Le facce della medaglia
Inviato: martedì 14 luglio 2020, 21:19
Le facce della medaglia
Arrivai una mattina di settembre.
Ero inquieto, finalmente sarei tornato a servire il mio paese dopo l’incidente e la lunga degenza che aveva comportato.
Alla stazione mi attendeva una piccola scorta: un ufficiale ed un autista.
“Benvenuto signor Schlecht, come sta? È andato bene il suo viaggio?”
“Benissimo, grazie. Le nostre ferrovie, come la nostra grande nazione, sono perfettamente funzionanti”.
L’ufficiale mi sorrise compiaciuto, fece un cenno all’autista che prese in carico il mio bagaglio.
“È molto distante il campo?” chiesi, più per rompere il silenzio che per una sincera curiosità.
“No, non molto, basta inoltrarsi per poco nelle campagne per raggiungerlo. È presente anche una stazione ma abbiamo preferito farla arrivare qui per permetterle di dare un’occhiata alla città e alle zone limitrofe”
Il cielo, che fino a poco prima mi era parso terso, ora mi sembrava nuvoloso e più scuro, fiocchi grigi turbinavano nell’aere. Era troppo presto per la prima neve.
Dopo l'incidente la mia vista non era più la stessa e mi risultava ancora più difficoltoso interpretare quel peculiare fenomeno metereologico.
L’ufficiale notò cosa stavo osservando.
“Qui l'aria è sempre così, all’inizio ci si sorprende ma ben presto si abituerà, non si preoccupi”.
La mattinata trascorse rapida sbrigando le formalità di rito, fui registrato, mi illustrarono la geografia del luogo, fui istruito su gli orari, i vari turni di servizio, le misure di sicurezza ed infine mi assegnarono un alloggio privato.
Pranzai da solo, nella mia stanza, in silenzio.
L’alloggio era troppo per me, le abitudini spartane affinate negli anni cozzavano con quello che mi sembrava un’inutile lusso.
Nel primo pomeriggio ricevetti una visita.
“Buongiorno signore, sono il dottor Fredrik Guttermann, lei è Hans Schlecht, piacere”.
Non era una domanda ma un’affermazione.
Ci stringemmo le mani.
“Sono io, molto piacere”
“Bene, lei è stato assegnato a me, da oggi sarà il mio assistente personale”
“Cercherò di servirla al meglio, herr doktor”
“L’aspetto domattina alle 8 nel mio studio presso il settore B-II-f, mi raccomando, sia puntuale, ci attende molto lavoro.”
La visita del dottore creò più dubbi di quelli che dipanò, ancora non sapevo esattamente cosa comportava la mansione che avrei svolto. Non c’era motivo di pensarci troppo, l’indomani avrei svelato l’arcano, decisi quindi di prendermi il resto della giornata per sistemarmi, fare del blando esercizio prescrittomi per la riabilitazione e riposare.
Mi presentai nello studio del dottore qualche minuto in anticipo, Guttermann era già all'interno.
Non feci in tempo a bussare che la porta si aprì.
“Buongiorno signor Schlecht, ha dormito bene?”
“Buongiorno a lei herr doktor, molto bene grazie"
“Mi fa piacere. La prego, mi chiami solo Fredrik, trascorreremo molto tempo insieme, eviterei inutili formalità”
“Come preferisce herr dok… Fredrik, allora io sarò solo Hans, per lei"
Guttermann annuì ed un gioco di luci fece brillare per un attimo i suoi occhiali tondi nascondendo gli occhi.
“Molto bene Hans, il suo lavoro consiste principalmente nell'occuparsi dei soggetti su cui concentro i miei studi e gli esperimenti. Ci saranno anche dei compiti accessori naturalmente, ma si tratta di operazioni secondarie e molto semplici"
“Mi sta dicendo che dovrò accudire ratti e conigli?”
Il dottore mi sorrise.
“Non saranno comuni roditori, per quanto inferiori, non li chiamerei bestie, piuttosto… materiale, si, materiale utile. Nonostante tutto, meritano un po' di rispetto, saranno fondamentali per ottenere risultati"
Mi sentivo denigrato, offeso.
“Con il dovuto rispetto, Fredrik, sono un soldato, non il guardiano dello zoo”
“Certo Hans, ne sono cosciente. Ho insistito molto per farla assegnare qui, immagina il perché?”
La calma che ostentava Guttermann non faceva altro che irritarmi ulteriormente.
“No, no lo so e non lo immagino, sono un uomo pragmatico, non è mia abitudine immaginare ma agire. Perché sono stato scelto?”
Non riuscì a controllarmi, nella mia voce trasparì tutta la mia indignazione e la rabbia crescente.
“Per la sua peculiare condizione, Hans"
Quella risposta mi spiazzò lasciandomi senza parole.
Guttermann ripropose quel suo sorriso, sembrava un maestro paziente alle prese con un alunno particolarmente restio a comprendere.
“Ho letto la sua cartella clinica, lei soffre di acromatopsia cerebrale, una condizione attualmente ritenuta irreversibile. Se le dicessi che ciò che faccio qui potrebbe ridare i colori al suo mondo?”
Rimasi sbalordito, la rabbia svanì all'istante.
“Vede Hans, ritengo che lei possa avere la motivazione e la forza necessaria per assistermi al meglio"
“Veramente potrei guarire?”
“Non sarà semplice e certamente non rapido ma si, ci sono ottime possibilità di curarla con successo"
“Perdoni la mia insubordinazione, Fredrik, sono ai suoi ordini"
Mi misi sull'attenti sbattendo i tacchi.
