portati alla Fortezza.»
«I Tizi di Geova?»
«Sì. Hanno suonato a ogni campanello…»
«Tipico.»
«E li hanno radunati.»
«E tu perché sei qui e non nella Fortezza, Enza?»
«Io…»
«Rispondi seriamente: convincimi che non sei una nemica.»
«Io vivo per strada. Non ho un campanello e non hanno mai suonato alla mia porta.»
«Mi sembra una stronzata. E perché non te ne sei andata?»
«Mio fratello…»
Lui le strinse ancora di più la gola. «Shh.» ruotò la testa da una parte e dall'altra. «Non lo senti?»
Prese la ragazza e la infilò nel bidone senza tanti complimenti. La sentì protestare, ma poi si zittì. Alfio si appiattì al muro.
Dal fondo della strada si affacciarono due figure vestite di scuro e dai movimenti guardinghi. Non aveva tempo da perdere. «Guida i miei proiettili verso il cuore del bersaglio.» sussurrò a labbra strette Alfio e poi sfoderò il Soffio di Adamo: due sbuffi di silenziatore e le teste dei due uomini esplosero in una nuvola rossa.
Alfio si fece il segno della croce «Requiescant in pace.» E si avvicinò ai cadaveri.
Enza lo raggiunse. Alfio la sentì trasalire. «Li conosci?»
Enza sollevò lo sguardo verso di lui, una lacrima che le rigava il volto sudicio. Poi fece un passo e prese a calci la testa del cadavere più vicino. «Questo bastardo ha preso mio fratello!» Il sangue schizzava fuori dall'orbita svuotata dal proiettile.
«Smettila, adesso. Non possono morire più di così.»
La ragazza si calmò e rimase ansimante. «Tu vorresti ucciderli tutti?» gli chiese.
«Ce l’ho tra le cose da fare, sì.»
«Ucciderai anche il loro capo? Quel pezzo di merda di Deusex?.»
«Lo ucciderei solo per il nome che si è scelto.»
«Allora vieni, ti porto alla Fortezza.»
«Mi devo fidare?»
«Puoi sempre uccidermi qui.»
«Ci sto pensando.»
«Senti, santo guerriero: non ho paura di morire, altrimenti sarei già schiodata. Voglio solo riavere mio fratello. Io ti aiuto e tu mi aiuti e pace per sempre.»
«Io non porto pace.»
«Ok, sterminatore, non me ne frega un cazzo. Vogliamo andare alla fortezza, o continuiamo a grattarci a vicenda?» E si voltò inoltrandosi nei vicoli di Lucera.
«Vieni qui un momento, Stronzetta.» Quando gli fu vicino, la afferrò per la nuca e la guardò negli occhi. «Se mi stai fregando, ucciderò te, tuo fratello, e tutti quelli che ti conoscono fino alla settima generazione. Capisci?» E le strinse ancora di più il collo.
Lei deglutì, perdendo parte della sua spavalderia. Annuì appena.
Alfio le sorrise.
3. -4h 33m a. M.
La Fortezza era un castello antico, fatto di mattoni, contrafforti, bastioni e mura alte qualche decine di metri. L’Occhio di Dio, lassù nel cielo, aveva scattato un po’ di foto e per fortuna aveva la vista a raggi infrarossi e quella termica, perché avevano avuto conferma che era un posto complicato da infiltrare.
«Perché porti la dentiera d’oro?» Gli chiese la ragazza.
«Sono stato promosso.»
«Ma hai anche i denti normali?»
«Sì, solo che non ce li ho in bocca.» le rispose Alfio. L’afferrò per un braccio. «Ora io proseguo da solo. Più avanti c’è un buon punto dove scalare questo muro.»
«Scalare il muro è una stronzata. Meglio passare da sotto. Vieni.»
Enza si mise a camminare veloce, curva e agile, verso uno dei contrafforti. Si fermò poco oltre e gli fece cenno di avvicinarsi. Lui guardò le mura, alte e imponenti.
La ragazza lo stava aspettando vicino a una grata arrugginita. «Questo scivolo per il carbone ci farà entrare lì dentro, sempre che tu riesca ad aprirlo.»
