Di salsicce e generali

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo settembre sveleremo il tema deciso da Marco Cardone. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) I BOSS assegneranno la vittoria.
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el_tom
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Di salsicce e generali

Messaggio#1 » mercoledì 11 settembre 2019, 19:07

DI SALSICCE E GENERALI

Era calata la notte sul campo, le truppe della gloriosa armata dell’imperatore riposavano nelle loro tende, la sorveglianza era minima visto che si trattava di una delle solite esercitazioni volute dall’integerrimo generale Amràs.
Era da almeno un lustro che la pace regnava sull’impero delle sette terre, da quando Nafantuzzo, terzo nel suo nome, era riuscito nell’impresa di unificare le genti sotto la sua bandiera.
Amràs non riteneva questa una ragione valida per non mantenere l’esercito in esercizio.
Ai bordi del campo, vicino le cucine, i cuochi si erano ritrovati intorno ad un fuoco, ormai liberi dai loro doveri, per poter a loro volta cenare.
L’atmosfera era rilassata e cordiale, i commilitoni scherzavano tra loro raccontandosi aneddoti e prendendosi reciprocamente in giro.
Essendo i custodi delle vettovaglie dell’esercito, gli addetti al rancio si assicuravano il cibo migliore e il loro vino non era annacquato, infatti, con il procedere del banchetto, gli aneddoti andavano via via esagerando.
A quanto pare, cuochi e pescatori sono categorie affini quando devono raccontare le loro gesta.
“Durante la campagna di Burgalia catturammo un montone enorme, probabilmente il più grande che il sole abbia mai avuto la fortuna di baciare, ed io con estrema perizia ne feci uno spezzatino talmente delizioso che l’imperatore in persona mi fece mandare i suoi complimenti.”
Così raccontava Craccolo, uno dei veterani, era nell’esercito da talmente tanto tempo che faceva parte del triumvirato, la giuria che bisognava affrontare quando ci si proponeva come cuochi imperiali a palazzo, infatti, nessuno osò fiatare.
“Sapete come si giunse alla pace di Udieste? Cucinai un arrosto talmente spettacolare che il generale Amràs lo inviò come dono al conte Sisso, questi ne rimase così impressionato che si rifiutò di proseguire lo scontro, vergò un atto di suo pugno dove dichiarava che in un reame in cui si mangiava così bene non c’era spazio per la guerra.” proferì compiaciuto Buddo il grasso.
“Io ho sentito che alla pace di Udieste si arrivò perché il conte Sisso morì per aver cagato anche i budelli dopo aver mangiato un arrosto avvelenato, ma se dici di averlo preparato tu, probabilmente era perché Amràs voleva risparmiare sul veleno.”
Ci fu uno scroscio di risate, evidentemente Buddo il grasso non suscitava né timore, ne rispetto, nei colleghi.
“Durante la campagna di Biretagna, ci trovavamo vicino a Londania quando i biretoni ci tagliarono le vie di approvvigionamento, fui inviato con una squadra di cacciatori a cercar qualcosa per rimpolpar le nostre scorte. Finimmo in uno di quegli odiosi villaggi biretoni, mi pare si chiamasse Stonaggia o qualcosa di simile, li conobbi un druido, un tale Merelino, che aveva in antipatia i biretoni almeno quanto noi.
Questo mi donò una ricetta segreta delle sue genti il cui ingrediente principale è la carne di nutoria mannara e che, oltre ad essere sublime, può donare la forza di dieci uomini a coloro che se ne nutrono.
Quando feci ritorno al campo base però, il generale Amràs aveva già avuto ragione dei nemici e la ricetta non fu più necessaria”.
“Sì, vabbè, nutoria mannara, nessuno ne ha mai vista una. Son solo storielle che le madri raccontano ai figli per non farli andare a zonzo per le paludi”. Lo apostrofò un collega.
Una voce nasale e stridula intervenne.
“Una così miracolosa cibanza farebbe molto comodo all’impero, non solo per quanto riguarda l’esercito ma anche per tutti i lavori di manovalanza.”
I cuochi si pietrificarono, riconobbero immediatamente la voce, apparteneva all’attendente di campo del generale, Trinchetto, un corpulento ufficiale la cui abilità nello svuotare otri di vino superava notevolmente quella di battagliare.
Non fu certo la presenza dell’attendente a terrorizzare i cucinieri dell’esercito, ma quanto ciò che essa comportava, era risaputo infatti che dove compariva l’attendente, compariva anche il generale, e ciò puntualmente avvenne.
Dall’oscurità emerse la lunga figura del supremo graduato, era longilineo, secco come un bastone e altrettanto rigido, sembrava fosse stato inamidato con tutta l’uniforme tanto che, ascoltando con attenzione, si sarebbe potuto sentirlo scricchiolare a ogni movimento.Si mormorava che in gioventù il glorioso generale fosse stato un aitante giovane pieno di grazia e uno straordinario atleta. Alcuni dicono che una terribile malattia lo abbia colpito costringendolo alla rigidità, altri che fu un maleficio a ridurlo nell’attuale stato, i più maligni invece sostenevano che, per compiacer l’imperatore, oltre a svolgere i normali compiti a lui assegnati, si era infilato una ramazza nel deretano per pulir il palazzo mentre camminava e, vuoi per abitudine, vuoi un po' per vizio, non se l’era più sfilata dal pertugio, tant’è che ormai gli era impossibile estrarla.
Parlo con voce bassissima, inudibile a tutti se non al suo assistente, che in seguito parlò per lui.
“Tra una settimana, il generale cenerà con l’imperatore in persona, ed esige portare sulla tavola di sua maestà questa tua fantomatica pietanza. Ordina dunque che tu parta immediatamente alla ricerca della nutoria mannara. Quando l’avrai catturata, dovrai prepararla secondo la ricetta che conosci e portarla direttamente negli alloggi del generale”.
“Ma ma ma, signor generale, io sono solo un umile cuoco, non un abile cacciatore, la nutoria mannara è preda assai perigliosa da catturare, tant’è che nessuno v’è riuscito finora, non posso assicurarle la riuscita dell’impresa in queste condizioni.”
Il generale sibilò ancora qualche parola, ma furono ancora le labbra di Trinchetto a riportarla ai sottoposti.
“Il generale, nella sua infinità bontà, ti concede l’aiuto di un cacciatore, verrà con te il più abile della brigata, Fusmario.
Se sfortunatamente non dovessi riuscire nella tua impresa, o ti passasse per la capa di scappare, sappi che sarai certamente preso, l’impero ha occhi e orecchie ovunque, come ben sai, e diventerai il nuovo canarino delle miniere di merdium in Zisberia”.
Detto questo, afferrò un otre di vino, lo stappò, e ne diede una lunga sorsata, poi lo gettò ai piedi del cuoco, vuoto.
Le due figure voltarono le spalle alla ormai silenziosa combriccola e fecero per andarsene ma, dopo alcuni passi si arrestarono, il generale si mosse impercettibilmente e Trinchetto parlò ancora:
“Cuoco, di grazia, qual è il tuo nome?”
Lo sfortunato si afflosciò come l’otre appena svuotato dall’attendente, sedette e con sguardo vacuo rispose:
“Pier Pernacchia, mio signore, per servirla.”



