Semifinale Silvia di Moscabianca Edizioni

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il due gennaio sveleremo il tema deciso da Maurizio Ferrero. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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Spartaco
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Semifinale Silvia di Moscabianca Edizioni

Messaggio#1 » venerdì 27 marzo 2020, 1:13

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Eccoci alla seconda parte de La Sfida a Ballata di fango e ossa
Accedono in semifinale: Pollicina, di Polly Russell e Il sorriso del maiale, di Luca Nesler.

In risposta a questa discussione gli autori semifinalisti hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi possono sfruttare i giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: domenica 29 marzo alle 23:59
Limite battute: 21.666

Se non verrà postato alcun racconto, allo SPONSOR verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23:59 del 29 marzo. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione!



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Luca Nesler
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Il sorriso del maiale

Messaggio#2 » domenica 29 marzo 2020, 15:59

Il cielo era grigio e l’odore di muschio si diffondeva tra le colonne del chiostro. Un nuovo urlo dalla cella di fra Antonio superò il mormorio dei frati in preghiera. Simone si fece il segno della croce.
Uscì nel cortile e seguì il muro fino alla nicchia col pollaio. La nebbia stava raddensandosi attorno al convento come un cattivo auspicio. Scosse il capo.
Non devo dar retta a Padre Umbertino
«La sua è quasi superstizione.»
Nella nicchia lurida le galline sembravano irrequiete.
«Che succede, ragazze mie?»
Ecco cosa: un uomo era sdraiato di fianco al pollaio. Un uomo robusto, il viso sporco e la barba stropicciata e infarcita di foglie secche. Russava sdraiato contro la muffa scura nell’angolo, le dita intrecciate sulla pancia. Sotto al braccio spuntava il manico di quella che poteva essere un’accetta.
Com’era entrato?
Il ragazzo si voltò a controllare il portico da cui venivano ancora le salmodie dell’ora terza. Spostò lo sguardo al portone: la spranga era calata e il legno integro.
Si chinò sullo sconosciuto e lo scosse. «Fratello?»
L’uomo si riscosse imprecando. Si schiarì la gola e sputò sullo sterco di gallina.
«Perdonami, ragazzo. Non ce l’avevo con te.»
Simone sorrise. «Chi siete? Come siete entrato?»
L’uomo si mise seduto. «C’è un buco sotto al muro di cinta. Da fuori si vede bene.»
«Perché non avete bussato al portone? I frati sono qui per aiutare.»
L’uomo lo squadrò. «Tu non sei un frate?»
«Sono novizio.»
«Oh, un novellino. Meglio così. Io… non sono proprio un gran cristiano. Come ti chiami?»
«Simone. E voi?»
«Lucio. Quanti anni hai?»
In quel momento l’urlo di fra Antonio risuonò sopra lo spiffero del vento tra le crepe.
«Diciannove.»
«Chi accidenti è che bestemmia in un convento?»
«Fra Antonio. Da ieri non è in sé.»
«Che gli succede?»
Simone scrollò le spalle. «Mistero. Ma voi? Vi nascondete?»
«Già, per un po’ è meglio se non mi faccio vedere in giro.»
Lucio si alzò. Alla cintura portava proprio un’accetta. Sul manico c’erano macchie scure.
«Ma potresti portarmi da mangiare. È parecchio che digiuno e non è mica Quaresima, no?» rise.
La campana suonò e Simone trasalì.
«Le orazioni sono terminate e io sto facendo tardi. Devo ritirare le uova e aiutare fra Tommaso a mondare la verdura, ma vi porterò qualcosa.»
Si chinò ad aprire la gabbia e raccolse rapidamente una dozzina di uova. Ne porse uno a Lucio. «Vi prego solo di non spaventare le galline.»
L’uomo sorrise, prese l’uovo e lo sollevò a mo’ di brindisi.
«Grazie, fratellino.»
Il ragazzo si affrettò nell’orto e tornò verso la cucina con tre cespi di lattuga. Prima di entrare si voltò. Lucio era tornato nel suo rifugio vicino al pollaio. Doveva essere un brigante.
In ogni caso bisogna aiutare i bisognosi.
Fra Tommaso e Felice sbucciavano patate con lo sguardo torvo.
Una nuova bestemmia riecheggiò.
«Come sta fra Antonio?» chiese Simone posando la verdura.
«Non hai le orecchie?» disse Felice.
«Calma» disse fra Tommaso «Non è il caso di essere sgarbati. Sta come ieri, ma padre Bernardo ha un’idea.»
«Quale?»
«Ha disposto che tu e Felice saltiate lo studio. Ci sarà bisogno dell’aiuto di tutti.»
Simone cominciò a staccare le foglie al primo cespo. «Per fare cosa?»
Felice sbuffò. «Anche il padre Custode si è fatto convincere da Padre Umbertino.»
«A questo punto ci ha convinti tutti.» Disse fra Tommaso. «Non è evidente? Fra Antonio è posseduto.»
Il silenzio calò nella cucina. Simone tornò ad occuparsi delle verdure.
Fra Tommaso si alzò.
«Conto su di voi per il pranzo. Io vado a vedere come sta fra Antonio. Ci diamo il cambio nell’accudirlo ed è arrivato il mio turno.»
Il frate uscì. Felice si alzò, afferrò un secchio e si avvicinò. «Io ho paura. Tu?»
«Non devi. Dio è con noi.»
«Ah sì? E fra Antonio?» Felice scosse il capo. La bocca incurvata in un’espressione delusa. «Vado a prendere l’acqua per la zuppa.»
La zuppa!
Simone aveva dimenticato che Lucio lo stava aspettando affamato. Aveva anche dimenticato di parlarne con fra Tommaso.
Troppe cose in un giorno solo.
Doveva avvisare padre Bernardo.
Ma prima è meglio portargli qualcosa.
Afferrò una ciotola di latte, vi inzuppò una fetta di pane secco e uscì.
I numerosi acquazzoni di quei giorni avevano reso scivoloso il terreno del giardino. Sentì il fango insinuarsi nei sandali, tra le dita.
Lucio era voltato e stava orinando contro l’angolo in cui aveva dormito.
«Eccomi.»
L’uomo si voltò. «Oh, bene. La colazione.»
Prese la ciotola dalle mani del ragazzo e gli sorrise. Si sedette e cominciò a mangiare.
Simone si accovacciò di fronte a lui. Le galline non sembravano essersi calmate.
«Ditemi la verità, siete un assassino?» gli uscì.
Lucio annuì masticando. Non un accenno di pentimento o vergogna.
Mandò giù. «Ma non uno di quelli a cui piace. Sono un mercenario.» Diede un nuovo morso al pane.
«Ma perché?» chiese Simone «Perché ostinarsi nel peccato? Quale vantaggio ne traete?»
«Perché, perché… Mica lo decidi. La vita è così. Tu invece? Ti sei appena staccato dalle mammelle di tua madre e sei già in convento. È perché ami Dio o perché il tuo vecchio è povero come un cenciaio?»
«Non era l’unica alternativa. Sto compiendo una scelta di fede.»
Lucio trangugiò il latte dalla ciotola e gliela porse pulendosi con la manica.
Un urlo tremendo ruppe il silenzio. Ancora fra Antonio.
«E del frate sacrilego che mi dici? È pazzo?»
Simone si voltò verso la finestra del fratello. Sospirò.
«Gli è capitato di prestarsi per una giuria di boni viri in un processo inquisitorio.»
«E allora?»
«Non è più lo stesso. I frati dicono che è…»
«Impazzito?»
«Indemoniato. Qualcuno crede che il Maligno si sia vendicato di lui perché è un religioso.»
Lucio tirò su col naso. Lo osservò per un momento, si chiuse una narice con un dito e soffiò il muco a terra, poi si trascinò verso l’angolo della nicchia per appoggiarvi la schiena.
«E ce l’avete una gabbia?»
Simone si tirò su. «Niente gabbia. È chiuso nella sua cella.»
«Appropriato.»
«È la sua stanza. Non è il miglior momento per visitare il convento, ma non temete, fratello Lucio, tutto si risolverà, con l’aiuto di Dio.»
Lucio distese le gambe e sorrise.
«Il Demonio è un problema da frati. Io ne ho ben altri.»
Simone si sforzò di sorridere e tornò indietro. La voce del mercenario lo raggiunse «Non temere neanche tu! Me ne starò qui buono buono!»
Lasciò la ciotola in cucina e si infilò nel refettorio e uscì nel corridoio. Il bisbiglio lugubre di padre Bernardo usciva dalla cappella. Entrò facendosi il segno della croce. Il vecchio frate era solo. Gli si accostò.
«Padre, devo dirti una cosa.»
«Simone. Pregavo per fra Antonio, come tutti. Vieni, sediamoci» disse portandosi sulla panca «Ti vuoi confessare?»
«No. Cioè, magari più tardi. Un uomo è penetrato nel convento da un’apertura nel muro.»
Il cigolio della spranga al portone. Uno strillo acuto li fece voltare.
«Eccola.» Disse padre Bernardo.
«Chi?»
«La scrofa. Tu va’ a dire al fratello campanaro di radunare tutti. Io vado a prendere fra’ Antonio.»