Guttermann sorrise ancora, compiaciuto.
“Bene Hans, ora che abbiamo trovato il nostro punto d’incontro direi di darci da fare. Necessito del contenuto della cella 4, cortesemente, lo conduca qui adeguatamente assicurato alla lettiga”
Che razza di cavia poteva essere legata su quel lettino d’acciaio?
“Jawohl, Fredrik”
“Ehm, Hans… la sua pistola, le consiglio di utilizzare una fondina ascellare, la prudenza non è mai troppa”
Il dottore aveva paura che un topo s’impadronisse della mia Luger?
Feci come mi aveva consigliato e mi diressi nel corridoio delle celle dalla porta in fondo al laboratorio.
Mi aspettavo una piccola stanza colma di gabbiette invece mi trovai a percorrere un lungo corridoio simile a quello di un carcere.
L’ambiente era basso e poco illuminato, forse per mantenere calmi gli ospiti.
Guardai all’interno delle celle ma l’oscurità e la mia vista erano complici nel celarmi il contenuto.
Arrivai alla cella 4 e vi entrai. Dentro c’era un uomo.
Cercai di restare indifferente per mascherare la mia sorpresa.
Gli mostrai il manganello di cuoio con l’anima in metallo.
“Sul lettino, schnell! e senza storie!” gli intimai sbattendo l’arma sulle sbarre della porta.
L’uomo si alzò a fatica dal suo giaciglio, era piuttosto basso e scuro di carnagione, emaciato, un untermensch.
La sporca e lisa uniforme a righe era abbondante su quel corpo scarno.
Non oppose resistenza alcuna, lo legai alla lettiga senza sforzo.
Quando giunsi di fronte a Guttermann non riuscì a trattenermi
“Cosa se ne fa la nostra gloriosa patria di questo sub-umano?” sputai rabbioso.
“Il signor Boyanov…”
“Signore? Questa feccia zingara?” interruppi violentemente il dottore.
Questi rimase impassibile. Non mi piaceva quell’atteggiamento clemente verso le razze inferiori.
“Il qui presente Boyanov è materiale indispensabile per la nostra ricerca, Hans, è un ingranaggio fondamentale anche per farla guarire dalla sua condizione”
Fui costretto, mio malgrado, ad accettare i modi di Guttermann che ora mi guardava con quel suo sorriso odioso.
Trasferì quel rifiuto su una sedia speciale e lo assicurai con delle cinghie.
Il dottore eseguì una serie di misurazioni e di test di cui non vedevo lo scopo.
Fece sollevare al soggetto dei pesi via via più pesanti fino a che quello sgorbio non riuscì più ad alzarli. Annotò il tutto in un taccuino rilegato in pelle nera.
Prese quindi alcuni preparati, li mescolò tra loro in proporzioni che annotò sempre sul taccuino.
Iniettò il siero ottenuto nell’arteria carotidea su un lato del collo del soggetto.
La cavia fu colta quasi immediatamente da convulsioni, si agitò sulla sedia e schiumò dalla bocca, sembrava in preda ad una crisi epilettica. Dopo un paio di minuti si stabilizzò.
Guttermann rifece le misurazioni ed i test, ora il soggetto riuscì a sollevare, senza apparente sforzo, quasi il doppio del peso che aveva alzato prima del trattamento.
“Wunderbar” sussurrò il dottore mentre continuava ad aumentare il carico per la cavia.
Arrivati a tre volte e mezzo il peso iniziale, il soggetto si mise ad urlare, il bicipite destro gli esplose seguito da altri muscoli in tutto il corpo.
Prima che quel miserabile corpo si riducesse ad un grumo di carne lacera e sangue, il dottore gli iniettò un’altra sostanza nel collo uccidendolo quasi immediatamente.
“Molto bene! Molto, molto bene! Stiamo progredendo.
Hans, per favore, prepara la salma per la vivisezione”
Estrassi la Luger dalla fondina ascellare e la puntai contro il professore
“Non farò nulla se prima lei non mi spiega cosa sta succedendo qui! Ho appena visto un sub-umano moltiplicare la sua forza! Questo è un crimine verso la razza pura! Il Fuhrer ne sarà informato e lei pagherà!”
Urlai in faccia a Guttermann.
Il dottore, come al solito, non si scompose minimamente ma esibì quel suo sorriso ripugnante.
“Mio caro Hans, ma il Fuhrer ne è già al corrente, anzi, tutto questo è una sua idea”
Non mi accorsi nemmeno di aver abbassato l’arma tanto ero sgomento, riuscì a malapena a borbottare
“Il Fuhrer sa”
Ancora quel sorriso.
Guttermann prese un fascicolo da uno schedario di metallo.
Posò il fascicolo sulla sua scrivania e lo girò verso di me.
Sopra c'era una scritta in grigio scuro.
Olympia Projekt.
Aprii il fascicolo.
In prima pagina c’era la foto di un negro.
“Quello è Jesse Owens” mi spiegò Guttermann “nelle olimpiadi di Berlino del ’36 vinse quattro medaglie d’oro sotto lo sguardo del Fuhrer e del mondo intero. Un negro che, sotto il cielo di Berlino, ha umiliato la Germania e la nostra razza”
Lo conoscevo, ricordavo, avrei voluto sfidarlo.