All’alba del nuovo giorno erano pronti a partire.
Pier era pallido, tendente al grigio, le labbra blu, lo sguardo spento come se la sua mente si trovasse altrove.
Fusmario, abbronzato e sorridente, scrutava l’orizzonte con i suoi occhi chiari, sorridendo al nuovo giorno.
Dopotutto, il suo destino non dipendeva dall’esito di quella caccia, non gli era neppure stato riferito che quello del suo improvvisato compare era in bilico.
Fu lui a rompere il silenzio.
“Giornata ideale per iniziar una battuta di caccia, il sole splende e il cielo è limpido.
Prima di partire, potrei conoscere il vostro nome, mi duole ammettere che purtroppo non mi è stato riferito” disse affabile.
Pier si volse verso di lui, lentamente, fece per rispondere, apri la bocca e scoreggiò sonoramente, si arrestò per un istante e poi parlò.
“Pier Pernacchia” disse imbarazzato.
Fusmario non si scompose minimamente.
“Un soprannome, devo ipotizzare visto la tua pronta reazione, curioso modo di presentarsi, ma comunque meglio di una pedata nelle gonadi.”
“Oh no, chiedo scusa, soffro di meteorismo, soprattutto quando sono nervoso o quando ho bevuto di recente, condizioni oggi realizzate entrambe.”
Fusmario fiutò l’aria un paio di volte.
“Ah, nomen omen, capisco”.
“Effettivamente è una caratteristica di famiglia, in alcuni casi anche vantaggiosa”.
“Vantaggiosa? Risparmiate sul riscaldamento in inverno o avete una carrozza a metano?”.
“No no, niente di tutto ciò, non mi fido di certe moderne diavolerie alchemiche” rispose sorridendo il Pernacchia “essendo cuoco, uscire per una scampagnata con la mia famiglia presenta alcune comodità, una cugina a gas da campo è l’invidia di tutti i campeggiatori delle sette terre”.
Fusmariorimase un attimo fermo a guardarlo, scrollo le spalle e proseguì nel cammino.
“Non ci hanno dato neanche un cavallo questi spilorci” sputò con rabbia Pier.
“Per dove andiamo noi non servono strade” rispose sempre guardando avanti il cacciatore.
Effettivamente, l’habitat della nutoria mannara era quello palustre, o almeno così si narrava, e l’esercito stava eseguendo le esercitazioni proprio vicino alle sterminate paludi della bassa cerveggianese.
Non ci volle infatti molto per arrivare ai margini di quest’ultima.
A quel punto il cacciatore si rivolse nuovamente al cuoco:
“Bene bene bene Messer Pernacchia, ormai siamo arrivati in loco, orsù, dimmi dimmi, quale bestia dobbiamo catturare?”
Il cuoco voltò il volto, stupefatto rispose: “Ma come? Non ti han detto proprio nulla di nulla?”.
Al seguente diniego del commilitone, il cuoco si decise a ragguagliarlo sugli eventi.
Il cacciatore, imperturbabile si limitò a esclamare: “Fischialo, che storia”.
Sorrise al cuoco e si addentrò nella palude.