Il bronzo risuonò dalla torre campanaria come durante un incendio. Nel giro di pochi minuti la fraternità era riunita in cappella, ognuno al suo posto, in attesa. Simone si appoggiava contro il muro di pietra, tanto freddo e umido che nemmeno il saio e la camicia di lino che portava sotto bastavano a proteggerlo dai brividi.
Dal corridoio entrò padre Bernardo. Lo sguardo teso si spostò sui frati, poi fece un gesto verso il corridoio ed entrarono altri due frati. Portavano di peso fra Antonio, pallido e sudato. I capelli appiccicati alla fronte e le labbra bluastre. Gli occhi, due fessure dietro cui si muovevano frenetici occhi appannati di sonno.
Padre Bernardo cominciò a recitare il Pater Noster seguito dai confratelli.
Padre Umbertino aveva studiato più di tutti al convento ed era fermamente convinto che la situazione fosse chiara. Così aveva proposto di imitare Cristo, come era il caso di fare in ogni circostanza. Si alzò in piedi, la Bibbia aperta tra le mani. Alzò la voce, tanto da fare spavento, e cominciò a leggere. «Intanto giunsero all'altra riva del mare, nella regione dei Gerasèni.»
Gli sguardi dei frati erano fissi su fra Antonio. Padre Umbertino arrivò alla fine.
«E gli spiriti immondi uscirono ed entrarono nei porci e il branco si precipitò dal burrone nel mare; erano circa duemila e affogarono uno dopo l'altro nel mare.»
Dalla porta della cappella entrò fra Guido con una corda. Si tirava dietro un grosso maiale. L’animale si dimenava e strillava, mentre il frate, più grosso che furbo, lo trascinava facendo scivolare gli zoccoli sulle mattonelle del pavimento. Fra Antonio bestemmiò e si tirò in piedi. Con una scrollata di spalle lanciò a terra i frati che lo tenevano. Non aveva più nulla dell’uomo spossato di poco prima. Mostrava i denti come una fiera e i suoi occhi erano stretti in un’espressione di odio feroce.
Padre Bernardo alzò le mani e gridò: «Non smettete, fratelli! Pregate!»
Fra Antonio urlò e il padre Custode riprese rivolto a lui: «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo io ti esorto: esci, spirito immondo, da quest'uomo ed entra nel maiale!»
Le candele si spensero e la scrofa strillò come colpita da una frustata. Fra Antonio si abbandonò a terra. Qualcuno corse ad accendere un lume e, alla luce tremante della candela, Simone notò che il maiale sorrideva.

