Punta al sole
Inviato: venerdì 10 luglio 2020, 8:29
Caldo.
È tutto ciò che so sentire, pensare, in questo momento.
Caldo.
Caldo.
Ma che razza di sole è questo? Tanto forte da non morire mai, inchiodato nel cielo.
Guardalo.
Noi, stremati, con le ossa rotte, la lingua di fuori come cani.
Lui, a picco, sereno, del tutto indifferente alla battaglia che abbiamo combattuto ai suoi piedi da gigante fino a pochi minuti fa.
Adesso, la resa dei conti. Neanche questa vuol perdersi.
E del resto, chi se la perderebbe?
Ma la gente non lo capisce, non se ne è accorta: è col sole che abbiamo lottato, col sole e con nessun altro.
E ora che in quest’arena bollente ho addosso gli occhi di tutti i centomila presenti, ora che anche i compagni, lessati nel loro stesso sudore, rivolgono a me l’implorazione estrema dello sguardo, ora che il colpo decisivo è mio affare esclusivo… non faccio che pensare al caldo che c’è.
Concentrati su altro. Su quello che ti aspetta. Libera la mente da tutto il resto. Lo sai come si fa.
Ma questo caldo bruciante è ovunque, segue ogni respiro, ogni movimento; è come… è come se fosse nella coda dell’occhio della mente.
Tocca a te. Datti una mossa, su.
Niente, le gambe non rispondono.
È il caldo che me le fa tremare? È lo sforzo della corsa, dello scontro fisico, del tiremmolla infinito di tensione e rilascio muscolare?
È tutte queste cose insieme.
Sì, certo, è un orario balordo, in un forno a cielo aperto, col sole… col sole… basta pensare al sole, basta pensare al sole, che diavolo!
A che serve lamentarsi? Sbarazzarsi dei pensieri negativi, ecco ciò che serve. Serve sbarazzarsi di qualunque pensiero che non sia quello, ciò che mi attende a pochi metri. Il caldo, oggi, è di tutti; questo momento è soltanto mio.
Muoviti. Cammina. Su la testa.
Niente, mi cade giù.
Tentare di buttar dentro aria, ossigeno, è inutile, non c’è aria, non c’è ossigeno.
È tutto biancastro, intorno, biancastro e colloso.
Avanzo, e non si muove un alito di vento. È come camminare a filo di pareti in fiamme.
Compagni miei: vorrei regalarvi la speranza del successo, sento questa responsabilità più di quanto desideri vincere per me.
Ho paura. Ho troppa paura di sbagliare. Non è il caldo, non è lo sforzo, è la paura, ad agitarmi il corpo.
È normale, la paura.
«Lo sport va a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfarne, la difficoltà… per vincerla». L’ha detta qualcuno, non ricordo chi.
Ma è di me stesso che ho paura. Di quello che sono. Della versione di me che è arrivata a questo giorno.
È che… volevo esserci, volevo troppo esserci, e invece, forse, sarebbe stato meglio farsi da parte. Perché non c’era magia, oggi. Non l’ho trovata. Nessuna scintilla.
Si sbaglia sempre quando si vuole troppo. Bisogna imparare la rinuncia.
«Dai, dai…!».
Sì, sì, Paolo, ci sono, vado. Lo so che tocca a me.
Tra chi si è accasciato, sfinito o affranto, tra chi ha smesso di guardare davanti a sé… ci sono io.
Ci sono io, che a passo legnoso mi avvicino al punto di snodo del mio destino, anzi, non solo del mio, magari fosse solo del mio!
Me le sono sempre prese, le responsabilità, ma questa è dura, è la più dura di tutte.
Quanti passi ci saranno da qui al punto di esecuzione? Cinquanta? Sessanta?
Ha senso contarli? È un modo per non pensare a quello che mi aspetta? Sicuramente sì. E non deve essere così.
Uno, due, concentrati, quattro, cinque, sei… non guardare indietro, punta dritto… nove, dieci… tutto passa, ad aspettare, e tutto arriva, ad aspettarlo, come diceva Pietro… Pietro, mio primo maestro, guarda dove sono arrivato. Chissà se mi sta guardando… diciotto… sarò arrivato a diciotto passi? Boh.
Venti, ventuno… devi essere lucido. Ventitré, ventiquattro… È tosta, è quasi finita, ma cazzo, non è detta l’ultima parola, non è detta l’ultima parola… trenta? Trentuno, trentadue, trentatré… aaah, non ci sono con la testa. Rientra dentro, ti stai giocando tutto in questi metri, puoi ancora cambiare le cose. Trenta… nove, quaranta, quarantuno, quarantadue, qua… rantatré, quarantaquattro…
Non lo so se sono l’uomo giusto. No, credo di no… non lo sono.
Ho così male al ginocchio… è da tutta la vita che mi fa male il ginocchio. E questi crampi… tira tutto. Vorrei smontarmele, le gambe, metterle a riposo in un angolo, come stampelle, e riprendermele tra qualche ora.
Oh, ci sono. Ne avrò fatti cinquanta? Forse anche qualcuno di più.