Camminarono fino a sera i due compari, si accamparono ben all’interno delle paludi.
Fusmario quindi si mise comodo, tolse gli stivali, allentò la cinta e tolse il cappello, ne uscì una cascata di capelli riccioluti da cui emersero due orecchie puntute.
Pernacchia balzò immediatamente in piedi, scoreggiò ed esclamò esterrefatto:
“Per la miseria! Ma tu sei un elfo!”
“Mezz’elfo, per cortesia” precisò Fusmario “ho preso il meglio dalle due razze, il mio arco è infallibile, la mia vista è acuta e mi faccio i cazzi miei”.
Pernacchia rifletté un attimo su quella rivelazione, si chetò e si rimise a sedere.
Fusmario allora prese il bandolo del discorso: ” A quanto mi hai raccontato, dovremmo catturare una nutoria mannara, magari due sarebbero ancora meglio”.
“Già, l’unico problema è che nessuno ne ha mai presa una, anche perché non esistono” rispose scorato il cuoco.
“Ma perché ti sei inventato una panzana simile?” chiese curioso il mezz’elfo.
“Perché? Cosa vuoi che ti dica, c’era lì Craccolo e volevo impressionarlo e poi ci si raccontava le nostre gesta ed io sono un cuoco e non un cavaliere e avevamo brindato abbondantemente e…”.
“…e sei un coglione” terminò la frase Fusmario “quasi quasi adesso me ne stacco uno dei miei e te lo regalo, così non ti senti più solo e potete andar in giro in coppia com’è d’uopo” aggiunse, in tono canzonatorio.
“Guarda che al momento sono in coppia con te, no s’è mai visto uno scroto con tre palle”.
I due si guardarono un attimo e poi scoppiarono a ridere.
Fusmario si alzò in piedi e proclamò: “ Domattina andremo a mettere delle trappole, quindi adesso è meglio andare a dormire”, si diresse verso l’argine e si mise a orinare.
Il cuoco gli si affiancò e lo imitò, quindi chiese: “ Trappole? E per cosa?”.
“Intanto vedi di stare più in là, non incrociamo i flussi, è grande male! Se vuoi possiamo anche stare qui a campeggiare tutta la settimana, ci facciamo ben bene succhiare il sangue dalle zanzare, magari anche da qualche sanguisuga e tutte le altre bestie immonde che vivono in sta cloaca putrida. Quando torniamo da questa vacanzina tu poi te ne parti calmo calmo per la Zisberia ed io me ne torno a caccia per l’esercito, oppure piazziamo un po’ di trappole, vediamo cosa ne esce e magari ti scappa di cucinare qualcosa di buono, anche non prodigioso, ma che ti permetta di tenere la tua buccia lontano dalle miniere. Ti dirò, a mio avviso, con tutto il gas che sprigioni, non sembri proprio adatto alla vita da canarino minatore”.
Pernacchia pernacchiò,
sbatacchiò il batacchio,
assorto sospirò:
“Chi vuol esser lieto sia, di doman non c’è certezza”.
“Ah, anche poeta!” gli rispose Fusmario, e pernacchiò pure lui.




