Dalla Frontiera
Inviato: domenica 26 gennaio 2020, 15:46
…quella notte mi risvegliai in un deserto.
Uno spazio più profondo e largo di quello in cui vivevo o in cui, tu che leggi, puoi fissare i tuoi occhi, perché a sterminate pianure di sabbia fa da contraltare una immensa cupola circolare, piena di fuochi che Jigg, un lizard, mi additò con la coda appena fuori dalla sabbia.
Sappi che il deserto di questa sabbia fine, residuo di tutti i dispositivi, i cavi e i tubi che vengono consumati laggiù a Imor, costituisce l’ultima frontiera dell’alto labirinto in cui i Promek ti hanno gettato, lettore, affinché tu che hai stirpe in una delle città di Orione, di Sirio, o di Aldebaran, possa continuare a vagare e a combattere, alimentando così lo stanco moto della Terra che i Promek stessi hanno rallentato, alla fine della settima era, per lanciare le loro basi su Marte.
Se di notte poserai le tue orecchie sul metallo dei tubi (tutto il labirinto è fatto di quei tubi di cui tu non vedi la fine, in cui scorre l’acqua delle città sotterranee) sentirai i rumori di ogni sua parte: il rimbombo dei cannoni dei cortili di Imor, i sospiri delle stanze remote di Argosil, il fremere dei neon di quella città che i Promek chiamano Lettroma, in cui vengono confinati i prigionieri. E se chiudi gli occhi, sentirai nel fondo di tutti questi rumori, un raspare continuo, ciclico, dei motori di frontiera che macinano la sabbia per riversarla, ultimo residuo di combustione, negli alti deserti nel cui mare io stesso ho nuotato come un serpente, al fianco di Jigg.
Anch’io sento la vita sotterranea attraverso la sabbia. Ci sono ore in cui una grande palla luminosa sorge al basso confine della cupola, colorando di fosforo l’aria, e in quei momenti mi pare ancora di vagare per i bassi tunnel di Imor con le cartucce di silice nel cappotto, che vendevo ai gestori del Fennor in cambio di tabacco.
Non ridere. Chi consuma il Fennor cade in un sogno, gli occhi gli diventano lucidi, e può percepire chi si muove tra i corridoi dei tubi, e forse fuggire al proprio aguzzino. O sbucare, come ti dicevo in una città atomica dalle grandi luci sulfuree, come Argosil o Lettroma.
Ma non è una salvezza. Per quanto quelle città, ne avrai pure vista una, offrano spazi più grandi e siano un incrocio di ponti, stanze e livelli, nessun viaggiatore potrà trattenervisi per i suoi affari, perché i Promek non tollerano la stabilità. Le leggi meccaniche che governano i ponti, o che aprono e chiudono le porte, prima o poi, se il viaggiatore sopravvive alla lotta delle strade, agli ospedali colmi di giochi, alle stanze dei livelli in cui si può conoscere l’amore delle donne, faranno cadere nei confini di quella città l’aguzzino azzurro che ognuno di noi ha avuto dalla nascita.
Io, il mio, l’ho visto.
Ad Argosil, un giorno ero riuscito a nascondermi dietro una finestra al decimo piano, su un cornicione, con un paracadute brillante strappato ad una ballerina. Il Fennor calava nel sangue, quel grumo pastoso che avevo nelle vene chiamava la sua dose, e io giungevo come un’ombra al limite di un cornicione verso un grande vialone in cui grandi navi volanti smuovevano l’aria fredda di quel giorno. D’un tratto, guardando in basso, all’inizio delle scale che m’ero lasciato sulla sinistra, lo vidi. Distinsi il muso lucido di quell’uomo-lupo con indosso una tuta azzurra su cui riverberavano le luci della strada su cui stavo per affacciarmi; scorsi la sua coda fulva e la frusta sulla schiena, e gli anelli magnetici tra le mani, che usava per salire più veloce le scale.
