Agorafobia

Dario17
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Agorafobia

Messaggio#1 » sabato 20 giugno 2020, 22:56

Filippo sentì il bisogno di andare in bagno.
Il giovane staccò la schiena dal muro e si alzò, guardandosi attorno; migliaia di persone pascolavano nell’edificio una volta chiamato Palazzetto dello Sporco, dello Storto o qualcosa del genere, non lo ricordava bene.
Scese la serie di scalini che dalla Tribuna Centrale portava direttamente al Piano.
In quel momento della mattina vi era sempre un certo trambusto generato dagli abitanti del Palazzetto e dal centinaio di Pellegrini venuti dall’esterno per commerciare beni di prima necessità.
Filippo serpeggiò tra i crocchi di gente intenta a parlare tra loro a bassa voce.
Erano mesi (o forse si poteva parlare già di anni?) che i Pellegrini giungevano al Palazzetto sprovvisti di tappi per le orecchie o cuffie antirumore mettendo alla prova l’umore generale della comunità. Alcuni commercianti, più ottimisti, prevedevano un sicuro ritorno di rifornimenti azzardando addirittura proposte di prenotazione, altri tuttavia avevano lasciato intendere che era meglio abituarsi all’idea che certi lussi non li avrebbero più rivisti.
Da dietro la fila del Pellegrino venditore di carta igienica, Filippo vide Pietro sbucare fuori con due candidi rotoli bianchi sottobraccio.
Nella calca, i due si abbracciarono per salutarsi.
«Pietro, avevo giusto bisogno di te, devo pisciare. Chiama gli altri e accompagnatemi fuori.»
«Fuori? Che cazzo, ma non erano quelli della tua Tribuna ad aver accesso ai bagni questa settimana?»
«No, il turno ci toccherà la prossima settimana.»
«Devi smetterla di rompere le palle a noi, perché non pisci insieme ai tuoi vicini?»
«Li odio.»
Pietro sbuffò scocciato, poi estrasse dalla tasca dei pantaloni il suo walkie talkie.
Variando di volta in volta le frequenze, sciorinò la solita serie di convenevoli e diede appuntamento ai diversi interlocutori di fronte l’uscita Ovest dell’edificio.
Dopo qualche minuto si compose la banda al completo: Filippo, Pietro ed i nuovi arrivati Giacomo, Marta e Simonetta.
Erano una delle comitive di adolescenti del Palazzetto, ragazzi né più né meno problematici, pittoreschi o scapestrati di altri.
Si frequentavano fin da quando avevano imparato a camminare in autonomia tra i seggiolini sbeccati delle Tribune ed a evitare i calcinacci e la ferraglia caduti dal soffitto nel corso degli anni.
Avevano imparato a leggere e scrivere quel tanto che bastava nella Scuola della Tribuna Sud e, quando una strana peluria aveva cominciato a spuntare in punti strani, si erano privati della loro verginità l’uno con l’altro sopra lo stesso materasso ginnico negli Spogliatoi.
Nel rispetto della Legge.
«Ancora con questa storia che non vuoi pisciare fuori insieme ai tuoi vicini di Tribuna? Butta giù un paio di Pillole in più rispetto la dose quotidiana e vedrai che questa paranoia scomparirà come per magia!» si lamentò Giacomo, allargando le braccia. Fu un gesto così repentino che diede una involontaria pacca sulla spalla ad uno che passava accanto a loro.
Quello non fece una piega e proseguì.
«A me non dispiace accompagnarti!» trillò Marta, avviluppandosi attorno ad un braccio di Filippo. «Tanto quando saremo abbastanza grandi da formare una Famiglia vivremo sempre insieme nella stessa Tribuna, no?»
Un po’ come le stagioni scaricavano periodicamente sole, pioggia o neve sulle vetrate opache del Palazzetto, Marta si sentiva più civettuola nei confronti di uno dei ragazzi del gruppo, a turno.
Era in piena fase Filippo, quei giorni.
Nessuno dei maschietti si lamentava mai dell’appiccicume extra con cui venivano sistematicamente “vessati”, forse per il metro e cinquanta di altezza che la faceva sembrare una bambina desiderosa di attenzioni oppure per i seni pesanti che affagottava con t-shirt striminzite.
Man mano che i cinque si avvicinavano all’uscita, sui muri si moltiplicarono gli articoli della Legge impressi con vernice spray.
Filippo notò un particolare che il giorno prima non c’era: tra il II° articolo - State il più possibile vicini ad altre persone per far rimanere i tecno-batteri nel vostro corpo in cortocircuito - ed il III° - È vietato assolutamente allontanarsi a più di cento metri dall’edificio soli o in compagnia di meno di dieci persone - qualche buontempone aveva disegnato un pene tra sue omini stilizzati con sovrascritta la frase LUNGHEZZA DI SICUREZZA.
Le guardie dell’uscita Ovest, sedute su sedie di plastica e con le gambe appoggiate a dei banchi tarlati, li squadrarono appena fossero a portata di sguardo.
«Sempre uniti e a corte distanze.» dissero quelli.
«Sempre uniti e a corte distanze.» risposero quattro voci.
Il gruppo fece per proseguire ma una guardia si mise in mezzo.
«Ho detto: Sempre uniti e a corte distanze! Perché non hai ripetuto la regola?» disse quella, puntando un bastone dalla punta arrotondata contro il naso di Simonetta. Filippo e gli altri non mossero un muscolo.
La ragazza alzò una mano in segno di colpevolezza.
«Sempre uniti e a corte distanze, sì sì sì…» lagnò lei.
«Guarda che è per…» cominciò un’altra delle guardie.
«…il mio bene, certo. Ora possiamo andare?» disse Simonetta.
La guardia si fece da parte, lasciandoli passare.