Alba sulla palude.
Gli uccelli levarono il loro canto al nuovo sole nascente.
Pier Pernacchia onorò il vecchio astro come poté.
Fusmario post pose.

Alba sulla palude, pochi minuti dopo.
Gli uccelli gridarono allarmati quando Pernacchia intonò ancora il suo canto.
Fusmario capì che il tempo di indugiare era terminato, un po’ come l’ossigeno nella tenda, e vi si precipitò fuori.
Tempo di agire.
Fusmario, da bravo cacciatore qual era, era organizzato e rapidissimo, in cinque minuti netti si era alzato, rasato, vestito, aveva preparato il caffè, sparpagliato i resti del fuoco, preparato gli zaini, controllato le esche, le frecce, le trappole che nottetempo aveva deciso di usare, cancellato la cronologia e messo un paio di mi piace su Elfbook.
Pier Pernacchia era ancora in modalità vibrazione.
Sobbalzò e grugni poco entusiasta quando lo stivale del cacciatore impattò contro le sue terga.
“Sveglia principino, chi dorme non piglia nutorie” fu il buongiorno.
Fusmario aveva già intuito che l’impresa non sarebbe stata semplice, ma non immaginava che potesse andare proprio così di merda.
Cominciarono con le trappole, purtroppo la palude non offriva molti luoghi adatti a trappole fisse con meccanismi a scatto, riuscirono a piazzarne solo una mezza dozzina.
Fusmario intravide quindi un gruppetto di anatre selvatiche nuotare in una larga pozza.
Tanto valeva pensare alla cena ormai che c’erano.
Si mosse scaltro e silenzioso e una volta appostatosi dietro un cespuglio, incoccò attendendo l’attimo migliore.
In quella sopraggiunse il Pernacchia, leggiadro come un polifante si avvicinò al mezz’elfo e barrì a suo modo, urtandolo proprio mentre scoccava.
Le anatre fuggirono e la freccia, scostata dalla sua traiettoria originaria, scomparve alla vista.
Pier, reso scontroso dal brusco risveglio e dalla mattinata passata in quella palude mefitica a farsi divorare da ogni tipo d’insetto conosciuto e sconosciuto, prese a coglionare il cacciatore con voce infantile:
“Gnegnegnegnegne, sogno Fusscmario il mezz’elfo, la mia freccia è moscia e non sbaglio mai, ma vaffanculo va!”
Il cacciatore gli rivolse uno sguardo piccato.
“Non so se era tua intenzione cercare di aiutarmi ma come richiamo per le anatre fai veramente schifo”.
In quella si sentì un rumore di vetri rotti provenire dalla direzione in cui era sparita la freccia, si odette una lunga serie di bestemmie dotata anche di un certo stile e fantasia, ne seguì quindi un monologo: “Piccoli bastardi! Ah, ma stavolta ve lo buco quel maledetto pallone, ah si che ve lo buco, che non ho paura di vostro padre io! Andate a fare casino a casa vostra!”.
La misteriosa voce pareva provenire da dietro una specie di siepe naturale che lo sguardo escludeva, Fusmario sedette e rimirò, ma comunque non vide un’ostia, quindi si rivolse al cuoco: “Vai a dare un'occhiata la dietro.”
“E come ci vado, volando? Non c’è sentiero, non vedi?”.
“Là c’è qualcuno, tu ora entri nella palude e vai a controllare, possibilmente senza farti vedere”.
“Perché non ci vai tu che sei più abile?”.
“Perché sono armato e ti copro le spalle in caso di pericolo, mi hai fatto sbagliare il tiro, non protestare e muovi quel tuo culo ingrato”.
Pier Pernacchia scoprì allora che anche la rabbia scatenava in lui flatulenza, si avviò verso la sorgente del vociare borbottando rabbioso, non solo con la bocca.
“Mezz’elfo e pure stronzo, ed io più stronzo di lui in questa schifosa palude... ”.
Si addentrò nei liquami, ormai ne era immerso fino alle spalle, dietro di lui comparve una scia di bollicine, il suo brontolio continuava:
“…lui e quel generale dei miei coglioni…”.
Era quasi giunto a destinazione quando un tafano muschiato gli entrò in bocca.
Probabilmente fu per spavento, o forse era infastidito dal lamentio, tant’è che decise di pungere la lingua dell’esploratore.
Questi, colto dal dolor e dal panico, affondò nelle acque melmose.
L’istinto di sopravvivenza fece si che le sue gambe continuarono a muoversi verso la voce misteriosa che proveniva da una miserabile stamberga su un isolotto fin a un momento prima celato alla vista.
Richiamato dal frastuono, uscì dalla bicocca un vecchio nodoso e canuto.
Pier Pernacchia, a fatica, riemerse dai fanghi completamente inzaccherato di una melma verdastra, gli si erano incollate addosso alghe e ramaglie molli e imputridite, sembrava quasi avesse più arti o tentacoli, come una specie di calamaro obeso.
Tentò di chiedere aiuto al vecchio ma la lingua gli si era gonfiata e così riuscì solo a formulare parole senza senso che all'anziano suonarono circa così:
“Ph’nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah’nagl fhtagn”.
Il vecchio, evidentemente reso saggio dall’età, non si pose interrogativo alcuno, afferrò il primo oggetto a tiro, in questo caso un consunto remo, e lo usò per percuotere l’orrida apparizione.
Pernacchia stramazzo strombazzando ai piedi dell’isolano, questi gli si avvicinò cauto e, una volta capito che non si trattava del mostro della palude né tanto meno di uno dei grandi antichi, lo rimproverò:
“Ma che diamine ti è saltato in mente, perché non hai preso la barca se volevi venire a riprenderti il pallone? Sono scherzi da fare a un povero vecchio?”.
“Quale pallone? Quale barca?” rispose confuso Pernacchia.
In quella comparve Fusmario su una barchetta.
“Questa barca, da dove eravamo noi non si scorgeva, quando sei caduto hai mosso l’acqua e l’ho vista”.
“Siete venuti a riprendervi il pallone ah!” berciò il vecchio interrompendoli.
“No no, nessun pallone” gli rispose Fusmario “siamo qui a caccia”.


