INVASION SAN DONNINO
Inviato: martedì 12 novembre 2019, 19:38

INVASION SAN DONNINO
Day 1
Operazione Pecora in Umido
Kardash ne aveva per poco. L’elementale dell’aria era davvero cazzuto e la sua ascia, benché magica, non riusciva a fargli abbastanza la bua.
«Io arretro» gridò agli altri.
Mosse un passo di un metro e mezzo per prendere la giusta distanza dal mostro e si allontanò a gambe levate dalla battaglia.
«Che cazzo fai! Non abbiamo armi magiche!» sibilò Whillem puntando l’inutile arco contro il nemico.
«Lancia quella cazzo di “palla di fuoco”!» gridò all’elfo l’intero gruppo, a metà tra la rabbia e la disperazione.
«Ma me la voglio tenere per dopo!»
«Lancia quel cazzo di incantesimo!» fu la risposta, urlata forse con maggior foga della prima volta.
Alberto prese i dadi in mano: «E va bene, la lancio!» sbuffò «ma se poi dopo ci sono mostri più pesi non venite a rompere le palle a me!»
David scosse la testa: «Che palle! Devi fare sempre “metagaming” e non ti vergogni neppure a dirlo. Se lo fai fuori ti riduco a metà i px che prenderesti!»
«Che discorso del cazzo! Non è metagioco se cerco di essere parsimonioso con gli incantesimi!»
Il Dungeon Master non ci stava: «Sì, porca troia! Whilem, il tuo personaggio, è nella merda, ha un nemico davanti che può ammazzarlo, pensi che si metterebbe a riflettere sul futuro o gli mollerebbe una bella magia nel grugno!»
«No, un cazzo! È solo giusta strategia! Non accetto la tua decisione, non sono d’accordo!»
Alberto si alzò dal tavolo.
David gli urlò contro: «Sai quanto me ne frega!» poi guardò il resto degli amici negli occhi «Ho ragione o mi sono bevuto il cervello?»
Anche Mimmo si mise in piedi: «Io dico di andare fuori, farci una canna e guardare le stelle cadenti!»
Lorenzo e Goffredo fecero un rapido cenno di assenso con la testa «Mozione accolta!»
David invece la scosse deluso: «Da quando vi fate le canne le sessioni di D&D finiscono sempre così. Che palle! Mi faccio una birra e vado a casa!»
Dopo nemmeno mezz’ora, alcool e tetraidrocannabinolo avevano riportato la pace e i cinque amici se ne stavano sdraiati e molto rilassati sui lettini della piscina di Mimmo a fissare il cielo stellato di agosto.
Goffredo era in botta: «Io voglio mangiare il peyote, perché secondo me è morbido e succoso!»
Il padrone di casa gli andò dietro: «Io voglio mangiare il coyote, perché secondo me è morbido e succoso!»
«Il coyote mangia il peyote!» constatò Lorenzo.
«Il coyote dopo aver mangiato il peyote, monta sul Toyota!» rincarò Alberto.
La palla tornò al primo, che concluse: «Il coyote dopo aver mangiato il peyote, monta sul Toyota e t’aiuta!»
Tutti scoppiarono a ridere come idioti.
Mimmo non riusciva a smettere, quasi non respirava e la vena della fronte era diventata rossa e gonfia.
«Patti si pettina la potta!» chiosò, soffocandosi ancora una volta nella sua risata sguaiata.
Nel silenzio, poco più tardi, Goffredo cercò solidarietà: «Ragazzi, ma io ce la farò mai a scrivere un romanzo di successo?»
Proprio in quell’istante una stella cadente, luminosa e violenta come non si era mai vista, attraversò il cielo da parte a parte.
«Avete visto! Avete visto» cominciò a gridare, saltando quasi sul lettino.
Mimmo riprese a contorcersi dal ridere.
«Perché ridi? Ho espresso un desiderio ed è caduta una stella! Per me è un messaggio del cielo!»
Facendosi un'evidente violenza, l’amico si liberò dalle convulsioni e constatò: «Quella… Quella stella era una scopata a cui stavo pensando io!»
Tutto il gruppo riprese a sghignazzare fino a spezzarsi in due.
Fu Lorenzo, stavolta a rompere il silenzio: «Cos’è quella?»
Nel cielo una massa luminosa scese giù rapida come un meteorite, per fermarsi per qualche secondo sulla collinetta a est di San Donnino dove le luci del ristorante “Da Gino” erano ancora accese.
Tutti e quattro fissarono lo strano fenomeno a bocca spalancata.
Il bolo lucente restò immobile per qualche secondo e, come era comparso dal nulla, vi ritornò.
«Che cazzo era?»
«Sembrava un’astronave!» disse Goffredo.
«Strana era strana…» David si alzò dalla sdraio «Andiamo a vedere!»
Mimmo protestò: «Ma dai, non era niente. Era un’allucinazione da droghe!»
«Primo, non tutti abbiamo fumato e, secondo, non si può avere tutti la stessa allucinazione.» Alberto era il più razionale della banda, anche quando era fatto.
