Del senno di poi

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maurizio.ferrero
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Del senno di poi

Messaggio#1 » domenica 19 aprile 2020, 19:31

Del senno di poi

Furio scostò le frasche che gli ostruivano il passaggio e sorrise mettendo in mostra i pochi incisivi quando s’accorse che c’aveva visto giusto: poco lontano s’inerpicava il sentiero che portava a quel tempietto in cima al colle.
La faccia gli faceva ancora male per le batoste che aveva preso, per non parlare delle ginocchia, costrette a sostenere l’armatura ad anelli e gli oltre centocinquanta chili del suo corpaccione da Morgante. Lo stomaco brontolava da bestia, e la sola idea di dover salire lungo quella via ripida gli fece tirare un sospiro lungo quanto la lancia che aveva perso nello scontro col Bigatto. Ne aveva prese un sacco e una sporta ma, a differenza degli altri, aveva ancora la testa attaccata al corpo.
Camminò lungo il sentiero mentre il sole calava, il cielo tinto dello stesso fulvo della sua chioma ricciuta. Non sapeva se lassù avrebbe trovato qualcosa da mangiare, ma senza dubbio sarebbe stato un buon riparo per la notte, e con una bella vista.
Prima ancora che arrivasse a svoltare sul primo tornante, venne accolto da bestemmie irripetibili rivolte a Domineddio.
«Zebio, boia d’un cane, muoviti a scavare, l’è quasi notte!»
In uno spiazzo erboso c’erano due male in arnese. L’imprecone era un vegliardo con addosso un sacco di iuta e ridicole ghirlande di fiori, mentre lo sbuffante Zebio era un giovanotto tutto muscoli intento a lavorare il duro terreno con una pala. Calpestava il fondo d’una fossa profonda da cui spuntava fuori solo per la metà superiore del corpo. Il buco era largo, davvero troppo largo.
«Che c’avrete da seppellire lì dentro?» chiese Furio.
«Solo Domineddio lo sa, straniero!» gridò il vecchio, con il volto spiritato.
«E allora che scava a fare il vostro garzone?»
«Chiedere è metà vivere, ma non tutte le risposte giungono, solo la notte è una certezza». Il vecchio scatarrò e girò tre volte su sé stesso, fece le corna con la mano destra e indicò la fossa. «Io sono Aquitrone, e son stato benedetto col senno di poi, la visione del domani, dal Signore stesso! So che questa fossa servirà molto presto, i portenti me l’hanno rivelato, e pure la lettura delle viscere! A chi servirà, ah, io questo non lo so proprio!»
Furio squadrò la fossa enorme, adatta a un animale di grosse dimensioni, oppure…
«Ci vivono morganti, in queste zone?»
«Siete il primo che vedo da molti anni» ghignò Aquitrone. «Io sono eremita, e Zebio qui con me mi fa i lavori di fatica ogni tanto».
Furio si rivolse al giovane. «C’è qualche speranza d’imbroccare in una stazione di posta, da queste parti?»
Lui si limitò a scuotere la testa. «Non entro il calare della notte, ve lo garantisco. Noi dormiremo lassù alle rovine».
«Non prima d’aver finito!» caricò Aquitrone. Il ragazzo sbuffò.
«Non è che c’avete qualcosa da mangiare?»
«Pan e salam. Ma tu mi sembri di buono stomaco, perché dovremmo condividere?»
«Perché vi farò trovare un falò ben caldo quando giungerete, stravolti dopo aver sgobbato tutto il giorno».
Zebio guardò il maestro con fare speranzoso, e lui annuì. «Allora, precedici. Giungeremo quando il lavoro per il futuro sarà compiuto».
Furio diede un’altra occhiata alla fossa, mentre un brivido freddo gli correva lungo la schiena, poi con passo lesto s’avviò lungo la strada.
«Un’altra cosa, marcantonio! I portenti t’avvertono: guardati sempre le chiappe!»

