Colpo d'Incontro
Inviato: lunedì 13 luglio 2020, 21:31
Colpo d’Incontro
Attraverso la hall a passo veloce. Questo è il giorno peggiore della mia vita.
«Le auguro buona serata signor Sinistri.» Il concierge, nella sua divisa da pinguino, mi saluta con un sorriso di plastica.
«Grazie mille…» Vengo qui da anni ormai e non riesco mai a ricordarmi il suo nome. «Buon lavoro a lei.»
Entro nel raggio d’azione della fotocellula e la porta a vetri si apre. L’umidità mi si attacca alla pelle appena metto un piede sul marciapiede. Dall’altra parte della strada l’insegna del bar degli artisti ammicca intermittente, se non ricordo male è un posto abbastanza elegante, difficile incontrare conoscenti in un posto del genere. Un paio di birre sono quello che ci vuole per digerire la “bella notizia” che mi hanno dato oggi quei parrucconi del CONI.
Le strisce pedonali più vicine sono a oltre cento metri alla mia destra, alzo le spalle, troppo lontane, attraverserò qui.
Quando hanno iniziato con: “Le interesserebbe il ruolo di commissario tecnico della nazionale di boxe…” sembrava un sogno, ho sentito un brivido lungo la schiena, il mio desiderio realizzato. Dovevano per forza aggiungere “…femminile.” Sospiro, una Subaru inchioda, i pneumatici stridono contro l’asfalto, la puzza di gomma bruciata pizzica nelle narici, si ferma a pochi metri da me. Il conducente ha ancora il cellulare incastrato tra la guancia e la spalla e urla a squarcia gola qualcosa che non sento perché ha i finestrini chiusi. Finisco di attraversare. Lui riparte sgommando. Povero idiota.
L’inclusione della Boxe femminile nei giochi olimpici, un momento storico lo hanno chiamato, per me è solo una patata bollente; in tre anni dovrei trovare le ragazze col giusto talento e prepararle ad affrontare russe, cinesi e americane. Scuoto la testa, se fallisco la mia carriera è bruciata. Abbasso la maniglia della porta del bar e spingo. «Un compito praticamente impossibile.» Un turbine di ricci neri mi appare davanti seguito da un montante sinistro, la mascella scrocchia, faccio mezzo giro su me stesso, perdo l’equilibrio e finisco lungo disteso a terra.
Mi trovo a fissare i pannelli lavorati e le modanature del soffitto. Passo due dita sulla guancia, appena sfioro il punto dove mandibola e mascella si uniscono, una fitta di dolore mi sale lungo la tempia penetrandomi il cervello. Che pugno! Mi sollevo sul gomito, intorno a me il bar è un macello. Altri tre uomini sono a terra, gli sgabelli rovesciati, il pavimento è pieno di bicchieri rotti e chiazze di birra.
Al bancone di legno scuro la testa pelata del barman fa capolino. «È andata via la pazza?»
Mi rimetto in piedi, era una donna? «La conoscete?»
Anche gli altri iniziano a rialzarsi, uno con una giacca marrone a quadri e una camicia salmone tiene tra pollice e indice un incisivo sporco di sangue e lo fissa con sguardo vacuo. Ha proprio la mano pesante, è un segno del destino.
«Vorrei non conoscerla.» Si alza. «Io li avevo avvisati questi tre dongiovanni…» Guarda il pavimento oltre il bancone. «Che disastro, se rimette piede qua dentro le faccio pagare i danni.»
«Voglio trovarla.» Una così devo averla nella squadra!
Il barman apre una porta dietro il bancone afferra scopa e paletta. «Le consiglio di lasciar perdere, non ne ha avute abbastanza?»
«Non può capire,» Scuoto la testa. «Io devo trovarla.»
Mi passa accanto e solleva un sopracciglio, deve pensare che sono matto. Inizia a raccogliere i frammenti di vetro.
Un altro contuso si avvicina al bancone, ha un occhio chiuso dal gonfiore. «Anche io voglio trovarla per darle quello che merita!» Muove avanti e indietro il bacino in modo da rendere inequivocabili le sue intenzioni. «Mi ha preso di sorpresa, altrimenti—»
«Ma smettila coglione.» L’ultimo avventore si avvicina, perde sangue dal naso.
Tiro fuori dei fazzoletti di carta dal dispenser sul bancone e glieli passo indicandogli il naso.
«Grazie.» Li arrotola e li infila su per le narici. «La nipote di Primo Carnera ti ha steso mentre indietreggiavi spaventato.» Mi guarda è ammicca. «Il suo amor proprio sta peggio del suo occhio. Ascolta il barista, lasciala perdere.»
Occhio pesto sembra voler reagire ma è più basso di Naso rotto di tutta la testa e desiste brontolando sottovoce.
Il barista tornato dietro il bancone butta i frammenti di vetro in un secchio di metallo, afferra straccio e spazzolone e lo sbatte contro il legno della pedana. «Quella è famosa qui in zona, entra nei bar da sola per farsi abbordare in modo da avere una scusa per fare una scazzottata.» Inizia ad asciugare il pavimento. «Non è a posto con la testa.» Si tocca la tempia con l’indice. «C’è da dire però che non le ha mai prese da nessuno a detta dei miei colleghi.»
Questa donna potrebbe essere proprio quella che fa al caso mio.