Il convento era in subbuglio. Ogni frate aveva abbandonato il proprio compito e non si faceva che parlare e pregare. Padre Bernardo si era ritirato in un angolo del chiostro assieme a padre Umbertino. Simone sbirciava da dietro a una colonna, cercando di intuire cosa sarebbe successo. Fra Guido non aveva suonato la campana per la sesta, ma nessuno ci aveva badato.
Uno dei frati raggiunse i padri nell’ombra del chiostro. Pareva concitato.
«Padre Bernardo» sentì Simone dal suo riparo «la situazione non è buona. La gente del paese era già in subbuglio per le urla blasfeme. Ora che ho portato la scrofa…»
«Non avrai mica detto per cosa la volevamo!» sbottò padre Umbertino.
«Solo al norcino. Un maiale non è un regalo da poco, anche se è una vecchia scrofa. Lui l’aveva da macellare.»
«Che Dio ci protegga!» fece padre Umbertino.
«Com’è la situazione al portone?» chiese il padre Custode.
Il frate scosse la testa. «La gente s’accalca, fa domande…»
Padre Bernardo annuì. «Chiama Simone.»
Accidenti!
Uscì da dietro la colonna e avanzò verso i confratelli.
«Non volevo…»
«Simone, avvicinati.» Padre Bernardo gli mise un braccio attorno alle spalle. «Stamani hai detto che qualcuno ha trovato un’apertura nel muro.»
«Sì, padre.»
«Dov’è quest’apertura?»
«Non lo so. Dice che si vede dall’esterno.»
«Mmm. E quest’uomo è ancora nel convento?»
«Temo di sì.»
«E pensi che sia un uomo meritevole?»
Simone sollevò le braccia.
«Va bene, va bene. Non diciamolo agli altri, per ora. Già troppo allarme. Ora abbiamo un demonio in un maiale e, come accade nel Vangelo di Marco, va precipitato in un burrone.»
«Volete…»
«Sì. Dio ci indica la strada attraverso le scritture. Noi siamo ignoranti e non possiamo che seguire le sue orme.»
Padre Bernardo sospirò. «Andrete tu, fra Tommaso e Felice. Va’ da questo intruso e fatti dire dov’è il passaggio. Uscite senza farvi notare e salite attraverso il bosco. C’è un punto a picco sul fiume. Fate attenzione.»
Simone esitò a bocca aperta.
«Ma, il pranzo…»
«Un po’ di digiuno farà bene a tutti nella lotta al Maligno. Sei un giovane di grande fede, Simone, mi affido a te. Che Dio ti aiuti.»
Il vecchio frate si scostò e lo benedì.

Lucio sembrava divertito.
«Lì dentro c’è il demonio?»
«Non scherzare con queste cose» disse fra Tommaso fissando la scrofa. «Non hai visto che ha fatto al nostro fratello.»
«Lucio» cominciò Simone «vorremmo uscire dal passaggio che hai scoperto. Ce lo potresti indicare?»
«E perché mai?»
«La gente si è accalcata al portone. Non vorremmo spaventarli.»
L’uomo rise e liberò un peto. Annuì.
«Sicuro. È sul fianco della vostra fontana.»
«Grazie.»
«Ma dì, ragazzo, dove ve ne andate? C’è un bel po’ di nebbia.»
«Questi sono fatti nostri, brigante!» sbottò Felice.
Fra Tommaso gli posò una mano su una spalla.
«È nostro ospite, Felice. Non badategli: è molto provato.»
Il frate tirò bonariamente un orecchio al novizio e si diresse alla fontana, seguito da Felice col maiale alla corda. La scrofa pareva molto tranquilla.
«Dobbiamo portare quel povero animale in cima alla collina» disse Simone tornando a rivolgersi al mercenario.
«Volete attraversare il bosco?»
Simone annuì.
«Voi frati siete davvero coglioni. Tie’…» Da sotto la giubba tirò fuori un coltello col manico di corno. «Speriamo non ti serva.»
«Grazie, ma non posso.»
«Perché, sei un frate ora? Sei novizio, no?»
Simone annuì.
«Allora prendilo. Solo per proteggerti. Al ritorno me lo renderai.»
Lo prese e lo infilò nella manica del saio. Almeno così Lucio sarebbe stato contento.
Raggiunse fra Tommaso alla fontana.
«Aveva ragione il tuo amico. L’acqua deve aver scavato sotto al muro.»
Il passaggio fangoso, nascosto dalla fontana, era sufficiente a far uscire un uomo.

Mentre entravano nella boscaglia dietro al convento, la nebbia fluttuava sopra le sterpaglie sparse a terra. Gli alberi si contorcevano, scuri e secchi come vecchie ossa. Un odore fetido saliva dal terreno, simile a carne rancida e muffa.
«Che posto orribile» disse Felice mentre la scrofa gli trottava di fianco. «Non ridete, ma padre Umbertino mi ha detto che da queste parti è stato attaccato da una corocotta.»
«E cos’è?» chiese fra Tommaso ridacchiando.
«Una sorta di cane maligno. Un lupo, ma… un mostro insomma.»
«Non farti spaventare, Felice. Fra Umbertino ha una vivace fantasia, a dispetto dell’età. Rende tutto straordinario. Sarà stato un cane.»
Il pendio diveniva via via più erto e la nebbia più opprimente. Dove non c’erano rovi, il fango e le foglie li facevano scivolare. Tutti e tre avevano le tuniche fradice di fango gelato.
Simone arrancava respirando a bocca aperta. Di fronte a lui il sedere della scrofa ondeggiava, rosa, coperto da una delicata peluria candida. I muscoli erano definiti, sodi. L’animale era dotato di una certa grazia.
Non mi stupisce che siano appetitosi.
Sensuali.
Simone sentì la bocca asciutta. Si bloccò sgranando gli occhi.
Da dove arrivavano quei pensieri?
Serrò gli occhi e cominciò a mormorare un’Ave Maria.
«Non si vede niente» disse Felice sbuffando. «Di questo passo ci finiremo noi nel dirupo.»
Fra Tommaso gli diede una pacca.
«Coraggio, non essere sempre così negativo. Dov’è finita la tua fede? Dopotutto seguiamo la volontà di Dio. Siamo…»
«Mi hai stufato!» urlò Felice.
Fra Tommaso si voltò a guardarlo sorpreso e risentito.
L’altro riprese. «Stai sempre a rimproverarmi! Sei perfetto tu?»
Il frate abbassò lo sguardo. «Certo che no. Ma nella Regola c’è scritto: i frati ammoniscano i loro frati e li correggano con umiltà e carità.»
«Ma non ordinando ad essi niente che sia contro alla loro anima» concluse Felice lasciando la corda del maiale. «Tu che ne sai della mia anima? E poi, sei tu il maestro dei novizi ora?»
«No, ma…»
«Ma, cosa?»
Simone si fece avanti per raccogliere la corda. «Non litigate.» Come la tirò su, incrociò lo sguardo buio della scrofa e qualcosa in lui fremette.
«Tutti sanno cosa fai, Tommaso. Onanista! Ti hanno sentito gemere nella tua cella, mentre ti procuri piacere!»
«È una menzogna!» gridò il frate.
«E proprio tu mi vieni a scassare la minchia?»
«Felice» intervenne Simone «stai esagerando. Fra Tommaso parla per il nostro bene.»
I due si fissavano. Felice annuì.
«Vero!» gridò «Anzi, voglio essere d’aiuto anch’io.»
Si chinò, raccolse un sasso e afferrò il polso del frate.
«Che fai?» urlò fra Tommaso.
Il ragazzo lo strattonò facendolo inciampare e finire bocconi. Gli bloccò la mano su un tronco e sollevò la pietra.
«Correzione fraterna! Marco, nove quarantatré: se la tua mano ti scandalizza, tagliala!»
Toc!
Il sasso si schiantò sulle dita e il frate strillò. Uno schizzo di sangue bagnò il legno scuro. Felice sollevò la pietra. Tre dita di fra Tommaso erano piegate in modo innaturale, la pelle lacera e sanguinante.
Il sasso crollò ancora e ancora tra le grida sguaiate del poveretto.
Toc! Toc! Toc!
Simone era paralizzato. Non credeva a ciò che vedeva. Possibile che fosse…
Guardò la scrofa: l’animale stava sorridendo come una persona.
Urlò, gettò la corda e corse a valle coprendosi il viso, finché non sentì più il suono dei colpi e le urla. Stringeva il coltello.
potevo aiutarlo.
«Ma come? Pugnalando un fratello! Oh, Dio! Cosa mi stai facendo?»
Si rannicchiò a terra e pianse.

