Menodio
Inviato: domenica 19 aprile 2020, 20:27
La boscaglia diradava. Di là, oltre i filari, intravide un edificio abbarbicato su una collinetta. «Un monastero», pensò.
Lo stomaco gli brontolava. Aprì la sacca dell'acqua e diede l'ultimo sorso. «Devo trovare qualcosa da mangiare».
D'un tratto, un gorgoglio. «Un ruscello». Raccolse le forze e scavalcò uno zoccolo di roccia. L'acqua scorreva placida tra olmi giganteschi. Vi infilò la testa e bevve con foga.
Alzò gli occhi e si guardò intorno. Sulla corteccia degli alberi spuntavano escrescenze. Si avvicinò all'olmo più vicino, sfoderò il coltello e staccò un lembo di quella “cosa”; era scura, soffice al tatto. L'annusò. «Un fungo». Ripose il coltello nella fondina. Esitò. «Sarà velenoso?». Poteva tentare di raggiungere il monastero, ma si sentiva spossato. Quel luogo (ammesso che fosse realmente un monastero) gli pareva lontanissimo. «Me la rischio». Sciacquò l'escrescenza nel ruscello e l'addentò. Chiuse gli occhi e assaporò il manicaretto.
«Non male!».
Sentì frusciare un cespuglio. Rimise mano alla fondina.
«Chi va là?»
Il cespuglio si smosse ancora. Spuntò la testa di un asino.
«Accidenti, ti sembra questo il modo di farti avanti?». Gli scappò una risata.
«Non conosco un altro modo, signore»
«Chi ha parlato?». Ancora la mano sul coltello.
«Io, signore, l'asino. E chi altri?»
«Devo essere proprio stanco. Ora sento gli asini parlare». Scosse la testa.
«È questa foresta, signore. È magica. Conferisce poteri straordinari a chi l'attraversa»
«Tipo?»
«Parlare con gli animali»
«Va bene, asino parlante, dimmi il tuo nome, allora». Strinse gli occhi.
«Il mio padrone mi chiamava Menodio»
«Dio, è davvero lui a parlare»
«Allora ce l'hai un padrone. E che fine ha fatto?»
«Saperlo... Non l'ho più visto da quando mi sono smarrito, molte lune or sono»
«Come fa un asino a smarrirsi?»
«Beh, sapete, il padrone era un tipo irascibile. Dopo l'ennesima pedata, gli ho mollato un calcio è sono scappato»
«Non dovevi piacergli granché»
«è che non sapeva ascoltarmi. Almeno non come voi, signore»
«Già»
«Ora tocca a voi presentarvi». L'asino sgambettò tra le felci e uscì dal cespuglio, mostrando una pellaccia pulciosa e sgraffiata.
«Io sono Ubaldo degli Ubaldi, conte di Cerignola, duca di Bisceglie e Corato, Vicario di Lucera, marchese di Montelabbate e Frasassi, Principe di Mondragone e Guardiagrele, Visconte di Lentini, Barone di Feltre e Pordenone»
«Piacere mio. Posso chiamarvi Ubaldo?»
«Va bene. Te lo concedo solo perché sei un asino parlante. Ma fallo con rispetto»
«Certo». Il quadrupede si piegò sulle zampe d'avanti in segno di reverenza.
«Ne avete di strada da fare per visitare i vostri possedimenti, da nord a sud, isole comprese.
«E sì. L'Imperatore mi ha imposto di recarmici almeno una volta l'anno. Dice che è importante tenere a bada i sudditi»
«Capisco. In fondo questa è la vita. Ognuno ha il suo padrone, a meno che non si scappi via!»
Ubaldo rise.
«Di un po'», l'uomo si avvicinò all'animale, «Sai dirmi che cos'è quell'edificio che si scorge all'orizzonte?»
L'asino alzò il testone e guardò oltre le fronde. «Non ne so molto. Però una volta ho udito dei viandanti che ne parlavano. Mi pare l'avessero chiamata con il nome di Abazia di San Galgano»
«Oddio! Sono così fuori strada? L'Imperatore mi farà tagliare la testa!»