L’anziano, colto da pietà, fece entrare i due nella sua stamberga e si fece raccontare la loro storia mentre preparava il pranzo.
Pier Pernacchia si sentiva meglio a ogni cucchiaiata di quella strana minestra rosa che gli era stata servita e chiese curioso cosa fosse.
“E’ una specie di rapa che cresce solo qui nella palude, la raccolgo, la taglio a pezzetti e la metto a macerare nel vino, dopo un paio di giorni è pronta per essere cotta, con il cotechino è la morte sua ed è un tonico eccezionale, io la mangio spesso e potete ben vedere come mi conservo in forma, quanti anni credete che io abbia?”
Fusmario squadrò attentamente il matusa, era difficile datare un reperto del genere, avrebbe potuto avere tre o quattro secoli come ridere.
“Trentadue” proclamò solenne la cariatide.
“Non si direbbe eh. Non ne dimostro nemmeno ventisei!”.
Fusmario non disse nulla e Pier Pernacchia era assorto, forse aveva trovato una scappatoia al suo guaio, avrebbe usato quell'esotica pietanza come condimento al piatto principale, semplici salsicce e cotechini di porco.


Il vecchio fu felice di essere d’aiuto, regalo loro una bella dose di brovada, così chiamava quell’intruglio, insegno loro come trovare la rapa nella palude e come prepararla.
In un paio di giorni, i due avventurieri erano pronti per tornare al campo base. Sulla strada del ritorno videro che una trappola aveva funzionato, erano infatti riusciti a catturare una nutoria, ma non era mannara, Fusmario decise quindi di lascarla lì e tornare a prenderla l'indomani, quando sarebbe passato a recuperar anche le altre trappole.

La sera della cena tra il generale e l’imperatore arrivò e fu un trionfo, la brovada con i cotechini era veramente “la morte sua”, come aveva predetto il vecchio della palude. Certamente era corroborante, anche se non dava la forza di dieci uomini, ma vuoi la bontà del piatto, vuoi il fiume di vino che lo accompagnava, Pier Pernacchia se la sfangò alla grande.
Il generale Amràs era talmente entusiasta che decise incautamente di inchinarsi al suo imperatore, quando ci provò, si udì un orribile rumore, come di legno che si spezza.
Il generale sbarrò gli occhi e si riuscì anche a udire chiaramente la sua voce, era delicata, molto acuta, sembrava un falsetto: “Ah, la scopa!”.