Occhio pesto aiuta dentino a mettersi su una sedia. «Luigi ci sei?» Gli fa schioccare le dita davanti al naso. «Ti porto al pronto soccorso, hai sbattuto la testa troppo forte.» Nessuna risposta, lo prende sottobraccio ed escono.
«Avete detto che è famosa, sapete come si chiama?»
«Si chiama Brigida Ranetti, ma non vale davvero la pena di cercare vendetta.» Si appoggia con il mento sulla punta del manico dello spazzolone.
«Non fraintendetemi, il mio interesse è professionale.» Entrambi mi fissano senza capire. «Sono l’allenatore della nazionale di boxe femminile e questa Brigida,» Allargo le braccia. «Ha molta stoffa. Devo convincerla a entrare in squadra.»
Il barista scoppia a ridere, lascia cadere il bastone e si afferra la pancia con le mani piegandosi in avanti. Guardo Naso rotto, torno a fissarlo quando inizia a sbattere una mano contro la gamba, la sua risata diventa un fischio. «Devo calmarmi.» Ansima. Riprende a ridere e cerca di ricomporsi allo stesso tempo. «Cosi lei è… Chi lo avrebbe mai detto…» Schiarisce la voce. «Mi scusi, ho solo pensato alla sua reazione alla vostra proposta di portarla alle olimpiadi.»
Adesso vorrei darglielo io un pugno, si accorge del mio umore e indietreggia di un passo.
Naso rotto fa un ghigno e mi indica. «Lei è Mauro Sinistri, combatteva nei pesi medi negli anni ottanta, mi sembrava un viso famigliare.»
«Si sono io.»
Il barman fa un altro passo indietro, si volta, afferra un post-it giallo, ci scarabocchia sopra qualcosa e me lo porge. «Questo è l’indirizzo di Brigida, non ho il suo numero di telefono mi dispiace. Non volevo offenderla ma la situazione è così incredibile che…»
Prendo il biglietto. «Grazie mille.» Viale De Coubertin 36. «Dista molto?»
Si morde il labbro. «Col traffico che c’è di solito…» Sposta l’indice per aria come se ripercorresse il percorso a memoria. «Dieci, quindici minuti in macchina.»
***
«Fanno quindici euro.» Il tassista batte l’indice sul tassametro.
Apro il portafogli prendo una banconota rosa e una verde e gliele porgo. Apro la portiera e scendo, il taxi riparte.
Inspiro a pieni polmoni l’aria fresca del mattino. La palazzina è in fondo ad un vialetto al centro di un grande giardino pieno di pini marittimi. L’edificio, dall’intonaco scrostato, non ha piano terra ma si sorregge su delle colonne che permettono di vedere il retro. Scorro con il dito i nomi sui citofoni, l’ultimo in basso nella colonna di sinistra è quello che mi interessa, Ranetti B. Guardo l’orologio, segna le nove e tre quarti. Non è troppo presto. Premo il pulsante, nessuna risposta, dovrò aspettare. All’ombra di un oleandro, una panchina di legno dipinta di rosa spicca tra le piante, almeno non aspetterò in piedi. Faccio due passi in quella direzione ma vengo interrotto dal fischio di una cinghia di trasmissione allentata. Una panda 750 imbocca il vialetto a gran velocità rimbalzando per la salita del passo carraio. È di un rosso slavato, dalla vernice scrostata si vedono macchie di ruggine, fa il giro attorno al palazzo e si ferma nel parcheggio sul retro, la portiera si apre e scende Brigida, quella nuvola di ricci è inconfondibile.
Attraverso a passo svelto quella specie di porticato. «Signorina Ranetti,» Alzo il braccio per attirare la sua attenzione «ho bisogno di parlarle.»
Mi fissa con gli occhi socchiusi, fa sbattere lo sportello ma non si sposta da li. «Ho detto a Sandro che riavrà i suoi soldi la settimana prossima, sparisci!»
«Non conosco questo Sandro e non so nulla dei soldi. Mi chiamo Mauro Sinistri e ho una proposta per te, se mi vuoi ascoltare.»
«Ho capito chi sei.» Stringe i pugni e li porta al mento. «Ieri sera quando uscivo dal bar…»
Metto le mani avanti. «Non cerco uno scontro, volevo dirti—»
«Sei uno di quegli stronzi che non accettano di prenderle da una donna, ti faccio vedere io.» Fa un passo verso di me. «Chi ti ha dato il mio indirizzo?»
«Se mi dai il tempo di spiegare, capiresti che occasione—»
Mi carica a testa bassa, alzo la guardia e inizio a saltellare. Te la sei cercata ragazzina. Sferra un diretto di destro, lo schivo e la colpisco un gancio allo stomaco. Brigida si piega in avanti, da un colpo di tosse e si accascia al suolo. Mi fissa con odio, boccheggia cercando di dire qualcosa ma non ha abbastanza fiato.
«Bene, almeno adesso mi ascolterai. Sono l’allenatore della nazionale di boxe femminile.»
Alza un sopracciglio come se non capisse le mie parole.
Mi avvicino di un passo. «Tu hai talento Brigida.» Mi accarezzo la guancia e sento il livido sottopelle. «L’ho provato personalmente. Vorrei che ti unissi alla squadra che parteciperà alle olimpiadi del 2012.»
