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The Best of Both Worlds

Inviato: domenica 19 maggio 2019, 16:40
da Eugene Fitzherbert
The Best of Both Worlds
Di Eugene Fitzherbert


1. Bar Fantasy
Le esalazioni di benzene e olio bruciato rendevano il tramonto confortante: finalmente qualcosa messo peggio di noi.
«Se non becchiamo un lavoro qualsiasi, siamo screwed.» Convincere quei due stronzi seduti al tavolo con me sembrava impossibile.
Alla mia destra, il Cozzaro sorseggiò la sua Varikiña e ruttò una zaffata di ammoniaca distillata e zenzero. Posò il bicchiere e attivò il suo apparecchietto erigmofonico attaccato al collo privo di laringe. «Mi sembra una strronzzata, Pinzzarrone. Questa storia del rrecuperro dell’RrNA-m dal fondo del marre puzza come il pesce vecchio.» Parlava come un rasoio elettrico con l’accento barese.
«E tu?» Mi rivolsi a Mosca, il nano seduto di fronte a me, gli occhi prismatici che fissavano tutto e niente. Le antennine dietro le orecchie si sollevarono ritte sopra la testa e un piccolo arco voltaico passò da una all'altra. Era affascinante vederlo comunicare, anche se nessuno capiva un cazzo.
«Sapevo che mi avrrebbe dato rragione!» esclamò il Cozzaro, un’espressione trionfante sul volto coperto di squame di coccodrillo.
«È chiaramente d’accordo con me. Non è vero?»
Mosca si limitò odorarsi le dita.
«Avete deciso, allora?» La voce della mia Gianna mi raggiunse come il canto di un angelo. Si sedette alla mia sinistra posando i bicchieri di Varikiña che aveva ordinato al bancone del Bar Fantasy.
«Grazie, amore.» Le dissi, perso nei suoi occhi dalle screziature fosforescenti. Bevvi un sorso di Varikiña. «Mosca è d’accordo con me.»
«Col cazzzo.» Intervenne subito il Cozzaro.
«Tu che ne pensi, darling?»
«Abbiamo bisogno di soldi. Le Varikiñe non sono gratis.»
«Visto?» Esclamai rivolto al Cozzaro.
«Non ho finito.» Gianna fermò i miei entusiasmi. «Quel Colonnello non mi sembra a posto. Ha una faccia sempre incazzata e la gobba gigante è inquietante. E poi: come cazzo fa ad andare in giro con un pastrano di lana a giugno?»
«È quello che dico purre io!» Il Cozzaro batté la mano sul tavolo.
«E in più, se devo dirla tutta, mi fa schifo anche il cane che si è portato dietro. Come si chiamava?»
«Accazzodì.»
«D’altro canto, la storia dell'RNA-m è vera, ne avevo sentito parlare.»
Il Colonnello ci aveva raccontato che un paio di contrabbandieri albanesi si erano ribaltati vicino alla riva di Lido Cerano, a Sud di Brindisi: trasportavano vasche di RNA-m, un bottino ghiotto per la manica di mutanti scriteriati e smutandati che sedevano al tavolo del Bar Fantasy a bere Varikiña e sperare di arrivare sani e salvi al prossimo anno.
«Gianna, amore mio, le tue parole sono state decisive. Fuck al Colonnello e al suo cappotto di merda, al cane puzzone e al pericolo, ma io vado a recuperare quel carico. Sono un sacco di soldi, dannazione!»
«Vacci solo, allorra. Sono trroppo vecchio per quesste prresunte puttanate.» Il Cozzaro mi fissò a braccia conserte.
Mosca sparò un altro arco voltaico.
«Ok. L’appuntamento è qui alle 22 con il Colonnello.»

