Occhi rossi al secondo piano di Emiliano Maramonte
Inviato: martedì 19 marzo 2019, 0:28
Il cortile angusto e la finestra al secondo piano lo inquietavano ogni volta.
Luigi affrettò il passo verso la scala che conduceva al suo appartamento e alzò ancora gli occhi. Per poco non andò a sbattere contro una tozza donna attempata, lenti fumé e viso nefasto. «Uh, mi scusi tanto, signora.»
La donna gli restituì un sorriso storto e rugoso. «Non si preoccupi. Signor… Ricchetti, giusto? Mi hanno detto che è arrivato da poco…»
Imbarazzato, lui, grattandosi i capelli: «Sì, diciamo di sì. Da un mese.»
«Benvenuto nel nostro allegro condominio!» esclamò la signora, poi si fece seria. «Le do un consiglio: cerchi di non guardare troppo in altro.» Detto ciò, se ne andò per la sua strada.
Luigi non perse tempo e si rintanò in casa. Aveva bisogno di riposare, tra un paio d’ore avrebbe riaperto le danze della caccia notturna. Prima di mettersi comodo, ricordò di aver lasciato lo smartphone in macchina. Ridiscese in cortile e notò che un gruppetto di persone si stava radunando al centro dello spazio comune rischiarato dall’ultima luce di un bel tramonto primaverile. Avevano tutti il naso all’insù, rivolti alla finestra al secondo piano. Che diavolo sta succedendo?
Si girò e vide dietro i vetri due bagliori cremisi… due dense macchie circoscritte che puntavano su di loro. Due occhi? Occhi rossi?
Intimorito, decise di non recuperare più il telefono, almeno per ora, e si diresse alle scale. In quel momento, il fracasso di una lastra in frantumi squassò la quiete del cortile. Un corpo umano descrisse una corta parabola, quindi si abbatté al suolo con un tonfo orrido. Il ragazzo biondo non si muoveva. Rannicchiato in una parodia di feto, giaceva in un ricamo sbagliato di schizzi di sangue. Luigi sussultò di orrore. Non riuscì a distogliere gli occhi da quella scena folle.
Cinque individui – tre uomini e due donne – si avvicinarono al cadavere e lo sollevarono silenziosi, come se quella macabra rimozione fosse ovvietà quotidiana. Trasportarono il ragazzo su per l’altra scalinata dello stabile fino a scomparire nelle viscere dei piani superiori. Ora più che mai Luigi aveva bisogno del telefono, per chiamare la polizia. Si avviò all’ingresso, ma due condomini gli vennero incontro sfoggiando torve espressioni di diniego. Uno di loro gli fece il gesto del silenzio con l’indice contro le labbra. Luigi, terrorizzato, fuggì su per le scale intenzionato a barricarsi in casa. Giunto sul pianerottolo udì una voce sinistra reclamare: «Fameeeeeeeee!» Non volle indovinare a chi appartenesse. Si accostò al suo portone e la signora attempata gli comparve di fianco. «Ti avevo detto che era un condominio allegro!» Lo pungolò con un forchettone e lo costrinse ad avvicinarsi a un’altra porta socchiusa. Lo spinse oltre la soglia, con la complicità di un robusto condomino barbuto sbucato da chissà dove.
Si ritrovò di fronte un adolescente obeso e deforme incastrato su una sedia a rotelle sgangherata. Aveva le fauci grassocce sozze di sangue e putridume. Guardava oltre la finestra e gemeva sofferente. La stanza era cosparsa di ossa e altre frattaglie marce e puzzolenti.
«Faaaaaaaaaaame!» rantolò il mostro. Poi si voltò. Un flash rosso accecò Luigi. Si sentì afferrare rudemente da dietro.
Bizzarro e trionfale, lo colse un ultimo pensiero prima di volare fuori dalla finestra: Benvenuto nell’AIDS, stronzo!
Luigi affrettò il passo verso la scala che conduceva al suo appartamento e alzò ancora gli occhi. Per poco non andò a sbattere contro una tozza donna attempata, lenti fumé e viso nefasto. «Uh, mi scusi tanto, signora.»
La donna gli restituì un sorriso storto e rugoso. «Non si preoccupi. Signor… Ricchetti, giusto? Mi hanno detto che è arrivato da poco…»
Imbarazzato, lui, grattandosi i capelli: «Sì, diciamo di sì. Da un mese.»
«Benvenuto nel nostro allegro condominio!» esclamò la signora, poi si fece seria. «Le do un consiglio: cerchi di non guardare troppo in altro.» Detto ciò, se ne andò per la sua strada.
Luigi non perse tempo e si rintanò in casa. Aveva bisogno di riposare, tra un paio d’ore avrebbe riaperto le danze della caccia notturna. Prima di mettersi comodo, ricordò di aver lasciato lo smartphone in macchina. Ridiscese in cortile e notò che un gruppetto di persone si stava radunando al centro dello spazio comune rischiarato dall’ultima luce di un bel tramonto primaverile. Avevano tutti il naso all’insù, rivolti alla finestra al secondo piano. Che diavolo sta succedendo?
Si girò e vide dietro i vetri due bagliori cremisi… due dense macchie circoscritte che puntavano su di loro. Due occhi? Occhi rossi?
Intimorito, decise di non recuperare più il telefono, almeno per ora, e si diresse alle scale. In quel momento, il fracasso di una lastra in frantumi squassò la quiete del cortile. Un corpo umano descrisse una corta parabola, quindi si abbatté al suolo con un tonfo orrido. Il ragazzo biondo non si muoveva. Rannicchiato in una parodia di feto, giaceva in un ricamo sbagliato di schizzi di sangue. Luigi sussultò di orrore. Non riuscì a distogliere gli occhi da quella scena folle.
Cinque individui – tre uomini e due donne – si avvicinarono al cadavere e lo sollevarono silenziosi, come se quella macabra rimozione fosse ovvietà quotidiana. Trasportarono il ragazzo su per l’altra scalinata dello stabile fino a scomparire nelle viscere dei piani superiori. Ora più che mai Luigi aveva bisogno del telefono, per chiamare la polizia. Si avviò all’ingresso, ma due condomini gli vennero incontro sfoggiando torve espressioni di diniego. Uno di loro gli fece il gesto del silenzio con l’indice contro le labbra. Luigi, terrorizzato, fuggì su per le scale intenzionato a barricarsi in casa. Giunto sul pianerottolo udì una voce sinistra reclamare: «Fameeeeeeeee!» Non volle indovinare a chi appartenesse. Si accostò al suo portone e la signora attempata gli comparve di fianco. «Ti avevo detto che era un condominio allegro!» Lo pungolò con un forchettone e lo costrinse ad avvicinarsi a un’altra porta socchiusa. Lo spinse oltre la soglia, con la complicità di un robusto condomino barbuto sbucato da chissà dove.
Si ritrovò di fronte un adolescente obeso e deforme incastrato su una sedia a rotelle sgangherata. Aveva le fauci grassocce sozze di sangue e putridume. Guardava oltre la finestra e gemeva sofferente. La stanza era cosparsa di ossa e altre frattaglie marce e puzzolenti.
«Faaaaaaaaaaame!» rantolò il mostro. Poi si voltò. Un flash rosso accecò Luigi. Si sentì afferrare rudemente da dietro.
Bizzarro e trionfale, lo colse un ultimo pensiero prima di volare fuori dalla finestra: Benvenuto nell’AIDS, stronzo!