«Ma per favore…» Sussurra a fatica mettendosi seduta.
Le tendo la mano per aiutarla ad alzarsi in piedi, me la colpisce con uno schiaffo.
«Non so che problemi tu abbia ma non te la passi bene. Se non trovi quello che reagisce e ti riempie di botte,» Con il pollice indico alle mie spalle il Pandino scassato. «ti ammazzi su quella.»
«Fottiti stronzo.» Si alza. «Nessuno è mai riuscito a colpirmi.»
Pianto le mani sui fianchi. «Hai problemi con la memoria a breve termine? Ti ricordi come sei finita al tappeto?»
Mi fa il medio. «Non conta, sei un professionista.»
«Puoi diventarlo anche tu, devi solo dirmi di sì.»
«Non mi interessa, la mia vita mi piace così.» Si volta e si dirige verso il portone a vetri del condominio.
Prendo il portafogli, cerco un pezzo di carta su cui scrivere e trovo il biglietto da visita di un agente immobiliare. «Aspetta!»
Brigida si volta. «Che vuoi ancora? Ho detto che non mi frega niente della tua offerta.»
«Hai una penna? Ti scrivo l’indirizzo.»
Mi guarda. «Sei un tipo insistente… Poi mi lasci in pace?»
Annuisco.
Apre la borsa e fruga dentro, tira fuori una biro nera e me la lancia.
La prendo al volo. «Grazie.»
«Cosa ci guadagni?» Afferra il biglietto tra indice e medio.
«Ho bisogno di pugili con la grinta che hai tu.»
Legge il biglietto e scoppia a ridere isterica. «Milano? Tu sei pazzo.» Scuote la testa e si allontana di nuovo. «Dovrei mollare tutto e trasferirmi a Milano?»
«Mollare tutto cosa?»
Si blocca irrigidendo i muscoli.
Ho toccato la corda giusta. «Avrai vitto, alloggio e un rimborso spese. Verresti pagata per prendere a pugni qualcuno, pensaci.»
Riprende a camminare. «Non ci contare.» Infila la chiave nella toppa ed entra.
Chissà se deciderà di venire.
***
Apro il portatile, sullo schermo appare la collinetta illuminata dal sole con la bandierina colorata di Windows. Al centro dello schermo c’è il file sull’aggiornamento delle normative sulla sicurezza nelle strutture sportive che mi ha preparato ieri Claudia. Ci clicco sopra due volte.
Apertura file in corso. Attendere prego.
Porto le mani dietro la testa, afferro lo schienale della sedia e mi inarco facendo scrocchiare un paio di vertebre. Odio il lavoro d’ufficio ma come lei mi ricorda sempre, sono io il responsabile e devo essere al corrente di tutto.
Il file si apre, controllo in basso a sinistra il numero di pagine. «Quarantanove?» Sarò bloccato qui dentro tutto il giorno. Abbasso lo sguardo sulla tastiera e mi massaggio le tempie con le dita. Dalla palestra oltre la parete sento le ragazze che chiacchierano, stanno per iniziare ad allenarsi. «Sono brave e si stanno impegnando, si faranno valere ai giochi.» Sospiro. «Peccato che Brigida non si sia fatta vedere, ormai è passato un mese.»
La prospettiva di passare la giornata chiuso qui dentro si è appena fatta più deprimente.
Toc toc.
«Avanti.»
Il viso dalla pelle olivastra di Elvira fa capolino.
«Mister è arrivata una pazza con la testa piena di ricci che chiede di vederti, dice che le hai detto tu di venire. La conosci?»
Con la porta aperta quelle che credevo essere chiacchere diventano urla e parolacce. Sorrido, ce ne ha messo di tempo a decidersi. Annuisco.
«Peccato sia arrivata proprio ora che stavo per mettermi a studiare questa roba.» Faccio schioccare le dita. «Una vera disdetta.»
Elvira sorride, sa che la burocrazia non fa per me. Usciamo dall’ufficio.
«Toglietemi le mani di dosso!» Brigida si dimena tra le braccia di Caterina e Antonia che la tengono ferma.
«Ragazze basta così.»
«Mister,» Caterina stringe più forte il braccio di Brigida. «Quando le abbiamo chiesto chi fosse ha cercato di aggredirci!»
Prendo un paio di guantoni appesi alla parete e li lancio a Brigida. «Fammi vedere che sai fare.» Indico il ring.
Elvira le si avvicina. «Se vuoi ti faccio vedere come metterli.»
«Non me ne faccio niente del tuo aiuto nana!» La spinge verso le altre due.
«Cazzo vuoi!» Le si fa incontro minacciosa.
Brigida alza la guardia.
«Ferme!» Mi paro in mezzo a loro tenendole a distanza. «Qui si combatte solo sul ring. Dovevo comunque scegliere qualcuno per fare sparring con la novellina, Elvira ti offri volontaria?»
«Sarà un piacere...» Vedo il fuoco nei suoi occhi.
«Vacci piano.» È sempre tanto dolce con tutti ma quando si arrabbia fa paura anche a me.
Brigida mi guarda con aria di sfida. «Io non gioco con le bambine.»
«Mia la palestra, mie le regole. Antonia tu farai da secondo a Brigida, trovale un caschetto e un morso.»