Mi aveva trovato. Ero fuggito per anni traverso i labirinti, per conoscere l’accecante felicità di Argosil, e ora l’avevo trovato lì, come un ricordo mai sopito. Anche lui era nato nello Sprawl, come me, anche lui aveva vagato per corridoi infiniti e tunnel, aveva bevuto il fango dei tubi, e combattuto con le genti che discendono verso Imor, e le ore solitarie del sonno. Anche lui, che ora mi inseguiva a un passo. In quel momento feci un respiro e saltai. Le mani s’allargarono rigide, sentii un grande soffio e il paracadute aprirsi sulla mia testa, mentre le luci dei piani si susseguivano come su una pellicola.
Più tardi chiesi a Jigg di portarmi fuori dal labirinto, al diavolo i Promek e i loro strade!
– Neanch’io so la strada, bro. Ma ho uno specchio in cui brilla un fuoco: l’ho trovato da un antiquario a Imor, quando combattevamo contro Persi.
– Ti seguo, Jigg.
– Ninte più Fennor, bro, però. Dovremo seguire le punte del fuoco nello specchio, e se non scorgiamo il tunnel giusto lo dovremo cercare. Sei pronto a tornare nello Sprawl?
Feci di sì con la testa, mentre il sangue mi vibrava dentro come un animale assetato. Per lunghi giorni bevemmo il fango dei tubi, dormimmo tra le lamiere dei tunnel, ci nascondemmo tra i morti, nei grandi cimiteri nelle zone più alte dello Sprawl, che chiamano Gli Adoi. È dagli Adoi di confine che partono i corridoi verso la frontiera, e la strada te l’ho raccontata.
Non cedere, straniero. Sappi che dietro l’incanto delle luci delle città profonde c’è un mondo più alto, in cui sorgono le torri dei Promek. Qui l’aria è più rarefatta, l’occhio può attraversare gli spazi per mirare le città di fuoco di Orione o di Aldebaran, di cui avrai sentito parlare. E qui non giungono gli aguzzini.
Uno spazio più profondo e largo di quello in cui vivevo o in cui, tu che leggi, puoi fissare i tuoi occhi, perché a sterminate pianure di sabbia fa da contraltare una immensa cupola circolare, piena di fuochi che Jigg, un lizard, mi additò con la coda appena fuori dalla sabbia.
Sappi che il deserto di questa sabbia fine, residuo di tutti i dispositivi, i cavi e i tubi che vengono consumati laggiù a Imor, costituisce l’ultima frontiera dell’alto labirinto in cui i Promek ti hanno gettato, lettore, affinché tu che hai stirpe in una delle città di Orione, di Sirio, o di Aldebaran, possa continuare a vagare e a combattere, alimentando così lo stanco moto della Terra che i Promek stessi hanno rallentato, alla fine della settima era, per lanciare le loro basi su Marte.
Se di notte poserai le tue orecchie sul metallo dei tubi (tutto il labirinto è fatto di quei tubi di cui tu non vedi la fine, in cui scorre l’acqua delle città sotterranee) sentirai i rumori di ogni sua parte: il rimbombo dei cannoni dei cortili di Imor, i sospiri delle stanze remote di Argosil, il fremere dei neon di quella città che i Promek chiamano Lettroma, in cui vengono confinati i prigionieri. E se chiudi gli occhi, sentirai nel fondo di tutti questi rumori, un raspare continuo, ciclico, dei motori di frontiera che macinano la sabbia per riversarla, ultimo residuo di combustione, negli alti deserti nel cui mare io stesso ho nuotato come un serpente, al fianco di Jigg.
Anch’io sento la vita sotterranea attraverso la sabbia. Ci sono ore in cui una grande palla luminosa sorge al basso confine della cupola, colorando di fosforo l’aria, e in quei momenti mi pare ancora di vagare per i bassi tunnel di Imor con le cartucce di silice nel cappotto, che vendevo ai gestori del Fennor in cambio di tabacco.