«Io vado!» Concluse il Master, che, al solito, quando decideva una cosa non poteva essere dissuaso.
Lo seguirono e, una volta usciti dal giardino della villetta dell’amico, si inerpicarono sulla sterrata che conduceva al ristorante. La notte era calda e le insegne del locale, ancora accese, davano alla missione una parvenza di scampagnata notturna, ben poco avventurosa.
«Magari ci facciamo dare un po’ di pecora in umido da portar via! Così uniamo l’utile al dilettevole» constatò Lorenzo lungo la via, colto dai morsi della fame chimica.
«Mozione accolta!» gli fecero eco gli altri.
«Comunque era un’allucinazione!» ripeté Mimmo dopo qualche passo.
D’un tratto le insegne si spensero e il locale piombò nel buio. La collina acquistò in una frazione di secondo l’aspetto più tetro che ci sarebbe mai potuto immaginare.
«Ecco! È chiuso, torniamo a casa! Niente penne alla pecora!» esclamò Mimmo.
«Un cazzo! Ci avviciniamo e si spegne tutto? La cosa mi puzza più di prima!» disse David continuando a camminare in salita.
«Giusto! Bisogna andare a vedere!» insisté anche Goffredo, disinibito ben più degli altri dagli effetti della droga a cui, com'era noto a tutti, non era per nulla abituato.
Dopo una decina di minuti erano alle spalle del locale. Era tutto buio ma la Panda di Sergino, un omone di quasi due metri per centoventi chili che gestiva il ristorante, era ancora parcheggiata nel cortile esterno.
«Che si fa?» sussurrò Lorenzo.
«Non lo so! Cerchiamo segni di bruciatura sull’erba, magari riusciamo a individuare il punto di atterraggio del veicolo e riusciamo a raccogliere qualche campione.»
L’idea fu accolta con favore. L’aspetto di quell’edificio fatiscente al buio era quanto di meno rassicurante e il frinire delle cicale, che proveniva dal vicino castagneto, avvolgeva tutto di un inquietante sottofondo.
Stavano per prendere la via verso il vicino prato, quando l’ombra di una figura oblunga, passò dinanzi a una delle finestre, abbassandosi fino a scomparire.
«Guardate!» gridò David, indicandola.
«Cazzo, cazzo, cazzo!» ripeterono cacofonici gli altri.
La porta del ristorante si spalancò. Ne uscì Sergino, sconvolto, con gli occhi da pazzo e un coltellaccio nella destra. «Chi c’è?» berciò sull’uscio scrutando l’oscurità in ogni direzione.
Rimasero tutti immobili, sperando di non esser visti.
«Chi c’è! Ho sentito delle voci! Se vi becco io, l’è peggio! L’è parecchio… parecchio peggio!»
Non si udì nemmeno un respiro, poi una voce metallica, da dentro il locale, lo richiamò: «Torna dentro! Non c’è nessuno!»
Quasi avessero acceso un interruttore nel suo cervello, l’uomo spalancò gli occhi e, con volto inespressivo, rientrò nel locale, chiudendosi la porta alle spalle.
La corsa che seguì batte il record mondiale di velocità su terreno accidentato, sotto l’effetto di sostanze psicotrope.
Day 2
Bisteccagate
Mimmo pareva esser l’unico ancora scettico e se ne stava seduto sul divano di casa di David a rollare una canna.
Gli altri quattro erano attorno a un tavolo.
«Ripeto, dev’essere successo qualcosa di simile a quel film vecchio, “L’invasione degli Ultracorpi”!» Goffredo stava per ripetere la sua teoria per la terza volta.
«Ne sei sicuro?» David evidentemente non ne aveva abbastanza.
«Allora te lo ridico! Sono stato con Stella a pranzo lì e quando Sergio ci ha portato la fiorentina, ci ha chiesto se ci volevamo il limone!»
«Ma sei sicuro che abbia detto proprio limone?» Alberto aveva il volto a dir poco perplesso.
«Giuro di sì! Il limone sulla bistecca, cazzo!»
«Così gli copri tutto il sapore: è come leccare la fica con le mutande, porca troia!» concluse Lorenzo con gli occhi che si facevano umidi per la rabbia.
«Sergino non avrebbe mai detto un’eresia simile! Lo hanno cambiato. Devono avere dei baccelli enormi, come in quel film, da cui creano dei doppi delle persona per controllare la terra!»
La teoria non faceva una piega, ma non convinse affatto David.
«Stronzate! Magari gli hanno semplicemente iniettato un simbionte alieno nel sangue che ha preso il controllo del cervello. Una roba tipo X-file!»
Li interruppe lo scettico, che teneva il razzetto appena preparato fra due dita, con espressione orgogliosa. «Secondo me state impazzendo! Magari si è solo confuso. E poi, scusate,» aggiunse scoppiando a ridere «secondo voi gli alieni, per controllare la terra partono dal ristorante “Da Gino”?»
«Beh, penso proprio di sì! Almeno per controllare San Donnino!» disse Lorenzo con un’espressione a metà fra Hunphrey Bogart e Sherlock Holmes «Dopodomani ci sono i pranzi per le comunioni. Tutto il paese ha prenotato lì e il priore sarà con loro… E se controlli il prete in questo cazzo di paese, controlli tutto!»