Il sorriso dorato di Alfio baluginò alla luce della luna. Il Succhierichetto afferrò la grata e cominciò a strattonarla. Ci fu un crack metallico e qualche calcinaccio venne via con il resto della struttura metallica.
«Prima le stronzette.» disse Alfio.
La ragazza grugnì e si lanciò giù per lo scivolo per il carbone.
4. -4h 02m a. M.
La stanza del carbone era buia e puzzava di piscio. Quando la sua vista si abituò alla penombra, Alfio notò una vecchia porta di legno con cardini di ferro. Per il resto la stanza sembrava completamente sgombra, a parte qualche detrito e resti di mattoni.
«Enza, ora resti qui davvero. Mi rallenti.»
«Vengo con te.»
«Non costringermi a tramortirti.» rispose lui avvicinandosi alla porta per esaminarla.
«Sei uno stronzo.»
«Là fuori è pieno di gente cattiva. Aspettami qui, ritorno tra qualche ora.»
«Ricordati della promessa.»
«Ucciderò tutti e ti riporterò tuo fratello.» Alfio si girò verso la ragazza e le afferrò ancora la nuca, stringendo con forza.
«E smettila di pizzicarmi!»
Alfio sorrise.
La ragazza lo mandò a fanculo con gli occhi mentre ruotava il collo per rimetterlo in sesto.
Alfio la ignorò e provò a tirare la porta: con un lieve cigolio cedette e lui spiò oltre. «Ma che cazzo…» disse. Non fu per quel che vedeva, ma quello che sentiva. Lungo il corridoio illuminato fiocamente, arrivavano urla e gemiti di gente che soffriva le pene dell’inferno. Stava per voltarsi verso la ragazza, quando Enza gli saltò alle spalle e lo spinse contro la porta, facendolo rovinare nel corridoio. Poi iniziò a colpirlo con un sasso in testa e in faccia.
Alfio la scagliò via con una manata, mentre le altre porte si spalancavano. Un uomo a torso nudo, sporco di sangue e armato di un ferro rovente uscì e corse verso di lui.
Alfio tirò fuori il Soffio di Adamo e sparò due colpi.
L’uomo si accasciò con un gemito, ma ne stavano uscendo altri: uno con un machete, un altro con una frusta. Alfio si mise in piedi, parò il fendente con un braccio e sparò ancora.
Uno schiocco secco gli tolse il respiro e gli fece perdere la pistola. La frusta si era arrotolata intorno al collo e una spira gli stringeva la bocca. Con un grugnito strozzato, Alfio serrò i suoi denti d’oro e tranciò di netto la corda. Con una scrollata di spalle si liberò e si voltò verso il bastardo sfoderando il coltello.
Un colpo lo raggiunse alla testa, da dietro. «Così impari a chiamarmi Stronzetta, bastardo!»
La coscienza di Alfio si spense.
5. -2h 58m a. M.
Non fu tanto il dolore a svegliarlo, quando il senso di vuoto che sentiva in bocca.
Un pugno alla pancia gli fece sputare un fiotto di sangue rancido. Aveva le spalle in fiamme, la testa gli pulsava e ondate di dolore si infrangevano lungo tutto il corpo.
Non temerò alcun male.
Alfio aprì gli occhi e fu costretto a richiuderli quando una scudisciata gli squarciò le carni sulla schiena. Si inarcò, e provò a stringere i denti, ma le gengive nude si chiusero su loro stesse.
Tossì, mentre altri colpi lo martoriavano, uno dopo l’altro.
Tremò da capo a piedi, quando una voce arrivò da molto lontano. «Fermi tutti! Perché non sono stato avvertito della cattura?»
Alfio cercò di guardare attraverso gli occhi gonfi. La voce aveva qualcosa di familiare.
«Fuori tutti, teste di cazzo moscio!»
Il tono autoritario portò il silenzio nella stanza, e Alfio intravide un uomo e una donna uscire con il capo chino: «Chiediamo perdono, Deusex Signore.»