«Anche voi vi siete smarrito, allora»
«Cercavo di seminare un gruppo di briganti e mi sono inoltrato nella foresta. È giorni che girovago senza meta»
«Hi-ho!», annuì l'asino.
«Senti, Menodio», vorrei raggiungere l'abazia per cercare riparo. Ti andrebbe di farmi compagnia?». L'uomo si sentiva in forze. «Devono essere stati quei funghi miracolosi»
«Con piacere, Ubaldo». I due si incamminarono fuori dalla foresta.
La strada (se così la si poteva chiamare) era uno sterrato impervio e sassoso, da rompersi l'osso del collo.
«Accidentaccio!», esclamò l'animale, «mi sono sbeccato uno zoccolo»
«Certo che per essere un asino, sei delicatuccio»
«Ehm... Ubaldo, devo confessarvi una cosa»
«Sono tutto orecchie»
«Sì, insomma... non sono proprio un asino»
«Eppure ne hai tutte le sembianze»
«In effetti sì... ecco, ne sono imparentato... insomma: sono un mulo!»
«Ha-ha-ha»
«Lo trovate divertente?»
«Beh, un po' sì. Pareva volessi confessami un crimine»
«Essere un mulo è una sventura. Per noi simil-asini non è una bella vita. Le asine ci schifano perché siamo sterili, e alla meglio dobbiamo accontentarci di qualche mula frigida, sempre ammesso che ci facciano montare»
«Ah! Donne! Che il diavolo se le porti!»
«Hi-ho! Ma posso vantare origini illustri. Mio padre era un destriero di prima scelta. Nientepopodimeno che lo stallone di Guglielmo il Conquistatore!»
«Wow! Dici davvero? Parliamo dello stesso Guglielmo che, salpando dalle coste della Normandia, conquistò il trono d'Inghilterra?»
«Ehm... non proprio. Parlo di Guglielmo, barone di Sgurgola, noto sciupa femmine»
«Ah... Va bé, comunque di nobile schiatta»
«Senza dubbio!»
Menodio e Ubaldo raggiunsero l'abazia, giusto in tempo per veder sorgere la luna.
L' edificio era abbandonato. Entrarono di soppiatto da una porta scardinata, per accorgersi che il tetto era crollato. «Deve essere stato un incendio», borbottò l'uomo.
Annusando qua e là, il mulo trovò un angolo con un pagliericcio.
«Qualcuno ha fatto di questo posto la sua dimora», esclamò l'animale.
«Per stanotte sarà la nostra». Ubaldo si coricò stremato sul giaciglio, accanto a Menodio.
Alle prime luci, Ubaldo aprì gli occhi. Si stiracchiò e lanciò uno sbadiglio da garzone.
«Non mi pare vero di aver dormito così bene», disse seguendo con lo sguardo il mulo che ciondolava in cerca di qualcosa da ruminare.
«Insonnia, signore?»
«Non me la sono passata granché bene di 'sti tempi. Provaci tu a dormire all'addiaccio con un manipolo di taglia-gole alle costole»
«Essere muli qualche vantaggio dovrà pure avercelo. A nessuno verrebbe in mente di farmi la pelle. Sono più utile da vivo che da morto»
«Per essere un mulo, ne hai di cervello!»
«Vi ringrazio, signore. Allora forse crederete a quello che sto per dirvi»
L'uomo si alzò in piedi, si spolverò le brache ed esclamò: «parla»
«Lo vedete l'altare lì in fondo, proprio sotto il rosone?»
«Certo»
«Fate caso al lungo bastone di legno che vi è riposto»
«Sì, e allora?»
«È un bastone magico, ne sono certo»
«Magico? Cosa ne sa un mulo di magia?»
«Un mulo forse no, ma un mulo parlante qualcosa sì»
«In effetti. Ma non mi hai ancora spiegato perché credi che il bastone sia magico»
«Ho udito uno dei viandanti esclamare: “riporrò il magico bastone sul sacro altare”»
«Mmm»
«Guardiamolo da vicino»
I due si avvicinarono all'altare. Ubaldo afferrò il bastone. Dapprima gli sembrò un volgare pezzo di legno, ma poi si accorse di un pregevole intaglio all'estremità: una pecora prostrata di fronte ad un uomo con il braccio alzato.