2. Verso lido di Cerano, di notte
«…La Lunga Estate è appena iniziata e per i prossimi sei mesi il Salento sarà occupato dai nostri cugini Integri che risalgono in superficie per bagnarsi di sole e fare il loro carico di vitamina D. Amici radioascoltatori, state lontani dalla Zona V, se non volete finire male. Quelli di Sotto non sono tanto felici di vedere i vostri brutti musi mutanti…»
Il Colonnello spense la radio del SUV con violenza. «Quelli di Sotto! Sono solo dei figli di puttana imbellettati che vivono in fondo al mare.» La mole sconsiderata di quel mutante occupava tre quarti dell’abitacolo schiacciandomi contro lo sportello del passeggero. La gobba pulsava e si contorceva sotto il pastrano verde militare.
«Hanno avuto il culo di non essersi presi nessuna mutazione.» Risposi più che altro per tenere viva la conversazione.
«Culo? Noi vediamo solo dei ricchi di merda che vogliono mantenere i loro privilegi: vivono in una città sottomarina, protetti da tutto, strapieni di RNA-m. È tutto studiato per mantenere questo equilibrio. Sappiamo riconoscere un piano quando ne vediamo uno.»
Dubitavo che avrebbe saputo riconoscere il suo uccello su un tovagliolo di carta, ma ritenni più opportuno non ribattere. «Perché il cane si chiama Accazzodì?» chiesi, per cambiare argomento.
Sul sedile posteriore, accanto al Mosca, sedeva il bastardo color cenere.
«L’abbiamo chiamato così perché è addestrato a cazzo di cane.» Si volse verso di me, ghignando. «Vuoi vedere? Accazzodì, attacca
Mosca si ritrasse, ma il cane si ribaltò sulla schiena per essere accarezzato sulla pancia.
Il Colonnello si mise a ridere. «Gli abbiamo insegnato i comandi sbagliati, così solo noi sappiamo come attivarlo.»
«E come fa ad attaccare?»
«Ti piacerebbe saperlo, eh?»
Cadde un silenzio gravido di aspettative: il Colonnello continuava a guidare a fari spenti, il cane sbavava sul sedile posteriore e il Mosca sedeva composto nel suo metro e venti di tascabilità.
Fuori dal finestrino, il panorama ferito di una terra morta e in decomposizione scorreva veloce: un timelapse della disperazione. Stavamo attraversando le macerie che un tempo erano state Brindisi, città dedita al turismo da tasca: si aspettavano i turisti per poterli borseggiare allegramente.
Ora, dopo la Guerra dei Due Vuoti, rimaneva solo il moncone del Monumento al Marinaio, il faro a forma di timone più brutto dell’universo. Sulla cima, ondeggiavano placidi i cadaveri impiccati di qualche sfigato, come tarzanelli appesi al buco di culo più alto del Salento.
«Pinza, che cosa farai con il bottino?» Mi chiese all'improvviso il Colonnello. Il movimento vermicolare sotto il suo pastrano era peggiorato. Non osavo immaginare cosa ci fosse là sotto.
«Non lo so, ancora.» Risposi vago.
In realtà, lo sapevo.

3. Poche ore prima a casa mia
«È l’unica cosa sensata da fare!» Dissi a Gianna.
«Andare a rischiare la vita a Lido Cerano? Qui la Polizia ci lascia stare, ma a due passi dal confine con Cellino, è tutta un’altra storia!» La collera le accendeva gli occhi fosforescenti e intorno alle palpebre brillavano delle venature dello stesso colore dell’iride come makeup emozionale. «Ci pensi a noi?»
«Gianna, my love, è perché penso a noi che devo fare questa cosa. Con l’RNA-m possiamo curare le nostre mutazioni.» La seguii mentre si dirigeva in bagno. «Se torniamo umani, potremmo superare i checkpoint e raggiungere Santa Maria di Leuca…»
«Basta con questa storia! Non ci prenderanno mai nella Città Inabissata. Ci vogliono i soldi che noi non abbiamo.»
«I money non saranno un problema: ho un piano.»
La sua espressione esasperata era riflessa nello specchio sul lavandino. «Ma finiscila, tu e i tuoi piani!» Si arrotolò la gonna larga fino alla vita e si accovacciò sul bidet. «Dammi la polvere, è nell'armadietto.»
Le porsi la magnesite alcalina e sbirciai: sotto il ciuffo di peli pubici, i tentacoli, regalo delle mutazioni random, le scorrevano sinuosi lungo la coscia candida.
Spolverò un po’ di povere e quelli avvizzirono riducendosi a pochi centimetri di lunghezza. Era la sua maledizione.
«Lo faccio anche per questo, Gianna, my octo-pussy.»
«Vaffanculo. Lo sai che odio quando mi chiami così.» Si portò le dita al naso. «Puzzano di pesce. E va bene, vai a fare sto colpo e non farti uccidere.»
«Sei solo mia, no?» Le dissi attraendola a me. L’accarezzai in mezzo alle gambe e i tentacoli mi solleticarono la mano. La ritrassi e la indirizzai verso i glutei. Lei se ne accorse.
«Lo so che non è una bellezza, ma almeno…» Non finì la frase. «Portami quell’RNA-m e facciamola finita. Non voglio più essere la tua octo-pussy.»
La abbracciai e andai a prendere il necessario per il piano.

