pomeriggio alternativo

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo maggio sveleremo il tema deciso da Cristiano Demicheli. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
alexandra.fischer
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pomeriggio alternativo

Messaggio#1 » martedì 5 maggio 2020, 7:41

Pomeriggio alternativo

Di Alexandra Fischer

Il motore dell’autobus in arrivo riscuote la figura addormentata sulla poltrona; scatta in piedi in tutta la sua statura, e occhieggia attraverso le imposte di legno la comparsa del veicolo blu con la scritta in bianco: Maestri dei Trasporti Civili.
Accanto a lei c’è n’è una seconda, bassa e tarchiata: − Avete bisogno di aiuto, signore?
− Ma no, grazie, sai com’è. Mi piace guardare l’autobus delle due. Mi fa pensare alle gite con i miei nei dintorni. Erano tutte belle, sia quelle estive sia quelle autunnali.
La donna lo affianca premurosa guarda intenerita il sorriso di nostalgia che gli distende le labbra.
Ne è felice, perché spesso predomina il silenzio.
Ricorda, però, di essere una domestica e quale ruolo ha lì: − Non pensate solo al passato. Vi viene la nostalgia e i vostri nipoti disapproverebbero. Volete che vi legga qualcosa?
Lui scuote la testa: − Mi piace anche guardare i passeggeri che usano oggi la stessa linea di autobus.
− E cosa vedete?
− Ne è appena scesa una ragazza bruna di media statura, dal prendisole rosso e con una sacca color sabbia; gironzola nella piazzetta, fermarsi accanto all’edicola di latta con i manifesti della casa vinicola di famiglia e passeggiare accanto alla gigantesca gaggia dal tronco nodoso che la ombreggia.
La domestica ne sorride: − Forse è una cliente. Peccato che il negozio e il museo siano chiusi.
− Se lo è, ripasserà. Diversamente, ne parlerà ai suoi amici. Questo, sempre che visiti il cortile.
La domestica alza gli occhi al lampadario di Murano, e poi offre il braccio al padrone: − Vi accompagno, sapete che non potete muovervi da solo.
Lui prende il bastone con i tre sostegni a forma di cerchio alla base: − Con questo, è impossibile che cada, va’ in cucina e portami su una gazzosa alla menta.
− Subito. Ma non aprite le imposte di legno.
− Certo che no, con una luce del genere. E poi, il caldo è talmente umido da soffocare. Colpa del fiume. Senza parlare di quelle dannate zanzare. Voglio vedere se quella ragazza verrà ad ammirare il Cortile del Fauno.
La pendola del corridoio ha appena suonato le due.
La domestica si allontana per eseguire l’ordine dell’uomo: sa bene che il signor Berselli odia aspettare e si affretta a scendere le scale.
***
Il movimento dell’autobus è talmente monotono che mi mette sonno e mi trovo a Borgo Covile: riconosco il luogo dall’edificio color crema dalle imposte di legno in tinta con il resto; la facciata è sormontata dalla scritta con il nome dell’azienda: Casa Vinicola Berselli.
Premo il pulsante con la richiesta di fermata: − Scendo qui. A che ora è il prossimo?
− Alle tre. Mi dispiace che tu abbia deciso di fermarti qui.
Sbuffo: lui e io ci conosciamo da un paio d’anni, mi trasporta al lavoro e alle visite agli amici.
Fino a sei mesi fa, mi portava in visita al mio ragazzo: questo, fino alla lite rovinosa nel caffè del centro.
Mi sfrego le braccia mentre sono in piedi sui gradini.
L’autista equivoca il mio gesto: − L’aria condizionata, eh?
Annuisco.
− Fuori ci sono quaranta gradi, vedrai che sbalzo. Davvero non vuoi venire con me a Ovigliana?
− No, grazie.
Il pensiero della grande città dal quartiere fermo all’età umbertina dove sono stata felice fino al maledetto pomeriggio in pasticceria, mi terrorizza.