«Accipicchia! Ha tutta l'aria di essere davvero magico»
«Lo è di sicuro, Ubaldo»
«Aspetta un momento! Mi pare tutto troppo semplice. Com'è che nessuno se n'è ancora impossessato?»
«Mmm... Ci sono! Il viandante ha anche detto: “Solo chi è davvero degno, è in grado di domare il magico bastone”»
«Allora è vero! Sono io l'unico degno di possederlo!». Ubaldo lo sollevò al cielo.
«Sarebbe solo da capire che tipo di magia è in grado di fare»
«Ah! Lo sapremo presto». Ubaldo schiacciò con forza un estremità del bastone sul pavimento.
«Hei! Così lo rompi!» Una voce riecheggiò alle spalle.
Un uomo, scavato in volto e dall'abbigliamento lurido, se ne stava a gambe larghe e con le braccia incrociate con l'aria di chi aspettava il momento opportuno per parlare.
«E voi chi siete?», esclamò Ubaldo.
«Sono il proprietario del bastone»
Ubaldo adocchiò Menodio sperando in un chiarimento, ma quello se ne rimase zitto, con il testone penzoloni.
«Dispiace contraddirvi, ma questo bastone è mio. Anzi, se non volete che vi faccia un sortilegio, meglio che non insistiate!»
«Andiamo bene! Un altro mago in erba. Allora, vediamo!»
Ubaldo deglutì. «E ora cosa faccio? Menodio, accidenti a te! Dammi un cenno invece di mostrarmi le chiappe»
«Ehm... forse non è il caso di lanciare incantesimi in un luogo consacrato», balbettò Ubaldo.
«San Galgano è sconsacrata. Esattamente da quando qualche genio, pensando di essere mago Merlino, ha appiccato un incendio.
«Non crederete mica che sia stato io? È la prima volta che visito questi luoghi»
«Questo lo so, e so anche che non siete un mago». Lo sconosciuto si avvicinò a Ubaldo e con un movimento fulmineo gli sottrasse il bastone.
«Datemi qua! Non è un bastone magico, idiota!»
«Come osate! Pagherete con la morte la vostra insolenza!»
«Ah, davvero? Farete qualche sortilegio?», L'uomo rise.
«Io... Io...»
«Non temo la morte per mano di chi millanta di essere un mago e se ne va in giro in compagnia di un asino»
«È un mulo... e sa parlare!»
«Ah-ah-ah! Questa non mi è nuova»
«Allora lo conoscete anche voi! Siete voi il mago?»
«Ma quale mago! Sono un pastore. Porto al pascolo il mio gregge. Avevo appoggiato il bastone che uso per inerpicarmi su questi brulli altipiani, giusto il tempo di svuotare la vescica»
«Ma Menodio... sì, insomma, il mulo dice che è magico. Menodio, amico mio, diglielo anche tu!»
Ubaldo si voltò, ma l'animale si era dileguato.
«La foresta è magica, vi dico», continuò.
«Avete addentato anche voi i funghi, vero?»
«Certo. Ma cosa c'entra?»
«Sono allucinogeni! Siete vittima di una fantasia, come tutti i disperati che attraversano il bosco»
Ubaldo crollò sulle ginocchia. «Un allucinazione... Questa è opera del... Menodio! Non è forse l'anagramma di "Demonio"? Altro che funghi!»
«Credete a quello che volete, ma vi sconsiglio un'altra merenda di funghi», e gli allungò una caciotta, prima di congedarsi scuotendo la testa e sparire da un'uscita laterale.
Ubaldo accolse con favore il dono. Raccolse la sua roba e abbandonò l'abazia, riprendendo il sentiero sconnesso.
«Oggi ho guardato negli occhi Satana». D'ora in poi, nessun brigante lo avrebbe più terrorizzato. E come avrebbe potuto?