4. Lido Cerano: Crostacei e Fléchette
Il Colonnello fermò il SUV in spiaggia. Sullo sfondo, c’erano i resti scheletrici della centrale termoelettrica con le vasche di raffreddamento ridotte a catini giganti squagliati, il comignolo centrale che puntava sbilenco verso il cielo.
«Il relitto si trova a una decina di metri di distanza dalla riva.» disse il Colonnello.
Il Mosca si chinò tra i sedili e raccolse una palla maleodorante e l’addentò.
«La tua coprofagia mi spaventa, Mosca.» Ma d’altronde non lo chiamavamo Mosca per niente. «Sei pronto?»
Le sue antenne si illuminarono in un segno affermativo. O almeno speravo.
«È telepatico?» Mi chiese il Colonnello.
«Non che io sappia. È solo molto forte e ha strani gusti alimentari.»
Sotto il pastrano, la gobba gigante del Colonnello si contorceva sempre di più.
Lasciammo il cane in macchina e ci avviammo.

Le acque si infrangevano sul bagnasciuga lasciandosi dietro una scia di mucillagine verdastra, un apostrofo schiumoso tra le parole VELENO e MORTALE.
Avvertii il peso della pistola a fléchette nei pantaloni e dalla tasca presi due filtri di Adrenosint: li infilai nel naso e inspirai. La botta quasi mi sorprese, e dopo un attimo mi ritrovai con i sensi all’erta e il mondo più tridimensionale del solito.
Il Colonnello era avanti di qualche passo. «Per fortuna stasera c’è a bassa marea.» Indicò un punto in cui si vedevano i resti di un’imbarcazione ribaltata. Facemmo finta di non vedere i corpi galleggianti dei due albanesi morti. «Dovremo rovistare sul fondo per trovare le vasche di RNA-m. Ve la sentite?»
«Oh cazzo, sì!» Il mio sogno di andare nella Città Inabissata con Gianna stava per realizzarsi: vedevo già l’ascensore che ci portava nelle cupole pressurizzate in fondo al mare Adriatico, tra i normali. «Diamoci una mossa.»
Le cose andarono lisce: il Mosca, forzuto figlio di puttana, quasi scoperchiò l’imbarcazione. Il Colonnello, con la sua mutazione che non trovava pace, diede prova di organizzazione. Io mi immergevo per recuperare il carico. Accazzodì ci guardava dal lunotto posteriore.
«Ma eri davvero un colonnello?» chiesi, mentre trasportavo una vaschetta di RNA-m. Il liquido rosato all'interno sciaguattava: il suono della libertà.
«Molto tempo fa, siamo stati tante cose, anche colonnello, sì.»
«E cosa vorresti farci con questo carico di RNA-m? Ritornare a quella vita?»
«Chi lo sa.» Si passò la mano sulla fronte. «A quanto siamo arrivati?»
«Cinque vaschette.» Cominciavo a preoccuparmi: eravamo a ridosso del confine con al Zona V, ci si poteva imbattere in vedette della Polizia ed essere trucidati.
«Vai a dare un’ultima occhiata e poi ce ne torniamo a casa.»
Mi voltai e lanciai uno sguardo a Mosca: le sue antenne luccicarono in maniera inequivocabile.
Con un movimento veloce estrassi la pistola a fléchette e la puntai contro la faccia del Colonnello.
Il mio piano aveva inizio.
«Ma davvero?» Disse lui con un sorrisetto sbilenco. «Abbiamo avuto la stessa idea?»
«Tieni le mani in vista, Colonnello.» Lui obbedì. «Che cazzo è quella?» Teneva in mano una sfera dai led rossi lampeggianti.
«Oh niente di che. Volevo solo che la vostra dipartita sembrasse un incidente.»
Avanzai. Il Mosca era ancora sullo scafo.
La punta della pistola era a pochi centimetri dal Colonnello. «Far esplodere una granata non è proprio un incidente, no?»
«Granata?» E mentre diceva questo, da sotto il pastrano emerse un’altra mano che mi schiaffeggiò la pistola.
Ma quante cazzo di mani aveva? Per la sorpresa mi partì un colpo e la fléchette viaggiò diretta verso la catasta di vaschette di RNA-m.
«Nooo!» Urlammo insieme io e il Colonnello.
La mano di troppo del Colonnello mi colpì nuovamente e mi fece volare via la pistola. Poi lanciò la sua granata nell'acqua.
«Mosca!», e mi coprii la testa con le mani in attesa dell’esplosione.
Arrivarono solo le risate del Colonnello, beffarde. «Davvero pensi che faremmo esplodere una granata a due passi dalla Zona V? Così da avere tutta la polizia addosso in venti secondi? Ci offendi!»
La sfera sprigionò un lampo subacqueo vicino ai cadaveri degli albanesi: mulinelli di giallo fluo si mischiarono ai flutti radi. Ero impietrito. Mosca era ancora sul relitto, le antenne che sparavano scintille per la confusione.
«Ora ci divertiamo.»
I due cadaveri degli albanesi vennero risucchiati sotto l’acqua.
«Che cazzo succede? Mosca, vieni via da lì!»