La vista di Alfio si snebbiò sentendo il nome di Deusex, il grande capo. Con uno sforzo enorme, sollevò al testa: era appeso per i polsi a due catene e questo spiegava il dolore incandescente alle spalle. Era nudo e i piedi sguazzavano sul pavimento sporco.
«E tu chi sei, topo di fogna?» Deusex lo apostrofò con disprezzo. Si muoveva in modo strano, anche se Alfio non riusciva a capire cosa lo disturbasse. Portava un elmo di metallo calato sugli occhi, senza feritoie, e indossava un vestito a metà tra l’abito talare e una divisa militare.
Deusex mosse qualche passo ancora.
«Mi è arrivata voce che avevano trovato un tipo con la dentiera d’oro. Un guerriero senza pari.»
«Sarà stata Enza. Spia di merda.»
«Era un’esca. Dopo la fuga di Zaira e il suo messaggio sul tetto, vi stavamo aspettando.»
Alfio sputò.
«La solita arroganza dei Succhierichetti. Vi addestrano a non fare domande, a odiare il vostro corpo, tanto da disprezzare la morte, vi indottrinano a eseguire gli ordini, con la bocca chiusa e quando diventate bravi abbastanza, vi regalano una dentiera d’oro e vi mandano in giro a uccidere gente.»
«Solo i torturatori come te, bastardo.»
Deusex sorrise, e con orrore, Alfio vide baluginare un lampo metallico tra le labbra del suo aguzzino. «Perché hai quei denti?»
L’altro fece qualcosa di inaspettato: cominciò a palpargli la faccia. «Sono io a fare le domande, qui.» I polpastrelli si muovevano decisi sulle guance ferite di Alfio, passarono sul naso rotto e scivolarono sulle sopracciglia, poi all’improvviso si irrigidirono. «Non è possibile.» disse Deusex. «Damasco.»
A quelle parole, il cuore di Alfio accelerò. «Cosa?»
E Deusex si tolse il suo elmo. Nonostante le bruciature intorno agli occhi, come lacrime di carne carbonizzate, nonostante lo sguardo ormai cieco, Alfio riconobbe il volto del suo tenente in seconda. «Paolo… Pensavo che fossi morto a Damasco, insieme agli altri.»
«Morto? Io sono risorto a Damasco, ho visto la luce!»
«Hai preso tu il Tabernacolo Celeste?»
«Tu non puoi capire, Alfio.»
«Ma certo! Ci voleva qualcuno che conoscesse la Santa Sede, per arrivare a prendere una reliquia del genere. Un ex Succhierichetto. Traditore!»
«Alfio, ci hanno mentito, sempre.»
«Non è vero! Il Tabernacolo contiene il vero Corpo di Cristo, unica comunione tra il Papa e Dio. E tu l’hai rubato per darlo a questi coglioni dei Terroristi di Geova!»
«Non sai di cosa parli, Alfio. In nome della nostra vecchia amicizia, cercherò di spiegarti…»
«Amicizia? Stavamo insieme, Paolo, eravamo amanti! E tu, prima sei sparito e poi sei passato dalla parte del nemico. Come faccio a darti un minimo di credito!»
«Il Tabernacolo Celeste è vuoto!», quasi urlò Paolo. «Non c’è nessun corpo di Cristo dentro. È finito, da chissà quanto tempo.»
Alfio rimase senza parole. Niente vero Corpo di Cristo. Niente Vera Comunione del Papa. Niente parola di Dio.
«Capisci? Dio ha girato lo sguardo dall'altra parte. Ci ha lasciato soli.»
«Non è vero.»
«Lo è.» Paolo si avvicinò e gli accarezzò il volto ancora una volta, quasi con affetto. «Ma possiamo porre rimedio. O meglio, io lo sto già facendo. C’è un modo.»
Alfio collegò le informazioni. «La Cristopìa.»
«Sì. Il rito avrà inizio, poco prima dell’alba. Stiamo allestendo la Via delle Croci.»
«Con quei poveretti che avete rapito?»
«Non abbiamo rapito nessuno. Sono tutti volontari, martiri!»
«Eretici immondi!»