[…]

Filippo scelse uno dei cespugli selvaggi attorno al perimetro cementato, si abbassò i pantaloni e si lasciò andare.
L’aria fresca mescolata con l’aroma acre della vegetazione entrò con prepotenza nel suo naso e gli diede un ulteriore brivido oltre quello dell’orinazione.
I suoi amici, appena dietro di lui, discutevano.
«Cazzo hai oggi, Simonetta? Volevi farti un paio di giorni di Sgabuzzino solo per non rispondere al saluto?» disse Pietro.
«Doveva essere figo andarsene in giro su quei cosi con le ruote, vero? Magari da soli…per le strade…liberi…» rispose trasognata Simonetta.
Filippo non poteva vederla ma era sicuro che la sua amica si stava guardando intorno, indicando le cosiddette automobili inchiodate sulla strada, veri e propri fossili di metallo corrosi dai decenni.
«È per muovere quei carretti automatici che hanno inventato quella merda di tecno-benzina i cui scarichi si sono fusi con i batteri…Figo un cazzo, direi io. Siamo tutti malati per quella stronzata!» si lamentò Pietro.
«Troveranno una cura, prima o poi.» replicò Simonetta.
«Simo, quella volta al mese in cui Internet si prende decentemente non usarlo per leggere le notizie false scritte da qualche deficiente annoiato.» aggiunse Giacomo, sardonico.
«Io ci credo.» non mollò la giovane.
«Si però ora basta discutere, dai. Facciamo un giro attorno al palazzo?» interruppe la discussione Filippo.
Era con i suoi amici più cari e non voleva rovinarsi nemmeno un secondo ascoltandoli litigare. Allungò la mano destra verso Pietro che l’afferrò e quest’ultimo ne porse una a Marta. Giacomo non attese nemmeno che la piccola amica gliela porgesse; le afferrò la mano e si unì alla catena umana.
Simonetta, ora pericolosamente lontana qualche metro dai suoi cari, li guardò.
Filippo tese la mano sinistra verso di lei.
Un vento iracondo cominciò a schiaffeggiare i cespugli e i loro capelli, arruffando sia ciocche che rami.
«Solo se te la sei pulita bene.» sorrise impercettibilmente Simonetta, fissandolo negli occhi.
Mano nella mano, i cinque fecero una passeggiata attorno all’edificio, frugando nel panorama collinare alla ricerca famelica di nuovi particolari, tanto per avere qualcosa di nuovo da guardare.
Filippo avvertì la mano di Simonetta tremare più volte.
Arrivati nello spiazzo dell’ingresso principale, si fermarono.
Sotto un sole di rame, i Pellegrini stavano uscendo dal Palazzetto in file da cinque: a piedi spingendo carretti oppure su delle biciclette con i sacchi della merce legati alla schiena.
Un vero e proprio torrente fatto di persone risaliva la strada che si congiungeva alla via principale, diretta chissà dove per territori ignoti.
Accanto a loro, Filippo notò cinque anziani incerti sulle proprie gambe che si sostenevano tra di loro tenendosi a braccetto l’uno con l’altro. Erano due donne e tre uomini, proprio come lui ed i suoi amici.
Un’anticipazione del loro futuro? La realtà stava forse permettendo a lui, abbandonando le leggi della natura e dell’Uomo, di sbirciare come sarebbero divenuti loro cinque tra qualche decennio?