Oggi ho deciso di fermarmi a Borgo Covile per riprendere a vivere: è stata la città dei miei studi alle medie e al liceo linguistico; ho guardato spesso le vetrine del negozio della cantina e intravisto il signor Berselli, un uomo che si è sempre fatto notare per i suoi modi distinti e il suo metro e novantacinque.
− Perché vuoi scendere qui? – insiste lui, sfoderando il più luminoso dei sorrisi.
− Vedi, ci sono passata di sfuggita tante volte ai tempi della scuola e oggi ho deciso di fermarmi per un almeno un’ora e smettere di pensare, ma guardare.
Lui si lascia sfuggire un respiro: − Va bene, tornerò fra un’ora. Ma prima riposati alla stazione, così lo sbalzo di temperatura sarà meno brusco.
Entro nell’edificio di mattoni e passo a una frescura sopportabile, merito forse anche dello spessore delle pareti di epoca ottocentesca.
Sul muro, la targa commemorativa ne riporta l’anno di costruzione: 1891.
Posso prendermela comoda e ora la calura che c’è fuori non mi disturba più, dopo il sollievo che ho avuto dal momento di riposo alla stazione.
Quando esco sulla piazza, l’imponente edificio della Cantina Vinicola mi attira come un vecchio conoscente riconosciuto in una calca di estranei.
Ho parlato di un edificio: sì, ma è diviso in tre parti.
C’è la villa padronale con gli uffici, proprio di fronte alla stazione e dietro di essa, nello slargo di sinistra, c’è il reparto di vinificazione vero e proprio.
L’ho sempre visto da lontano, quello.
Troppa gente e troppo traffico.
E poi è una massiccia costruzione gialla che mi intimidisce, malgrado il leone rossiccio con il marchio della cantina non sia male.
Fa pensare alla creatura di un bestiario mitologico.
Bellissima, certo, ma sono affezionata alle stanze del piano inferiore della villa padronale, visibili, anche se solo a metà, per via dei cortinaggi di velluto verde.
Si tratta di due sale dove il tempo si è fermato: nella prima, quella di sinistra, ci sono fotografie di vigneti e anche di pietre con scolpiti volti di santi e cherubini medioevali, di certo ex ornamenti della facciata e delle colonne di una chiesa di campagna del Duecento sita dove ora sorge la cantina principale della Berselli, a Rudere di Castello, proprio a due chilometri da qui.
Lo so da Virginio.
Mi ha accompagnata qui agli inizi della nostra relazione.
Ricordo ancora i nostri dialoghi.
Quante cose sai, di questo posto, Virgi.
Certo, ci lavora mio padre, è capo enotecnico.
Ma, e le pietre che vedo lì nella foto?
Sono della chiesa romanica di Nostra Signora delle Uve; peccato sia stata distrutta dall’incuria e da una presenza più antica. Non la senti?
Sì, mi accade anche ora e mi dà sempre un brivido, ora aggravato dal fatto che Virgi non è più qui ad abbracciarmi come faceva allora, per poi scompigliarmi i capelli.
Che coraggio, prendersi pietre consacrate e metterle in un cortile.
Ma c’è anche una statua di epoca più antica nella fotografia che si trova nella sala di destra.
E io per gioco allungo il collo, occhieggiando anche i fiori secchi incorniciati e appesi al muro accanto alla fotografia che tanto mi attira.
Non so da dove vengano di preciso, ma ora che la finestra è socchiusa, il profumo fantasma di quelle corolle sotto vetro mi arriva fino alle narici come ai tempi delle medie.
Come allora, stringo le inferriate panciute che proteggono la finestra e mi faccio coraggio.
Voglio andare a vedere il cortile che c’è qui dietro da sola.
È la mia rivincita su Virginio.
Ricordo il nostro dialogo il primo giorno.
Che cosa c’è lì dietro, Virgi?
Niente. Andiamo via.
Sospetto che invece ci sia il cortile.
Ma piantala, non c’è niente. NIENTE.
Oltrepasso le vetrine e do un’occhiata di sfuggita al grosso portone del negozio dalle porte di forma arrotondata rivestite di chiodi.