La patria aveva bisogno di me ed ero diventato un soldato, non ci fosse stata la guerra probabilmente sarei stato un atleta, ero stato un eccellente corridore, un candidato per le gare di mezzofondo alle olimpiadi di Tokyo del ’40 poi cancellate.
Il dottore continuò:
“Dopo questa umiliazione, il Fuhrer, ispirato dal motto olimpico: Citius!, Altius!, Fortius! mi contattò per affidarmi la direzione di questo progetto atto a migliorare la nobile razza ariana. Hans, noi rispondiamo direttamente al Fuhrer”
Rimasi per un attimo senza fiato.
“Ma come può essere utile questo materiale genetico di scarto nel miglioramento della nostra razza?” chiesi allora al dottore.
“Se otteniamo risultati validi con materiale scarto ed impuro, pensi cosa possiamo raggiungere con la perfezione genetica ariana”.
Quella rivelazione mi colpì come un pugno nello stomaco.
“Herr doktor, perdoni il mio comportamento, io non capivo, io non sapevo” mormorai abbassando il capo.
Guttermann mi appoggiò una mano su una spalla e mi fissò negli occhi ma, di nuovo, grazie al gioco dei riflessi, io non riuscivo a vedere i suoi, nascosti dietro le lenti degli occhiali.
“Mio caro, io non devo perdonarle nulla, questo è un altro motivo per cui lei è stato scelto, la sua fedeltà alla causa tedesca”
Preparai i resti di quel miserabile per gli studi del professore.
Una volta che il dottore ebbe finito pulii il laboratorio e mi occupai dello smaltimento dei rifiuti, ciò che rimaneva dello zingaro.
Scoprii così la causa dello strano fenomeno meteorologico che avviluppava il campo, batterie di forni lavoravano senza sosta per eliminare i corpi degli untermensch morti nelle varie sezioni del campo.
Problemi da vivi, problemi da morti.
Ancora una volta il genio tedesco dava prova di poter trovare la massima efficienza in qualsiasi compito a cui si dedicava.
L’orgoglio mi gonfiò il petto.
Dopo quell’inizio difficoltoso le cose migliorarono notevolmente.
Lavorai alacremente sotto le direttive del dottor Guttermann, non conoscevo fatica, non conoscevo riposo.
Raggiungere l’obbiettivo avrebbe portato ad una ricompensa multipla, avrei potuto riavere la vista di un tempo, avremmo dimostrato al mondo che gli scienziati tedeschi erano i migliori e che la fuga di tutti quei giudei scappati verso l’America era stata inutile, avrei reso un grande servizio alla nazione, alla razza, al Fuhrer.
I giorni si susseguirono veloci, diventarono settimane, le settimane mesi, i mesi anni.
Citius!, Altius!, Fortius!, quello era l’obbiettivo.
Fummo costretti ad utilizzare tutta la gamma di rifiuti sub-umani che ci veniva fornita: zingari, ebrei, invertiti, deviati, traditori della razza e della patria, pazzi, imperfetti. Tutto lo scarto che la realizzazione di una società perfetta comportava.
Guttermann era una macchina dedita al lavoro, il suo metodo era efficiente e regolare: osservava, studiava, sperimentava, sezionava, correggeva e ricomincia a da capo.
Mai un dubbio, mai un esitazione, mai un attimo di sconforto.
Molte volte lo trovavo, al mattino, addormentato nel laboratorio con ancora indosso il camice sporco di sangue dopo aver passato tutta la notte ad analizzare i campioni ricavati dopo gli esperimenti. A volte, per la foga di apprendere, nemmeno perdeva tempo ad uccidere le cavie, le sezionava da vive.
I progressi erano lenti ma regolari.
Guttermann riempì molti taccuini ed il fascicolo dell’ Olympia Projekt cresceva regolarmente.
Una mattina di ottobre il professore mi ordinò di portargli l’ospite della cella 8.
Era un vecchio ebreo cieco, debole ed inutile, non fu necessario nemmeno assicurarlo alla lettiga, lo presi per un braccio e lo trascinai al laboratorio dove seguì la prassi ormai collaudata.
“Molto bene Hans, oggi è un giorno speciale, fissi la testa del soggetto al poggiatesta” proclamò sorridente il mio superiore.
Prese una delle sue boccette ed una pipetta dosa liquidi.
Con l’aiuto di un blefarostato mantenne ben aperti gli occhi del giudeo e vi versò alcune gocce della sostanza contenuta nella boccetta.
Gli occhi del vecchio sfrigolarono ed emisero del fumo.
L’ebreo prese ad agitarsi sulla sedia ed a mugolare.
“Fermo e zitto, cane!” gli ordinai colpendolo al plesso solare con la punta del manganello.
I lamenti della cavia vennero strozzati nella sua gola.
Per un tempo che parve interminabile nessuno parlò, nessuno emise rumore.
“Hans, sleghi pure il soggetto e lo riporti al suo alloggio, riproveremo domani con un’altra formula” mi ordinò Guttermann mentre si dirigeva alla sua scrivania per compilare il solito taccuino.
Sciolsi la cinghia che tratteneva la testa del giudeo, questi raddrizzo il capo e sbarrò gli occhi.
“Grande Dio di Israele! Ci vedo! Io ci vedo!”
Guttermann si voltò di scatto e corse verso di noi.
Indossò un casco oftalmico composto da una fascia in cui, sulla fronte, c’era attaccata una luce elettrica e, all’altezza degli occhi, una serie di lenti di vari diametri e spessori.