Dalla mano di Simonetta arrivò un ultimo tremito perentorio. Filippo la guardò e notò che anche lei li guardava. Lesse nei suoi occhi la sua stessa associazione di idee che legava loro ai cinque vecchietti, elucubrata un istante prima.
Le lacrime sulle sue guance palesarono le conseguenze di quell’epifania nel cuore della sua amica.
«No, io non ce la faccio più!» scoppiò lei.
Con una frustata del braccio, Simonetta si liberò dalla presa di Filippo e cominciò a correre verso la strada.
Palline caddero dalle tasche dei suoi jeans.
«Simonetta, no!» gridarono Pietro, Giacomo e Marta, svuotando i loro polmoni malati.
Filippo, incapace di fare un passo di troppo, si chinò verso le sferette: Erano Pillole.
«Guardate quante! Le ha nascoste per non mangiarle!»
Agli urli e ai richiami dei suoi amici si unirono altre voci, alcune più autoritarie impartirono ordini mentre altre gridarono di paura e raccapriccio.
Filippo rialzò lo sguardo.
Simonetta aveva già perso molto dello sprint iniziale e si trovava a metà tra la folla ora assembrata all’ingresso e la carovana dei Pellegrini; nella metà esatta tra due forme di diversa sopravvivenza dove vi è solo l’estinzione.
I Pellegrini erano troppo lontani per sentire le grida di allarme ed il rumore del vento fece la parte del bastardo, occultandole.
Proprio mentre Simonetta fece l’ultimo passo della propria vita prima di cadere dilaniata dalle convulsioni, Filippo sentì schiacciarsi sul braccio il volto impiastricciato di lacrime di Marta.
Pietro e Giacomo tossirono sfiniti per i troppi urli.
Negli astanti di fronte al Palazzetto, incapaci di salvare una vita che non fosse la loro rimanendo fermi immobili, si impresse con ancor più ferocia una lezione che già conoscevano nei loro cuori ammalati: Non si disubbidisce alla Legge.



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Eugene Fitzherbert
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Re: Agorafobia

Messaggio#2 » mercoledì 24 giugno 2020, 10:29

Ciao, Dario,
Credo che questa sia la prima volta che leggo qualcosa di tuo e il primo a commentare questo racconto.
Interessante l'idea della comunità di sopravvissuti asserragliati nel palazzetto, con la divisione in gradinate, le regole famigliari per non far cadere la specie e tutte le altre arzigogolature sociali del caso. Interessante come vengono esposte, anche.
Insomma, la parte apocalittica è stata ben architettata e ho gradito che i protagonisti fossero della generazione successiva al disastro, visto che non conoscono i nomi (tipo quello del palazzetto, o non hanno mai visto le automobili). ù
Ho apprezzato anche il crescendo di tensione, che è iniziata con l'alterco tra Simonetta e la guardia.

C'è qualcosa che mi ah fatto storcere il naso? Un po' sì: per esempio non ho ben capito la storia dei tecnobatteri e delle due leggi incise nel muro. O meglio, non ho ben capito perché dovrebbero far morire le persone e come la distanza di sicurezza dovrebbe essere salvifica. Ma va beh, alla fine , non è niente di importante, la prendo come un dogma, esattamente come fanno i ragazzi.