Ritrovò la forza che era quasi il crepuscolo. Riprese a correre. Doveva avvisare padre Bernardo.
Arrivò in vista del portone e si ricordò della gente accalcata. Erano ancora lì. Corse al passaggio nel muro e ci si infilò. Il fango sembrò cercare di ingoiarlo, finché sentì una mano che lo tirava. Era Lucio.
«Calmati, fratellino. Che ti prende?»
«È pazzo! Il mio confratello ha… è la scrofa!»
Un fremito interiore. L’immagine seducente della maiala colpì i suoi sensi. La desiderava. Sentì la resistenza della tunica contro l’erezione.
«Oh Dio!»
«Sta’ calmo, Simone. Sei ferito?»
Il ragazzo corse verso il chiostro. «Padre Bernardo! Padre Bernardo!»
Raggiunse il portico. Qualcuno urlava. Erano i frati.
Si fece avanti con prudenza. Le urla venivano dal refettorio. Lo raggiunse, mosse dentro un passo e fu investito dal caos.
La scrofa era ferma al centro della sala. Sorrideva.
Sono già tornati!
Dietro di lei, fra Guido era nudo e le spingeva dentro, sbuffando coperto di sudore. Padre Umbertino era sdraiato sotto un tavolo e si levava la pelle del viso con una forchetta. Fra Leone picchiava Padre Serafino privo di coscienza e coperto di sangue. Padre Bernardo piangeva cercando di strappare il crocefisso dal muro con un attizzatoio.
Un coltello da cucina si abbatté contro la porta e ruzzolò sul pavimento. Simone si voltò. Felice lo guardava paonazzo digrignando i denti.
Simone corse fuori. Lucio lo bloccò e gli diede una scrollata.
«Che ti prende?»
«Li senti? Sono impazziti! È il Demonio nella scrofa!»
«Allora va’ lì e accoppa quel maiale.»
«Non posso!»
«E allora andiamocene, cazzo!»
«E i miei fratelli? Non posso lasciarli così.»
«Ragazzo, ti devi decidere.»
Simone cercò attorno, come se la soluzione potesse trovarsi tra i ciuffi d’erba e il fango.
«Fallo tu! Cos’è, per uno come te, uccidere un maiale?»
«No! Io col Demonio non mi batto. Te l’ho detto: è roba da frati. E poi ho paura.»
«Paura?»
«Non dovrei? E poi sono fratelli tuoi, mica miei.»
«Ma ti hanno dato ospitalità!»
«Non è sufficiente.»
Simone si immaginò di entrare, scansare Felice e i suoi coltelli, arrivare alla scrofa e…
Cadde in ginocchio, raccolse del fango e ci si imbrattò il volto piangendo.
«Non posso! La desidero, capisci? La voglio possedere come in un cantico perverso! Se mi avvicino sarò preda di un istinto diabolico.»
«Tutto qui?»
Simone sollevò la testa. «Come sarebbe?»
«Fa’ così: va’ dietro al pollaio e lustrati l’arnese per bene.»
«Cosa?»
«Mettiti nascosto e toccati. Così poi non avrai più voglie e potrai fare secco il maiale.»
Simone si asciugò gli occhi.
«È peccato mortale. Io sono un novizio.»
«Sei solo mezzo frate. E non è come farsi una scrofa.»
Simone scosse la testa. Lucio non era una guida affidabile, non sapeva che diceva.
«Senti» riprese quello «pensi che fotterei una scrofa?»
«Certo che no.»
«Io invece non mi sorprendo che lo voglia fare tu. Non hai mai visto una donna, fratellino. Scommetto che quando vai a pisciare non ti guardi nemmeno l’uccello. Avrai i coglioni gonfi come fichi maturi. Sei ingabbiato dalle regole dei frati.»
«Della Chiesa.»
«Di chicchessia» Lucio lo afferrò per le spalle e lo fece alzare. «Fatti questa sega e salva i tuoi fratelli.»

La tensione era sparita lasciando spazio alla lucidità. Simone si sporse nel refettorio, coltello in pugno. Felice era voltato col volto chino a terra.
Entrò senza far rumore e avanzò verso il maiale. Come previsto da Lucio, non provava più alcuna tentazione. Arrivò davanti alla scrofa. Quella lo guardava ancora. Memore dell’infanzia contadina, si chinò e le aprì la gola con un taglio profondo. Litri di sangue si riversarono a terra mentre gli occhi neri si spegnevano. L’animale cadde con un tonfo. I frati smisero di urlare. Erano spaventati, feriti, smarriti. Ma salvi.

***

Il fiume scrosciava in lontananza. Ottavia non era giovane, e nemmeno una bellezza, ma la sua risata diceva che era un’amante appassionata.
«Una nutrice? Sembra bellissimo.»
«Che sciocchezze dici, ragazzo?»
«Simone. Ho quasi ventun anni, sono un uomo.»
La donna rise e provò a superarlo frapponendo tra loro il secchio con la biancheria.
«Lasciami stare o mio marito le suonerà a tutti e due.»
«Che ci provi, Ottavia. Lo sai che io ho fronteggiato il Demonio in persona? Se vorrai incontrarmi al fiume domani, te lo racconterò.»
La donna si allontanò ridacchiando. «Tu sei pazzo, Simone!»
Non si sarebbe presentata. Era pericoloso ed era peccato. Ma qualcun’altra, prima o poi, l’avrebbe fatto.
Lucio uscì dalla taverna stropicciandosi gli occhi.
«Allora, fratellino! Sei pronto?»
«Pronto? Ti aspettavo.»
«Bene» disse il mercenario sbadigliando. «Andiamo a prendere a schiaffi questo mercante. Stasera si mangia stufato.»