Alla poca luce del tramonto le rovine del tempio pagano non apparivano poi così inquietanti, ma non appena scese il buio Furio si trovò a rabbrividire, nonostante un allegro falò scoppiettasse davanti a lui. Aveva trovato una mezza dozzina di alberi di nocciolo che crescevano a ridosso dello sgangherato muro occidentale ed era riuscito a procurarsi una provvista di legna sufficiente a tenere botta per tutta la notte. Più in basso, lungo il sentiero, poteva continuare a sentire Zebio sbuffare e Aquitrone imprecare. Ne avrebbero avuto ancora per parecchio.
Sgranocchiò qualche nocciola, che non fece altro che accentuare lo sbrano dello stomaco immenso, e lanciò qualche occhiata fugace alle colonne diroccate che lo circondavano.
Era un luogo di antichi dèi, quello. Un luogo dove forse si erano compiuti sacrifici.
Culti di sangue.
Scosse la testa e si forzò a lanciare una risata. Quella fossa enorme che l’indovino stava scavando doveva averlo suggestionato fin troppo. Era chiaro che non ci stesse del tutto con la testa, ma lo stesso si poteva dire del giovanotto che lo seguiva? Forse, Zebio gli andava dietro per essere ben nutrito di salame.
Gli tornarono in mente le ghirlande da donnetta di cui l’indovino era ricoperto.
Nutrito di salame.
In un senso o nell’altro.

Lanciò una risata che riecheggiò tra le rovine.
Qualcuno rise con lui.
Si rizzò in piedi urtando il falò con piede enorme, che crollò in un mare di braci. L’istinto gli fece correre la mano a dove di solito si trovava l’arma, ma strinse solo l’aria.
«Miseria. Miseriaccia!»
Tutt’intorno, le risatine si moltiplicarono. Aguzzò la vista nell’oscurità, e tante piccole scintille s’accesero negli angoli più bui delle rovine. Qui una candelina, lì una fiammella, laggiù una serie di scintille bluastre, simili a quelle generate dal lampo.
«Via, demoniacci! Andatevene!»
Le scintille tremolarono, spaventate.
Lanciò un grido, ma l’aria dai polmoni gli uscì piatta, priva di corpo. «Che volete da me? Cosa siete?»
Le fiammelle iniziarono a bisbigliare qualcosa. All’inizio una serie di sospiri incomprensibili, poi la voce prese corpo. Tante piccole voci bianche.
«Cul… cul… cul…»
Ricordò all’istante le ultime parole dell’indovino. «Giammai avrete da me ciò che mi è più caro!» Furio agito i pugni, le fiammelle danzarono, divertite.
Una di queste si agitò come una lucciola impazzita e corse in direzione di un prato poco distante. Si udì uno squittio, poi una vampa s’accese nell’erba secca. Durò pochi istanti, Furio la fissò inorridito.
Poi, al naso gli giunse il familiare odore della carne arrostita. A passi pesanti e ben attento a mantenere le chiappe contro le mura, il Morgante arrivò al prato e vide che uno scoiattolone ben cotto faceva capolino tra gli steli inceneriti.
La carne di roditore non era una prelibatezza, ma il brontolio allo stomaco non gli diede pace.
«Cul… cul… cul…» continuarono le fiammelle.
Ben attento che non s’avvicinassero, avanzò nel prato. Era quasi arrivato a mettere le mani sullo scoiattolo, quando l’improvvisa comparsa di una fiammella verde lo fece sussultare. Per un attimo gli sembrò che quella strana lucciola avesse l’aspetto di un omino con un sogghigno divertito stampato in volto. La fiammella afferrò lo scoiattolo arrosto e lo trascinò per un paio di metri buoni lungo il prato, lontano da lui.
«Volete giocare, eh? Ho menato il Bigatto, non ho paura di voi piccole pesti!»
Furio si lanciò avanti, buttandosi sulla preda. La sua cena venne spinta avanti ancora. Un nuovo salto, una nuova presa mancata. Gli spiritelli risero di gusto.
«Vi faccio vedere io!» agitò i pugni, lanciò un urlaccio e corse diretto verso di loro. I folletti urlarono, impauriti dal gigante, e si dispersero. Furio agguantò lo scoiattolo e lo sollevò, pregustando le sue carni morbide.
Gli comparvero davanti agli occhi, all’improvviso, accecandolo per un istante con la loro luce. Afferrarono lo scoiattolo e lo portarono via in volo.
«Cul! Cul! Cul!»
«Il culo ve lo faccio diventare viola dalle sberle, ve lo garantisco!»
Con la vista appannata, Furio corse al loro inseguimento tra le rovine. Le fiammelle gli sfuggirono tra le dita più volte.
«V’ammazzo! Vi mangio! Vi…»
Sentì il terreno mancare sotto i piedi.
«Cul! Cul! Cul!» ghignarono i folletti, che svolazzavano sopra di lui mentre cadeva nel burrone.
Per quei pochi secondi di volo, che sembrarono interminabili, Furio riuscì a pensare due cose.
La prima, che quegli spiritelli non volevano niente dal suo culo.
La seconda, che Aquitrone doveva essere davvero un indovino.
«PER DOMINEDDIIIII…..»
L’impatto arrivò, ma fu meno tremendo di quanto si aspettasse.
Anzi, fu quasi morbido, anche se non certo piacevole. Ci fu un suono strano, simile a quando si spezzano le ossa di un pollo. Si tirò a sedere, si massaggiò il deretano dolorante e si guardò intorno.
Era nella fossa, le cui dimensioni sembravano proprio adatte a lui. La paura prese il sopravvento per un attimo. Si tirò in piedi, e sentì di nuovo quello strano scricchiolio provenire da sotto i piedi.
Abbassò gli occhi.
Aquitrone e Zebio, quest’ultimo con ancora la pala in mano, giacevano sotto di lui, con le ossa rotte e gli occhi vitrei. La fossa era stata del tutto scavata – il vecchio doveva esserci entrato dentro per assicurarsi che il ragazzo avesse lavorato bene.
Proprio in quel momento.
Con un misto di gratitudine e orrore, Furio prese la pala, uscì dal buco e aprì la sacca da viaggio di Zebio, abbandonata poco lontano. Ne estrasse un grosso salame d’asino a cui diede subito qualche morso, poi iniziò a buttare terra sui due cadaveri. Lavorò duro, finché la fossa non venne del tutto ricoperta, poi piantò la pala per lasciare un segno.
Finì lentamente di masticare il salame.
«Cul! Cul! Cul!» sghignazzarono i folletti sopra di lui. Compirono un volteggio nell’aria e poi si dispersero. Il morgante lì mandò a quel paese con un gestaccio.
Con lo stomaco finalmente pieno, Furio sedette ai margini del sentiero, schiena contro una quercia. «Com’era quel detto… del senno di poi…» S’addormentò in un istante.
Il mattino giunse rapido, e poté infine riprendere la lunga via verso il covo.

