Non sarebbe più bello? (da Sfida a SRDN)

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SalvatoreStefanelli
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Non sarebbe più bello? (da Sfida a SRDN)

Messaggio#1 » martedì 19 giugno 2018, 7:46

NON SAREBBE PIÙ BELLO?

Sono giorni, ormai, che i morti hanno colorato di sangue la città. È in corso una guerra che sembra non voglia finire tanto presto: troppe zone sono senza un clan che comanda e troppi galli vogliono cantare nello stesso pollaio. Si ammazzassero tra di loro non me ne importerebbe più di tanto, però, quando tra le vittime ci finisce un innocente, è allora che sento la rabbia e le urla di un popolo che vorrebbe trovare pace. E, avverto la sua vigliaccheria.
Piazza Dante brulica di gente. Non è il solito tran tran di chi scorribanda per le vie del centro, tra una bancarella di libri e una pizza a portafoglio. Sono i curiosi del macabro quelli che si accalcano contro il nastro bianco e rosso che limita un'ampia zona a destra della statua.
Ordino al mio vice: «Espo', tu e Carrisi, fateli allontanare!».
Esposito si muove subito. «Avete sentito l'ispettore. Forza, allontanatevi!».
Ma gli inviti dei miei uomini riescono a farli retrocedere solo di qualche passo. Intanto, quelli della Scientifica, appena arrivati, iniziano i rilevamenti su i due cadaveri a terra e la ventina di bossoli esplosi. Accanto a uno dei due corpi inanimati, una donna piange e urla più volte: "O' figlio mio! O' figlio mio!". La osservo, impotente, strapparsi i capelli e battere quel ventre in cui avrebbe voluto tenere ancora il suo bambino. Invece, il figlio giace lì, sui basoli freddi impregnati del suo stesso sangue. Quel sangue che con il suo odore riempie i miei respiri. Dovrei esserci abituato, ma non lo sono mai quando a morire è un innocente.
Sposto lo sguardo alle spalle della statua di Dante, dove c'è il Convitto Vittorio Emanuele: tra meno di un'ora mio figlio sbucherà da quel portone, per tornare a casa. Cosa gli dirò di tutto questo sangue? Forse non me lo domanderà con le parole, me lo chiederanno i suoi occhi. Mi chiederà risposte e giustizia, certezze che io non ho…, ma che gli darò lo stesso, sperando bastino le mie parole a rassicurarlo.
La calca insiste. Guardo tutte queste persone e vorrei chiedere loro: «State provando quello che provo io? Siete disposti a entrare in guerra contro la Camorra, come faccio io ogni giorno? A lasciarvi ammazzare, pur di far vincere la giustizia?». Invece, taccio! perché temo che la risposta non sia quella sperata.
Il medico legale sta entrando in auto.
«Anto', fammi sapere al più presto i risultati».
«E quali vuoi che siano?» mi risponde sconsolato, prima di andare via con i tecnici della Scientifica, portandosi dietro i cadaveri, e la donna.
A terra resta il sangue, intorno la gente. E, resto pure io.
Mi muovo verso il Convitto, mentre un paio di colleghi presenziano il luogo, aspettando quelli del Comune invitati a pulire al più presto i basoli. Sento la campanella suonare e le voci impazienti dei ragazzi che corrono verso l'uscita. Dai loro volti capisco che qualcuno sa. Si guardano intorno. Si fermano appena fuori al portone della scuola, confabulano tra loro e vanno via, con gli occhi sulle chiazze di sangue. Pochi mi sembrano davvero consapevoli di quanto è accaduto; scopriranno solo dal Tg che tra le vittime c'era un ragazzo come loro.
Ecco Luca. Mi sembra smarrito, come gli altri. Mi vede, non sorride e non alza la mano come è uso fare; si avvicina.
«Ciao figliolo».
«Ciao pa'» mi risponde, con lo sguardo inorridito da quanto nota alle mie spalle. Lo abbraccio forte, più a lungo del solito, con più intensità. Lui tace, mi stringe a se. Lui ha capito. Sta diventando più forte dei suoi compagni, più forte persino di me, perché questa tragica realtà, purtroppo, gli appartiene sin da quando era piccolo. Ciò nonostante ho letto la richiesta di aiuto nei suoi occhi e mi sono sentito impotente come non mai. Credo che, di fronte a certe verità, questo sia il destino di ogni padre.
La piazza è tornata a una apparente normalità quando, Luca e io, c'incamminiamo in silenzio verso casa.