Annuisce e si dirige al magazzino. Elvira ringhiando afferra le sue cose, sale sul ring e fa un po’ di stretching con le corde, Caterina le fa da secondo.
Brigida si leva le scarpe, si arrampica sul ring e inizia a tirare pugni al vento. Vuole intimidirla con la sua stazza, vedremo se riesce a prenderla.
Salgo anche io passando dagli scalini. Non sono più un ragazzino. «Agli angoli signore! Tre riprese, vince chi se ne aggiudica due. Al mio tre partite. Ok?»
Annuiscono entrambe.
«Uno…» Mi porto al centro del ring. «Due…» Sollevo il braccio destro. «Tre!» Abbasso il braccio e mi faccio da parte.
Brigida carica così in fretta che sembra un toro, Elvira non riesce nemmeno a raggiungere il centro del ring. Le sferra un diretto al viso ma la manca, lascia l’addome scoperto ed è costretta ad incassare due pugni veloci sulle costole. Cerca di scacciarla con una spazzata del braccio.
Elvira ci passa sotto e si sposta davanti a lei centrandola con un gancio sinistro. Brigida barcolla all’indietro.
«Agli angoli!» Torno al centro del ring. «Questo round va a Elvira.»
Antonia porge l’acqua a Brigida e le sussurra qualcosa.
Brigida le lancia il bicchiere addosso infradiciandola. «Non mi servono i tuoi stupidi consigli.»
Antonia rimane a bocca aperta poi si allontana verso gli spogliatoi con un’alzata di spalle. Brigida dovrà smussare un bel po’ il suo caratterino se vuole entrare nella squadra.
«Secondo round!»
Brigida carica di nuovo ma questa volta Elvira l’aspetta immobile fino all’ultimo istante, fa una finta scoprendo il viso, Brigida ci casca e ne approfitta per sferrare il suo diretto.
Elvira se lo fa scorrere sopra la spalla e appena si trova alla distanza giusta la colpisce dritta sul naso mandandola a terra.
«Vince Elvira!» Le alzo il braccio.
Brigida si siede e mi lancia addosso il caschetto. «Mi hai fatta venire fin qui per umiliarmi? Per vedere che figura di merda faceva l’attaccabrighe burina? Eh?» Scoppia in lacrime.
«Ti sbagli.» Mi accovaccio accanto a lei. «Questo serviva per farti capire quanto devi lavorare se vuoi fare sul serio.» Le porgo un fazzoletto. «Qui sei l’ultima arrivata dovrai aiutare le altre, fare come ti si dice e allenarti più sodo di chiunque altro.»
Si asciuga gli occhi e mi guarda dal basso in alto, la strafottenza è sparita.
«Dovrai fare squadra, altrimenti…»
Le porgo la mano per aiutarla a rialzarsi. Questa volta la accetta.
«Altrimenti?» Ha la voce roca per il pianto.
Le indico la porta della palestra. «Puoi tornare a picchiare porci nei bar di Roma.»
Asciuga le guance col dorso della mano e ci guarda tutti a uno a uno. «Vorrei restare mister.» Abbassa il capo. «Vi chiedo scusa se ho fatto la stronza fino ad ora, ho un pessimo carattere.»
Sorrido. Guardo l’orologio, sono le undici e un quarto. Devo avvisare Claudia che serve un pasto in più.
«Fatele fare il giro turistico, devo fare delle telefonate.»
Elvira da una pacca sulla spalla a Brigida. «Quando avrai imparato sarai un avversaria tosta.»
***
«Sono Arrivata!» Claudia entra spingendo col culo la porta della palestra, in mano ha due enormi buste di carta piene di roba, le appoggia sul tavolo. «Qualcuno ha intenzione di venirmi ad aiutare?» Sistema il ciuffo dietro l’orecchio, deve essere stata dal parrucchiere, non vedo più la ricrescita grigia, forse dovrei invitarla a cena...
Brigida si fionda da lei. «Scusami Claudia, stavo pulendo i guantoni.»
Le sorride e le dà un pugno sulla spalla. «Non ti preoccupare tigre, ora sei qui.»
Apparecchiano e io, seduto su una panca col portatile sulle ginocchia, continuo a far finta di leggere una dispensa sulle normative antidoping che farebbe crollare addormentato chiunque. Anche le altre ragazze si siedono a tavola.
«Mauro! Vieni, non fingere di fare lo stakanovista. Lo sappiamo che fai finta.» Da il cinque ad Antonia che sta ridendo lì accanto.
Sbuffo, sempre a sfottere. Appoggio il portatile e le raggiungo.
Caterina si allunga sul tavolo per prendere la bottiglia d’acqua. «Brigida non ci hai ancora raccontato come il mister ti ha convinta a venire qua!»
Arrossisce, si guarda attorno e tutti la fissiamo.
«A dire il vero.» mi gratto la testa. «Anche io sono curioso di sapere come ho fatto.»
«È una cosa stupida.» Mette le mani avanti. «Promettete di non ridere.»
Annuiamo. Lei ci guarda sospettosa poi annuisce.
«Avete presente quel detto orientale che dice tipo: Quando l’allievo è pronto è il maestro a trovarlo?» Si stringe nelle spalle. «Dopo che ti ho mandato via quel giorno, ci ho pensato molto e mi sono sentita così…»
Scoppiamo tutti a ridere infrangendo la promessa. Brigida mette il broncio per alcuni secondi poi ride anche lei.
