GOFFREDO DA BELLAPERTICA E LA CALDA VILUPERA
Inviato: domenica 19 aprile 2020, 22:54
GOFFREDO DA BELLAPERTICA E LA CALDA VILUPERA
È difficile credere ai tuoi occhi dopo le ultime disavventure. Eppure pare proprio che Domineddio abbia ascoltato le tue bestemmie e, conscio della loro potenza, abbia inteso evitarsene altre.
Sembra che qualcuno abbia deciso di costruirsi una casa in mezzo al bosco e, dal fumo che spunta dal comignolo, è evidente che abbia già messo la cena sul fuoco.
Certo un galantuomo, abitatore dei boschi, non vorrà negare un tozzo di pane e un bicchiere di rosso a un povero viandante, senza denari e senza nulla da offrire che la propria squisita compagnia!
«Vai Goffredo, presentati all’uscio con la solita eleganza e chiedi ospitalità!» Ti dici a voce alta, cominciando a muovere il primo passo baldanzoso verso il rudere, costruito di legno e pietra.
Un momento... rifletti Goffredo! Chi verrebbe a vivere nel bel mezzo della Selva Gualtieri, tra Torontole, Tirannopardi e Vilupere? Solo un brigante, un taglia gole o una fattucchiera. Forse è meglio che tieni una mano sull’elsa di “Gioconda” e ti avvicini di soppiatto.
E così sia! Con passo silente di lupo cerchi di raggiungere una finestra, per vedere chi occupa la casa. Per oggi hai già fatto il pieno di disgrazie! La bastarda sotto il tuo palmo, forgiata nella medesima lega fatata della “Gioiosa” di Carlo Magno, ti infonde la spavalderia necessaria.
A onor del vero, dopo nemmeno tre mesi da quando quel rigattiere te l’ha venduta al triplo del suo prezzo, dopo averti enunciato tutte le sue proprietà magiche, la spada si è arrugginita e pare già pronta per il ferrivecchi. Ma che diamine, la magia nulla ha a che fare con le lucentezze, giuste più per lo specchietto da camera di una donzella che per le mani di un guerriero. L’incanto non si vede, ma c’è. Ne sei più che sicuro.
«Cosa spiate alla mia finestra, siete un brigante?»
La voce improvvisa ti fa balzare all’indietro, la radice tra i tuoi piedi fa il resto e il mondo si capovolge un paio di volte prima che ti ritrovi con le chiappe a terra e la testa in mezzo all’erba alta.
Il volto grinzoso di una megera ti si fa d’improvviso dinnanzi: «Se siete un brigante, siete il farabutto più imbranato che abbia messo piede in questa foresta!»
Trattieni la bile e ti rimetti in piedi, scuotendoti con le mani quel po’ di polvere che riesci a togliere dalle vesti e dal corpetto di cuoio squarciato dalla codata del Bigatto: «Vi chiedo scusa, mia signora, sono solo un viandante che si è perso. Avrei davvero bisogno di qualcuno che mi indichi la via, mi doni un tozzo di pane e mi faccia allungare su un giaciglio di paglia per la notte.»
Mentre tenti di esibirti nel tuo migliore sorriso, giunge la risposta schietta della vegliarda, che si tiene in piedi col supporto di un bastone nodoso: «Tenete serrate quelle labbra o passatevi sui denti una foglia di salvia ogni tanto, sono gialli come il piscio di un’asina. Vi darò da mangiare e da dormire, non posso fare altrimenti. Siete grande e grosso. Alto quasi il doppio di me. Se decideste di prendervi quello che è mio con la forza non potrei oppormi. Ma penso che vi convenga farmi finire di cucinare, piuttosto che ammazzarmi per rubarmi quel po’ di provviste che ho e che sono disposta a condividere con voi. Quantomeno mangerete qualcosa di decente!»
Nonostante i toni bruschi e la voce gracchiante, le parole di quella dannata tartaruga ripiegata, suonano alle tue orecchie come una melodia angelica.
Stai per infilarti nella sua porta, quando il legno della donna ti arriva sugli stinchi.
«Prima dovete farvi un bagno!» dice indicandoti un pozzo sul retro della casa.
«Perché? È il giorno della Pentecoste?» domandi stupito.
«Perché siete sporco come il bastone di uno pollaio, puzzate come una fogna e in quella barba nascondete di sicuro vermi e insetti. In quelle condizioni in casa mia non c’entrate.»
Ti dirigi verso l’acqua domandandoti se non sia meglio sgozzare la megera e mangiare un piatto freddo e insipido, piuttosto che farsi comandare a bacchetta dalla rimbambita più antipatica che abbia mai attraversato la tua strada.
** * **
Lo stufato di lepre coi funghi è stato delizioso, così come la trifola di istrice in umido e i gambi di porcino saltati. Una cena da principe, fatta di delizie dal gusto robusto, che non le scorderai per anni. La vecchia, invece, ti ha praticamente guardato mangiare, limitandosi a sorbire un brodino da una tazza, con la sua boccaccia sdentata, da cui provenivano risucchi degni di un gorgo della palude di Castel Zampacci.
Il vino ti ha stordito, ma potrai smaltire la cena e la sbornia in una vera camera, che la tua ospite ti ha messo a disposizione.
Sembra un dì di festa!
Stai per abbandonarti alle calde braccia di Morfeo, quando il grido di una fanciulla ti riporta alla veglia, mentre quello che sembra il sonaglio di un saltimbanco gigante, riempie l’aria.
Non c’è tempo per indossare il corpetto, così afferri “Gioconda” e ti affacci alla finestra per capire che diamine stia succedendo.