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Re: Semifinale Silvia di Moscabianca Edizioni

Messaggio#3 » domenica 29 marzo 2020, 16:41


Pollicina

Thumby fece scivolare il dorso della mano sulla fronte per tergersi il sudore. Si pulì gli occhi strofinandovi le nocche e strinse la stoffa attorno alla zampa del massiccio coleottero. «Toad sei un gran bastardo...» sussurrò tra sé mentre la bestia, zampe all'aria, scalciava con le cinque ancora buone. «La cavalcatura migliore di tutto il deserto!» Disse a voce alta, imitando il tono stridulo e l'accento orientale del Jitzi a cui lo aveva rubato. Rabbrividì un istante pensando a quella pelle squamosa e si strinse nelle spalle. Le dita scivolarono sulle tre cicatrici che le circondavano il braccio sinistro e la mente volò ad alcuni anni prima e alla prima volta che il Jitzi l'aveva presa. «Maledetto rospo.»
Poggiò entrambe le mani sul fianco rosso acceso dell'insetto e lo aiutò a rimettersi in piedi. Gli sfiorò il dorso con dolcezza. «Invece non sei buono nemmeno come tintura per tessuti.»
Raccolse la sacca da terra, la scosse per liberarla dalla sabbia e la issò sopra alla coccinella, lo stesso fece con le due bisacce. Raccolse i capelli color oro in una coda bassa e afferrò i finimenti. «Andiamo bestiaccia.» gli disse con tono scherzoso, «cerca di arrivare in città.»
Una folata di vento la costrinse a chiudere gli occhi, si scostò da un lato per non farseli ferire dalla sabbia. Attese qualche istante per volgere lo sguardo a sud: di Los Angeles riusciva a scorgere solo una colonna di fumo grigio, perpendicolare alla linea d'orizzonte in un mare giallo e marrone.
Si voltò indietro. «Almeno non si vede quel maledetto Jitzi.»
Sabbia e cielo dello stesso colore, distinti da escrescenze rocciose, sparse come pustole. «Dovremmo aver messo un bel po' di chilometri tra noi e quell’anfibio e sta per fare buio. Possiamo prenderci una pausa.» Diede una pacca alla cavalcatura. «Dai, arriviamo a quelle rocce laggiù e ci fermiamo per la notte.»
Le loro ombre si andavano allungando sulla distesa ormai scura. Le rocce a pochi minuti di marcia. «C'è odore di fuoco.» Tastò l'interno di una delle bisacce e ne estrasse una piccola balestra senza calcio.
La caricò e la fissò al supporto della polsiera di cuoio. L'anello dello scatto ben stretto sotto l'anulare.
Deglutì.
«E va bene, andiamo.»
Mano a mano che procedeva distinse lo scoppiettio della fiamma e un paio di grasse risate. Quando raggiunse le rocce aveva già ben chiaro in mente chi doveva aver avuto la sua stessa idea. Almeno tre uomini a giudicare dalle voci e un paio di carri trainati da artropodi: dalle impronte sulla sabbia.
Lasciò la coccinella una trentina di metri prima e piantò le redini a terra con un picchetto. Estrasse il pugnale dalla cintura e si spostò verso l’accampamento.
La prima cosa che vide furono i due grossi ragni corazzati. Le mascelle ben serrate da museruole e le zampe legate l'un l'atra da un metro di corda.
Gli uomini erano solo due, ma erano parecchio rumorosi. Entrambi seduti accanto al fuoco, mangiavano da gavette scassate, una poltiglia grumosa.
Uno, il più giovane, era appoggiato a una cassa. Il volto coperto da un copricapo di pelliccia e la corporatura esile lo facevano somigliare a un grosso roditore.
L'altro, faccia simile, doveva avere il doppio degli anni del suo compagno oltre che essere due volte più grosso. Prese una manciata di piccoli lombrichi dalla gavetta e se li fece cadere in bocca. Il viso puntato verso il cielo.
«Ne avete anche per me? Posso pagare.» Thumby nascose entrambe le mani dietro alla schiena prima di mostrarsi ai due viaggiatori. Mosse un paio di passi verso di loro ma si fermò a quella che riteneva una distanza di sicurezza. «Allora?» Incalzò, quando non ricevette risposta.
Il più giovane le fece cenno con la mano, senza smettere di masticare. «Vieni avanti, sorella. Che accidente fai in giro da sola?»
«Quello che fate voi, vado a Los Angeles.»
Infilò il pugnale sotto la cintura, ma non scaricò la balestra. Li raggiunse e si sedette sopra una sporgenza rocciosa.
«Sono lombrichi di prima scelta questi, ragazzina.» Disse l'uomo più grosso, poi fischiò tra i denti, per recuperare un pezzetto di carne che vi si era incastrato. «Quanto puoi offrire?»
Lei si alzò in piedi, un passetto per non perdere l'equilibrio e con la mano libera sollevò la maglietta logora fin sotto al collo. Si mosse appena, facendo sussultare i seni sodi. «Per una porzione te lo posso succhiare.» Sorrise e si leccò le labbra.
Il ragazzo tossicchiò e si mosse verso di lei. «Per una porzione devi succhiarlo a tutti e due.»
«Va bene.» Acconsentì Thumby e lo lasciò avvicinare con un cenno del capo. Lui le afferrò un seno. Per un momento sembrò quasi soppesarlo. «Non scambio nulla, senza essere sicuro che non mi stai fregando.» Lo chiuse tra le dita nodose e lo strinse. L'altra mano si insinuò sotto alla cintura.
«Ehi, ho detto che ve lo avrei succhiato, per il resto dobbiamo accordarci.»
Il ragazzo dall'aspetto da roditore non le rispose, spinse la mano sotto ai calzoni di tela fino a sfiorarle i peli del pube.
La punta del dardo poggiata alla gola lo bloccò un secondo più tardi.
Lei gli leccò le labbra. «Non ho detto di no.» Sussurrò. «Ho detto che dobbiamo accordarci.» Divaricò un po' le gambe per permettere al ragazzo di raggiungere la propria intimità. «Un figlio di puttana Jitzi mi da la caccia.» La voce divenne un sussurro caldo. «Ed ha un sacco di amici. Voi mi scortate fino a Los Angeles e mi date un po' di soldi, giusto per rimanerci qualche giorno. Io in cambio vi faccio godere per tutta la notte.»
«E come pensi di entrare in città? Non mi sembra tu abbia soldi sufficienti per il pedaggio.»
La ragazza spostò la balestra e si abbassò sulle ginocchia muovendosi sulle dita di lui. «Questo, se permetti: non é affar tuo. Abbiamo un accordo?»
Il secondo uomo si sfilò la cintura e lasciò scivolare per terra i calzoni color sabbia. «Si, si, abbiamo un accordo. Ora datti da fare.»
Come Thumby ebbe scaricato la balestra, la afferrò per i capelli e la strattonò, costringendola carponi. Le schiacciò il viso sulla propria erezione e prese a muoversi con forza, un cenno al ragazzo che la arpionò ai fianchi, i calzoni già abbassati. «Poi facciamo cambio.»

