Fratelli
Inviato: venerdì 3 marzo 2023, 16:57
Sarà la solita bravata per far colpo su Ida. È colpa mia se a quella piacciono gli spericolati? Michele mi sbatacchia il braccio, come a suggerire le conseguenze di un rifiuto. Addolcisce la minaccia con un occhiolino. «Fratello, andrà bene. Siamo i Robin Hood dei nostri tempi. Ti pare giusto che le abbia solo chi se le può permettere? Saremo eroi.»
«Ma, Michi, per forza noi?»
Michele appallottola il sacco dell’indifferenziata, lo ficca dentro lo zaino. «Mettila così: fra una settimana è il 20 gennaio. Non c’è miglior regalo per la mamma.»
Sospiro, impotente. «Come lo distraggo?»
«Inventa. Tieniti la pancia, rotolati per terra. Più sta nel negozio, meglio è.»
Il ronzio di un motore ci fa capire che il momento è giunto. Michele sgattaiola nella viuzza dietro al bar-edicola.
Entro, annunciato dallo scampanellio della tenda. Saluto la mamma di Max, al bancone, e prendo il giornale da un tavolino. Col naso tra le pagine sportive, sento sbattere una portiera.
L’autista scosta la tenda e ordina un corretto grappa. Nell’attesa, rotea il portachiavi sull’indice e rimira il frigo delle bibite.
Il sole entra in spaccata dalla vetrina, accecante, come aveva predetto Michele. Rimetto a posto il quotidiano e, curiosando gli scaffali, mi piazzo tra la porta e l’autista. Per essere pronto.
L’uomo appoggia la tazzina e mi passa a fianco. Non so se sia peggio che ci scoprano o che Michele mi dia una ripassata. Dovrei uscire in piazzetta per primo, così che mio fratello abbia un minimo vantaggio. L’uomo però ha già un piede oltre la soglia quando la mia contromossa ha preso forma.
Esco. Il trasportatore è già al volante. Michele non è sul pianale, almeno.
L’autocarro riprende la strada.
Michele sventola una mano da dietro la catasta del cartone. Protegge la refurtiva tra le gambe. Mentre mettiamo il cubo nel sacco nero, il timore d’essere beccati si trasforma in un’adrenalina isterica.
Michele carica in spalla il fagotto. Camminiamo trafelati e sospettosi fino a casa. Passiamo lo steccato e portiamo il sacco sul retro, in mezzo al frutteto.
Prima ancora che io riprenda fiato, Michele strappa il telo di plastica nera. Apre il coperchio ed estrae uno dei pannelli dalla scatola. È ricoperto da un magma ribollente, di vita e di speranza. Il suono è così basso e intenso da sembrare una dea che si schiarisce la voce. «A te l’onore», me lo porge. «Avanti, vai a scuoterlo vicino ai fiori.»
Prendo il pannello. «Non è che faccio loro del male?»
«Tranquillo, hanno soltanto bisogno di una leggera spinta.»
Cammino verso il primo filare di piante. Sbandiero il pannello come se volessi ravvivare un fuoco. Il ronzio degli insetti si annacqua nell’aria, permea ogni cosa. Michele ondeggia le mani come un mago che orienta un incantesimo. Saltiamo, ridiamo, balliamo, cantiamo. Michele prende dal portafoglio la foto di nostra madre. La orienta verso le api che affollano le corolle dei fiori sugli alberi. Michele grida, a lei e al cielo intero, «Auguri mamma, le tue mele torneranno presto!»
«Ma, Michi, per forza noi?»
Michele appallottola il sacco dell’indifferenziata, lo ficca dentro lo zaino. «Mettila così: fra una settimana è il 20 gennaio. Non c’è miglior regalo per la mamma.»
Sospiro, impotente. «Come lo distraggo?»
«Inventa. Tieniti la pancia, rotolati per terra. Più sta nel negozio, meglio è.»
Il ronzio di un motore ci fa capire che il momento è giunto. Michele sgattaiola nella viuzza dietro al bar-edicola.
Entro, annunciato dallo scampanellio della tenda. Saluto la mamma di Max, al bancone, e prendo il giornale da un tavolino. Col naso tra le pagine sportive, sento sbattere una portiera.
L’autista scosta la tenda e ordina un corretto grappa. Nell’attesa, rotea il portachiavi sull’indice e rimira il frigo delle bibite.
Il sole entra in spaccata dalla vetrina, accecante, come aveva predetto Michele. Rimetto a posto il quotidiano e, curiosando gli scaffali, mi piazzo tra la porta e l’autista. Per essere pronto.
L’uomo appoggia la tazzina e mi passa a fianco. Non so se sia peggio che ci scoprano o che Michele mi dia una ripassata. Dovrei uscire in piazzetta per primo, così che mio fratello abbia un minimo vantaggio. L’uomo però ha già un piede oltre la soglia quando la mia contromossa ha preso forma.
Esco. Il trasportatore è già al volante. Michele non è sul pianale, almeno.
L’autocarro riprende la strada.
Michele sventola una mano da dietro la catasta del cartone. Protegge la refurtiva tra le gambe. Mentre mettiamo il cubo nel sacco nero, il timore d’essere beccati si trasforma in un’adrenalina isterica.
Michele carica in spalla il fagotto. Camminiamo trafelati e sospettosi fino a casa. Passiamo lo steccato e portiamo il sacco sul retro, in mezzo al frutteto.
Prima ancora che io riprenda fiato, Michele strappa il telo di plastica nera. Apre il coperchio ed estrae uno dei pannelli dalla scatola. È ricoperto da un magma ribollente, di vita e di speranza. Il suono è così basso e intenso da sembrare una dea che si schiarisce la voce. «A te l’onore», me lo porge. «Avanti, vai a scuoterlo vicino ai fiori.»
Prendo il pannello. «Non è che faccio loro del male?»
«Tranquillo, hanno soltanto bisogno di una leggera spinta.»
Cammino verso il primo filare di piante. Sbandiero il pannello come se volessi ravvivare un fuoco. Il ronzio degli insetti si annacqua nell’aria, permea ogni cosa. Michele ondeggia le mani come un mago che orienta un incantesimo. Saltiamo, ridiamo, balliamo, cantiamo. Michele prende dal portafoglio la foto di nostra madre. La orienta verso le api che affollano le corolle dei fiori sugli alberi. Michele grida, a lei e al cielo intero, «Auguri mamma, le tue mele torneranno presto!»