«Basta invocare Dio. È venuto il momento di evocarlo! E la tua strafottenza mi ha stancato. Ucciderti sarebbe troppo poco. Vedrai tutto da una posizione privilegiata. Un’ultima cosa: Paolo è morto. Ora sono Deusex»
6. -1h 12m a. M.
«La mia anime imputridisce in mezzo a questo scempio.»
«Smettila di agitarti, Alfio e goditi la Cristopìa, la Parusia artificiale.»
«Brucerete all'Inferno.» Uno scossone del pianale del camion su cui stavano viaggiando lo face cadere in ginocchio. Si tirò su aggrappandosi con le mani imprigionate da fascette di plastica e si sporse a vedere la scena davanti a lui.
Era una immonda carovana di cassonati che si muoveva lentamente lungo una strada tortuosa in mezzo ai monti al confine nord della Puglia e loro erano l’ultimo veicolo. Deusex era in piedi su un palco improvvisato e continuava a urlare ordini, a chiedere rapporti ai suoi attendenti, cercando di farsi un’idea di quello che stava accadendo. Non doveva essere facile guidare una cosa del genere senza poter contare sulla vista.
«E allora non sono più Stronzetta?» lo apostrofò Enza, venendogli incontro barcollando. Il pugno lo raggiunse allo zigomo inaspettatamente. «E preparati che tra un po’ è il tuo turno.» e si allontanò da lui.
Alfio tornò a osservare la scena. Non credeva ai suoi occhi: i camion trasportavano delle enormi croci di legno, alte ameno due metri e mezzo, e a reggerle c’erano persone, donne, uomini e qualche bambino, anche. «Quelli sono i martiri? Quelli che avete torturato per tutta la notte?»
«Sì. Sono le effigi viventi di Nostro Signore Gesù. Dimmi, sono sofferenti? Hanno lo sguardo pieno dell’amore di Dio?»
«Sei uno psicopatico. Quelle persone stanno per morire!»
All'improvviso il loro camion si fermò. E questa cosa lo terrorizzò ancora di più. Enza gli venne vicino nuovamente con un sorrisetto sbilenco sulla faccia. Lui quasi chiuse gli occhi in attesa di un altro colpo, ma la ragazza lo prese per le manette e gli diede uno strattone. «Salta giù, bellezza. Sei il nostro ospite d’onore.»
Lo scaraventò giù dal camion, dove due uomini lo presero e lo trascinarono verso una collinetta al termine della strada. Intorno a lui si snodava l’orrore senza fine che aveva solo intuito. Lungo i bordi della strada, una dopo l’altra, si stagliavano le croci. Gli occhi dei martiri erano pieni di lacrime, le labbra tremavano di dolore. Vide un filo di saliva sanguinolenta scendere indolente dalle labbra di una bionda che stava con il capo piegato sul petto, il corpo appeso alle braccia inchiodate al legno.
«Senti questi suoni?» gli urlò Deusex. «Non c’è niente di meglio per attirare l’attenzione di Dio. Il suo sguardo si sta volgendo su di noi. Continuate a urlare di dolore, invocate il nostro Amato Creatore, mandategli questo messaggio! E che le croci siano levate dritte al cielo!» Deusex continuava il suo sproloquio. Enza gli porse un oggetto color indaco, iridescente. Lui la ringraziò e le fece un cenno di andare avanti, verso il corteo di camion. Lui sollevò il Tabernacolo Celeste. «Il più grande mistero di tutti i tempi sta per essere svelato! Riporteremo il corpo di Gesù qui, in questo ricettacolo mistico. Ristabiliremo il contatto con il divino, ritorneremo tutt'uno con il Salvatore.»
«Ehi, Paolo! Se sei così convinto di aver vinto, ridammi la mia dentiera. In nome dei vecchi tempi!» urlò Alfio.
Deusex volse verso di lui lo sguardo cieco. Si frugò in tasca e tirò fuori la dentiera d’oro. «Questa? La vuoi proprio? E perché no?» E la lanciò.
Enza la afferrò al volo. «Sarà tua, te lo prometto, ma prima…»
A quel punto, uno dei due uomini lo colpì a un ginocchio e l’altro lo ribaltò a terra. Con un coltello tagliò la fascetta di plastica e, insieme all'altro, gli divaricarono le braccia e lo trascinarono fino a una croce. Enza corse verso di lui ridendo. In una mano aveva la dentiera e nell'altra aveva una sparachiodi.