Armeggiò con le lenti ed esaminò attentamente gli occhi dell’uomo. L’operazione durò alcuni minuti, ad ogni cambio della lente d’osservazione Guttermann scriveva qualche appunto sul taccuino.
“Hans, fissi nuovamente il capo del soggetto, procediamo all’enucleazione” ordinò questa volta il dottore mentre allestiva la strumentazione necessaria su un vassoio d’acciaio.
“Jawohl, Fredrik”
Guttermann cavò gli occhi all’israelita mentre questi era vivo e cosciente, le sue urla riempirono il laboratorio.
Non ci mise molto.
“Hans, il resto è inutile, se ne sbarazzi. Velocemente per favore, tutto questo strillare mina la mia concentrazione” dispose lo scienziato agitando una mano mentre si dirigeva verso gli strumenti d'analisi trasportando i preziosi reperti.
Portai fuori quel vecchio, lo feci inginocchiare e gli sparai alla nuca, presto anche lui sarebbe stato solo cenere soffiata nel vento.
Ora avevamo tutto.
Smettemmo di lavorare per ottenere singoli risultati, volevamo ottenere una sostanza che avrebbe migliorato l’uomo in ogni sua parte, l’elixier des ubermenschen.
Per farlo dovevamo collegare le parti e sintetizzare un’unica formula.
Il dottore era completamente assorto nella sua ricerca, in modo ancora più ossessivo: si dimenticava di mangiare, non dormiva, non curava più la sua persona.
Io non potevo fare molto e mi limitavo ad assistere Guttermann nel modo che mi pareva migliore, costringendolo a nutrirsi, riposare, lavarsi almeno il minimo indispensabile.
Ormai non uscivamo nemmeno più dal laboratorio, ci isolammo completamente.
La mattina del 27 gennaio 1945 mi svegliai di soprassalto sentendo gridare.
“Ich hab's gemacht! Hans! Hans, ci sono riuscito! Ho trovato la formula!”
Il dottore mi scuoteva una spalla mentre cercavo di alzarmi da quel giaciglio che avevo improvvisato nel laboratorio.
“Hans, ci siamo riusciti! Ce l’abbiamo fatta!”
Ci abbracciammo.
“Prendiamo tutti i documenti, Hans, andiamo a Berlino!” proclamò Guttermann sorridendo entusiasta.
Preparammo tutte le nostre cose per il viaggio e ci rendemmo presentabili, il lungo periodo di isolamento ci
aveva fatto tralasciare la normale toletta, le barbe ed i capelli erano fuori controllo.
Una volta pronti uscimmo dal laboratorio per dirigerci verso il corpo centrale del campo.
Lontano, alla nostra destra, sentimmo il brontolio di un tuono seguito da un fischio che si faceva sempre più forte.
Un edificio a qualche centinaio di metri da noi esplose.
Una alla volta le sirene d'allarme del campo riempirono l’aria con le loro grida.
Eravamo sotto attacco, com’era possibile?
L’appartarci dal mondo per concentrarci sullo studio della formula ci aveva resi ciechi ed ignoranti rispetto a ciò che ci succedeva attorno.
Rientrammo nel laboratorio.
“Hans, seguimi, c’è un tunnel in fondo al corridoio delle celle, ci porterà lontano dal campo, nei boschi a ovest, dobbiamo sopravvivere, dobbiamo salvare la formula, la razza umana ha bisogno della mia scoperta!”
Non dissi nulla, poggiai i bagagli, portammo con noi solo una valigetta con dentro il fascicolo dell’Olympia Projekt.
Il tunnel era stretto e basso, scarsamente illuminato. Camminammo in fila restando lievemente piegati per non sbattere la testa sul soffitto a volta.
Sopra di noi la battaglia infuriava, potevamo sentire le deflagrazioni attutite dalla terra. Ad ogni esplosione polvere e detriti cadevano sul pavimento.
Ci muovemmo il più velocemente possibile, il tunnel pareva non finire mai.
Dopo quelle che sembrarono ore, giungemmo a dei gradini di metallo ancorati al cemento, sopra di noi un portello che si apriva verso l’esterno.
Una volta fuori ci ritrovammo poco all'interno di un bosco. Non troppo lontano, il campo era stato parzialmente distrutto, i carri armati nemici lo avevano invaso e conquistato.
Guttermann fu sopraffatto dal panico, mi afferrò per entrambe le spalle e mi scosse, lo fissai negli occhi azzurri sconvolti dalla paura.
“Hans, non arriveremo mai a Berlino in queste condizioni, verremo sicuramente catturati, rischiamo di distruggere la formula, forse ci conviene consegnarci, collaborare, dobbiamo preservare la nostra scoperta per la razza umana!”
“Fredrik, guardi!” gli dissi indicando la zona della battaglia.
Gutterman si voltò verso il campo ormai devastato.
Gli sparai alla nuca con la Luger.
“Consegnarci? Collaborare? Il bene della razza umana? Tu non eri un vero tedesco!”
Sputai sul corpo morto di quel traditore.
Presi la valigetta e mi inoltrai nel bosco.
Hans Schlecht non fu mai trovato, né vivo né morto.
Il 4 marzo 2020, Pedro Filippuzzi, un investigatore privato, durante un’indagine scoprì, in mezzo alle cartacce ammassate alla rinfusa in un sotterraneo di una vecchia banca ormai in disuso, un documento dall’intestazione anomala:” Congresso della Nazione Argentina”, era la lista degli appartenenti ad una rete di 12000 nazisti sfuggiti alla cattura che avevano preso il largo e si erano rifugiati in Argentina.