In quanto all'Imperatore, lo avrebbe convinto della sua buona fede. Un viaggio è sempre pieno di pericoli. Ma del mulo... Beh su quello forse sarebbe stato meglio tacere.
Lo stomaco gli brontolava. Aprì la sacca dell'acqua e diede l'ultimo sorso. «Devo trovare qualcosa da mangiare».
D'un tratto, un gorgoglio. «Un ruscello». Raccolse le forze e scavalcò uno zoccolo di roccia. L'acqua scorreva placida tra olmi giganteschi. Vi infilò la testa e bevve con foga.
Alzò gli occhi e si guardò intorno. Sulla corteccia degli alberi spuntavano escrescenze. Si avvicinò all'olmo più vicino, sfoderò il coltello e staccò un lembo di quella “cosa”; era scura, soffice al tatto. L'annusò. «Un fungo». Ripose il coltello nella fondina. Esitò. «Sarà velenoso?». Poteva tentare di raggiungere il monastero, ma si sentiva spossato. Quel luogo (ammesso che fosse realmente un monastero) gli pareva lontanissimo. «Me la rischio». Sciacquò l'escrescenza nel ruscello e l'addentò. Chiuse gli occhi e assaporò il manicaretto.
«Non male!».
Sentì frusciare un cespuglio. Rimise mano alla fondina.
«Chi va là?»
Il cespuglio si smosse ancora. Spuntò la testa di un asino.
«Accidenti, ti sembra questo il modo di farti avanti?». Gli scappò una risata.
«Non conosco un altro modo, signore»
«Chi ha parlato?». Ancora la mano sul coltello.
«Io, signore, l'asino. E chi altri?»
«Devo essere proprio stanco. Ora sento gli asini parlare». Scosse la testa.
«È questa foresta, signore. È magica. Conferisce poteri straordinari a chi l'attraversa»
«Tipo?»
«Parlare con gli animali»
«Va bene, asino parlante, dimmi il tuo nome, allora». Strinse gli occhi.
«Il mio padrone mi chiamava Menodio»
«Dio, è davvero lui a parlare»
«Allora ce l'hai un padrone. E che fine ha fatto?»
«Saperlo... Non l'ho più visto da quando mi sono smarrito, molte lune or sono»
«Come fa un asino a smarrirsi?»
«Beh, sapete, il padrone era un tipo irascibile. Dopo l'ennesima pedata, gli ho mollato un calcio è sono scappato»
«Non dovevi piacergli granché»
«è che non sapeva ascoltarmi. Almeno non come voi, signore»
«Già»
«Ora tocca a voi presentarvi». L'asino sgambettò tra le felci e uscì dal cespuglio, mostrando una pellaccia pulciosa e sgraffiata.
«Io sono Ubaldo degli Ubaldi, conte di Cerignola, duca di Bisceglie e Corato, Vicario di Lucera, marchese di Montelabbate e Frasassi, Principe di Mondragone e Guardiagrele, Visconte di Lentini, Barone di Feltre e Pordenone»
«Piacere mio. Posso chiamarvi Ubaldo?»
«Va bene. Te lo concedo solo perché sei un asino parlante. Ma fallo con rispetto»
«Certo». Il quadrupede si piegò sulle zampe d'avanti in segno di reverenza.
«Ne avete di strada da fare per visitare i vostri possedimenti, da nord a sud, isole comprese.
«E sì. L'Imperatore mi ha imposto di recarmici almeno una volta l'anno. Dice che è importante tenere a bada i sudditi»
«Capisco. In fondo questa è la vita. Ognuno ha il suo padrone, a meno che non si scappi via!»
Ubaldo rise.
«Di un po'», l'uomo si avvicinò all'animale, «Sai dirmi che cos'è quell'edificio che si scorge all'orizzonte?»
L'asino alzò il testone e guardò oltre le fronde. «Non ne so molto. Però una volta ho udito dei viandanti che ne parlavano. Mi pare l'avessero chiamata con il nome di Abazia di San Galgano»
«Oddio! Sono così fuori strada? L'Imperatore mi farà tagliare la testa!»