E svolto la curva dove c’è il cartello che indica con una freccia ai camion dell’uva dove scaricare i grappoli.
Guardo l’impianto di vinificazione sullo sfondo, e poi mi giro, attirata dal cortile.
Sento un’imposta che si apre: e riconosco il signor Bersani.
− Signorina, a cosa devo l’onore?
− Volevo solo ammirare il cortile.
− Ne avete, di coraggio. Guardate lì.
Mi indica il centro, dove, su un piedistallo di pietra a forma di fungo, campeggia un antico Fauno di Bronzo.
− Sapete cos’è, vero, signorina?
− Vediamo, corpo umano, zampe caprine. È un fauno. Noto che ha una coppa in mano e la offre con un sorriso all’osservatore
− Questo dovrebbe spaventarvi. Sapete, lo rinvenni sotto le fondamenta di Nostra Signora delle Uve, la chiesa romanica. Si è dimostrato più longevo di quel luogo di culto. Guardatevi intorno.
Gli ubbidisco: ci sono tutti i pezzi di statue della fotografia e da vicino, appaiono inquietanti: E a me non piace vedere quelle pietre scolpite: santi e cherubini a parte, ravviso il busto della Vergine, parti del Bambino Gesù e un’acquasantiera con il simbolo di una falce lunare e di una creatura canina a fauci spalancate.
− Vi piacciono? – riprende il signor Berselli.
− Sì, sono bellissimi. Avete fatto un ottimo lavoro.
− Già, sono sempre stato un archeologo dilettante. È la prima volta che venite qui?
Scuoto la testa.
− Ho ammirato la vostra azienda dal lato della stazione, ma qualcuno mi ha detto che qui non c’era niente.
Lui ride: − Di sicuro aveva qualcosa da nascondervi. Sapete, da queste parti lo chiamano Il Cortile del Fauno e che tutti lo considerano pericoloso per via del Fauno. Sembra che sbugiardi i traditori.
Mi avvicino: noto sul bronzo segni verdastri, segno del tempo e delle intemperie, ma anche lo sguardo ipnotico del Fauno con la coppa in mano e dalla quale comincia a esalare il profumo di un vino inebriante e fresco.
Mi riscuoto quando sento una voce di donna dietro di lui: − Non spaventate la signorina. Guardate come stringe le dita al cancello.
Mi riscuoto.
Guardo verso la donna, che appare quasi bambina in confronto al signor Berselli.
− No, la ammiravo. È molto bella.
La donna si ritira.
Resto sola con il signor Berselli: − Siete brava a fingere, ma vedo che state tremando. Tornate alla stazione, aspettate il vostro autobus. Il Fauno vi ha già ammaliata abbastanza. Io stesso evito di sostare in cortile nelle sere d’autunno. In quell’epoca sembra vivo. Mi ha sempre dato l’impressione di poter spiccare un salto dal suo sostegno e di far bere a forza dalla sua coppa un vino in grado di far confessare la verità ai malvagi per poi farli morire. Andate. I miei non sono i vaneggiamenti di un povero vecchio.
Gli obbedisco.
Guardo l’orologio della stazione, un cerchio tondo racchiuso fra due cornucopie: le cifre in numeri romani segnano le tre.
L’autobus sta per partire, lo inseguo e l’autista frena.
Salgo di nuovo, unica passeggera come all’andata; mentre faccio il biglietto, l’autista mi rivolge un’occhiata preoccupata: − Alla fine ce l’hai fatta. Per un pelo, dico.
Mi sento scampata al potere del Fauno, tale da sciogliere l’ora di attesa come una granita dimenticata sotto il sole.
E mi sento guarita dalla lotta interiore che mi accompagna da mesi: telefonare o no, a Virgi?
L’ultima volta che ci siamo sentiti, ho udito il richiamo di una ragazza seguito dalla parola: tesoro caro nel sottofondo della telefonata con la quale si voleva scusare per avermi fatta imbestialire in pasticceria.
− Andiamocene solo – lo sento dire fra sé e noto gli aloni di sudore sulla camicia azzurra della divisa aziendale.