Lontano dalle sale del potere, la luna sorgeva sulla palude e un suo raggio colpiva la gabbietta dove la sfortunata nutoria era rinchiusa contro la sua volontà.
La bestia allora fremette, fu come un ribollire di pelo e di carni, aumentarono le sue dimensioni e sfondò la trappola dov’era costretta. Mutò in un'orrenda belva, si levò sulle zampe posteriori e ululò al disco d’argento che dominava il cielo notturno.

Tom
Ultima modifica di el_tom il giovedì 12 settembre 2019, 15:03, modificato 4 volte in totale.


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Re: Di salsicce e generali

Messaggio#2 » mercoledì 11 settembre 2019, 19:13

1)Mostro folcloristico: la nutoria mannara.
2)Piatto tipico: cotechino e brovada (muset e bruade) piatto tipico friulano.
3)Battuta esilerante... Non lo so se son esileranti
Ultima modifica di el_tom il mercoledì 11 settembre 2019, 23:20, modificato 1 volta in totale.
La frase più pericolosa in assoluto è: Abbiamo sempre fatto così.

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Re: Di salsicce e generali

Messaggio#3 » mercoledì 18 settembre 2019, 23:02

Ciao El Tom, dai mutanti alla ristorazione è stato un attimo! Scherzi a parte, mi fa piacere rileggerti a distanza di qualche mese. Bando alle ciance: per il tuo racconto ho due aggettivi, goliardico e dispersivo. Goliardico, ovviamente, per la strana coppia cuoco / mezz’elfo, uno più storto dell’altro, la deformazione regionale e/o grottesca dei nomi (Craccolo!) e le varie gag, più o meno riuscite, disseminate qua e là. Dispersivo perché, pur essendoci i presupposti per un pezzo divertente (non so se sia voluto, ma il cuoco e la sua quete mi ricordano la novella di Chichibio), sprechi molte occasioni a causa della sceneggiatura insipida (molte battute sono forzate e i dialoghi ridondanti), parecchi punti morti e, più in generale, di una scrittura imprecisa. È difficile digerire verbi come “odette” o il mancato uso del congiuntivo in “fece sì che le sue gambe continuarono a muoversi” (specie per chi insegna italiano). Tra l’altro, quella frase è terribilmente pesante: goliardia tematica non è sinonimo di trascuratezza! Mi permetto di invitarti ad aver più cura della forma, è un peccato sciupare così una buona idea. Per tutti questi motivi devo collocarti in coda alla classifica: sia Maurizio che Luca, quanto a stile e gestione dei contenuti, sono parecchio più avanti.
Tema rispettato, bonus tutti presenti. Non ho riso granché, ma ce l’hai messa tutta. Alla prossima!

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ceranu
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Re: Di salsicce e generali

Messaggio#4 » venerdì 20 settembre 2019, 23:25

Ciao El Tom, piacere di leggerti.
Il racconto ha sicuramente dei lati positivi ma ha anche molto su cui lavorare.
Le atmosfere sono interessanti, molto vicine a Zappa e Spade, lo spaghetti fantasy che di Acheron che mi ha divertito. Però manchi un po' di controllo. In alcune parti le battute erano forzate e stonavano. In più, sebbene io non creda alle regole universali, manca un contraddittorio. Una parte seria che renda gradevole l'idiozia.
Mi sembra chiaro che tu non abbia puntato sulla trama, il racconto è lineare e corre un po' troppo nel finale.
Dal punto di vista tecnico c'è qualche sbavatura, come ti hanno fatto notare. Io però punterei l'attenzione su una cosa banale e di facile risoluzione come le D eufoniche. Quelle sono un biglietto da visita per chi legge e spesso sono indice di inesperienza. Altro punto è il PDV. Il primo paragrafo ha un onnisciente con voce narrante esterna che poi si stringe e diventa un onnisciente multiplo.
Insomma, qualcosa da rivedere c'è. Bonus: tutti
La lettura, al netto di quello che ti ho segnalato, resta gradevole ma inevitabilmente trasmette una sensazione di smarrimento.
Resto a disposizione per qualsiasi chiarimento.
Ciao e alla prossima.
Ultima modifica di ceranu il lunedì 23 settembre 2019, 13:00, modificato 1 volta in totale.