Attraverso la hall a passo veloce. Questo è il giorno peggiore della mia vita.
«Le auguro buona serata signor Sinistri.» Il concierge, nella sua divisa da pinguino, mi saluta con un sorriso di plastica.
«Grazie mille…» Vengo qui da anni ormai e non riesco mai a ricordarmi il suo nome. «Buon lavoro a lei.»
Entro nel raggio d’azione della fotocellula e la porta a vetri si apre. L’umidità mi si attacca alla pelle appena metto un piede sul marciapiede. Dall’altra parte della strada l’insegna del bar degli artisti ammicca intermittente, se non ricordo male è un posto abbastanza elegante, difficile incontrare conoscenti in un posto del genere. Un paio di birre sono quello che ci vuole per digerire la “bella notizia” che mi hanno dato oggi quei parrucconi del CONI.
Le strisce pedonali più vicine sono a oltre cento metri alla mia destra, alzo le spalle, troppo lontane, attraverserò qui.
Quando hanno iniziato con: “Le interesserebbe il ruolo di commissario tecnico della nazionale di boxe…” sembrava un sogno, ho sentito un brivido lungo la schiena, il mio desiderio realizzato. Dovevano per forza aggiungere “…femminile.” Sospiro, una Subaru inchioda, i pneumatici stridono contro l’asfalto, la puzza di gomma bruciata pizzica nelle narici, si ferma a pochi metri da me. Il conducente ha ancora il cellulare incastrato tra la guancia e la spalla e urla a squarcia gola qualcosa che non sento perché ha i finestrini chiusi. Finisco di attraversare. Lui riparte sgommando. Povero idiota.
L’inclusione della Boxe femminile nei giochi olimpici, un momento storico lo hanno chiamato, per me è solo una patata bollente; in tre anni dovrei trovare le ragazze col giusto talento e prepararle ad affrontare russe, cinesi e americane. Scuoto la testa, se fallisco la mia carriera è bruciata. Abbasso la maniglia della porta del bar e spingo. «Un compito praticamente impossibile.» Un turbine di ricci neri mi appare davanti seguito da un montante sinistro, la mascella scrocchia, faccio mezzo giro su me stesso, perdo l’equilibrio e finisco lungo disteso a terra.
Mi trovo a fissare i pannelli lavorati e le modanature del soffitto. Passo due dita sulla guancia, appena sfioro il punto dove mandibola e mascella si uniscono, una fitta di dolore mi sale lungo la tempia penetrandomi il cervello. Che pugno! Mi sollevo sul gomito, intorno a me il bar è un macello. Altri tre uomini sono a terra, gli sgabelli rovesciati, il pavimento è pieno di bicchieri rotti e chiazze di birra.
Al bancone di legno scuro la testa pelata del barman fa capolino. «È andata via la pazza?»
Mi rimetto in piedi, era una donna? «La conoscete?»
Anche gli altri iniziano a rialzarsi, uno con una giacca marrone a quadri e una camicia salmone tiene tra pollice e indice un incisivo sporco di sangue e lo fissa con sguardo vacuo. Ha proprio la mano pesante, è un segno del destino.
«Vorrei non conoscerla.» Si alza. «Io li avevo avvisati questi tre dongiovanni…» Guarda il pavimento oltre il bancone. «Che disastro, se rimette piede qua dentro le faccio pagare i danni.»
«Voglio trovarla.» Una così devo averla nella squadra!
Il barman apre una porta dietro il bancone afferra scopa e paletta. «Le consiglio di lasciar perdere, non ne ha avute abbastanza?»
«Non può capire,» Scuoto la testa. «Io devo trovarla.»
Mi passa accanto e solleva un sopracciglio, deve pensare che sono matto. Inizia a raccogliere i frammenti di vetro.
Un altro contuso si avvicina al bancone, ha un occhio chiuso dal gonfiore. «Anche io voglio trovarla per darle quello che merita!» Muove avanti e indietro il bacino in modo da rendere inequivocabili le sue intenzioni. «Mi ha preso di sorpresa, altrimenti—»
«Ma smettila coglione.» L’ultimo avventore si avvicina, perde sangue dal naso.
Tiro fuori dei fazzoletti di carta dal dispenser sul bancone e glieli passo indicandogli il naso.
«Grazie.» Li arrotola e li infila su per le narici. «La nipote di Primo Carnera ti ha steso mentre indietreggiavi spaventato.» Mi guarda è ammicca. «Il suo amor proprio sta peggio del suo occhio. Ascolta il barista, lasciala perdere.»
Occhio pesto sembra voler reagire ma è più basso di Naso rotto di tutta la testa e desiste brontolando sottovoce.
Il barista tornato dietro il bancone butta i frammenti di vetro in un secchio di metallo, afferra straccio e spazzolone e lo sbatte contro il legno della pedana. «Quella è famosa qui in zona, entra nei bar da sola per farsi abbordare in modo da avere una scusa per fare una scazzottata.» Inizia ad asciugare il pavimento. «Non è a posto con la testa.» Si tocca la tempia con l’indice. «C’è da dire però che non le ha mai prese da nessuno a detta dei miei colleghi.»
Questa donna potrebbe essere proprio quella che fa al caso mio.
