Vedi Venezia e poi...
Inviato: martedì 18 febbraio 2020, 0:56
Carmine Pitarresi aveva ammazzato mio fratello ma nessuno mi aveva creduto. Quel mafioso aveva pagato avvocati, testimoni e giudici. I miei sforzi per farlo condannare erano risultati vani.
Allora avevo deciso di vendicarmi, uccidendolo ma avevo fallito: i suoi scagnozzi mi avevano disarmato prima che mi potessi avvicinare. Mi condussero davanti al boss. Era seduto su una specie di trono; indossava un gessato grigio con una cravatta viola che si allentò:
«Caro il mio Daniele, i miei amici qui, attorno a te, mi dicono che volevi uccidermi. So a che cosa hai pensato. Hai pensato: ”O lo ammazzo o mi ammazzano e la faccio finita!” Ma tu non devi morire: io non ti ammazzerò. Tu devi continuare a vivere e, vivendo, soffrire, come mi ha fatto soffrire tuo fratello, con quegli articolo infamanti su di me e la mia famiglia, che hanno fatto piangere i miei figli!»
Tentai di afferrarlo per la gola ma lui si alzò dalla sedia e con una mano sola mi sbatté a terra. I suoi ragazzi mi cacciarono a calci dalla tenuta.
Per un mese intero non passò giorno che non pensassi al suicidio, Poi successe qualcosa.
Crollò il ponte Morandi. Ero incollato alla tv. Tra i sopravvissuti intervistarono uno spaventatissimo Carmine Pitarresi che era precipitato giù ma che si era salvato, miracolosamente illeso. Per la prima volta avevo colto in quegli occhi di ghiaccio un’espressione di vero terrore. Pensai che al mondo c’era ancora qualcosa che temeva. Subito dopo realizzai che la Provvidenza Divina si era addormentata di nuovo: quell'uomo era immortale.
Trascorse un altro mese. Mi trovavo per lavoro a Catania, quando in piazza Cosma e Damiano, intravidi la figura del mio acerrimo nemico.
“Che ci fa così lontano da Palermo?” pensai. Poi lo vidi entrare in un palazzo; mi avvicinai . C’erano decine di targhe: avvocati, medici, commercialisti. Dov'era andato? Non potevo saperlo.
Natale era vicino, Tornai a Catania e rividi il boss che entrava di nuovo in quel palazzo. Lo seguii. L’ascensore salì al sesto piano. Ci arrivai anch'io: era occupato da uno studio medico. Sulla porta a vetri un’insegna recitava: ”Professor Ottaviano Gargiulo, psicanalista”. Il boss aveva bisogno di cure psichiatriche?
Ritornai a Catania con il mio amico Carmine, elettrotecnico e scassinatore. C’introducemmo nello studio dello psicanalista una domenica mattina. I sistemi di allarme furono neutralizzati e io potei avere accesso al suo computer. Usava password banali e così arrivai facilmente alla scheda personale:
“Il soggetto soffre di una forma acuta di gefirofobia, un disordine di carattere psicologico, caratterizzato da esagerata o irrazionale paura che un individuo ha verso i ponti e cavalcavia. Ha descritto le reazioni sgradevoli che ha, attraversando un ponte: panico, terrore, paura, tachicardia, eccessiva sudorazione, tremore, mancanza di respiro, secchezza delle fauci. Il trattamento con tecniche di Self-Help non ha fatto che aggravare il suo stato. L'esposizione a un minimo stimolo fobico in questo momento potrebbe essere addirittura letale (suicidio).”
Sapevo che non potevo sequestrarlo per molto tempo, senza essere scoperto dai suoi scagnozzi ma avrei avuto la vendetta, senza torcergli un capello.
Carmine si risvegliò; la testa gli ronzava; afferrò il telefono;
«Pronto, scusi che albergo è questo?»
«Il Danieli, signore!»
Allora avevo deciso di vendicarmi, uccidendolo ma avevo fallito: i suoi scagnozzi mi avevano disarmato prima che mi potessi avvicinare. Mi condussero davanti al boss. Era seduto su una specie di trono; indossava un gessato grigio con una cravatta viola che si allentò:
«Caro il mio Daniele, i miei amici qui, attorno a te, mi dicono che volevi uccidermi. So a che cosa hai pensato. Hai pensato: ”O lo ammazzo o mi ammazzano e la faccio finita!” Ma tu non devi morire: io non ti ammazzerò. Tu devi continuare a vivere e, vivendo, soffrire, come mi ha fatto soffrire tuo fratello, con quegli articolo infamanti su di me e la mia famiglia, che hanno fatto piangere i miei figli!»
Tentai di afferrarlo per la gola ma lui si alzò dalla sedia e con una mano sola mi sbatté a terra. I suoi ragazzi mi cacciarono a calci dalla tenuta.
Per un mese intero non passò giorno che non pensassi al suicidio, Poi successe qualcosa.
Crollò il ponte Morandi. Ero incollato alla tv. Tra i sopravvissuti intervistarono uno spaventatissimo Carmine Pitarresi che era precipitato giù ma che si era salvato, miracolosamente illeso. Per la prima volta avevo colto in quegli occhi di ghiaccio un’espressione di vero terrore. Pensai che al mondo c’era ancora qualcosa che temeva. Subito dopo realizzai che la Provvidenza Divina si era addormentata di nuovo: quell'uomo era immortale.
Trascorse un altro mese. Mi trovavo per lavoro a Catania, quando in piazza Cosma e Damiano, intravidi la figura del mio acerrimo nemico.
“Che ci fa così lontano da Palermo?” pensai. Poi lo vidi entrare in un palazzo; mi avvicinai . C’erano decine di targhe: avvocati, medici, commercialisti. Dov'era andato? Non potevo saperlo.
Natale era vicino, Tornai a Catania e rividi il boss che entrava di nuovo in quel palazzo. Lo seguii. L’ascensore salì al sesto piano. Ci arrivai anch'io: era occupato da uno studio medico. Sulla porta a vetri un’insegna recitava: ”Professor Ottaviano Gargiulo, psicanalista”. Il boss aveva bisogno di cure psichiatriche?
Ritornai a Catania con il mio amico Carmine, elettrotecnico e scassinatore. C’introducemmo nello studio dello psicanalista una domenica mattina. I sistemi di allarme furono neutralizzati e io potei avere accesso al suo computer. Usava password banali e così arrivai facilmente alla scheda personale:
“Il soggetto soffre di una forma acuta di gefirofobia, un disordine di carattere psicologico, caratterizzato da esagerata o irrazionale paura che un individuo ha verso i ponti e cavalcavia. Ha descritto le reazioni sgradevoli che ha, attraversando un ponte: panico, terrore, paura, tachicardia, eccessiva sudorazione, tremore, mancanza di respiro, secchezza delle fauci. Il trattamento con tecniche di Self-Help non ha fatto che aggravare il suo stato. L'esposizione a un minimo stimolo fobico in questo momento potrebbe essere addirittura letale (suicidio).”
Sapevo che non potevo sequestrarlo per molto tempo, senza essere scoperto dai suoi scagnozzi ma avrei avuto la vendetta, senza torcergli un capello.
Carmine si risvegliò; la testa gli ronzava; afferrò il telefono;
«Pronto, scusi che albergo è questo?»
«Il Danieli, signore!»