«Anche voi vi siete smarrito, allora»
«Cercavo di seminare un gruppo di briganti e mi sono inoltrato nella foresta. È giorni che girovago senza meta»
«Hi-ho!», annuì l'asino.
«Senti, Menodio», vorrei raggiungere l'abazia per cercare riparo. Ti andrebbe di farmi compagnia?». L'uomo si sentiva in forze. «Devono essere stati quei funghi miracolosi»
«Con piacere, Ubaldo». I due si incamminarono fuori dalla foresta.
La strada (se così la si poteva chiamare) era uno sterrato impervio e sassoso, da rompersi l'osso del collo.
«Accidentaccio!», esclamò l'animale, «mi sono sbeccato uno zoccolo»
«Certo che per essere un asino, sei delicatuccio»
«Ehm... Ubaldo, devo confessarvi una cosa»
«Sono tutto orecchie»
«Sì, insomma... non sono proprio un asino»
«Eppure ne hai tutte le sembianze»
«In effetti sì... ecco, ne sono imparentato... insomma: sono un mulo!»
«Ha-ha-ha»
«Lo trovate divertente?»
«Beh, un po' sì. Pareva volessi confessami un crimine»
«Essere un mulo è una sventura. Per noi simil-asini non è una bella vita. Le asine ci schifano perché siamo sterili, e alla meglio dobbiamo accontentarci di qualche mula frigida, sempre ammesso che ci facciano montare»
«Ah! Donne! Che il diavolo se le porti!»
«Hi-ho! Ma posso vantare origini illustri. Mio padre era un destriero di prima scelta. Nientepopodimeno che lo stallone di Guglielmo il Conquistatore!»
«Wow! Dici davvero? Parliamo dello stesso Guglielmo che, salpando dalle coste della Normandia, conquistò il trono d'Inghilterra?»
«Ehm... non proprio. Parlo di Guglielmo, barone di Sgurgola, noto sciupa femmine»
«Ah... Va bé, comunque di nobile schiatta»
«Senza dubbio!»
Menodio e Ubaldo raggiunsero l'abazia, giusto in tempo per veder sorgere la luna.
L' edificio era abbandonato. Entrarono di soppiatto da una porta scardinata, per accorgersi che il tetto era crollato. «Deve essere stato un incendio», borbottò l'uomo.
Annusando qua e là, il mulo trovò un angolo con un pagliericcio.
«Qualcuno ha fatto di questo posto la sua dimora», esclamò l'animale.
«Per stanotte sarà la nostra». Ubaldo si coricò stremato sul giaciglio, accanto a Menodio.
Alle prime luci, Ubaldo aprì gli occhi. Si stiracchiò e lanciò uno sbadiglio da garzone.
«Non mi pare vero di aver dormito così bene», disse seguendo con lo sguardo il mulo che ciondolava in cerca di qualcosa da ruminare.
«Insonnia, signore?»
«Non me la sono passata granché bene di 'sti tempi. Provaci tu a dormire all'addiaccio con un manipolo di taglia-gole alle costole»
«Essere muli qualche vantaggio dovrà pure avercelo. A nessuno verrebbe in mente di farmi la pelle. Sono più utile da vivo che da morto»
«Per essere un mulo, ne hai di cervello!»
«Vi ringrazio, signore. Allora forse crederete a quello che sto per dirvi»
L'uomo si alzò in piedi, si spolverò le brache ed esclamò: «parla»
«Lo vedete l'altare lì in fondo, proprio sotto il rosone?»
«Certo»
«Fate caso al lungo bastone di legno che vi è riposto»
«Sì, e allora?»
«È un bastone magico, ne sono certo»
«Magico? Cosa ne sa un mulo di magia?»
«Un mulo forse no, ma un mulo parlante qualcosa sì»
«In effetti. Ma non mi hai ancora spiegato perché credi che il bastone sia magico»
«Ho udito uno dei viandanti esclamare: “riporrò il magico bastone sul sacro altare”»
«Mmm»
«Guardiamolo da vicino»
I due si avvicinarono all'altare. Ubaldo afferrò il bastone. Dapprima gli sembrò un volgare pezzo di legno, ma poi si accorse di un pregevole intaglio all'estremità: una pecora prostrata di fronte ad un uomo con il braccio alzato.