«Sì, Mosca, buttati in acqua.» Il Colonnello sghignazzava e mentre si avvicinava alle vasche di RNA-m.
«Eh no, coglione!» Lo strattonai per il cappotto: la stoffa si squarciò mostrando un groviglio di esseri umani fusi insieme in un incubo di braccia, torsi, gambe e teste incrociati senza una logica precisa. Mi ritrassi schifato. «Cristo, sei un fucking puzzle umano!» Spinto dalla botta di Adrenosint, gli diedi un pugno sulla faccia principale, mentre le altre tre ridevano e grugnivano.
Il Colonnello barcollò verso l’auto e cadde urtando la testa contro il paraurti. Dentro, Accazzodì abbaiava convulsamente.
Mi voltai verso il Mosca. Il cadavere di uno dei due albanesi, gonfio e putrido, stava avanzando lentamente verso di me. Un enorme granchio mutante aveva preso il posto della testa, le due chele che si aprivano e si chiudevano. In piedi sul relitto, il Mosca cercava di tenere a distanza l’altro morto vivente, composto da un patchwork di oloturie mollicce.
«Metacorpse! Mosca, non toccare l’acqua, altrimenti resterai fuso a questi cadaveri.»
Le antenne baluginarono: aveva capito, forse.
Testa di Granchio era tre metri da me: mi lanciai nella sabbia sporca per recuperare la pistola. Visto che avevo un po’ di tempo, puntai Oloturia. Il nano si lanciò in volo verso il mutante per usarlo come piattaforma: il piedino toccò la testa proprio mentre io sparavo il colpo. Il suo trampolino di carne e spugna celenterata esplose all'impatto con la fléchette.
«Sì!» Girai la pistola verso Testa di Granchio, mentre Mosca atterrava sul carapace gigante e lo strattonava. Il granchio sibilò per l’incazzatura e allungò una delle chele fino a centrare l’occhio prismatico del Mosca. Gli scavò un buco grosso come un pugno e le antenne lanciarono archi voltaici incandescenti. Ma il piccoletto non mollò la presa!
«SHIT!» E poco prima di fare fuoco, quello stronzo del Colonnello atterrò su di me: il dardo di metallo arrivò nella stratosfera e le mie bestemmie anche più su: per la seconda volta in quella serata di merda persi la pistola.
Mi scrollai di dosso il vecchio e diedi sfoggio della mia mutazione. Mi lanciai in aria verso Testa di Granchio che aveva scaraventato il mio amico a terra.
In volo, i miei avambracci si spalancarono come le pinze di una mantide religiosa e non potei fare a meno di ghignare come un folle. Piombai su Testa di Granchio: «Scusa, mi serve un po’ di polpa per gli spaghetti!» e gli scavai due solchi sulla testa. Richiusi le pinze e gli staccai una delle due chele.
Se mi chiamano Pinzarone ci sarà un motivo, no?
Mi chinai su Mosca, puntando la pinza destra nella sabbia: «Ehi amico, come va?»
Le sue antenne mi dissero che andava tutto bene. Avevo interpretato a cazzo, perché in quel momento una fléchette amputò la mia pinza destra.
«Fanculo, ragazzo. Dovevi morire e basta, e loro ci avrebbero aiutato a guarire. Lasciaci il carico di RNA-m e muori.»
«Loro? Sei in combutta con Quelli di Sotto?» Questo spiegava il Metacorpse, le notizie sul relitto, l’assenza di problemi per strada. Che coglione che ero stato.
«Loro ci avevano detto che ci avrebbero divisi e che saremmo ritornati nella Polizia! Ora muori.» Puntò la pistola a fléchette tra i grugniti e i rantoli dei suoi commilitoni.
Ormai era la fine.
Una mano mi tirò il pantalone: Mosca. Un arco voltaico blu intenso univa le antennine del mio amico. Il ditino piccolo puntava dritto davanti a sé: il Colonnello era bloccato con la pistola puntata, le bocche sul suo corpo congelate in un’espressione a metà tra la sorpresa e l’incazzatura.
«Sei telepatico!»
Strinse il pugno un paio di volte.
«Sì, mi sbrigo!» Raccolsi la chela da terra come un macabro trofeo e mi tolsi dalla linea di tiro. Superai il vecchio immobile, raccolsi l’unica vaschetta di RNA-m sopravvissuta e corsi alla macchina. «Arrivo da te, Mosca. Tieni duro.»
Il bagliore elettrico tra le antenne cominciava a tentennare.
Accazzodì latrava come un dannato. «Avanti piccolo, se ne usciamo vivi, ti adotto.» Accesi l’auto e con un ghigno misi la retro, puntando il Colonnello. Accelerai sollevando sabbia sporca e lo misi sotto quando aveva ripreso a muoversi.
Scesi dall'auto, e corsi da Mosca, le antenne ormai spente, l’unico occhio prismatico opaco. Lo presi in braccio e lo misi nel bagagliaio. «Riposa in pace, amico. Ci mancherai. E grazie per l’aiuto.»
Il mio piano aveva fruttato una sola vaschetta di RNA-m pronta per essere iniettata: speravo fosse sufficiente.