Hans Schlecht era su quella lista.
Tom
Arrivai una mattina di settembre.
Ero inquieto, finalmente sarei tornato a servire il mio paese dopo l’incidente e la lunga degenza che aveva comportato.
Alla stazione mi attendeva una piccola scorta: un ufficiale ed un autista.
“Benvenuto signor Schlecht, come sta? È andato bene il suo viaggio?”
“Benissimo, grazie. Le nostre ferrovie, come la nostra grande nazione, sono perfettamente funzionanti”.
L’ufficiale mi sorrise compiaciuto, fece un cenno all’autista che prese in carico il mio bagaglio.
“È molto distante il campo?” chiesi, più per rompere il silenzio che per una sincera curiosità.
“No, non molto, basta inoltrarsi per poco nelle campagne per raggiungerlo. È presente anche una stazione ma abbiamo preferito farla arrivare qui per permetterle di dare un’occhiata alla città e alle zone limitrofe”
Il cielo, che fino a poco prima mi era parso terso, ora mi sembrava nuvoloso e più scuro, fiocchi grigi turbinavano nell’aere. Era troppo presto per la prima neve.
Dopo l'incidente la mia vista non era più la stessa e mi risultava ancora più difficoltoso interpretare quel peculiare fenomeno metereologico.
L’ufficiale notò cosa stavo osservando.
“Qui l'aria è sempre così, all’inizio ci si sorprende ma ben presto si abituerà, non si preoccupi”.
La mattinata trascorse rapida sbrigando le formalità di rito, fui registrato, mi illustrarono la geografia del luogo, fui istruito su gli orari, i vari turni di servizio, le misure di sicurezza ed infine mi assegnarono un alloggio privato.
Pranzai da solo, nella mia stanza, in silenzio.
L’alloggio era troppo per me, le abitudini spartane affinate negli anni cozzavano con quello che mi sembrava un’inutile lusso.
Nel primo pomeriggio ricevetti una visita.
“Buongiorno signore, sono il dottor Fredrik Guttermann, lei è Hans Schlecht, piacere”.
Non era una domanda ma un’affermazione.
Ci stringemmo le mani.
“Sono io, molto piacere”
“Bene, lei è stato assegnato a me, da oggi sarà il mio assistente personale”
“Cercherò di servirla al meglio, herr doktor”
“L’aspetto domattina alle 8 nel mio studio presso il settore B-II-f, mi raccomando, sia puntuale, ci attende molto lavoro.”
La visita del dottore creò più dubbi di quelli che dipanò, ancora non sapevo esattamente cosa comportava la mansione che avrei svolto. Non c’era motivo di pensarci troppo, l’indomani avrei svelato l’arcano, decisi quindi di prendermi il resto della giornata per sistemarmi, fare del blando esercizio prescrittomi per la riabilitazione e riposare.
Mi presentai nello studio del dottore qualche minuto in anticipo, Guttermann era già all'interno.
Non feci in tempo a bussare che la porta si aprì.
“Buongiorno signor Schlecht, ha dormito bene?”
“Buongiorno a lei herr doktor, molto bene grazie"
“Mi fa piacere. La prego, mi chiami solo Fredrik, trascorreremo molto tempo insieme, eviterei inutili formalità”
“Come preferisce herr dok… Fredrik, allora io sarò solo Hans, per lei"
Guttermann annuì ed un gioco di luci fece brillare per un attimo i suoi occhiali tondi nascondendo gli occhi.
“Molto bene Hans, il suo lavoro consiste principalmente nell'occuparsi dei soggetti su cui concentro i miei studi e gli esperimenti. Ci saranno anche dei compiti accessori naturalmente, ma si tratta di operazioni secondarie e molto semplici"
“Mi sta dicendo che dovrò accudire ratti e conigli?”
Il dottore mi sorrise.
“Non saranno comuni roditori, per quanto inferiori, non li chiamerei bestie, piuttosto… materiale, si, materiale utile. Nonostante tutto, meritano un po' di rispetto, saranno fondamentali per ottenere risultati"
Mi sentivo denigrato, offeso.
“Con il dovuto rispetto, Fredrik, sono un soldato, non il guardiano dello zoo”
“Certo Hans, ne sono cosciente. Ho insistito molto per farla assegnare qui, immagina il perché?”
La calma che ostentava Guttermann non faceva altro che irritarmi ulteriormente.
“No, no lo so e non lo immagino, sono un uomo pragmatico, non è mia abitudine immaginare ma agire. Perché sono stato scelto?”
Non riuscì a controllarmi, nella mia voce trasparì tutta la mia indignazione e la rabbia crescente.
“Per la sua peculiare condizione, Hans"
Quella risposta mi spiazzò lasciandomi senza parole.
Guttermann ripropose quel suo sorriso, sembrava un maestro paziente alle prese con un alunno particolarmente restio a comprendere.
“Ho letto la sua cartella clinica, lei soffre di acromatopsia cerebrale, una condizione attualmente ritenuta irreversibile. Se le dicessi che ciò che faccio qui potrebbe ridare i colori al suo mondo?”
Rimasi sbalordito, la rabbia svanì all'istante.
“Vede Hans, ritengo che lei possa avere la motivazione e la forza necessaria per assistermi al meglio"
“Veramente potrei guarire?”
“Non sarà semplice e certamente non rapido ma si, ci sono ottime possibilità di curarla con successo"
“Perdoni la mia insubordinazione, Fredrik, sono ai suoi ordini"
Mi misi sull'attenti sbattendo i tacchi.