***
Le imposte di legno si chiudono al rumore del motore del bus che si allontana.
E il Fauno si lecca le labbra con un movimento fulmineo.
Ha letto la mente della ragazza: e ora sa chi è stata la sua vittima una certa sera di novembre.
Il traditore ha bevuto il vino, poi è ripartito con la sua auto e la sua corsa è finita contro un palo a Ovigliana in pieno centro.
Una fotografia e un mazzo di fiori ne commemorano la figura, ma nessuno dei parenti è mai riuscito a mettersi in contatto con la ragazza.
Il bugiardo ha distrutto l’indirizzo e ogni ricordo di lei.
E lui, come Guardiano della Verità, non può che compiacersi del suo gesto.
Stringe la coppa a sé e si compiace di avere imparato il motto ripetuto spesso dal suo amico Armindo Berselli ai visitatori del cortile: In vino veritas.



alexandra.fischer
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Re: pomeriggio alternativo

Messaggio#2 » martedì 19 maggio 2020, 10:48

Chiedo scusa per non aver scritto in apertura di racconto le specifiche usate, lo faccio qui:

I personaggi non sanno qualcosa che il lettore sa (o viceversa)
I personaggi vengono descritti attraverso il dialogo.
Ambientazione almeno in parte italiana

NazarenoMarzetti
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Re: pomeriggio alternativo

Messaggio#3 » domenica 24 maggio 2020, 13:46

Ciao. Ma ti trovo pure qui? Ma sei ovunque tu :D

Il racconto risulta un po' confuso: all'inizio sembra addirittura che il soggetto sia il motore dell'autobus.
La storia è interessante anche se solo alla conclusione si capiscono molte cose che invece dovrebbero venir dette prima.
Ho la sensazione che la specifica di descrivere i personaggi attraverso i dialoghi ti abbia portato molto fuori strada. Se deciderai di rivedere il racconto ti consiglio di rivedere quei passaggi.

Sinceramente non ho capito come hai affrontato il tema, dato che anche se i personaggi che descrivono altri personaggi ci sono, hai descritto situazioni normali attraverso occhi normali.

In compenso il racconto è veramente evocativo: anche se non riesci a tinteggiare visivamente il paesaggio, riesci a solleticare gli altri sensi, riuscendo nella difficile impresa di renderlo vivo.

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Polly Russell
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Re: pomeriggio alternativo

Messaggio#4 » martedì 26 maggio 2020, 20:04

Pomeriggio alternativo di Alexandra Fisher
Ben trovata Shanda!
Allora, partiamo col dire che ho adorato alcune descrizioni, sono delle miniature preziose. Purtroppo non riesco a vedere l’attinenza al tema, forse se tutto fosse visto dagli occhi del fauno potremmo tirarlo per i capelli, ma così sono solo una ragazza e un anziano signore che da retta alle superstizioni locali.
Anche io credo che l’obbligo di descrivere ti abbia giocato un brutto scherzo, ma chi è che indica qualcuno come “una ragazza brina di media statura”? Sembra va più una descrizione fatta dal narratore, piuttosto che dal personaggio. Un’elemento di disturbo è stato la parola “padrone” con cui il narratore parla del signor Berselli, per un attimo ho creduto di trovarmi tra il 1800 e il 1700, poi arriva l’aria condizionata nell’autobus e mi ricatapulti nel 2000.
La fine è forzata, il Fauno avrebbe già dovuto sapere che si trattava di lei, oppure, avrebbe dovuto riconoscerla subito, non appena letto i suoi pensieri, altrimenti perché mai avrebbe fatto morite l’ex fidanzato. (Che poi, un pelo esagerato ‘sto Fauno!) oltre tutto non regge che lei non sappia nulla della prematura dipartita di lui. Che lui abbia cancellato tutte le tracce di lei, non ha nemmeno senso, oltre ad essere particolarmente difficile in un posto dove tutti si conoscono. Ti pare che davvero nessuno sia riuscita a rintracciarla? Non siamo nel 1800. Perché mai avrebbe dovuto farla scomparire dal proprio passato? E quanto in fretta ha fatto? O la vendetta del Fauno può essere posticipata? Insomma non lo so, mi sembra sia tutto molto tirato per i capelli, ed è un peccato perché le descrizioni, soprattutto degli ambienti, sono molto evocative.
Polly

alexandra.fischer
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Re: pomeriggio alternativo

Messaggio#5 » martedì 26 maggio 2020, 20:29

Ciao Nazareno, ebbene, sì. Eccomi. Ti chiedo scusa per lo spiazzamento (l'impresa si preannunciava ardua, vedi il tema). Sono contenta che ti sia piaciuta quantomeno l'atmosfera (terrò a mente le imperfezioni che mi hai segnalato riguardo ai dialoghi. e all'uso delle informazioni. Da dosare subito). Forse, far intervenire qualcosa di soprannaturale (e il Fauno?) mi avrebbe aiutata. Ne terrò conto quando ci rimetterò mano.

alexandra.fischer
Messaggi: 2862

Re: pomeriggio alternativo

Messaggio#6 » martedì 26 maggio 2020, 20:33

Ciao Polly, perdona le incongruenze. Brutte bestie. Ne terrò conto quando rimetterò mano al racconto, forse drammatizzandolo e usando meglio il materiale a disposizione. Sono contenta che le atmosfere ti siano parse evocative. Sì, il Fauno l'ho reso malvagio, avrei dovuto rendere il tutto meno forte (morire…? Scomparire dalla mente, rivelarsi un ricordo sbiadito dallo scherzo del Fauno). Qualcosa così. Grazie dei suggerimenti ispirativi.

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