Occhio pesto aiuta dentino a mettersi su una sedia. «Luigi ci sei?» Gli fa schioccare le dita davanti al naso. «Ti porto al pronto soccorso, hai sbattuto la testa troppo forte.» Nessuna risposta, lo prende sottobraccio ed escono.
«Avete detto che è famosa, sapete come si chiama?»
«Si chiama Brigida Ranetti, ma non vale davvero la pena di cercare vendetta.» Si appoggia con il mento sulla punta del manico dello spazzolone.
«Non fraintendetemi, il mio interesse è professionale.» Entrambi mi fissano senza capire. «Sono l’allenatore della nazionale di boxe femminile e questa Brigida,» Allargo le braccia. «Ha molta stoffa. Devo convincerla a entrare in squadra.»
Il barista scoppia a ridere, lascia cadere il bastone e si afferra la pancia con le mani piegandosi in avanti. Guardo Naso rotto, torno a fissarlo quando inizia a sbattere una mano contro la gamba, la sua risata diventa un fischio. «Devo calmarmi.» Ansima. Riprende a ridere e cerca di ricomporsi allo stesso tempo. «Cosi lei è… Chi lo avrebbe mai detto…» Schiarisce la voce. «Mi scusi, ho solo pensato alla sua reazione alla vostra proposta di portarla alle olimpiadi.»
Adesso vorrei darglielo io un pugno, si accorge del mio umore e indietreggia di un passo.
Naso rotto fa un ghigno e mi indica. «Lei è Mauro Sinistri, combatteva nei pesi medi negli anni ottanta, mi sembrava un viso famigliare.»
«Si sono io.»
Il barman fa un altro passo indietro, si volta, afferra un post-it giallo, ci scarabocchia sopra qualcosa e me lo porge. «Questo è l’indirizzo di Brigida, non ho il suo numero di telefono mi dispiace. Non volevo offenderla ma la situazione è così incredibile che…»
Prendo il biglietto. «Grazie mille.» Viale De Coubertin 36. «Dista molto?»
Si morde il labbro. «Col traffico che c’è di solito…» Sposta l’indice per aria come se ripercorresse il percorso a memoria. «Dieci, quindici minuti in macchina.»
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«Fanno quindici euro.» Il tassista batte l’indice sul tassametro.
Apro il portafogli prendo una banconota rosa e una verde e gliele porgo. Apro la portiera e scendo, il taxi riparte.
Inspiro a pieni polmoni l’aria fresca del mattino. La palazzina è in fondo ad un vialetto al centro di un grande giardino pieno di pini marittimi. L’edificio, dall’intonaco scrostato, non ha piano terra ma si sorregge su delle colonne che permettono di vedere il retro. Scorro con il dito i nomi sui citofoni, l’ultimo in basso nella colonna di sinistra è quello che mi interessa, Ranetti B. Guardo l’orologio, segna le nove e tre quarti. Non è troppo presto. Premo il pulsante, nessuna risposta, dovrò aspettare. All’ombra di un oleandro, una panchina di legno dipinta di rosa spicca tra le piante, almeno non aspetterò in piedi. Faccio due passi in quella direzione ma vengo interrotto dal fischio di una cinghia di trasmissione allentata. Una panda 750 imbocca il vialetto a gran velocità rimbalzando per la salita del passo carraio. È di un rosso slavato, dalla vernice scrostata si vedono macchie di ruggine, fa il giro attorno al palazzo e si ferma nel parcheggio sul retro, la portiera si apre e scende Brigida, quella nuvola di ricci è inconfondibile.
Attraverso a passo svelto quella specie di porticato. «Signorina Ranetti,» Alzo il braccio per attirare la sua attenzione «ho bisogno di parlarle.»
Mi fissa con gli occhi socchiusi, fa sbattere lo sportello ma non si sposta da li. «Ho detto a Sandro che riavrà i suoi soldi la settimana prossima, sparisci!»
«Non conosco questo Sandro e non so nulla dei soldi. Mi chiamo Mauro Sinistri e ho una proposta per te, se mi vuoi ascoltare.»
«Ho capito chi sei.» Stringe i pugni e li porta al mento. «Ieri sera quando uscivo dal bar…»
Metto le mani avanti. «Non cerco uno scontro, volevo dirti—»
«Sei uno di quegli stronzi che non accettano di prenderle da una donna, ti faccio vedere io.» Fa un passo verso di me. «Chi ti ha dato il mio indirizzo?»
«Se mi dai il tempo di spiegare, capiresti che occasione—»
Mi carica a testa bassa, alzo la guardia e inizio a saltellare. Te la sei cercata ragazzina. Sferra un diretto di destro, lo schivo e la colpisco un gancio allo stomaco. Brigida si piega in avanti, da un colpo di tosse e si accascia al suolo. Mi fissa con odio, boccheggia cercando di dire qualcosa ma non ha abbastanza fiato.
«Bene, almeno adesso mi ascolterai. Sono l’allenatore della nazionale di boxe femminile.»
Alza un sopracciglio come se non capisse le mie parole.
Mi avvicino di un passo. «Tu hai talento Brigida.» Mi accarezzo la guancia e sento il livido sottopelle. «L’ho provato personalmente. Vorrei che ti unissi alla squadra che parteciperà alle olimpiadi del 2012.»
«Ma per favore…» Sussurra a fatica mettendosi seduta.