È passata una settimana e quella che sembrava una tregua non scritta è appena terminata. Davanti al commissariato ci sono due nuovi cadaveri; accanto a loro qualcuno ha gettato due caschi neri senza scritte. Nessuno ha visto niente, nessuno parla e se parla dice banalità senza senso, piene di colpe e paure. È per questo che la Camorra non può perdere. Perché, la gente ha paura. Paura di essere tra le prossime vittime, paura di ritorsioni. Paura di perdere l'unica possibilità di sopravvivere, in un mondo dove il diritto al lavoro è solo una frase senza più valore scritta nella Costituzione. Perché questa gente ci è nata in questo Stato alternativo e non sa come uscirne.
Mi chino sui corpi dal viso rivolto a terra. Noto, sotto il cadavere di uno dei due, un foglio con una scritta bella grande che recita: Si nun si’ bbuono, chesta è ’a fine ca faje. Nun s’accìdeno ’e piccerille.
C'è una sola ragione per un tale messaggio: questi sono gli assassini di una settimana fa. Forse la guerra è davvero finita o, forse, non sarà per niente così, ma io lo spero di cuore.

Oggi, Luca è andato in gita all'oasi di Persano. Sono fuori scuola aspettando il suo rientro. Il cielo, ammantato di rosso, sta cedendo posto alla notte e i lampioni, timidamente, gettano le luci tutt'intorno. C'è gente allegra in giro, i locali si stanno riempiendo. Ho appena sentito Luca al telefono e sto chiamando Anna.
«Anna, Luca sta arrivando e mi ha già detto che ha una fame da lupi». La sento ridere.
«Va bene: pollo e una montagna di patatine fritte saranno presto pronte per lui».
«E per me?»
«Per te ho in serbo un'altra sorpresa».
Mi emoziono al solo pensiero di ciò che già so mi dirà: presto Luca avrà un fratellino. O una sorellina, spero io. Alzo gli occhi su Dante e rivivo il senso di dolore di qualche giorno fa; le emozioni mutano e mi stringono il cuore, strappandomi dai miei sogni. Ripenso al rischio che corro ogni giorno di non vedere mio figlio nascere e, con l'altro, crescere e ogni volta mi domando: perché? L'unica risposta che trovo è nel senso del dovere, verso la giustizia, verso la città e la sua gente, per rendere questo posto migliore, per quelli che amo. So che la mia volontà da sola non può bastare, ma tutte le volte che mando qualcuno in galera avverto il mio cuore farsi più leggero, almeno fino al successivo omicidio o furto o minaccia di libertà di una persona onesta.
Il pullman è arrivato; Luca si caracolla giù per le scale e mi corre incontro, felice.
«Hai detto a mamma che ho fame?» è la prima cosa che mi dice.
«Così si saluta tuo padre? Non mi abbracci nemmeno?»
Luca si fionda su di me. Tace e mi stringe forte, quindi poggia il suo sguardo interrogativo nei miei occhi.
«Sì, gliel'ho detto; ti sta preparando il piatto che preferisci».
«Il pollo con le patatine? Sììì!» grida, sprizzando gioia e fiondandosi via da me.
Lo vedo correre verso via Tarsia, dove al solito ho parcheggiato l'auto, attraversando la strada come il vento, apparentemente incurante degli altri mezzi in circolazione. Appena lo avrò acciuffato, dovrò dirgliene un paio, se non vorrò soccombere a un infarto la prossima volta. Lo rincorro e, nonostante lo spavento, non riesco a non gioire per la sua felicità e innocenza. Dall'alto della salita sopraggiunge il rombo di una moto. Due uomini a bordo; caschi neri e senza scritte. Noto il luccichio di una pistola uscir fuori da sotto il giubbotto di pelle di quello seduto dietro. Un uomo, sul marciapiede, li maledice un attimo prima che una scarica di proiettili lo colpiscano in petto. Luca è lì, a un passo. Rivedo la scena di qualche giorno fa, il sangue sui basoli, la disperazione di una madre e la mia mano scende sulla pistola d'ordinanza, la estrae e spara, in un riflesso istintivo. La moto precipita sull'asfalto, sfrega in mille scintille sino a quando non arresta la sua corsa contro un'auto parcheggiata poco distante. Ansimando, cerco Luca con la coda dell'occhio e lo vedo mettersi al sicuro dietro un'auto in sosta. Non riesco ancora a tranquillizzarmi: dove sono i killer? Guardo i due uomini rotolare sulla strada. Un casco salta rivelando il volto di un giovane, avrà forse diciassette anni. L'altro dei due è immobile, a terra: disteso in una posa innaturale è quasi certamente morto. Il giovane ha ancora la forza di rialzarsi, cerca la pistola che non ha più. Gli sono addosso. Non gli do il tempo di capire, un pugno e un altro, poi lo spingo a terra e con le manette gli blocco le mani dietro la schiena. Guardo l'altro motociclista, il sangue colma l'asfalto sotto di lui e continua a non muoversi. Luca? Non lo vedo, spero sia ancora nascosto dietro l'auto. Non posso andare da lui, adesso. Devo fare in fretta; mi avvicino al motociclista inerte e nell'accertarmi che sia morto, giro lo sguardo sul marciapiede alle mie spalle: anche la vittima designata è morta. Ho le orecchie indurite dal frastuono del mio sangue in circolo, mi ci vuole un po' per avvertire i primi timidi applausi, le urla di altri, le maledizioni e i pianti di chi ha visto il proprio uomo finire la sua vita sull'asfalto, in un agguato di camorra.
Qualcuno mi tocca la spalla. Mi volto di scatto, la pistola ancora pronta in mano. È un attimo, il volto di Luca trasfigura, inorridendo: ho l'arma puntata su di lui. La mia ferocia la leggo nei suoi occhi. Luca, con il corpo rigido e teso, ha perduto i respiri; le sue lacrime dicono: "abbracciami" mentre pronuncia: «Papà…» in una voce sottile e incerta.
«Luca». Le braccia si aprono e lo avvolgono. Ritrovo piano piano tutte le mie sensazioni e avverto il cuore di mio figlio battere all'impazzata. «È tutto finito, Luca, non temere». Lo sento singhiozzare, mentre riprende colore e il cuore torna a un battere più gentile; mentre altre lacrime, le mie, liberatorie, mi rigano il volto.
Dopo un po' mi guarda negli occhi. «Temo che mamma dovrà aspettarci a lungo. Forse, è meglio se la chiami e gli dici di tenere il pollo in caldo per un po'».
Sorrido. «Certo Luca, ora la chiamo e glielo dico. E le dico anche di tenere in caldo il fratellino».
Sorride anche lui, ma non appare sorpreso. «Io avevo pensato a una sorellina» dice. «Non sarebbe più bello?».