5. Sorpresa, sono a casa!
Per tutto il ritorno, il SUV aveva dato segni di squilibrio, traballante e scoordinato alla guida. O forse ero io un coglione che non ne aveva mai guidato uno.
Varcai la soglia di casa, in una mano la mia pinza strappata, nell'altra la vasca di RNA-m: «Gianna, sono a casa, amore!»
Accazzodì mi seguiva e io non mi azzardavo a dargli ordini, perché non sapevo come avrebbe reagito.
L’appartamento era al buio, tranne per la luce che filtrava dalla porta accostata della camera da letto.
Afferrai la maniglia e la spalancai.
«What the fuck!» Lasciai cadere la vaschetta con un crack e la mia pinza strappata.
Con uno schiocco, la faccia del Cozzaro si sollevò dal pube di Gianna. L’uomo dalla pelle di coccodrillo si mise a piangere. «Non è come sembrra, Pinza…»
«Ma vaffanculo, Cozzaro. Hai appena slinguazzato la mia ragazza, cosa dovrebbe sembrare secondo te? E non piangere, sembri il peggior cliché sulla mutazione che si possa immaginare.»
«Amore, posso spiegarti. Pensavamo che saresti morto…»
«La senti l’enormità delle bullshit che dici? E poi con lui?!»
«Lui mi apprezza!» mi rispose Gianna.
Il Cozzaro, ancora tra le sue gambe, disse: «Cerrca di capirrmi, sono barrese: mi piacciono le femmine e i frrutti di marre, e qui…» Indicò i tentacolini di Gianna. «Ci sono entrrambi. Meglio di così?»
D'altronde non lo chiamavamo il Cozzaro per niente, no?
In quel momento Accazzodì decise di abbaiare tutto il suo rancore per il mondo.
Mi girai, e fu forse per il residuo di Adrenosint o per puro culo, ma feci in tempo a scansarmi, mentre quel redivivo testa di cazzo del Colonnello sparava un colpo dalla pistola a fléchette. Il dardo mi mancò per un millimetro e io lo vidi dirigersi verso l’occhio destro del Cozzaro. Purtroppo non basta una testa, per quanto di cazzo, a fermare un freccia di metallo di venti centimetri che corre alla velocità del suono: il proiettile si conficcò come una macabra parodia dell’adulterio, tra le gambe di Gianna, squassandola fino al petto.
Un po’ mi dispiaceva.
Il Colonnello era sporco di terra, pieno di tagli e ferite, due degli arti supplementari spezzati pendevano disarticolati, il pastrano ridotto a brandelli. «Dacci il nostro RNA-m.»
«Quello che si sta mangiando il tuo cane?» Accazzodì lo stava leccando direttamente dalla vaschetta rotta. «Hai ucciso il mio amico e la mia ragazza, coglione, ora di spacco!» E sguainai la pinza che mi era rimasta.
«Ti abbiamo fatto solo un favore a ucciderli. Non ti pare che dovresti ringraziarci?» E mi puntò la pistola contro.
Ci fu solo un click a vuoto: aveva finito le munizioni, e io lo sapevo. Mi lanciai addosso. Lui cercò di divincolarsi: io ero più forte, ma lui aveva qualche braccio in più a disposizione. Recuperò la mia pinza amputata e me la piantò nella spalla destra.
Mi rovesciai sulla schiena per il dolore.
«Volevi sapere come si diceva al cane di attaccare, stronzo?» La voce del Colonnello era roca e sfiatata. «Eccoti accontentato: Accazzodì?» Il cane sollevò lo sguardo dalla vaschetta di RNA-m. «Accazzodì, limuertitua!»
Non accadde nulla.
«Ma complimenti», dissi, il dolore che mi inchiodava al pavimento.
«Accazzodì, limuertitua!»
Il cane rizzò le orecchie e rispose: «E di mammata!» E si scagliò contro il suo ex-padrone.