Le tendo la mano per aiutarla ad alzarsi in piedi, me la colpisce con uno schiaffo.
«Non so che problemi tu abbia ma non te la passi bene. Se non trovi quello che reagisce e ti riempie di botte,» Con il pollice indico alle mie spalle il Pandino scassato. «ti ammazzi su quella.»
«Fottiti stronzo.» Si alza. «Nessuno è mai riuscito a colpirmi.»
Pianto le mani sui fianchi. «Hai problemi con la memoria a breve termine? Ti ricordi come sei finita al tappeto?»
Mi fa il medio. «Non conta, sei un professionista.»
«Puoi diventarlo anche tu, devi solo dirmi di sì.»
«Non mi interessa, la mia vita mi piace così.» Si volta e si dirige verso il portone a vetri del condominio.
Prendo il portafogli, cerco un pezzo di carta su cui scrivere e trovo il biglietto da visita di un agente immobiliare. «Aspetta!»
Brigida si volta. «Che vuoi ancora? Ho detto che non mi frega niente della tua offerta.»
«Hai una penna? Ti scrivo l’indirizzo.»
Mi guarda. «Sei un tipo insistente… Poi mi lasci in pace?»
Annuisco.
Apre la borsa e fruga dentro, tira fuori una biro nera e me la lancia.
La prendo al volo. «Grazie.»
«Cosa ci guadagni?» Afferra il biglietto tra indice e medio.
«Ho bisogno di pugili con la grinta che hai tu.»
Legge il biglietto e scoppia a ridere isterica. «Milano? Tu sei pazzo.» Scuote la testa e si allontana di nuovo. «Dovrei mollare tutto e trasferirmi a Milano?»
«Mollare tutto cosa?»
Si blocca irrigidendo i muscoli.
Ho toccato la corda giusta. «Avrai vitto, alloggio e un rimborso spese. Verresti pagata per prendere a pugni qualcuno, pensaci.»
Riprende a camminare. «Non ci contare.» Infila la chiave nella toppa ed entra.
Chissà se deciderà di venire.
***
Apro il portatile, sullo schermo appare la collinetta illuminata dal sole con la bandierina colorata di Windows. Al centro dello schermo c’è il file sull’aggiornamento delle normative sulla sicurezza nelle strutture sportive che mi ha preparato ieri Claudia. Ci clicco sopra due volte.
Apertura file in corso. Attendere prego.
Porto le mani dietro la testa, afferro lo schienale della sedia e mi inarco facendo scrocchiare un paio di vertebre. Odio il lavoro d’ufficio ma come lei mi ricorda sempre, sono io il responsabile e devo essere al corrente di tutto.
Il file si apre, controllo in basso a sinistra il numero di pagine. «Quarantanove?» Sarò bloccato qui dentro tutto il giorno. Abbasso lo sguardo sulla tastiera e mi massaggio le tempie con le dita. Dalla palestra oltre la parete sento le ragazze che chiacchierano, stanno per iniziare ad allenarsi. «Sono brave e si stanno impegnando, si faranno valere ai giochi.» Sospiro. «Peccato che Brigida non si sia fatta vedere, ormai è passato un mese.»
La prospettiva di passare la giornata chiuso qui dentro si è appena fatta più deprimente.
Toc toc.
«Avanti.»
Il viso dalla pelle olivastra di Elvira fa capolino.
«Mister è arrivata una pazza con la testa piena di ricci che chiede di vederti, dice che le hai detto tu di venire. La conosci?»
Con la porta aperta quelle che credevo essere chiacchere diventano urla e parolacce. Sorrido, ce ne ha messo di tempo a decidersi. Annuisco.
«Peccato sia arrivata proprio ora che stavo per mettermi a studiare questa roba.» Faccio schioccare le dita. «Una vera disdetta.»
Elvira sorride, sa che la burocrazia non fa per me. Usciamo dall’ufficio.
«Toglietemi le mani di dosso!» Brigida si dimena tra le braccia di Caterina e Antonia che la tengono ferma.
«Ragazze basta così.»
«Mister,» Caterina stringe più forte il braccio di Brigida. «Quando le abbiamo chiesto chi fosse ha cercato di aggredirci!»
Prendo un paio di guantoni appesi alla parete e li lancio a Brigida. «Fammi vedere che sai fare.» Indico il ring.
Elvira le si avvicina. «Se vuoi ti faccio vedere come metterli.»
«Non me ne faccio niente del tuo aiuto nana!» La spinge verso le altre due.
«Cazzo vuoi!» Le si fa incontro minacciosa.
Brigida alza la guardia.
«Ferme!» Mi paro in mezzo a loro tenendole a distanza. «Qui si combatte solo sul ring. Dovevo comunque scegliere qualcuno per fare sparring con la novellina, Elvira ti offri volontaria?»
«Sarà un piacere...» Vedo il fuoco nei suoi occhi.
«Vacci piano.» È sempre tanto dolce con tutti ma quando si arrabbia fa paura anche a me.
Brigida mi guarda con aria di sfida. «Io non gioco con le bambine.»
«Mia la palestra, mie le regole. Antonia tu farai da secondo a Brigida, trovale un caschetto e un morso.»
Annuisce e si dirige al magazzino. Elvira ringhiando afferra le sue cose, sale sul ring e fa un po’ di stretching con le corde, Caterina le fa da secondo.