«Domani sera, quando si spegneranno le luci, dobbiamo trovare il modo di entrare. Ma dobbiamo andarci preparati, portare armi e torce elettriche. Stavolta non voglio cazzate. Se Sergino non ha nulla da nascondere, non dovrebbe aver paura di cinque amici che vanno a fargli visita a chiusura, giusto?»
David aveva parlato serio e schietto come mai nella vita.
Gli altri si guardarono e espressero ognuno il proprio assenso.
Anche Mimmo lasciò il divano: «Sì, però ora ci fumiamo ‘sta cannetta!»
Day 3
Granocchi fritti
Ognuno mostrò il proprio armamentario.
Mimmo aveva la Shinai di bambù degli allenamenti di Kendo sotto braccio, Alberto una mazza da baseball, di sicuro più pericolosa, appoggiata sopra la spalla. David aveva portato arco e faretra, mentre Lorenzo e Goffredo, che dovevano fare da apripista, avevano in tasca solo dei coltellini svizzeri, da tirar fuori in casi estremi.
«Bene,» disse il Master «Anche io sono andato a fare un controllo oggi a pranzo. Ho ordinato i ranocchi fritti. Un tempo, era l’unico locale in cui ancora si trovavano, cazzo! Sergio mi ha guardato quasi schifato e mi ha detto che di quella robaccia, da lui, non se ne mangerà più!»
«E pensare che, quando lavoravo lì, a chiusura, io e Sergino ne abbiamo mangiati un vassoio intero che era avanzato a una tavolata.» disse Lorenzo sempre più preso dallo scoramento.
«Basta! Dobbiamo reagire!» David indicò la sommità della collina «Guardate! Le luci si sono spente! Andiamo!»
Il gruppo procedette in silenzio, nel buio, passando tra i castagni per restare invisibile fino a quando non fosse arrivato a destinazione.
La porta del ristorante era chiusa, proprio come nella maledetta notte in cui tutto era iniziato, e la Panda del proprietario parcheggiata al solito posto.
Si nascosero tutti dietro gli alberi, poi, il Master fece cenno di attendere.
Non passarono nemmeno dieci minuti che, davanti a una delle finestre, passò la solita ombra oblunga che, scomparve in basso.
David dette, quindi, il via alle due vittime sacrificali.
Lorenzo e Goffredo raggiunsero la porta senza parlare. Il primo la spalancò e il secondo, che, da ex dipendente, sapeva perfettamente dov’era l’interruttore, accesa la luce.
Quello che videro, riempì i loro cuori di orrore.
Il nuovo cameriere del ristorante, con un lungo scialle di pizzo appoggiato sulla testa, se ne stava in ginocchio dinanzi a Sergio, a pantaloni calati e con sul viso un espressione beata.
La beatitudine si mutò in rabbia in una frazione di secondo.
«Te l’avevo detto che avevo sentito delle voci l’altra sera!» disse Sergio tirandosi su i calzoni.
Il ragazzetto si alzò in piedi e fece il gesto del “chi se ne importa”, strusciandosi il dorso della mano sotto il mento.
«E io ti avevo detto di chiudere la porta sul retro!» disse poi con voce nasale e leggermente metallica. «E voi, contenti! Ci avete scoperti. Chi vi manda, la su moglie?» chiosò rivolgendosi ai due nuovi arrivati.
Lorenzo e Goffredo avvamparono di vergogna. «Scusate, pensavamo che succedessero cose strane qui…» balbettò il secondo.
«E invece è tutto naturale!» disse il ragazzetto, andando sculettando verso di loro «E voi siete degli omofobi schifosi!»
Lorenzo non sapeva a quale santo votarsi: «Giuro di no! Volevamo solo sapere cosa succedeva. Pensavamo che Sergio fosse stato cambiato dagli Alieni. Insomma, non cucina più i ranocchi, consiglia il limone sulla bistecca!»
«E invece no! Sergino ha solo cambiato gusti!»
Il giovanotto tornò sculettando verso il vecchio amante.
«Mi raccomando! ‘Un dite nulla alla mi’ moglie!»
In quel momento, qualcosa sembrò sbattere a terra, da qualche parte, fuori tra gli alberi.
Lorenzo e Goffredo guardarono oltre il vetro e videro avvicinarsi due copie del cameriere, seguite dai loro tre amici, con gli occhi spalancati e il volto inespressivo.
Goffredo stava per girarsi di nuovo verso i due amanti clandestini, quando sentì la puntura dell’ago nel collo. In quello stesso istante smise di esistere.
The day after
La funzione della domenica alla pieve di San Donnino aveva un sapore diverso quella mattina.
Don Gualberto, in piedi dinanzi all’altare maggiore aveva appena letto una pagina toccante delle sacre scritture.
«Preghiamo:» disse «l’alieno atterra e figlia e ti sfama la famiglia!»
Il popolo tutto ripeté in coro: «L’alieno atterra e figlia e ti sfama la famiglia!»