Lo trafisse sei volte alla mano destra, e altre quattro al polso. Alfio sentì i muscoli della mano prima irrigidirsi per il dolore indicibile che gli arrivò alla spalla, mentre cercava di ricacciare dentro le urla. Quando per passò all'altra mano, non ce la fece più e si sfogò squarciando l’aria con le sue grida.
«Ti ho fatto male? Scusami tanto!» gli disse Enza. «E ora, passiamo ai piedi.»
Alfio lottò con tutte le sue forze per non perdere i sensi, inspirando e espirando rumorosamente tra le labbra ripiegate sulle gengive nude. Non immaginava neanche fosse possibile, ma il dolore triplicò quando con una corda misero la croce verticale.
«Ah, dimenticavo!» esclamò Enza. «Ecco la tua dentiera!» E con il tacco della scarpa la schiacciò.
Alfio vide un lampo rosso baluginare tra i denti d’oro. Quasi udì il bip del tracker che si attivava e disse: «L'Occhio di Dio veglia su di me.» Il suo sguardo calmo si perse lungo la distesa di croci.
7. -3m a. M.
Enza urlò.
«Che succede, Enza?» chiese dal suo pulpito Deusex.
La ragazza si stava contorcendo afferrandosi la nuca. Tra le dita, oltre i capelli, una luce verde lampeggiava.
Era l’alba più oscura che Alfio avesse mai visto. Nuvole grigie si stavano addensando sopra le loro teste, lampi squarciavano quella distesa minacciosa. Il tabernacolo tra le mani di Deusex quasi si accese di luce propria.
«Che la Maddalena mi liberi da tutti i peccati.» disse Alfio.
Si alzò un vento freddo, odoroso di foglie morte. Alfio alzò gli occhi al cielo.
«Siete fottuti. Mancano pochi secondi alla Maddalena. L’occhio di Dio non ha mai smesso di osservarvi.»
8. La Maddalena
Con una ciocca dei suoi stessi capelli, Enza si strappò un dispositivo grande quanto una lenticchia, che emetteva ora una luce continua verde. «Me l’hai attaccato tu?» urlò, in mezzo al vento.
Alfio le volse uno sguardo pieno di pietà. «Avete suonato al citofono sbagliato, stavolta!»
E sopra le loro teste, le nubi furono squarciate da un’enorme luce violacea, quasi solida. Alfio vide le centinaia di croci che venivano abbattute al suolo, mentre il plasma violaceo le ricopriva e si solidificava intrappolandole come zanzare nell'ambra. La strada ne fu riempita, il camion con Deusex venne spazzato via e mentre volava, inondato dalla luce della Maddalena che spargeva il suo carico di morte, vide anche il Tabernacolo Celeste sfuggire dalle mani di Deusex, e affondare in mezzo a quel cimitero di croci orizzontali. La porta del Tabernacolo era aperta, e dalle sue profondità stava venendo fuori qualcosa di immondo.
«Il Salvatore sta arrivand-» urlò Deusex, che non aveva visto quello che stava emergendo, e la sua voce fu spenta dall'ondata di calore che lo vaporizzò.
9. 2 settimane dopo la Maddalena
Dal rapporto del Camerlengo, Strettamente riservato
[Omissis]... abbiamo ragione di pensare che il rito dei Terroristi di Geova si sia concluso con un parziale insuccesso. A causa della diversa posizione delle Croci, l’invocazione non ha raggiunto il Regno dei Cieli, ma ha aperto uno squarcio sulle pendici del Purgatorio. La zona tra San Giovanni Rotondo e i confini con lo Stato Pontificio è purtroppo compromessa… [omissis] Il cannone orbitale a Olio Santo, nome in codice Maddalena, è stato efficace a interrompere la minaccia, ma il suolo rimane contaminato. Stiamo avviando una procedura di Bonifica Sacra per recuperare quanto più possibile…[omissis].
Seguono immagini scattate dall’occhio di Dio.