Guttermann sorrise ancora, compiaciuto.
“Bene Hans, ora che abbiamo trovato il nostro punto d’incontro direi di darci da fare. Necessito del contenuto della cella 4, cortesemente, lo conduca qui adeguatamente assicurato alla lettiga”
Che razza di cavia poteva essere legata su quel lettino d’acciaio?
“Jawohl, Fredrik”
“Ehm, Hans… la sua pistola, le consiglio di utilizzare una fondina ascellare, la prudenza non è mai troppa”
Il dottore aveva paura che un topo s’impadronisse della mia Luger?
Feci come mi aveva consigliato e mi diressi nel corridoio delle celle dalla porta in fondo al laboratorio.
Mi aspettavo una piccola stanza colma di gabbiette invece mi trovai a percorrere un lungo corridoio simile a quello di un carcere.
L’ambiente era basso e poco illuminato, forse per mantenere calmi gli ospiti.
Guardai all’interno delle celle ma l’oscurità e la mia vista erano complici nel celarmi il contenuto.
Arrivai alla cella 4 e vi entrai. Dentro c’era un uomo.
Cercai di restare indifferente per mascherare la mia sorpresa.
Gli mostrai il manganello di cuoio con l’anima in metallo.
“Sul lettino, schnell! e senza storie!” gli intimai sbattendo l’arma sulle sbarre della porta.
L’uomo si alzò a fatica dal suo giaciglio, era piuttosto basso e scuro di carnagione, emaciato, un untermensch.
La sporca e lisa uniforme a righe era abbondante su quel corpo scarno.
Non oppose resistenza alcuna, lo legai alla lettiga senza sforzo.
Quando giunsi di fronte a Guttermann non riuscì a trattenermi
“Cosa se ne fa la nostra gloriosa patria di questo sub-umano?” sputai rabbioso.
“Il signor Boyanov…”
“Signore? Questa feccia zingara?” interruppi violentemente il dottore.
Questi rimase impassibile. Non mi piaceva quell’atteggiamento clemente verso le razze inferiori.
“Il qui presente Boyanov è materiale indispensabile per la nostra ricerca, Hans, è un ingranaggio fondamentale anche per farla guarire dalla sua condizione”
Fui costretto, mio malgrado, ad accettare i modi di Guttermann che ora mi guardava con quel suo sorriso odioso.
Trasferì quel rifiuto su una sedia speciale e lo assicurai con delle cinghie.
Il dottore eseguì una serie di misurazioni e di test di cui non vedevo lo scopo.
Fece sollevare al soggetto dei pesi via via più pesanti fino a che quello sgorbio non riuscì più ad alzarli. Annotò il tutto in un taccuino rilegato in pelle nera.
Prese quindi alcuni preparati, li mescolò tra loro in proporzioni che annotò sempre sul taccuino.
Iniettò il siero ottenuto nell’arteria carotidea su un lato del collo del soggetto.
La cavia fu colta quasi immediatamente da convulsioni, si agitò sulla sedia e schiumò dalla bocca, sembrava in preda ad una crisi epilettica. Dopo un paio di minuti si stabilizzò.
Guttermann rifece le misurazioni ed i test, ora il soggetto riuscì a sollevare, senza apparente sforzo, quasi il doppio del peso che aveva alzato prima del trattamento.
“Wunderbar” sussurrò il dottore mentre continuava ad aumentare il carico per la cavia.
Arrivati a tre volte e mezzo il peso iniziale, il soggetto si mise ad urlare, il bicipite destro gli esplose seguito da altri muscoli in tutto il corpo.
Prima che quel miserabile corpo si riducesse ad un grumo di carne lacera e sangue, il dottore gli iniettò un’altra sostanza nel collo uccidendolo quasi immediatamente.
“Molto bene! Molto, molto bene! Stiamo progredendo.
Hans, per favore, prepara la salma per la vivisezione”
Estrassi la Luger dalla fondina ascellare e la puntai contro il professore
“Non farò nulla se prima lei non mi spiega cosa sta succedendo qui! Ho appena visto un sub-umano moltiplicare la sua forza! Questo è un crimine verso la razza pura! Il Fuhrer ne sarà informato e lei pagherà!”
Urlai in faccia a Guttermann.
Il dottore, come al solito, non si scompose minimamente ma esibì quel suo sorriso ripugnante.
“Mio caro Hans, ma il Fuhrer ne è già al corrente, anzi, tutto questo è una sua idea”
Non mi accorsi nemmeno di aver abbassato l’arma tanto ero sgomento, riuscì a malapena a borbottare
“Il Fuhrer sa”
Ancora quel sorriso.
Guttermann prese un fascicolo da uno schedario di metallo.
Posò il fascicolo sulla sua scrivania e lo girò verso di me.
Sopra c'era una scritta in grigio scuro.
Olympia Projekt.
Aprii il fascicolo.
In prima pagina c’era la foto di un negro.
“Quello è Jesse Owens” mi spiegò Guttermann “nelle olimpiadi di Berlino del ’36 vinse quattro medaglie d’oro sotto lo sguardo del Fuhrer e del mondo intero. Un negro che, sotto il cielo di Berlino, ha umiliato la Germania e la nostra razza”
Lo conoscevo, ricordavo, avrei voluto sfidarlo.
La patria aveva bisogno di me ed ero diventato un soldato, non ci fosse stata la guerra probabilmente sarei stato un atleta, ero stato un eccellente corridore, un candidato per le gare di mezzofondo alle olimpiadi di Tokyo del ’40 poi cancellate.