alexandra.fischer
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Re: Non sarebbe più bello? (da Sfida a SRDN)

Messaggio#2 » martedì 19 giugno 2018, 16:55

Questa storia è molto cruda: descrive lo strapotere della Camorra, vero e proprio stato nello stato, che ha trasformato la città partenopea in un campo di battaglia quotidiana, visto attraverso gli occhi del protagonista ispettore, personaggio umanissimo, coraggioso (lo si vede nella scena dove salva il figlio dai due motociclisti killer) e fiducioso nella vita (sta per avere un altro figlio). La riflessione sulla rassegnazione della gente nei riguardi della criminalità e il gusto del macabro nel vederne le vittime (giovanissime, talvolta, come i carnefici) è di grande spessore e amarezza.

Chiedo l’ammissione alla vetrina.

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Il Dottore
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Re: Non sarebbe più bello? (da Sfida a SRDN)

Messaggio#3 » lunedì 4 febbraio 2019, 19:23

Anche questo racconto è fermo da un po'. Che vuoi fare?
Sono pronto a vivisezionare i vostri racconti... soffriranno, ma sarà per il vostro bene!

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Il Dottore
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Re: Non sarebbe più bello? (da Sfida a SRDN)

Messaggio#4 » lunedì 2 settembre 2019, 15:39

Racconto passato in archivio
Sono pronto a vivisezionare i vostri racconti... soffriranno, ma sarà per il vostro bene!

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