Ma basta, che ossessione! Cosa importa dei passi?
Concentrati! Dipende tutto da te!
È proprio questo il problema. Io non sono nato per fare quello che devo. Sono nato per fare quello che mi piace.
Mi piace quello che faccio, ma qui, troppa, troppa responsabilità.
Troppo peso.
Almeno, non ho pensato al caldo… prima di adesso.
Che palle, me lo ricorderò a vita. Non penserò al giorno più importante di tutta la mia esistenza. Penserò al caldo che c’era, comunque vada, penserò soltanto all’aria ferma, a questo sole invincibile.
Ah, ecco la sensazione che stavo aspettando. Il cuore in gola. Il respiro fermo. E no, questa volta il caldo non c’entra.
Questa volta è il momento.
Che frastuono infernale, intorno. Mi ero talmente isolato nella marcia che avevo dimenticato quanta gente ci sia sugli spalti. Li ho tutti addosso.
Ma non lo sentono il caldo, quelli là?
Quante energie hanno ancora per urlare, dimenare le braccia, fissarmi con quegli occhi, come se fossi una bestia rara?
Mi tremano anche le mani, guarda che roba, come sono scivolose.
Senti che bocca. L’unica parte asciutta di tutto il mio corpo. Dovevo bagnarmi le labbra, bere un goccio d’acqua, adesso è tardi.
Odio questa sensazione. Odio stare qui.
Voglio che finisca al più presto.
E tutta questa rincorsa? La prendo sempre così, la rincorsa, non è il momento di cambiare abitudini.
Ma è una rincorsa da salto in lungo.
Sarebbe bello se dovessi solo saltare. Mi piace il salto in lungo.
Vorrei proprio saltare e basta.
Ora lo faccio: corro, corro, corro, e poi, forza sul destro, spicco il volo, faccio mulinare le gambe, disegno una parabola… e mi sfracello al suolo, mi salta pure il ginocchio buono, e la faccio finita qui.
Sta scadendo il tempo.
È ora.
È ora.
Ci sei. La porta è grande. Dipende da te, ma hai tutto lo spazio.
Tira basso. Non importa dove. Tira basso. Basso.
Basso!
Fiiii!
Basso, basso, basso, basso, basso…!
Pam.
No! Alta.
Lo stadio esplode.
Non ci credo, dove cazzo l’ho tirata…
In cielo, l’ho sparata…
È la gamba che ha calciato, non ho calciato io… Ha fatto tutto lei…
E quindi?
Brasile campione del mondo.
E io…
Ho tirato al sole.
È tutto ciò che so sentire, pensare, in questo momento.
Caldo.
Caldo.
Ma che razza di sole è questo? Tanto forte da non morire mai, inchiodato nel cielo.
Guardalo.
Noi, stremati, con le ossa rotte, la lingua di fuori come cani.
Lui, a picco, sereno, del tutto indifferente alla battaglia che abbiamo combattuto ai suoi piedi da gigante fino a pochi minuti fa.
Adesso, la resa dei conti. Neanche questa vuol perdersi.
E del resto, chi se la perderebbe?
Ma la gente non lo capisce, non se ne è accorta: è col sole che abbiamo lottato, col sole e con nessun altro.
E ora che in quest’arena bollente ho addosso gli occhi di tutti i centomila presenti, ora che anche i compagni, lessati nel loro stesso sudore, rivolgono a me l’implorazione estrema dello sguardo, ora che il colpo decisivo è mio affare esclusivo… non faccio che pensare al caldo che c’è.
Concentrati su altro. Su quello che ti aspetta. Libera la mente da tutto il resto. Lo sai come si fa.
Ma questo caldo bruciante è ovunque, segue ogni respiro, ogni movimento; è come… è come se fosse nella coda dell’occhio della mente.
Tocca a te. Datti una mossa, su.
Niente, le gambe non rispondono.
È il caldo che me le fa tremare? È lo sforzo della corsa, dello scontro fisico, del tiremmolla infinito di tensione e rilascio muscolare?
È tutte queste cose insieme.
Sì, certo, è un orario balordo, in un forno a cielo aperto, col sole… col sole… basta pensare al sole, basta pensare al sole, che diavolo!
A che serve lamentarsi? Sbarazzarsi dei pensieri negativi, ecco ciò che serve. Serve sbarazzarsi di qualunque pensiero che non sia quello, ciò che mi attende a pochi metri. Il caldo, oggi, è di tutti; questo momento è soltanto mio.
Muoviti. Cammina. Su la testa.
Niente, mi cade giù.
Tentare di buttar dentro aria, ossigeno, è inutile, non c’è aria, non c’è ossigeno.
È tutto biancastro, intorno, biancastro e colloso.
Avanzo, e non si muove un alito di vento. È come camminare a filo di pareti in fiamme.
Compagni miei: vorrei regalarvi la speranza del successo, sento questa responsabilità più di quanto desideri vincere per me.
Ho paura. Ho troppa paura di sbagliare. Non è il caldo, non è lo sforzo, è la paura, ad agitarmi il corpo.