Il dottore continuò:
“Dopo questa umiliazione, il Fuhrer, ispirato dal motto olimpico: Citius!, Altius!, Fortius! mi contattò per affidarmi la direzione di questo progetto atto a migliorare la nobile razza ariana. Hans, noi rispondiamo direttamente al Fuhrer”
Rimasi per un attimo senza fiato.
“Ma come può essere utile questo materiale genetico di scarto nel miglioramento della nostra razza?” chiesi allora al dottore.
“Se otteniamo risultati validi con materiale scarto ed impuro, pensi cosa possiamo raggiungere con la perfezione genetica ariana”.
Quella rivelazione mi colpì come un pugno nello stomaco.
“Herr doktor, perdoni il mio comportamento, io non capivo, io non sapevo” mormorai abbassando il capo.
Guttermann mi appoggiò una mano su una spalla e mi fissò negli occhi ma, di nuovo, grazie al gioco dei riflessi, io non riuscivo a vedere i suoi, nascosti dietro le lenti degli occhiali.
“Mio caro, io non devo perdonarle nulla, questo è un altro motivo per cui lei è stato scelto, la sua fedeltà alla causa tedesca”
Preparai i resti di quel miserabile per gli studi del professore.
Una volta che il dottore ebbe finito pulii il laboratorio e mi occupai dello smaltimento dei rifiuti, ciò che rimaneva dello zingaro.
Scoprii così la causa dello strano fenomeno meteorologico che avviluppava il campo, batterie di forni lavoravano senza sosta per eliminare i corpi degli untermensch morti nelle varie sezioni del campo.
Problemi da vivi, problemi da morti.
Ancora una volta il genio tedesco dava prova di poter trovare la massima efficienza in qualsiasi compito a cui si dedicava.
L’orgoglio mi gonfiò il petto.
Dopo quell’inizio difficoltoso le cose migliorarono notevolmente.
Lavorai alacremente sotto le direttive del dottor Guttermann, non conoscevo fatica, non conoscevo riposo.
Raggiungere l’obbiettivo avrebbe portato ad una ricompensa multipla, avrei potuto riavere la vista di un tempo, avremmo dimostrato al mondo che gli scienziati tedeschi erano i migliori e che la fuga di tutti quei giudei scappati verso l’America era stata inutile, avrei reso un grande servizio alla nazione, alla razza, al Fuhrer.
I giorni si susseguirono veloci, diventarono settimane, le settimane mesi, i mesi anni.
Citius!, Altius!, Fortius!, quello era l’obbiettivo.
Fummo costretti ad utilizzare tutta la gamma di rifiuti sub-umani che ci veniva fornita: zingari, ebrei, invertiti, deviati, traditori della razza e della patria, pazzi, imperfetti. Tutto lo scarto che la realizzazione di una società perfetta comportava.
Guttermann era una macchina dedita al lavoro, il suo metodo era efficiente e regolare: osservava, studiava, sperimentava, sezionava, correggeva e ricomincia a da capo.
Mai un dubbio, mai un esitazione, mai un attimo di sconforto.
Molte volte lo trovavo, al mattino, addormentato nel laboratorio con ancora indosso il camice sporco di sangue dopo aver passato tutta la notte ad analizzare i campioni ricavati dopo gli esperimenti. A volte, per la foga di apprendere, nemmeno perdeva tempo ad uccidere le cavie, le sezionava da vive.
I progressi erano lenti ma regolari.
Guttermann riempì molti taccuini ed il fascicolo dell’ Olympia Projekt cresceva regolarmente.
Una mattina di ottobre il professore mi ordinò di portargli l’ospite della cella 8.
Era un vecchio ebreo cieco, debole ed inutile, non fu necessario nemmeno assicurarlo alla lettiga, lo presi per un braccio e lo trascinai al laboratorio dove seguì la prassi ormai collaudata.
“Molto bene Hans, oggi è un giorno speciale, fissi la testa del soggetto al poggiatesta” proclamò sorridente il mio superiore.
Prese una delle sue boccette ed una pipetta dosa liquidi.
Con l’aiuto di un blefarostato mantenne ben aperti gli occhi del giudeo e vi versò alcune gocce della sostanza contenuta nella boccetta.
Gli occhi del vecchio sfrigolarono ed emisero del fumo.
L’ebreo prese ad agitarsi sulla sedia ed a mugolare.
“Fermo e zitto, cane!” gli ordinai colpendolo al plesso solare con la punta del manganello.
I lamenti della cavia vennero strozzati nella sua gola.
Per un tempo che parve interminabile nessuno parlò, nessuno emise rumore.
“Hans, sleghi pure il soggetto e lo riporti al suo alloggio, riproveremo domani con un’altra formula” mi ordinò Guttermann mentre si dirigeva alla sua scrivania per compilare il solito taccuino.
Sciolsi la cinghia che tratteneva la testa del giudeo, questi raddrizzo il capo e sbarrò gli occhi.
“Grande Dio di Israele! Ci vedo! Io ci vedo!”
Guttermann si voltò di scatto e corse verso di noi.
Indossò un casco oftalmico composto da una fascia in cui, sulla fronte, c’era attaccata una luce elettrica e, all’altezza degli occhi, una serie di lenti di vari diametri e spessori.
Armeggiò con le lenti ed esaminò attentamente gli occhi dell’uomo. L’operazione durò alcuni minuti, ad ogni cambio della lente d’osservazione Guttermann scriveva qualche appunto sul taccuino.