CULES: Folletto piemontese che ha le sembianze di una fiammella danzante, simile a un fuoco fatuo.



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invernomuto
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Re: Del senno di poi

Messaggio#2 » lunedì 20 aprile 2020, 16:47

Ciao Maurizio – ben ritrovato!

Leggerti è sempre un piacere, il tuo stile ha quel nonsoché – la descrizione di quel male in arnese di Furio, a partire dai suoi pochi incisivi – e quelle di Zebio e Aquitrone, che sono personaggi molto Shakespeariani (tra Trinculo e Stefano, de La Tempesta e le streghe di Macbeth) con il loro essere sospesi tra il serio (l'oracolo è una profezia che si autoavvera) e la commedia.
La descrizione dei cules e dei loro dispetti è ben eseguita, ma sembra essere al servizio di un intreccio che ha troppa fretta di portarci alla conclusione – che avviene in modo poco incisivo (la morte dell'indovino del suo garzone è limitata allo scricchiolio delle loro ossa) e sembra quasi poco significativa per la vita di Furio!

Una prova stilisticamente eccellente a cui avrebbe giovato, secondo me, un po' più di mordente sul finale.

Spero di rileggerti presto!

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Davide Di Tullio
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Re: Del senno di poi

Messaggio#3 » martedì 21 aprile 2020, 12:39

Ciao Maurizio

piacere di rileggerti! Racconto divertente e ben scritto. Buona l´idea di recuperare i miti locali. Anche l´ambiguitá del motto "Cul" é stata una trovata divertente. Il racconto si sposa perfettamente allo spirito del contest, se ho colto bene.
Quello che mi resta un po oscuro é la vicenda dei due personaggi che il protagonista incontra sulla strada. Forse perché lasci ad intendere che sono dei folli e quindi fanno cose da folli, senza senso.
Ultima notazione