L’alba spruzzò di viola il cielo carico di fumo sopra Los Angeles, le torri più alte ormai visibili, sembravano strapparlo. Thumby aveva atteso sveglia le prime luci. Raggiunse in silenzio gli artropodi, si voltò verso i due uomini addormentati. La sella di uno dei ragni era ingombra di sacchi e bisacce. Sollevò il telo che li ricopriva. Una fenice era chiusa in una gabbia troppo piccola per permetterle di muoversi. «Meravigliosa.» Sussurrò. «Sei troppo bella per essere prigioniera.»
Sguainò il coltello e liberò le zampe dell’altro ragno, poi lo colpì con forza sull’addome. La bestia avrebbe gridato se non avesse avuto le fauci serrate, con un poderoso balzo si portò a decine di metri di distanza, lasciando dietro di sé un arabesco verdastro.
L’uomo corpulento emise un rumore simile a un rantolio che la fece sobbalzare. Thumby si portò la destra al petto e si concesse un profondo sospiro quando vide che stava ancora dormendo.
Aprì la gabbia liberando la fenice e saltò in groppa all’aracnide. L’uccello dispiegò le ali color fuoco, la osservò a mezz’aria per un istante prima di vederla sparire all’orizzonte. «Vattene via, tu che puoi.»
Afferrò le redini e mosse la bestia in direzione della città.
Il fiato spezzato e il mondo si fece nero per un istante, quello successivo rotolava nella sabbia con una corda stretta attorno al collo.
«Ci stai rubando i ragni, maledetta puttana?» L’uomo più grosso la colpì con un calcio allo stomaco, sollevandola in uno spruzzo di sabbia e detriti. La ragazza ebbe appena il tempo di caricare la balestra, ma il secondo uomo spezzò ogni suo tentativo di ribellione insieme alle ossa della mano, schiacciandogliela. Le afferrò il polso e glielo torse dietro alla schiena, la tenne a terra con un ginocchio sui reni poi le sollevò il capo strattonandola per i capelli. «Vieni qui Tunnel!» Urlò al suo compare.
Come li ebbe raggiunti le assestò un calcio alla mascella: un fiotto di sangue seguì la traiettoria del colpo e andò a raggrumarsi sulla sabbia come mercurio. Sostituì la presa sui capelli e dopo un cenno al ragazzo la issò di peso. «Come cazzo facciamo adesso ad entrare, puttana? Quel maledetto animale era il nostro lascia passare!» Senza mollare la presa la colpì allo stomaco col ginocchio. Thumby cercò di dire qualcosa ma riuscì solo a vomitare sangue e un rantolio sconnesso. Tunnel le strappò la maglietta con una zampata e gliene infilò i brandelli in bocca. Spinse con entrambi i pollici, le mani aperte sul viso, finché non la sentì in preda ai conati. «Dovrai farla bene la puttana, adesso. Perché dovrai scoparti tutta Los Angeles per pagarci l’ingresso.» Si allontanò di un passo. «Ora ci assicuriamo che tu non vada da nessuna parte.» Sollevò il piede sinistro e lo abbatté sul ginocchio della ragazza. Il rumore stonato della rotula che esce di sede fu l’ultima cosa che Thumby udì.