“Hans, fissi nuovamente il capo del soggetto, procediamo all’enucleazione” ordinò questa volta il dottore mentre allestiva la strumentazione necessaria su un vassoio d’acciaio.
“Jawohl, Fredrik”
Guttermann cavò gli occhi all’israelita mentre questi era vivo e cosciente, le sue urla riempirono il laboratorio.
Non ci mise molto.
“Hans, il resto è inutile, se ne sbarazzi. Velocemente per favore, tutto questo strillare mina la mia concentrazione” dispose lo scienziato agitando una mano mentre si dirigeva verso gli strumenti d'analisi trasportando i preziosi reperti.
Portai fuori quel vecchio, lo feci inginocchiare e gli sparai alla nuca, presto anche lui sarebbe stato solo cenere soffiata nel vento.
Ora avevamo tutto.
Smettemmo di lavorare per ottenere singoli risultati, volevamo ottenere una sostanza che avrebbe migliorato l’uomo in ogni sua parte, l’elixier des ubermenschen.
Per farlo dovevamo collegare le parti e sintetizzare un’unica formula.
Il dottore era completamente assorto nella sua ricerca, in modo ancora più ossessivo: si dimenticava di mangiare, non dormiva, non curava più la sua persona.
Io non potevo fare molto e mi limitavo ad assistere Guttermann nel modo che mi pareva migliore, costringendolo a nutrirsi, riposare, lavarsi almeno il minimo indispensabile.
Ormai non uscivamo nemmeno più dal laboratorio, ci isolammo completamente.
La mattina del 27 gennaio 1945 mi svegliai di soprassalto sentendo gridare.
“Ich hab's gemacht! Hans! Hans, ci sono riuscito! Ho trovato la formula!”
Il dottore mi scuoteva una spalla mentre cercavo di alzarmi da quel giaciglio che avevo improvvisato nel laboratorio.
“Hans, ci siamo riusciti! Ce l’abbiamo fatta!”
Ci abbracciammo.
“Prendiamo tutti i documenti, Hans, andiamo a Berlino!” proclamò Guttermann sorridendo entusiasta.
Preparammo tutte le nostre cose per il viaggio e ci rendemmo presentabili, il lungo periodo di isolamento ci
aveva fatto tralasciare la normale toletta, le barbe ed i capelli erano fuori controllo.
Una volta pronti uscimmo dal laboratorio per dirigerci verso il corpo centrale del campo.
Lontano, alla nostra destra, sentimmo il brontolio di un tuono seguito da un fischio che si faceva sempre più forte.
Un edificio a qualche centinaio di metri da noi esplose.
Una alla volta le sirene d'allarme del campo riempirono l’aria con le loro grida.
Eravamo sotto attacco, com’era possibile?
L’appartarci dal mondo per concentrarci sullo studio della formula ci aveva resi ciechi ed ignoranti rispetto a ciò che ci succedeva attorno.
Rientrammo nel laboratorio.
“Hans, seguimi, c’è un tunnel in fondo al corridoio delle celle, ci porterà lontano dal campo, nei boschi a ovest, dobbiamo sopravvivere, dobbiamo salvare la formula, la razza umana ha bisogno della mia scoperta!”
Non dissi nulla, poggiai i bagagli, portammo con noi solo una valigetta con dentro il fascicolo dell’Olympia Projekt.
Il tunnel era stretto e basso, scarsamente illuminato. Camminammo in fila restando lievemente piegati per non sbattere la testa sul soffitto a volta.
Sopra di noi la battaglia infuriava, potevamo sentire le deflagrazioni attutite dalla terra. Ad ogni esplosione polvere e detriti cadevano sul pavimento.
Ci muovemmo il più velocemente possibile, il tunnel pareva non finire mai.
Dopo quelle che sembrarono ore, giungemmo a dei gradini di metallo ancorati al cemento, sopra di noi un portello che si apriva verso l’esterno.
Una volta fuori ci ritrovammo poco all'interno di un bosco. Non troppo lontano, il campo era stato parzialmente distrutto, i carri armati nemici lo avevano invaso e conquistato.
Guttermann fu sopraffatto dal panico, mi afferrò per entrambe le spalle e mi scosse, lo fissai negli occhi azzurri sconvolti dalla paura.
“Hans, non arriveremo mai a Berlino in queste condizioni, verremo sicuramente catturati, rischiamo di distruggere la formula, forse ci conviene consegnarci, collaborare, dobbiamo preservare la nostra scoperta per la razza umana!”
“Fredrik, guardi!” gli dissi indicando la zona della battaglia.
Gutterman si voltò verso il campo ormai devastato.
Gli sparai alla nuca con la Luger.
“Consegnarci? Collaborare? Il bene della razza umana? Tu non eri un vero tedesco!”
Sputai sul corpo morto di quel traditore.
Presi la valigetta e mi inoltrai nel bosco.
Hans Schlecht non fu mai trovato, né vivo né morto.
Il 4 marzo 2020, Pedro Filippuzzi, un investigatore privato, durante un’indagine scoprì, in mezzo alle cartacce ammassate alla rinfusa in un sotterraneo di una vecchia banca ormai in disuso, un documento dall’intestazione anomala:” Congresso della Nazione Argentina”, era la lista degli appartenenti ad una rete di 12000 nazisti sfuggiti alla cattura che avevano preso il largo e si erano rifugiati in Argentina.
Hans Schlecht era su quella lista.
Tom