Qui dici: "Lui si limitò a scuotere la testa". ma poi parla e dice "«Non entro il calare della notte, ve lo garantisco. Noi dormiremo lassù alle rovine»". Quindi non si limita a scuotre la testa, o no? una cagatina lo so, ma giusto perché mi é balzato agli occhi

A rileggerci!
Ultima modifica di Davide Di Tullio il mercoledì 22 aprile 2020, 12:59, modificato 1 volta in totale.

alexandra.fischer
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Re: Del senno di poi

Messaggio#4 » martedì 21 aprile 2020, 21:41

Mi piace lo spunto del Morgante (Furio) sconfitto che rimedia il salame d’asino (dopo la sconfitta contro il Bigatto) dopo aver assistito allo scavo di una fossa da parte dell’indovino Aquitrone, aiutato dall’effeminato assistente Zebio in cambio di un falò che a loro non servirà, ma a lui sì. Soprattutto per orientarsi nelle rovine del tempio pagano infestato dai folletti dispettosi (idea alla Anatole France, mischiare medioevo e paganesimo, bravissimo). Spiritoso il calembour cul-Cules (che si attacca alla profezia di Aquitrone di guardarsi le terga in vista di una morte imminente profetizzata, ma che non riesce a prevedere: sua e di Zebio).

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Wladimiro Borchi
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Re: Del senno di poi

Messaggio#5 » mercoledì 22 aprile 2020, 12:32

Ciao Maurizio,
io da te ho solo da imparare, per cui nulla ho da dire sullo stile e sulla tua scrittura che trovo, al solito perfetta.
Ho trovato il racconto molto ben architettato.
La fossa già pronta per il suo sventurato destinatario è una "pistola di Checov" che grida "Furio ci finirà dentro!"
Poi arrivano gli spiritelli, con la loro portata comica evidente, e Furio inizia a rincorrerli e ancora una volta diciamo: "Furio muore e finisce nella fossa!".
Poi Furio cade...
E lì ce lo rivoghi nel "baogigi" e ci sveli, forse un po' affrettatamente, come sono andate le cose.
Forse, unica nota dolente, avresti avuto bisogno di qualche carattere in più per gestire il finale, ma è un rammarico di tutte le sfide che pongono limiti di spazio.
Un buon lavoro anche per te.
La classifica, se continua così, la faccio coi dadi.
W
IMBUTO!!!

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roberto.ferrarese
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Re: Del senno di poi

Messaggio#6 » giovedì 23 aprile 2020, 21:59

Ciao Maurizio,
per prima cosa ti dico che Furio è forse il mio personaggio preferito di tutte le storie che ho letto in questo concorso!
Ho poche cose da aggiungere, oltre al protagonista mi sono piaciuti lo stile, i folletti e la trama molto originale. Forse l'unico appunto che farei è che nel seguire l'inseguimento dei Cules ci si dimentica un po' dei due che stanno ancora scavando e ci si mette un attimo a capire che sono finiti a fare da materasso a Furio...
Quindi, ancora complimenti per il bel racconto!
Ro.

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Pretorian
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Re: Del senno di poi

Messaggio#7 » venerdì 24 aprile 2020, 19:49

Ciao, Maurizio. Questo racconto è stato divertentissimo da leggere e devo riconoscerti che la trama, per quanto semplice, è interessante e riesce a non essere a non essere banale, soprattutto considerando che sembrava andare in una determinata direzione fin dalle prime battute. Personaggi e dialoghi non reggono il confronto con altri tuoi racconti, ma funzionano egregiamente ai fini della storia e riescono a non essere stereotipati. Che dire: ottima prova!

AnDrITomma
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Re: Del senno di poi

Messaggio#8 » domenica 26 aprile 2020, 22:45

Complimenti!
Personalmente nessun appunto da fare, è scritta bene, si legge bene e molto carina l'idea di rifarsi al folklore piemontese con il termine "cules". Non è troppo il mio genere, ma l'ho apprezzato molto.

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maurizio.ferrero
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Re: Del senno di poi

Messaggio#9 » lunedì 27 aprile 2020, 9:29

Ciao a tutti, e grazie per i commenti positivi.

Ammetto che al finale manchi quel filo in più di carattere, ma i tre giorni di tempo sono stati tiranni.
Grazie per le vostre osservazioni!

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