Ancora dolorante, avevo estratto la pinza. Perdevo sangue ma probabilmente ce l’avrei fatta. Accazzodì venne a sedersi accanto a me.
«E di mammata? Davvero?» scoppiai a ridere fino a tossire.
«Ho sempre sognato di dirlo, a quel coglione. Mi ha incasinato tutto il comprendonio.»
«Però ora parli, come un uomo.»
«Sì, ma riesco ancora a leccarmi le palle come un cane.»
«The best of both worlds!»

Re: The Best of Both World

Inviato: domenica 19 maggio 2019, 16:47
da Eugene Fitzherbert
BONUS:

- Ambientato in Puglia, tra Carovigno e Cerano.

- Dialetto: Limuertitua è un'espressione terrona salentina che vuol dire grosso modo: Mortacci tua, dalle accezioni più svariate in base all'intonazione e al contesto. Può essere anche una grave offesa, da pagare con la violenza fino alla morte.
E di Mammata è un'espressione che si traduce con E di tua madre. Il riferimento alla genitrice rappresenta nell'iconografia terrona una controffesa a Li Muerti Tua: da questo momento in poi può solo scoppiare una faida famigliare fino alla guerra civile.

Glossario:
- Pinzarone è una storpiatura di PIZZARONE, termine dialettale tipico del brindisino, che indica una persona poco intelligente, un po' idiota, di solito con intento offensivo. E d'altronde Pinzarone non è che sia particolarmente brillante.
- Cozzaro: dicesi di persona di bassa lega, soprattutto nel barese, riferito a gente di porto, grezza e poco raccomandabile. Da questa accezione, deriva anche Checco Zalone, che è un gioco di parole con Che Cozzalone (dizione alternativa di Cozzaro di grandi dimensioni, Cozzarone).