Si svegliò con la sensazione di avere una spugna calda in bocca. Si sfiorò le labbra senza riuscire a sentire il propio tocco. La guancia e lo zigomo erano un unico ammasso grumoso, un altro rigonfiamento sulla fronte le chiudeva l’occhio. La gamba destra era stata steccata alla meglio, riconobbe anche i brandelli della sua maglietta, stretti attorno ai due tubi idraulici arrugginiti che gliela tenevano ferma. Si rese conto che non era la sua testa a ondeggiare e il senso di vertigine era dato dal passo ciondolante dell’aracnide si cui era stata caricata. L’avevano messa nella gabbia della fenice e tra le sbarre spiccava un cartello con il prezzo. Un paio di monete per dieci minuti, in cui poter fare con lei “qualsiasi cosa”.
I due carcerieri erano in groppa alla coccinella che zoppicava in modo più evidente, qualche metro più avanti. «Sei sveglia puttana?» Urlò il più giovane voltandosi indietro. «Siamo quasi arrivati, comincia a tirare fuori la mercanzia.»
Le mura della città degli Angeli sembravano non avere fine. Si ergevano maestose dalle baracche colorate. Una cascata di liquame sgorgava da una decina di tubi, uno sopra all’altro, sul lato ovest della cinta e andava a riversarsi su un’acquitrino in cui rovistavano frotte di ragazzini.
Una via abbastanza larga da permetter loro di passare si snodava tra le baracche fatte di materiale di scarto della vecchia epoca, automobili arrugginite e cumuli di immondizia. Decine di banconi, costruiti alla meglio, la costeggiavano offrendo in vendita le cose più disparate.
«Mi dispiace.» Sussurrò la ragazza con un filo di voce non appena si furono fermati. Tunnel l’aveva raggiunta e aveva iniziato a scaricare le casse dall’aracnide. «Ti dispiace? Non avremo mai i soldi sufficienti per entrare, nemmeno se dessi il culo fino alla vecchiaia.» Poggiò le mani su una grossa cesta di raffia. La voce aveva una sfumatura triste. «Il Demone è un collezionista, avrebbe apprezzato la nostra fenice e ci avrebbe permesso di varcare quel cazzo di portone, ora non abbiamo nemmeno i soldi per comprarci da mangiare.» Le passò una borraccia di pelle, tra le sbarre. «Come pensavi di entrare, tu?»
«Cantando.»
L’uomo scoppiò in una risata sdentata. «Sai quanta gente sa cantare? Non basta avere una bella voce per impressionare il Demone.»
Thumby fece forza sui gomiti e cercò una posizione più comoda. «Io non ho una bella voce. Sono una sferia: i maschi si innamorano di me se odono il mio canto.»
Tunnel richiamò il suo compare e si avvicinò di più alle sbarre, vi infilò i gomiti in mezzo per appoggiarsi. «Non ci credo, le sferie sono sparite da anni.»
«In questa regione, non da dove vengo io. È per questo che scappavo dal Jitzi. Mi ha sentito cantare, una notte. Ero affacciata da casa di mia madre. Non è riuscito più a ragionare e mi ha rapita.»
«E perché non hai cantato anche con noi? Sarebbe stato più semplice che venderti.»
«Certo, per avere anche voi alle calcagna oltre a Toad e alla sua gente. Tu non hai idea di quanto sia potente il canto di una sferia.»
Il più giovane poggiò a terra una sacca. «Bene, canta allora, seduci qualcuno qui intorno, noi ci tapperemo le orecchie.»
Lei si spostò ancora più indietro, poggiando le spalle sulle sbarre di bamboo. «Mi avete picchiata, razza di coglione! Non riesco ad aprire la bocca.»
Il ragazzo raccolse di nuovo la bisaccia e se la caricò in spalla. «Allora non ci servi a niente.»
Tunnel lo raggiunse qualche metro più avanti e lo afferrò per la spalla. Una donna corpulenta gridava dalla bancarella di fronte: un grosso ratto decorticato tra le mani. Spacciando il proprio per il migliore stufato della regione. «Aspetta Topo, aspetta un momento e se dicesse il vero?»
«Ma davvero vuoi fidarti ancora di lei?»
«Tanto così conciata non è buona nemmeno per scopare, quanto vuoi che paghino per una ridotta così? Lasciamo che si rimetta un po’ e intanto spargiamo la voce che possediamo una sferia, al Demone potrebbe interessare davvero.»
«Secondo me ci fregherà di nuovo.»
Tunnel si grattò il ventre prominente. «E noi la pesteremo di nuovo. Alle brutte ce la teniamo. Scopa bene e io sto invecchiando, non mi dispiacerebbe qualcuno che faccia il lavoro duro al posto mio.»
Topo scosse la testa. «È un fuscello. Che vorresti farle fare?»
«Nell’ipotesi che non riuscissimo a entrare a Los Angeles e dovessimo tornare indietro, potrà coltivare la terra e occuparsi di noi. Sai cucinare, accendere fuochi, lavare: quella roba lì. Ci basterà una catena lunga.» Scoppiò di nuovo a ridere.
«Come ti pare, ma io voglio rientrare della mia perdita, quindi intanto mi organizzo.» Fece accovacciare l’aracnide e scaricò di peso la gabbia, strappando un grido alla ragazza. La tirò fuori di peso e la spinse su una cassa. «Ora stai ferma, o ti spezzo anche l’altra gamba.» Le legò i polsi con uno spago sottile e lo fece passare attorno al collo, le ricacciò in gola gli stracci ricavati dalla maglietta e li strinse con due giri di spago segandole le guance.
«Amico, che diavolo stai facendo?» Un uomo di mezza età lo guardava con aria curiosa, una vecchia armatura ammaccata, lo qualificava come un ex miliziano.
«Sto preparando la mercanzia, signore. È la mia schiava, per due monete puoi farle quello che vuoi.»
«Due monete? Davvero?»
Il ragazzo annuì e gli indicò un cumulo di stracci. «Dovrai farlo qui, non ho ancora una tenda.»
L’uomo si sfilò la cotta, lanciò le monete sulla sabbia. «Andrà bene.»