Non ridere. Chi consuma il Fennor cade in un sogno, gli occhi gli diventano lucidi, e può percepire chi si muove tra i corridoi dei tubi, e forse fuggire al proprio aguzzino. O sbucare, come ti dicevo in una città atomica dalle grandi luci sulfuree, come Argosil o Lettroma.
Ma non è una salvezza. Per quanto quelle città, ne avrai pure vista una, offrano spazi più grandi e siano un incrocio di ponti, stanze e livelli, nessun viaggiatore potrà trattenervisi per i suoi affari, perché i Promek non tollerano la stabilità. Le leggi meccaniche che governano i ponti, o che aprono e chiudono le porte, prima o poi, se il viaggiatore sopravvive alla lotta delle strade, agli ospedali colmi di giochi, alle stanze dei livelli in cui si può conoscere l’amore delle donne, faranno cadere nei confini di quella città l’aguzzino azzurro che ognuno di noi ha avuto dalla nascita.
Io, il mio, l’ho visto.
Ad Argosil, un giorno ero riuscito a nascondermi dietro una finestra al decimo piano, su un cornicione, con un paracadute brillante strappato ad una ballerina. Il Fennor calava nel sangue, quel grumo pastoso che avevo nelle vene chiamava la sua dose, e io giungevo come un’ombra al limite di un cornicione verso un grande vialone in cui grandi navi volanti smuovevano l’aria fredda di quel giorno. D’un tratto, guardando in basso, all’inizio delle scale che m’ero lasciato sulla sinistra, lo vidi. Distinsi il muso lucido di quell’uomo-lupo con indosso una tuta azzurra su cui riverberavano le luci della strada su cui stavo per affacciarmi; scorsi la sua coda fulva e la frusta sulla schiena, e gli anelli magnetici tra le mani, che usava per salire più veloce le scale.
Mi aveva trovato. Ero fuggito per anni traverso i labirinti, per conoscere l’accecante felicità di Argosil, e ora l’avevo trovato lì, come un ricordo mai sopito. Anche lui era nato nello Sprawl, come me, anche lui aveva vagato per corridoi infiniti e tunnel, aveva bevuto il fango dei tubi, e combattuto con le genti che discendono verso Imor, e le ore solitarie del sonno. Anche lui, che ora mi inseguiva a un passo. In quel momento feci un respiro e saltai. Le mani s’allargarono rigide, sentii un grande soffio e il paracadute aprirsi sulla mia testa, mentre le luci dei piani si susseguivano come su una pellicola.
Più tardi chiesi a Jigg di portarmi fuori dal labirinto, al diavolo i Promek e i loro strade!
– Neanch’io so la strada, bro. Ma ho uno specchio in cui brilla un fuoco: l’ho trovato da un antiquario a Imor, quando combattevamo contro Persi.
– Ti seguo, Jigg.
– Ninte più Fennor, bro, però. Dovremo seguire le punte del fuoco nello specchio, e se non scorgiamo il tunnel giusto lo dovremo cercare. Sei pronto a tornare nello Sprawl?
Feci di sì con la testa, mentre il sangue mi vibrava dentro come un animale assetato. Per lunghi giorni bevemmo il fango dei tubi, dormimmo tra le lamiere dei tunnel, ci nascondemmo tra i morti, nei grandi cimiteri nelle zone più alte dello Sprawl, che chiamano Gli Adoi. È dagli Adoi di confine che partono i corridoi verso la frontiera, e la strada te l’ho raccontata.
Non cedere, straniero. Sappi che dietro l’incanto delle luci delle città profonde c’è un mondo più alto, in cui sorgono le torri dei Promek. Qui l’aria è più rarefatta, l’occhio può attraversare gli spazi per mirare le città di fuoco di Orione o di Aldebaran, di cui avrai sentito parlare. E qui non giungono gli aguzzini.