È normale, la paura.
«Lo sport va a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfarne, la difficoltà… per vincerla». L’ha detta qualcuno, non ricordo chi.
Ma è di me stesso che ho paura. Di quello che sono. Della versione di me che è arrivata a questo giorno.
È che… volevo esserci, volevo troppo esserci, e invece, forse, sarebbe stato meglio farsi da parte. Perché non c’era magia, oggi. Non l’ho trovata. Nessuna scintilla.
Si sbaglia sempre quando si vuole troppo. Bisogna imparare la rinuncia.
«Dai, dai…!».
Sì, sì, Paolo, ci sono, vado. Lo so che tocca a me.
Tra chi si è accasciato, sfinito o affranto, tra chi ha smesso di guardare davanti a sé… ci sono io.
Ci sono io, che a passo legnoso mi avvicino al punto di snodo del mio destino, anzi, non solo del mio, magari fosse solo del mio!
Me le sono sempre prese, le responsabilità, ma questa è dura, è la più dura di tutte.
Quanti passi ci saranno da qui al punto di esecuzione? Cinquanta? Sessanta?
Ha senso contarli? È un modo per non pensare a quello che mi aspetta? Sicuramente sì. E non deve essere così.
Uno, due, concentrati, quattro, cinque, sei… non guardare indietro, punta dritto… nove, dieci… tutto passa, ad aspettare, e tutto arriva, ad aspettarlo, come diceva Pietro… Pietro, mio primo maestro, guarda dove sono arrivato. Chissà se mi sta guardando… diciotto… sarò arrivato a diciotto passi? Boh.
Venti, ventuno… devi essere lucido. Ventitré, ventiquattro… È tosta, è quasi finita, ma cazzo, non è detta l’ultima parola, non è detta l’ultima parola… trenta? Trentuno, trentadue, trentatré… aaah, non ci sono con la testa. Rientra dentro, ti stai giocando tutto in questi metri, puoi ancora cambiare le cose. Trenta… nove, quaranta, quarantuno, quarantadue, qua… rantatré, quarantaquattro…
Non lo so se sono l’uomo giusto. No, credo di no… non lo sono.
Ho così male al ginocchio… è da tutta la vita che mi fa male il ginocchio. E questi crampi… tira tutto. Vorrei smontarmele, le gambe, metterle a riposo in un angolo, come stampelle, e riprendermele tra qualche ora.
Oh, ci sono. Ne avrò fatti cinquanta? Forse anche qualcuno di più.
Ma basta, che ossessione! Cosa importa dei passi?
Concentrati! Dipende tutto da te!
È proprio questo il problema. Io non sono nato per fare quello che devo. Sono nato per fare quello che mi piace.
Mi piace quello che faccio, ma qui, troppa, troppa responsabilità.
Troppo peso.
Almeno, non ho pensato al caldo… prima di adesso.
Che palle, me lo ricorderò a vita. Non penserò al giorno più importante di tutta la mia esistenza. Penserò al caldo che c’era, comunque vada, penserò soltanto all’aria ferma, a questo sole invincibile.
Ah, ecco la sensazione che stavo aspettando. Il cuore in gola. Il respiro fermo. E no, questa volta il caldo non c’entra.
Questa volta è il momento.
Che frastuono infernale, intorno. Mi ero talmente isolato nella marcia che avevo dimenticato quanta gente ci sia sugli spalti. Li ho tutti addosso.
Ma non lo sentono il caldo, quelli là?
Quante energie hanno ancora per urlare, dimenare le braccia, fissarmi con quegli occhi, come se fossi una bestia rara?
Mi tremano anche le mani, guarda che roba, come sono scivolose.
Senti che bocca. L’unica parte asciutta di tutto il mio corpo. Dovevo bagnarmi le labbra, bere un goccio d’acqua, adesso è tardi.
Odio questa sensazione. Odio stare qui.
Voglio che finisca al più presto.
E tutta questa rincorsa? La prendo sempre così, la rincorsa, non è il momento di cambiare abitudini.
Ma è una rincorsa da salto in lungo.
Sarebbe bello se dovessi solo saltare. Mi piace il salto in lungo.
Vorrei proprio saltare e basta.
Ora lo faccio: corro, corro, corro, e poi, forza sul destro, spicco il volo, faccio mulinare le gambe, disegno una parabola… e mi sfracello al suolo, mi salta pure il ginocchio buono, e la faccio finita qui.
Sta scadendo il tempo.
È ora.
È ora.
Ci sei. La porta è grande. Dipende da te, ma hai tutto lo spazio.
Tira basso. Non importa dove. Tira basso. Basso.
Basso!
Fiiii!
Basso, basso, basso, basso, basso…!
Pam.
No! Alta.
Lo stadio esplode.
Non ci credo, dove cazzo l’ho tirata…
In cielo, l’ho sparata…
È la gamba che ha calciato, non ho calciato io… Ha fatto tutto lei…
E quindi?
Brasile campione del mondo.
E io…
Ho tirato al sole.