La luce della luna, che brilla come se qualcuno l’avesse accesa di fiamme, illumina il corpo nudo di una ragazza, giovane e bellissima, appoggiata con la schiena al fusto di una betulla secolare. Di fronte a lei, le due teste di una Vilupera, sembra abbiano deciso di banchettare delle sue candide carni.
Un uomo da solo, nulla può contro una simile bestia, ma Domineddio mi deve parecchi favori e, per una volta, me la potrebbe far andar dritta! Te lo racconti spalancando le ante e scavalcando il davanzale, con la spada in pugno, per andare incontro al tuo destino.
Con un balzo ti frapponi tra la bestia e la femmina discinta. Con la spada tieni a bada una delle due teste lupine, mentre gli occhi si dedicano di quando in quando anche all’altra, perché nessuna mossa del mostro ti trovi impreparato.
La bocca che ti sta dinanzi si spalanca, pronta a scattare. Se quel morso ti raggiunge può staccarti di netto la testa. Di butti di fianco e conficchi “Gioconda” nella gola dell’altra, tirando verso il lato per tagliare a metà il collo.
Ci riesci. Sangue e altri liquidi puzzolenti si riversano sul pavimento, mentre il mostro, forse mosso dall’istinto di sopravvivenza, striscia rapido nel bosco più buio, col suo corpo di serpente, tirandosi dietro la testa semi mozzata e lasciando sul fogliame una scia rossa.
Dopo pochi istanti anche il rumore del sonaglio posto sulla sua coda scompare, lasciando solo la melodia dolce del vento tra le fronde degli alberi.
Ti volgi alla fanciulla, pronto a mostrare il tuo sorriso più beffardo e a giocare bene le tue carte per raggiungere il premio che, per consuetudine, si elargisce a chi ci ha appena salvato la vita, quando la femmina ti precede: «Siete stato coraggioso e forte, messere. Prendete quel che vi appartiene!»
Il suo corpo nudo si stringe al tuo, le sue labbra ti accarezzano il collo.
Lasci la preziosa spada fatata (forgiata con lo stesso metallo della “Gioiosa” di Carlo Magno) in mezzo al sangue della Vilupera e sollevi da terra la ragazza, cingendola sotto le braccia e l’incavo delle ginocchia, come uno sposo novello.
La porta della casupola nel bosco si chiude alle tue spalle.
Hai mangiato come un cinghiale, bevuto come un otre e combattuto una fiera immonda, ma non ti chiami più Goffredo da Bellapertica, se non te la pappi in un balzo e per tutta la notte!
** * **
È il cinguettio degli uccelli a svelarti l’arrivo del mattino.
Un raggio di luce che trapela degli scuri chiusi della finestra ti colpisce gli occhi, accecandoti. Non ricordi troppo della nottata appena trascorsa, ma dal dolore ai lombi devi aver fatto un buon lavoro come sempre.
Allunghi una mano verso il tuo fianco per cercare la fanciulla.
La pelle è morbida, quasi gommosa, coperta di pieghe e solchi…
Con tutta la forza ti imponi di aprire gli occhi e la vedi: nuda come il gambo marcio di una cipolla, spalancata come il buco di una latrina, ruvida come cartapecora dimenticata in un fosso, la vecchia giace al tuo fianco.
«Aaaah!» gridi e sputi, saltando dal letto.
La megera spalanca gli occhi e si mette seduta: «Che cosa mi avete fatto? Siete perverso come lo stesso Dimonio ad aver profittato del corpo di una anziana addormentata!»
La testa ti scoppia e lo stomaco si rivolta, mentre istintivamente passi le mani sulla lingua come a volerla mondare dagli effluvi della notte.
«Non sono stato io, c’era una fanciulla. Giuro su Domineddio. Mi sono congiunto con una femmina impubere e non con voi! E copritevi per l’amor del cielo!»
La donna nasconde il corpo sotto le lenzuola «Stanotte però, a giudicare dall’irritazione in mezzo alle mie gambe, non avete fatto tanto lo schizzinoso, eh? Vergognatevi!»
** * **
Non sei riuscito a sostenere oltre la conversazione.
Hai indossato le braghe in fretta e furia, sei uscito dalla casa tirandoti dietro il corpetto di cuoio e hai raccolto “Gioconda” da terra, proprio ai piedi di un tronco cavo che qualche perdigiorno, in nottata, si era divertito a prendere a spadate.
Sei quindi partito a testa bassa verso la direzione che la megera ti aveva indicato la sera precedente.
Hai già fatto molta strada, il sole è alto nel cielo e la foresta comincia a diradarsi. Dal punto in cui sei si vedono i campi coltivati e qualche contadino intento alla semina. Non vedi l’ora di incontrare un ruscello per immergerci la faccia e toglierti dalla barba quel terribile olezzo di merluzzo stantio.
Com’è potuto succedere? Sono diventato matto, sono vittima di un sortilegio, ispirato dallo Dimonio in persona…
Mentre ti lambicchi il cervello alla ricerca di una spiegazione agli inquietanti fatti della notte, ti trovi d’improvviso dinanzi alla più grande fungaia che tu abbia mai visto: porcini a barilate, da sfamare un paio di famiglie per una settimana!
Fai appena in tempo a chinarti per raccoglierne il primo, quando la voce di un villano poco distante ti raggiunge gridando: «Messere, lasciate stare quei fungi! Sembrano porcini ma sono tossici, allucinogeni. Roba per sortilegi di strega, non per cristiani timorati di Dio!»