UN FILE CHIAMATO FUTURO
Inviato: martedì 21 maggio 2019, 0:44
«Ragazzi, stiamo per atterrare. Sintonizzate i vostri hard disk e preparatevi per l’uscita come da esercitazione BK1. Tutto chiaro?»
«Sì» digitarono gli studenti, mentre ciascuno trasferiva il grafico delle proprie emozioni sul monitor del professore. Si disposero in fila ordinata e si diressero verso l’uscita, adottando lo schema che avevano salvato nelle rispettive memorie nella cartella gita. Intanto le eliche dei droni, sistemati sul tetto del veicolo, avevano preso a diminuire i giri.
Dopo qualche minuto studenti e insegnante si ritrovano allineati su una piattaforma galleggiante in mezzo al mare.
«Bene, ragazzi. Siamo finalmente nel punto IT.25 dove, un centinaio di anni fa, si trovava la nazione chiamata Italia. Chi si ricorda a quale città corrisponde IT.25?».
«Dovrebbe essere Firenze, capoluogo della Toscana e culla del Rinascimento».
«Bravo Plontark», disse il professore. Il ragazzo salvò il complimento nella cartella soddisfazione.
Il mare calmo brillava sotto i raggi del sole e nell’aria si respirava un odore strano, quasi salato. La quiete di quello scenario sconosciuto venne interrotta dalla capsula marbus dell’Alfa Romeo che emerse dalle acque come una balena d’altri tempi. Entrarono e presero posto.
«Dunque, ragazzi. Fra poco cominceremo il nostro percorso di studio con la visita di quello che fu il Duomo di Firenze. Ma prima di addentrarci nella cattedrale sommersa, prima di nuotare nella storia, voglio ancora ricordarvi che l’Italia era un territorio a forma di stivale. Un piccolo staterello in mezzo al Mediterraneo in cui si sono insediate, nel tempo, molte civiltà antiche.
In questo percorso cosa vi aspettate di vedere? Chi vuole rispondere?».
Plontark accese il led di prenotazione e il professore gli accordò il permesso di parlare.
«Io vorrei vedere il tempo, professore».
Tutti i compagni si misero in modalità sghignazzo. Tutti tranne Jesuelle.
«Silenzio! Spiegati meglio, Plontark».
«Io avevo un nonno. Era italiano e si chiamava Antonio. Mio padre mi parla spesso di lui. Nonno Antonio è morto ma, attraverso i racconti di mio padre, è come se fosse ancora vivo. Io lo vedo».
«Sì. E cosa c’entra il tempo?».
«L’essere umano cerca in tutti i modi di vivere più a lungo. E’ come se prolungare la propria vita rappresentasse l’unica missione della propria vita. Oggi si muore a centotrenta anni, ma comunque si muore. Quando finisce l’esistenza rimane solo il tempo e l’uomo, in quella piccola frazione di infinito che è la sua vita, fa di tutto per guastare il tempo».
«Sinceramente non capisco» disse il professore. Jesuelle, la biondina con gli occhi azzurri, trovava quel ragazzo veramente intrigante.
« Lei ci ha spiegato che l’Italia è stata sommersa dalle acque del mare a causa di tutti quei fenomeni che si sono verificati nello scorso secolo».
«Certo. Il riscaldamento globale del pianeta, lo scioglimento dei ghiacciai e i cambiamenti climatici hanno contribuito all’innalzamento dei mari, con conseguente allagamento di intere nazioni. Forse inizio a capire cosa vuoi dire, Plontark».
La scolaresca uscì dalla capsula e si ritrovò nella piazza del Duomo. Spugne colorate adornavano la grande scalinata di marmo. Avevano tutti indossato le speciali tute subacquee che avevano imparato a usare durante le ore di esercitazione in aula. Entrarono ordinatamente nella cattedrale. Jesuelle camminava accanto a Plontark. Lì dentro c’era un’atmosfera magica, ardente. Le pareti di marmo, adesso spoglie e cosparse di alghe, un giorno avevano ospitato gli affreschi del Giudizio Universale. Plontark prese Jesuelle per mano e si diressero, insieme, verso il grande altare in fondo alla navata centrale.
«In questo posto, tanto tempo fa, hanno camminato Giotto, Brunelleschi, i Medici, i Guelfi e i Ghibellini» disse il ragazzo avvicinandosi al chip udito di Jesuelle.
«E Dante e Beatrice» aggiunse lei.