Brigida si leva le scarpe, si arrampica sul ring e inizia a tirare pugni al vento. Vuole intimidirla con la sua stazza, vedremo se riesce a prenderla.
Salgo anche io passando dagli scalini. Non sono più un ragazzino. «Agli angoli signore! Tre riprese, vince chi se ne aggiudica due. Al mio tre partite. Ok?»
Annuiscono entrambe.
«Uno…» Mi porto al centro del ring. «Due…» Sollevo il braccio destro. «Tre!» Abbasso il braccio e mi faccio da parte.
Brigida carica così in fretta che sembra un toro, Elvira non riesce nemmeno a raggiungere il centro del ring. Le sferra un diretto al viso ma la manca, lascia l’addome scoperto ed è costretta ad incassare due pugni veloci sulle costole. Cerca di scacciarla con una spazzata del braccio.
Elvira ci passa sotto e si sposta davanti a lei centrandola con un gancio sinistro. Brigida barcolla all’indietro.
«Agli angoli!» Torno al centro del ring. «Questo round va a Elvira.»
Antonia porge l’acqua a Brigida e le sussurra qualcosa.
Brigida le lancia il bicchiere addosso infradiciandola. «Non mi servono i tuoi stupidi consigli.»
Antonia rimane a bocca aperta poi si allontana verso gli spogliatoi con un’alzata di spalle. Brigida dovrà smussare un bel po’ il suo caratterino se vuole entrare nella squadra.
«Secondo round!»
Brigida carica di nuovo ma questa volta Elvira l’aspetta immobile fino all’ultimo istante, fa una finta scoprendo il viso, Brigida ci casca e ne approfitta per sferrare il suo diretto.
Elvira se lo fa scorrere sopra la spalla e appena si trova alla distanza giusta la colpisce dritta sul naso mandandola a terra.
«Vince Elvira!» Le alzo il braccio.
Brigida si siede e mi lancia addosso il caschetto. «Mi hai fatta venire fin qui per umiliarmi? Per vedere che figura di merda faceva l’attaccabrighe burina? Eh?» Scoppia in lacrime.
«Ti sbagli.» Mi accovaccio accanto a lei. «Questo serviva per farti capire quanto devi lavorare se vuoi fare sul serio.» Le porgo un fazzoletto. «Qui sei l’ultima arrivata dovrai aiutare le altre, fare come ti si dice e allenarti più sodo di chiunque altro.»
Si asciuga gli occhi e mi guarda dal basso in alto, la strafottenza è sparita.
«Dovrai fare squadra, altrimenti…»
Le porgo la mano per aiutarla a rialzarsi. Questa volta la accetta.
«Altrimenti?» Ha la voce roca per il pianto.
Le indico la porta della palestra. «Puoi tornare a picchiare porci nei bar di Roma.»
Asciuga le guance col dorso della mano e ci guarda tutti a uno a uno. «Vorrei restare mister.» Abbassa il capo. «Vi chiedo scusa se ho fatto la stronza fino ad ora, ho un pessimo carattere.»
Sorrido. Guardo l’orologio, sono le undici e un quarto. Devo avvisare Claudia che serve un pasto in più.
«Fatele fare il giro turistico, devo fare delle telefonate.»
Elvira da una pacca sulla spalla a Brigida. «Quando avrai imparato sarai un avversaria tosta.»
***
«Sono Arrivata!» Claudia entra spingendo col culo la porta della palestra, in mano ha due enormi buste di carta piene di roba, le appoggia sul tavolo. «Qualcuno ha intenzione di venirmi ad aiutare?» Sistema il ciuffo dietro l’orecchio, deve essere stata dal parrucchiere, non vedo più la ricrescita grigia, forse dovrei invitarla a cena...
Brigida si fionda da lei. «Scusami Claudia, stavo pulendo i guantoni.»
Le sorride e le dà un pugno sulla spalla. «Non ti preoccupare tigre, ora sei qui.»
Apparecchiano e io, seduto su una panca col portatile sulle ginocchia, continuo a far finta di leggere una dispensa sulle normative antidoping che farebbe crollare addormentato chiunque. Anche le altre ragazze si siedono a tavola.
«Mauro! Vieni, non fingere di fare lo stakanovista. Lo sappiamo che fai finta.» Da il cinque ad Antonia che sta ridendo lì accanto.
Sbuffo, sempre a sfottere. Appoggio il portatile e le raggiungo.
Caterina si allunga sul tavolo per prendere la bottiglia d’acqua. «Brigida non ci hai ancora raccontato come il mister ti ha convinta a venire qua!»
Arrossisce, si guarda attorno e tutti la fissiamo.
«A dire il vero.» mi gratto la testa. «Anche io sono curioso di sapere come ho fatto.»
«È una cosa stupida.» Mette le mani avanti. «Promettete di non ridere.»
Annuiamo. Lei ci guarda sospettosa poi annuisce.
«Avete presente quel detto orientale che dice tipo: Quando l’allievo è pronto è il maestro a trovarlo?» Si stringe nelle spalle. «Dopo che ti ho mandato via quel giorno, ci ho pensato molto e mi sono sentita così…»
Scoppiamo tutti a ridere infrangendo la promessa. Brigida mette il broncio per alcuni secondi poi ride anche lei.