Prova di maturità
Inviato: martedì 19 maggio 2020, 0:26
A dodici anni i bambini dell’Isola diventano uomini, lasciano le vesti d’infanzia e indossano il primo abito virile.
Arik era impaziente di affrontare quel rituale di cui i giovani mormoravano e di cui nessun adulto parlava. C’erano voci ma nessuno dei suoi pari sapeva di cosa si trattava. Forse prove, forse lezioni, forse cerimonie che neppure immaginavano.
Vennero a prendere Arik che era l’alba. Dovevano aver avvertito sua madre, pensò Arik, perché non era allarmata. Aveva aperto la porta ai due uomini con maschere sul viso, si era fatta da parte e aveva lasciato che lo sollevassero dal giaciglio su cui riposava.
Lo bendarono e gli immobilizzarono le mani con una corda ruvida. Arik non si ribellò.
Camminarono a lungo, sotto al sole, all’ombra degli alberi e poi nella terra. Lo gettarono al suolo.
Non era solo, sentiva l’eco di molti respiri. Ogni tanto dei passi decisi si avvicinavano e con un tonfo scaricavano un nuovo corpo. Qualcuno gemeva. Qualcuno parlava e gli veniva conficcato un panno in bocca.
— Liberatevi, — intimò una voce potente, quando furono tutti presenti.
Arik riconobbe l’Anziano, reso più imponente dall’eco.
Mosse le mani: i polsi erano bloccati. Non c’era gioco per raggiungere i nodi. Allora si Arik si rannicchiò e usando tutta la sua flessibilità fece scivolare le mani legate in basso dietro alla schiena e alle gambe, fino ad averle di fronte a sé. Si sfilò la benda e coi denti strappò le corde. I polsi erano scorticati dalle fibre della fune. Istintivamente leccò la ferita per placare il dolore.
Era in una sala sotterranea circolare e con una volta alta e curva. Alcuni dei suoi coetanei erano già liberi, altri ancora si divincolavano. Uno a uno si raccolsero attorno all’Anziano.
— Oggi è un giorno importante per voi. Diventate uomini — disse guardandoli negli occhi.
Fece una pausa per rendere grave il momento.
— Uscirò da questa sala e sbarrerò l’ingresso, — indicò col capo un passaggio illuminato da una singola torcia. — Come uomini, dovrete fare scelte difficili. Dovrete affidarvi ai vostri compagni e per loro dovrete affrontare pericoli. Dovete potervi fidare gli uni degli altri sul mare, in battaglia, nella caccia. Essere forti e fidati è quello che vi definisce come uomini.
Un’altra pausa.
— Uscirete quando consegnerete il corpo del più debole tra voi.
Un nuovo brusio più forte. Arik fece un passo indietro, smise di respirare.
— Silenzio! Non importa come farete. Potete parlare e decidere. Potete accettare un volontario. Potete lottare. Potete allearvi, potete tradirvi, potete essere feroci e crudeli. Fatelo ora, e che non succeda mai più quando uscirete da questa grotta. Di tutto quel che succederà oggi non parlerete mai, non influenzerà le vostre vite, le vostre scelte, le vostre fedeltà. Questo è essere uomini, dimenticare amicizie e legami dell’infanzia e ricominciare con una sola voce.
L’anziano passò attraverso al gruppo di ragazzi immobili diretto all’uscita.
— Chiamate il mio nome, quando avrete finito — disse voltandosi indietro un’ultima volta.
Una barriera di legno e frasche scivolò a chiudere il passaggio.
Rimasero soli.
Arik si guardò attorno. Vide sguardi interrogativi, aggressivi, di supporto. Tutti su di lui.
L’unica cosa peggiore che essere una vittima era essere un leader tra i suoi pari.
Fece un passo avanti e riprese a respirare.
Arik era impaziente di affrontare quel rituale di cui i giovani mormoravano e di cui nessun adulto parlava. C’erano voci ma nessuno dei suoi pari sapeva di cosa si trattava. Forse prove, forse lezioni, forse cerimonie che neppure immaginavano.
Vennero a prendere Arik che era l’alba. Dovevano aver avvertito sua madre, pensò Arik, perché non era allarmata. Aveva aperto la porta ai due uomini con maschere sul viso, si era fatta da parte e aveva lasciato che lo sollevassero dal giaciglio su cui riposava.
Lo bendarono e gli immobilizzarono le mani con una corda ruvida. Arik non si ribellò.
Camminarono a lungo, sotto al sole, all’ombra degli alberi e poi nella terra. Lo gettarono al suolo.
Non era solo, sentiva l’eco di molti respiri. Ogni tanto dei passi decisi si avvicinavano e con un tonfo scaricavano un nuovo corpo. Qualcuno gemeva. Qualcuno parlava e gli veniva conficcato un panno in bocca.
— Liberatevi, — intimò una voce potente, quando furono tutti presenti.
Arik riconobbe l’Anziano, reso più imponente dall’eco.
Mosse le mani: i polsi erano bloccati. Non c’era gioco per raggiungere i nodi. Allora si Arik si rannicchiò e usando tutta la sua flessibilità fece scivolare le mani legate in basso dietro alla schiena e alle gambe, fino ad averle di fronte a sé. Si sfilò la benda e coi denti strappò le corde. I polsi erano scorticati dalle fibre della fune. Istintivamente leccò la ferita per placare il dolore.
Era in una sala sotterranea circolare e con una volta alta e curva. Alcuni dei suoi coetanei erano già liberi, altri ancora si divincolavano. Uno a uno si raccolsero attorno all’Anziano.
— Oggi è un giorno importante per voi. Diventate uomini — disse guardandoli negli occhi.
Fece una pausa per rendere grave il momento.
— Uscirò da questa sala e sbarrerò l’ingresso, — indicò col capo un passaggio illuminato da una singola torcia. — Come uomini, dovrete fare scelte difficili. Dovrete affidarvi ai vostri compagni e per loro dovrete affrontare pericoli. Dovete potervi fidare gli uni degli altri sul mare, in battaglia, nella caccia. Essere forti e fidati è quello che vi definisce come uomini.
Un’altra pausa.
— Uscirete quando consegnerete il corpo del più debole tra voi.
Un nuovo brusio più forte. Arik fece un passo indietro, smise di respirare.
— Silenzio! Non importa come farete. Potete parlare e decidere. Potete accettare un volontario. Potete lottare. Potete allearvi, potete tradirvi, potete essere feroci e crudeli. Fatelo ora, e che non succeda mai più quando uscirete da questa grotta. Di tutto quel che succederà oggi non parlerete mai, non influenzerà le vostre vite, le vostre scelte, le vostre fedeltà. Questo è essere uomini, dimenticare amicizie e legami dell’infanzia e ricominciare con una sola voce.
L’anziano passò attraverso al gruppo di ragazzi immobili diretto all’uscita.
— Chiamate il mio nome, quando avrete finito — disse voltandosi indietro un’ultima volta.
Una barriera di legno e frasche scivolò a chiudere il passaggio.
Rimasero soli.
Arik si guardò attorno. Vide sguardi interrogativi, aggressivi, di supporto. Tutti su di lui.
L’unica cosa peggiore che essere una vittima era essere un leader tra i suoi pari.
Fece un passo avanti e riprese a respirare.