Arrivati all’altare si abbracciarono e si scambiarono promesse, cominciando a scrivere una nuova commedia, divina, in un file chiamato futuro.
«Sì» digitarono gli studenti, mentre ciascuno trasferiva il grafico delle proprie emozioni sul monitor del professore. Si disposero in fila ordinata e si diressero verso l’uscita, adottando lo schema che avevano salvato nelle rispettive memorie nella cartella gita. Intanto le eliche dei droni, sistemati sul tetto del veicolo, avevano preso a diminuire i giri.
Dopo qualche minuto studenti e insegnante si ritrovano allineati su una piattaforma galleggiante in mezzo al mare.
«Bene, ragazzi. Siamo finalmente nel punto IT.25 dove, un centinaio di anni fa, si trovava la nazione chiamata Italia. Chi si ricorda a quale città corrisponde IT.25?».
«Dovrebbe essere Firenze, capoluogo della Toscana e culla del Rinascimento».
«Bravo Plontark», disse il professore. Il ragazzo salvò il complimento nella cartella soddisfazione.
Il mare calmo brillava sotto i raggi del sole e nell’aria si respirava un odore strano, quasi salato. La quiete di quello scenario sconosciuto venne interrotta dalla capsula marbus dell’Alfa Romeo che emerse dalle acque come una balena d’altri tempi. Entrarono e presero posto.
«Dunque, ragazzi. Fra poco cominceremo il nostro percorso di studio con la visita di quello che fu il Duomo di Firenze. Ma prima di addentrarci nella cattedrale sommersa, prima di nuotare nella storia, voglio ancora ricordarvi che l’Italia era un territorio a forma di stivale. Un piccolo staterello in mezzo al Mediterraneo in cui si sono insediate, nel tempo, molte civiltà antiche.
In questo percorso cosa vi aspettate di vedere? Chi vuole rispondere?».
Plontark accese il led di prenotazione e il professore gli accordò il permesso di parlare.
«Io vorrei vedere il tempo, professore».
Tutti i compagni si misero in modalità sghignazzo. Tutti tranne Jesuelle.
«Silenzio! Spiegati meglio, Plontark».
«Io avevo un nonno. Era italiano e si chiamava Antonio. Mio padre mi parla spesso di lui. Nonno Antonio è morto ma, attraverso i racconti di mio padre, è come se fosse ancora vivo. Io lo vedo».
«Sì. E cosa c’entra il tempo?».
«L’essere umano cerca in tutti i modi di vivere più a lungo. E’ come se prolungare la propria vita rappresentasse l’unica missione della propria vita. Oggi si muore a centotrenta anni, ma comunque si muore. Quando finisce l’esistenza rimane solo il tempo e l’uomo, in quella piccola frazione di infinito che è la sua vita, fa di tutto per guastare il tempo».
«Sinceramente non capisco» disse il professore. Jesuelle, la biondina con gli occhi azzurri, trovava quel ragazzo veramente intrigante.
« Lei ci ha spiegato che l’Italia è stata sommersa dalle acque del mare a causa di tutti quei fenomeni che si sono verificati nello scorso secolo».
«Certo. Il riscaldamento globale del pianeta, lo scioglimento dei ghiacciai e i cambiamenti climatici hanno contribuito all’innalzamento dei mari, con conseguente allagamento di intere nazioni. Forse inizio a capire cosa vuoi dire, Plontark».
La scolaresca uscì dalla capsula e si ritrovò nella piazza del Duomo. Spugne colorate adornavano la grande scalinata di marmo. Avevano tutti indossato le speciali tute subacquee che avevano imparato a usare durante le ore di esercitazione in aula. Entrarono ordinatamente nella cattedrale. Jesuelle camminava accanto a Plontark. Lì dentro c’era un’atmosfera magica, ardente. Le pareti di marmo, adesso spoglie e cosparse di alghe, un giorno avevano ospitato gli affreschi del Giudizio Universale. Plontark prese Jesuelle per mano e si diressero, insieme, verso il grande altare in fondo alla navata centrale.
«In questo posto, tanto tempo fa, hanno camminato Giotto, Brunelleschi, i Medici, i Guelfi e i Ghibellini» disse il ragazzo avvicinandosi al chip udito di Jesuelle.
«E Dante e Beatrice» aggiunse lei.
Arrivati all’altare si abbracciarono e si scambiarono promesse, cominciando a scrivere una nuova commedia, divina, in un file chiamato futuro.