Re: The Best of Both Worlds

Inviato: mercoledì 22 maggio 2019, 10:29
da Luca Nesler
Ciao Eugene, bella l'idea del glossario! Semplice, ma non ci ho neanche pensato.
Veniamo al racconto: l'inizio non mi ha colpito (parlando del sacro incipit), ma il resto sempre di più. Il momento più bello è lo scambio di battute romantiche tra Pinza (futurama?) e octopussy. Un po' mi sono innamorato.
Devo dire che invidio molto la vostra fantasia malata (ora tua e di Maurizio) che vi fa partorire certi dettagli succulenti. Le trame sono abbastanza pop (il che va benissimo), ma sono davvero arricchite da questi contorni al sapore di riso e pesce.
Comunque, scusa, torniamo al tuo.
Belle mutazioni, bella l'ambientazione, buona l'azione e appagante, oltre che divertente, il finale. L'ironia si percepisce per tutto il racconto ed è davvero godibile. I personaggi si fanno conoscere rapidamente e profondamente, il che è indispensabile per coinvolgere in un racconto così breve. E comunque lo apprezzo anche nei romanzi.
Che dire? Bravo!

dimenticavo i bonus: presenti entrambi!

Re: The Best of Both Worlds

Inviato: mercoledì 22 maggio 2019, 17:48
da Proelium
The best of both worlds

Un racconto sui mutanti in cui i mutanti sono protagonisti, e il lettore sta dalla loro parte! Incarnano perfettamente lo spirito goliardico, divertente e divertito – nonostante non ci sia nulla da ridere –, che domina le pagine di Riviera Napalm. La verve tragicomica appare rispettata e rafforzata da molti elementi, in primis i personaggi, ben costruiti e delineati nelle loro deformazioni grottesche, anche nominali, che sfociano nel picaresco. Dal Pinzarone, che come il Delver of Secrets, carta op di Magic, si flippa in un insettone aberrante, e vola e meNa; al Mosca, incarnazione del lurido, ma anche di un’eccezionalità sovrumana, fascinosa e incomprensibile. E ancora il Colonnello, inquietante per il suo aspetto di rettile ma ancor di più per i dubbi movimenti sotto il suo impermeabile; Octo-pussy e il Cozzaro che fanno insieme il caciucco; per non parlare di Accazzodì, rivelazione annunciata e vera star dell’intero racconto.
Anche la trama appare ben congegnata: da un lato abbiamo una quête che sarà prima compiuta e poi demistificata, creando un’impalcatura strutturale solida; dall’altro, mentre procede sicura, non disdegna cenni di sciagure antiche e descrizioni di luoghi, giustificando il pulp in una cornice non priva di echi. In effetti, la parabola di Pinzarone, a caccia dell’RrNA-m per un amore sbagliato, tra pistolettate, tradimenti e contrabbandieri umanoidi, mi ha ricordato in certe sue sequenze l’ultima avventura cinematografica del giovane Han Solo.
Parte essenziale del racconto è costituita dai dialoghi, su cui si punta molto non solo per caratterizzare i personaggi, ma anche per il dipanarsi stesso degli eventi e per la produzione di quel pastiche linguistico, gusto napalm, che coinvolge anche la lingua inglese. La miscela è esplosiva, ma non sempre affilata al massimo: vista l’importanza della sceneggiatura, tutte le battute dovrebbero risultare essenziali, incalzanti per mantenere alto il ritmo del racconto. Lo stesso turpiloquio, spesso e volentieri padrone del discorso, rischia talvolta, nella sua gratuità, di livellare la lingua verso il basso, piuttosto che arricchirla o movimentarla. Riguardo all’inglese, in effetti, rimango un po’ scettico: se contestualizzato con qualche espediente narrativo (anglicizzazione selvaggia pre-Crollo, magari?) potrebbe essere giustificato; così, invece, finisce per fare a pugni col dialetto, che rimane a margine. Ammetto che mi sarebbe piaciuto sentirlo un po’ di più, e non solo nei nomi o nei comandi del cane prodigio.