Seconda cosa che mi sento di segnalarti: talvolta il lessico che usi raggiunge vette troppo elevate, che stonano con l'aspetto più poppeggiante della vicenda. Non è un male, ma ci sono passaggi che somigliano a degli esercizi di stile, più che a narrativa. Esempio: "Le lacrime sulle sue guance palesarono le conseguenze di quell’epifania nel cuore della sua amica."
Bella frase, sicuramente, ma siamo sicuri che non ci sia un modo più incisivo per metterla giù? Non ti innamorare delle tue parole, tanto verranno stralciate una dopo l'altra dopo il primo editing... (e sono lacrime ogni volta, fidati!)

Per concludere, bel racconto, ma con qualche piccolissima sbavatura.
Alla prossima!

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Sara Ronco
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Re: Agorafobia

Messaggio#3 » mercoledì 24 giugno 2020, 13:04

Ciao, Dario
credo sia il tuo primo racconto che leggo, e devo dire che mi è piaciuto molto.
L'atmosfera, la trama, come ci hai introdotto nel mondo che hai creato... bravo.
Perché non provi ad ampliare la storia per farne un romanzo?
Alla prossima.
Nonostante io scriva romanzi dall'età di 13 anni (con moooolta discontinuità) ho ancora bisogno della "badante letteraria".
Rimanete sintonizzati e vi stupirò.

Dario17
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Re: Agorafobia

Messaggio#4 » mercoledì 24 giugno 2020, 14:27

Eugene Fitzherbert ha scritto:Ciao, Dario,
C'è qualcosa che mi ha fatto storcere il naso? Un po' sì: per esempio non ho ben capito la storia dei tecnobatteri e delle due leggi incise nel muro. O meglio, non ho ben capito perché dovrebbero far morire le persone e come la distanza di sicurezza dovrebbe essere salvifica. Ma va beh, alla fine , non è niente di importante, la prendo come un dogma, esattamente come fanno i ragazzi.



Questo mi dispiace assai, denota un errore da parte mia nel aver esposto male il concetto.
Te lo esprimo meglio, giusto per:
Nel loro mondo vi è una pandemia dovuta alla fusione di normali batteri con i residui di una benzina futuristica e nanotecnologica.
Il loro concetto di distanza è invertito e parodistico rispetto a quello che c'è oggi nel mondo reale, quindi più gli esseri umani sono vicini e più i tecnobatteri rimangono sopiti per una sorta di cortocircuito wireless.
Se ci si allontana i tecnobatteri si attivano e ti uccidono.
Ecco quindi perchè i sopravissuti sono costretti a vivere in comunità piuttosto asfissianti, tipo un comune Palazzetto dello Sport.

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decimo.tagliapietra
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Re: Agorafobia

Messaggio#5 » giovedì 25 giugno 2020, 8:20

Ciao Dario, ho letto con piacere il tuo racconto. L’idea è buona e meriterebbe uno sviluppo più ampio. Unici dettagli che ti consiglio di approfondire riguardano:

- i dialoghi, sono verosimili ma in alcuni tratti appaiono forzati, si evince la tua necessità a dover spiegare gli antefatti attraverso le parole dei protagonisti

- terminologia: alcuni termini stridono e rallentano il fluire della storia (es. “elucubrare”, “epifania, etc.)

AlastorMaverick
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Re: Agorafobia

Messaggio#6 » domenica 28 giugno 2020, 11:21

Ciao Dario
Il tuo racconto mi è piaciuto molto. Nulla è stato lasciato al caso, si vede che hai pensato bene a ogni risvolto sociale ed economico. Hai anche rovesciato completamente l'attuale situazione pandemica costringendo i personaggi e la loro comunità a stare asserragliati in assembramenti forzati. Bella idea e ottimo sviluppo. Qualche scivolata lieve sulla tecnica soprattutto su alcuni dialoghi che appaiono leggermente forzati ma nulla che impedisca al lettore di godere pienamente di questo racconto dalle mille sfumature. Egregiamente strutturato.

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