«Accipicchia! Ha tutta l'aria di essere davvero magico»
«Lo è di sicuro, Ubaldo»
«Aspetta un momento! Mi pare tutto troppo semplice. Com'è che nessuno se n'è ancora impossessato?»
«Mmm... Ci sono! Il viandante ha anche detto: “Solo chi è davvero degno, è in grado di domare il magico bastone”»
«Allora è vero! Sono io l'unico degno di possederlo!». Ubaldo lo sollevò al cielo.
«Sarebbe solo da capire che tipo di magia è in grado di fare»
«Ah! Lo sapremo presto». Ubaldo schiacciò con forza un estremità del bastone sul pavimento.
«Hei! Così lo rompi!» Una voce riecheggiò alle spalle.
Un uomo, scavato in volto e dall'abbigliamento lurido, se ne stava a gambe larghe e con le braccia incrociate con l'aria di chi aspettava il momento opportuno per parlare.
«E voi chi siete?», esclamò Ubaldo.
«Sono il proprietario del bastone»
Ubaldo adocchiò Menodio sperando in un chiarimento, ma quello se ne rimase zitto, con il testone penzoloni.
«Dispiace contraddirvi, ma questo bastone è mio. Anzi, se non volete che vi faccia un sortilegio, meglio che non insistiate!»
«Andiamo bene! Un altro mago in erba. Allora, vediamo!»
Ubaldo deglutì. «E ora cosa faccio? Menodio, accidenti a te! Dammi un cenno invece di mostrarmi le chiappe»
«Ehm... forse non è il caso di lanciare incantesimi in un luogo consacrato», balbettò Ubaldo.
«San Galgano è sconsacrata. Esattamente da quando qualche genio, pensando di essere mago Merlino, ha appiccato un incendio.
«Non crederete mica che sia stato io? È la prima volta che visito questi luoghi»
«Questo lo so, e so anche che non siete un mago». Lo sconosciuto si avvicinò a Ubaldo e con un movimento fulmineo gli sottrasse il bastone.
«Datemi qua! Non è un bastone magico, idiota!»
«Come osate! Pagherete con la morte la vostra insolenza!»
«Ah, davvero? Farete qualche sortilegio?», L'uomo rise.
«Io... Io...»
«Non temo la morte per mano di chi millanta di essere un mago e se ne va in giro in compagnia di un asino»
«È un mulo... e sa parlare!»
«Ah-ah-ah! Questa non mi è nuova»
«Allora lo conoscete anche voi! Siete voi il mago?»
«Ma quale mago! Sono un pastore. Porto al pascolo il mio gregge. Avevo appoggiato il bastone che uso per inerpicarmi su questi brulli altipiani, giusto il tempo di svuotare la vescica»
«Ma Menodio... sì, insomma, il mulo dice che è magico. Menodio, amico mio, diglielo anche tu!»
Ubaldo si voltò, ma l'animale si era dileguato.
«La foresta è magica, vi dico», continuò.
«Avete addentato anche voi i funghi, vero?»
«Certo. Ma cosa c'entra?»
«Sono allucinogeni! Siete vittima di una fantasia, come tutti i disperati che attraversano il bosco»
Ubaldo crollò sulle ginocchia. «Un allucinazione... Questa è opera del... Menodio! Non è forse l'anagramma di "Demonio"? Altro che funghi!»
«Credete a quello che volete, ma vi sconsiglio un'altra merenda di funghi», e gli allungò una caciotta, prima di congedarsi scuotendo la testa e sparire da un'uscita laterale.
Ubaldo accolse con favore il dono. Raccolse la sua roba e abbandonò l'abazia, riprendendo il sentiero sconnesso.
«Oggi ho guardato negli occhi Satana». D'ora in poi, nessun brigante lo avrebbe più terrorizzato. E come avrebbe potuto?
In quanto all'Imperatore, lo avrebbe convinto della sua buona fede. Un viaggio è sempre pieno di pericoli. Ma del mulo... Beh su quello forse sarebbe stato meglio tacere.