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Re: Di salsicce e generali

Messaggio#5 » sabato 21 settembre 2019, 20:05

Ciao, Tom e piacere di leggerti.

Dunque, da amante di Pratchet, posso dirti che adoro il fantasy parodistico ed è n genere che anch'io ho tentato più di una volta. Il tuo racconto non è malaccio, però non mi ha convinto fino in fondo. Da un lato, la tua comicità oscilla più volte tra la semplice parodia e il surreale (ad esempio il fatto che esista Elfbook) in un modo che rende abbastanza difficoltoso seguire il filo della storia. Insomma, è troppo serio per essere una commedia alla "Robin Hood: un eroe in calzamaglia", ma ha troppi elementi surreali per essere un "I colori della Magia". Anche i due protagonisti rispecchiano questa dualità, con Fusmario che non sfigurerebbe in compagnia di Scuotivento, mentre Pier Pernacchia sembra preso di peso da un qualsivoglia Scary Movie. ANdando avanti il raconto finisce per risentirne e diventa sempre meno divertente, anche se il finale con la nutoria mannara non mi è dispiaciuto.

Peccato.

Alla prossima!

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Re: Di salsicce e generali

Messaggio#6 » martedì 24 settembre 2019, 14:30

Ciao Tom, piacere di trovarti

Il tuo è un racconto davvero originale. Non ti nascondo che, alla prima lettura,ero un po' confusa; sono arrivata alla fine rendendomi conto di aver perso qualcosa, quindi l'ho lasciato decantare un po' e ci ho riprovato. Ed è andata bene, al secondo giro l'ho apprezzato decisamente di più.
Sono per esempio riuscita a godermi meglio i vari riferimenti alla cultura popolare, come Masterchef (Craccolo e il triumvirato di giudici), Ritorno al Futuro ("per dove andiamo noi non servono strade"), Ghostbusters ("non incrociamo i flussi") o quello più letterario alla mitologia Lovecraftiana. Il problema del racconto, però, è a mio avviso che c'è davvero un sacco di carne al fuoco e il rischio è quello di creare un bel minestrone. Secondo me lo si potrebbe mettere un po' a dieta, riducendolo di un buon venti, trenta per cento, e guadagnarci in ritmo di lettura e qualità.
Occhio inoltre a grammatica, sintassi e ortografia. Ho notato alcune "d" eufoniche e un uso a volte da brividi del congiuntivo ;)
Ultima cosa, ma questo è un mio parere personale: io terminerei il racconto dopo l'episodio della scopa. Scoprire che la nutoria era davvero mannara non aggiunge nulla, anzi, forse rovina un po' quell'atmosfera boccaccesca in stile Chichibio che rendeva il racconto simpatico e divertente. Ma, ripeto, è un mio parere personale.
Per quanto riguarda i bonus, direi che ci sono tutti.
Alla prossima!

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el_tom
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Re: Di salsicce e generali

Messaggio#7 » mercoledì 25 settembre 2019, 22:31

Ciao a tutti e grazie.
I complimenti fanno piacere ma le critiche servono molto di più e, nel mio caso, mi pare proprio di averne bisogno.
Che dire, effettivamente ho puntato poco sulla trama, ho voluto concentrarmi di più sull'interazione tra i personaggi e sulla delimitazione dell'universo nel quale esistono nonostante una completa mancanza di parti descrittive.
Per quanto riguarda il mondo in cui si muovono, ho volontariamente ecceduto verso un no-sense, forse più perchè mi sono divertito a scriverlo che per l'utilità all'interno del racconto e infatti, permettete il francesismo, ho cacato fuori dal boccale.
Ho quindi per voi due terribili notizie, la prima e che sarete costretti a leggere ancora i miei deliri (muahahah) e la seconda è che molto probabilmente riproporrò (quando ce ne sarà occasione) il mondo delle sette terre.

Tom

P.s.: Quando ho letto quel congiuntivo sbagliato, ho avuto un rigurgito di bile, inguardabile.
P.p.s: Ma la citazione fantozziana non è sfuggita vero?
La frase più pericolosa in assoluto è: Abbiamo sempre fatto così.

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