(Ok entrambi i bonus)

Re: The Best of Both Worlds

Inviato: giovedì 23 maggio 2019, 9:37
da Eugene Fitzherbert
Luca Nesler ha scritto:Ciao Eugene, bella l'idea del glossario! Semplice, ma non ci ho neanche pensato.
Veniamo al racconto: l'inizio non mi ha colpito (parlando del sacro incipit), ma il resto sempre di più. Il momento più bello è lo scambio di battute romantiche tra Pinza (futurama?) e octopussy. Un po' mi sono innamorato.
Devo dire che invidio molto la vostra fantasia malata (ora tua e di Maurizio) che vi fa partorire certi dettagli succulenti. Le trame sono abbastanza pop (il che va benissimo), ma sono davvero arricchite da questi contorni al sapore di riso e pesce.
Comunque, scusa, torniamo al tuo.
Belle mutazioni, bella l'ambientazione, buona l'azione e appagante, oltre che divertente, il finale. L'ironia si percepisce per tutto il racconto ed è davvero godibile. I personaggi si fanno conoscere rapidamente e profondamente, il che è indispensabile per coinvolgere in un racconto così breve. E comunque lo apprezzo anche nei romanzi.
Che dire? Bravo!

dimenticavo i bonus: presenti entrambi!


bentrovato, Luca!
Grazie dei complimenti, ovviamente, fanno sempre bene.
Ma veniamo alle cose serie, ovvero le tue critiche: l'incipit. Dannazione! Lo sai che l'ho scritto un bel po' di volte, asciugando, cambiando e tornando sui miei passi, ma cazzarola, evidentemente non sono arrivato alla quadratura del cerchio. La mia idea era quella di unire nella stessa frase iniziale l'immagine di un mondo disastrato ecologicamente e di un manipolo di persone disastrato e basta... devo metterci più verve. Ci proverò, Giuro!

Re: The Best of Both Worlds

Inviato: giovedì 23 maggio 2019, 10:04
da Luca Nesler
La mia non voleva essere una critica al risultato, ma solo una considerazione. Non ho trovato l'inizio troppo originale, ma... sticazzi. Uno se non legge cinque righe in più che cacchio ha gli occhi a fare?
Comunque il lavoro è buono, io penso che si tratti anche di sensibilità personale: ciò che non colpisce me colpirà qualcun altro. Un conto è se c'è trascuratezza o ingenuità, l'altro è la scelta degli argomenti e delle immagini. Che dici?

Re: The Best of Both Worlds

Inviato: venerdì 24 maggio 2019, 22:45
da Proelium
Non voglio intromettermi, ma io ho trovato l'incipit molto efficace. Si sente che è la parte del racconto che hai curato di più, a livello di forma. E se devo essere sincero, ho sperato segretamente che l'espressione rimanesse così tesa e pulita anche dopo, per dare lustro a tutti quei personaggi e contenuti bomba!

Re: The Best of Both Worlds

Inviato: sabato 25 maggio 2019, 11:35
da Luca Nesler
Ecco... Comunque non parlavo di forma, ma di contenuti. La scelta della situazione iniziale, ma è comunque utile per un crescendo.

Re: The Best of Both Worlds

Inviato: lunedì 27 maggio 2019, 18:56
da cristiano.saccoccia
Buonissimo uso dei bonus, caro Eugene, mi è piaciuto molto l'armonia tra ambientazione e dialetti, grazie per il glossario :D
Dopo un incipit non sensazionale per eccitare il lettore, il racconto ingrana benissimo, belle parti descrittive insaporite da momenti trash e divertenti.
Mutanti fuori di testa che fanno “schifo” perchè sono bellissimi.
Buona caratterizzazione dei personaggi che facilita l'immedesimazione, ho trovato i dialoghi molto spiritosi e esplicativi dell'ambientazione.
Ho trovato l'inglese poco convincente.
Amo Octopussy.

Re: The Best of Both Worlds

Inviato: martedì 28 maggio 2019, 17:49
da el_tom
Un racconto per certi versi sorprendente, mutanti protagonisti assoluti.
La trama si srotola piano piano e il racconto è di quelli da leggere tutto d'un fiato.
Presenti entrambi i bonus ma sono meno incidenti rispetto a gli altri scritti, l'uso della parte dialettale, per quanto molto intelligente nel suo utilizzo, si apprezza solo alla fine del racconto con la spiegazione dell'autore e questo rende impalpabile la caretterizazione geografica.
Molto ben scritto, interessante e divertente.