La corazza della coccinella era stata trasformata in una capanna con discreto successo e la sua carne li nutriva da giorni, direttamente e indirettamente dato che erano riusciti a venderne più di metà. Un fuoco acceso davanti all’ingresso scoraggiava gli insetti più grossi e i ratti e la puzza della plastica che vi bruciavano dentro a cadenza regolare, era migliore di quella dell’acquitrino di liquame poco distante, in più teneva lontane le zanzare.
Il mercato fuori dalla porta di Los Angeles sembrava non dormire mai. Stessa confusione di giorno o di notte, stesso via vai di disperati, stesse risse, stessa miseria. Durante la notte dei fasci di luce, dalle mura, illuminavano a giorno la piana sottostante e ronde di militari attraversavano l’enorme baraccopoli in turni regolari. Ad ogni ronda una decina di disperati veniva massacrata: chi si avvicinava troppo alle mura o chi cercava di forzare l’ingresso, o chi semplicemente passava troppo vicino alle pattuglie.
Tunnel aveva appena tolto la pentola dal fuoco e aveva passato una scodella fumante a Thumby, seduta su per terra. Una catena ai polsi la ancorava a un gancio piantato al suolo, tra le proprie gambe divaricate. Le puntò la balestra alla gola e le sciolse il bavaglio. «Adesso mangia, al primo suono che sento ti spacco la carotide. Questa storia della sferia ci sta fruttando bene. Ho un bel po’ di clienti in fila anche oggi. Hanno pagato più di quanto mi aspettassi. Se continua così, in meno di un mese potremmo entrare lo stesso.»
Lei trangugiò la brodaglia in silenzio.
«Se mi fai guadagnare i soldi sufficienti per entrare saremo pari, e tu sarai libera, potrai provare a entrare come avevi già pensato di fare da sola. Nessun rancore puttanella, solo affari.» Le infilò il bavaglio e accorciò la catena, in modo da lasciarne, oltre l’anello, solo pochi centimetri. Si alzò con una smorfia, si mise le mani sui reni inarcando la schiena. «Vado a contrattare con i primi due, vogliono farlo insieme.»
Thumby annuì, lo guardò lasciare la capanna e scomparire dietro al fumo nero del falò. Allentò le bende dalla gamba, abbastanza da sfilare uno dei tubi. Lo infilò nel gancio piantato a terra e fece leva. Lo dissotterrò e potè raggiungere il bavaglio, per toglierlo. Si voltò di scatto, la risata di Tunnel appena fuori.
Si schiarì la voce, si massaggiò il collo anche; si avvicinò all’entrata e iniziò a cantare.
Scelse un canto antico, uno che conosceva bene, non troppo difficile.
Tunnel era di spalle. Drizzò la schiena e rimase immobile qualche istante. Si voltò annaspando con la destra, in cerca della spalla dell’amico ma lo trovò già un paio di passi davanti a lui, dentro la tenda. Gli altri due uomini, che erano nei pressi, li raggiunsero. Thumby alzò il tono, rapendoli: gli occhi spalancati e le bocche semi aperte. Seguivano l’altalenare della melodia con movimenti sincronici della testa.
Smise di cantare, lasciandoli appesi alle proprie labbra e le dischiuse appena. «Apparterò a chi sopravvive.» All’ultima sillaba Tunnel si era già voltato, caricando il pugno che si abbatté sul volto dell’uomo più vicino fracassandogli labbra e denti. L’altro uomo si avventò su Topo, la bava alla bocca. Gli saltò addosso e lo morse tra occhio e zigomo in un esplosione vermiglia.
Thumby si mosse piano, appoggiandosi al tubo. Guadagnò l’uscita, mentre dal mucchio di carne e sangue che erano i quattro uomini, ancora le mani tentavano di sfiorarla.
Un boato, grida e raffiche di mitra. «Le ronde.» Sussurrò e scivolò da un lato, si sporse oltre il falò e strizzò gli occhi. Un’intera pattuglia stazionava a pochi passi di distanza. Un paio di tende in fiamme, un vecchio era riverso in una pozza di sangue e urina e una donna frignava, accovacciata in un angolo con la canna di un fucile puntata alla testa. «Dove diavolo è la sferia?»
La donna sollevò l’indice tra i singhiozzi e indicò la capanna, un istante più tardi il suo cervello decorava la strada.
Thumby si schiacciò contro la corazza di quella che era stata la sua cavalcatura, una mano sulla fronte, poi sullo stomaco, di nuovo sulla fronte e il respiro sempre più corto. Alle sue spalle, Tunnel che era risultato il vincitore, le arpionò la spalla imbrattandola di sangue, il volto ridotto a un ammasso grottesco di carne lucida.
Espirò l’ultima aria dai polmoni, e si svincolò dalla presa. «Sono qui! Sono io la sferia!» Gridò.
Un colpo preciso spappolò il cranio di Tunnel, il corpo rimase in piedi qualche momento, immobile prima di afflosciarsi. Le guardie infilarono qualcosa nelle orecchie e la raggiunsero; le divise di metallo lucido splendevano riflettendo i fari della muraglia. «Finalmente.» Sentenziò il primo che la raggiunse. «Il Demone desidera vederti, è stato informato che due pezzi di sterco ti stavano usando e ha voluto salvarti, sono giorni che rastrelliamo questo putridume.»
Thumby tirò un sospiro tanto profondo che le girò a testa, perse l’equilibrio anche e si appoggiò a uno dei soldati. Dalla direzione dell’ingresso in città un gran vociare fece eco a diverse raffiche di mitra, delle urla anche e la folla si aprì liberando il passo a un fuoristrada.
Quando la vettura li raggiunse, Thumby era accoccolata tra le braccia di una delle guardie e la folla era stata dispersa a fucilate.
«Sei ferita?» L’uomo dal viso d’angelo, in piedi sui sedili porpora dell’auto, le porse la mano.
«Non posso camminare.»
Le sorrise e la trasse a sé con un gesto. «Sono anni che cerco una come te. Come ti chiami?»
«Thumby.» Lo vide stringere gli occhi, fissarle le labbra e solo allora si accorse dei tappi ben piantati nelle orecchie.
Altri due colpi di fucile trucidarono un paio di donne che si erano avvicinate alla macchina.
L’uomo le sorrise e le acconciò i capelli dietro le orecchie. Con una delicatezza fuori contesto le accarezzò il viso. «Che nome banale per una cosa tanto speciale. Io sono quello che chiamano il Demone, sono il re di Los Angeles e tu ne sarai la regina.»
Thumby accennò un sorriso ma un pianto incontrollato le impedì di distendere le labbra, si strinse al petto di lui che la circondò col proprio mantello. Da sopra alla testa della ragazza fece un cenno alle guardie che puntando i fucili contro la folla, spararono a caso, finché non ebbero spazio sufficiente a far girare il fuoristrada.
Il Demone scivolò a sedere e la fece accomodare sulle proprie ginocchia, un braccio dietro le spalle, con la mano le sollevò il viso. «Sarai la regina della mia collezione, nessuno in tutta la nuova California possiede una sferia.»
La ragazza prese un respiro ma lui la zittì, ponendole due dita sulle labbra. «Schh, non parlare adesso, mia meraviglia, tieni il tuo bellissimo canto per dopo. Ho attrezzato una teca insonorizzata solo per te, dove potrai cantare e io potrò ammirarti in ogni momento. Oh non potrò bearmi del tuo canto, angelo mio, ma lo capirò dalle reazioni che causerai nei miei schiavi, e potrò immaginarne la bellezza.»
Lei provò a divincolarsi ma l’abbraccio si fece presa e le dita schiacciarono tanto sulle labbra da fargliele sanguinare. Il Demone si guardò le dita sporche, gliele passò sulla bocca dischiusa, tingendola di rosso. Allungò il segno sulle guance imitando un sorriso. «Ecco, devi essere felice. Ci vuole anche un nome felice. Da oggi sarai Gaia.»

Polly

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Re: Semifinale Silvia di Moscabianca Edizioni

Messaggio#4 » sabato 4 aprile 2020, 11:35

Non è stato semplice scegliere il finalista: ho apprezzato entrambi i racconti e faccio i complimenti a tutti e due gli autori.

Il sorriso del maiale di Luca Nesler ha un ottimo stile e buoni dialoghi, l’ambientazione è piuttosto anonima ma tutto sommato funzionale e i personaggi ben tratteggiati. La struttura mi è sembrata però poco equilibrata, molto contratta nelle scene finali, dove manca lo spazio per soluzioni più brillanti.
Pollicina di Polly Russell reinterpreta in modo originale la Mignolina di Andersen, la scrittura è vivida e la lettura scorre bene nonostante qualche svista nella punteggiatura. Alcuni elementi del setting risultano però fumosi (come la “scala” della Los Angeles in cui è ambientata la seconda parte del testo e la tecnologia in uso nel mondo del racconto).

A parità di merito per il livello tecnico dei due autori, vorrei premiare il maggiore sforzo immaginativo di Polly e scelgo così il suo racconto.

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