L'EVENTO DI TUNGUSKA
Inviato: martedì 14 luglio 2020, 22:51
L’interno del pauk è caldo, con tutti noi stipati sulle panche di metallo, eppure io sto gelando sotto l’uniforme.
La prospettiva di tradire il proprio paese mette ansia, suppongo.
La pancia di metallo del veicolo vibra appena, i cingoli articolati sono pensati per superare ben di più di una strada accidentata.
«Non è strano?» Sollevo il guanto destro con la sinistra e soffio sul palmo per scaldarlo.
Il capitano Sorinov, davanti a me, accarezza il fucile.
«Cosa è strano, Sol?»
«No, pensavo che studiando ti viene detto che un evento storico è quando si avvera il sogno di tanti uomini. Ed è sempre stata una metafora, no? Ma qui, l’evento di Tunguska… se Lomenov non fosse caduto nel sogno…»
«La Russia starebbe ancora in mano allo Zar.» Sorinov sbuffa e alza i suoi occhi da Husky. «Quante volte ti ho sentito dire queste cazzate ultimamente, Sol?»
Lo sapevo che era inutile. Yuri Sorinov non è il tipo con cui parlare di ideali, se non hanno un tornaconto in rubli.
«Forse un po’ troppe, capitano.»
«E allora piantala. Il signor Kulikym vuole che il carico dell’estrazione sia sull’aereo per la consegna entro domattina. Mi servi sveglio.»
Lancia un’occhiata al resto della squadra.
Quasi tutti novellini, i volti coperti da passamontagna mimetici. Proprio da novellini.
Non si sono chiesti perchè né io né il capitano le abbiamo.
Nel Sogno di Tunguska non c’è mimetica che tenga, le Tenie ti trovano sempre.
Conta solo quanti dardi hai nel fucile e quanta alcalodixina c’è nel pauk.
«Ledjanko? Mi stai ascoltando?» Gli occhi del capitano si stringono, diventano due fessure.
«Sissignore.»
«Lo spero. Se avevi la testa tra le nuvole anche quando preparavi i dardi della squadra, allora siamo fottuti.»
«Ho potenziato i dardi. Per le Tenie piccole ne bastano tre a bersaglio. Quelle grosse sono imprevedibili, ma mezzo caricatore basterà.»
Uno dei novellini mi tiene gli occhi puntati addosso. Si starà cacando sotto.
«Che c’è, soldato?»
«La nostra guida sarà… un Dusha?»
«Sì. Non ne hai mai conosciuti, vero?»
Fa segno di no.
«È vero che quando dormono sognano quello che c’è dentro il Sogno? Che non hanno sogni normali?»
Tutta la squadra ora è fissa su di me.
Annuisco.
«Per questo sono ottime guide, e stabilizzano il Sogno. Meglio di così…»
Mugugnano, ma paiono convinti.
La verità è che i Dusha sono i parassiti del Sogno. Un po’ come tutta la Nuova Russia, in effetti.
Ma almeno noi siamo liberi di sognare altro.
Il pauk rallenta e si ferma con un cigolio.
Siamo già arrivati! Cazzo, il piano non è ancora pronto.
Il capitano grugnisce.
«Signorine, scendete a sgranchirvi le gambe. La partenza è tra meno di dieci minuti.»
Sparisce in cabina di pilotaggio a parlare col guidatore.
Il portello sul retro del trasporto sibila e si abbassa.
Il freddo del Confine del Sogno scivola subito dentro, così intenso da farmi rizzare i peli sotto all’uniforme.
Siamo troppi, come faccio a trovare la Porta?
Fuori, le case in lamiera e legno dei Dusha si addossano alla muraglia di contenimento.
Il fumo bianco sporco che sale dai comignoli non riesce a oscurare la luce rosa pallido del cielo.
Lo squarcio percorre le nubi come una coltellata rimarginata male.
Oltre la muraglia alta quindici metri, il Sogno. È come guardare in una bolla, di un rosso sbiadito.
Mi dà il vomito.
Una ragazzina Dusha con un cappotto lucido, rosso pure lui, si avvicina.
Sposta una ciocca dei capelli stinti, dello stesso colore della pelle che non ha mai visto il sole vero.
Scopre per un attimo il collare in plastica dura sulla nuca.
Le vado incontro.
Lei sarà il più grosso ostacolo, il mio nemico, ma non devo pensarlo. Non devo, o mi sentirà.
Non pensare. Non pensare.
«Ciao.»
La ragazzina si gratta la cauterizzazione attorno al collare, dove la pelle è arrossata.
«Non devi ripeterlo così forte. Non voglio leggerti.»
Deglutisco.
«M-ma se lo hai sentito…»
«Non ti sto leggendo, ma è come se lo stessi urlando. Smettila, per favore.»
Si massaggia la radice del naso con le ditine bianche.
«Scusa. Come ti chiami?»
«Palina.» Sporge la testa accanto a me. «Quella è la squadra?»
«Sì.»
La voce di Sorinov taglia l’aria.
«Cosa cazzo vuol dire che ce ne sono dentro già sedici?!»
Il militare di guardia al cancello, a pochi passi da noi, si schiaccia contro il muro.
«M-mi è solo stato comunicato…»
«Ascolta bene, piccolo idiota.» Sorinov lo afferra per il bavero dell’uniforme. «Il signor Kulikym vuole il suo carico per domattina sull’aereo. Se non mi paga lui chi cazzo mi paga, tu? Come facciamo a operare con altre sedici squadre?»
Che colpo di culo.
Sgambetto avanti sull’asfalto e lo raggiungo.
«Capitano, il carico è più importante. Per quindici chili bastiamo noi.»
Mi rivolge un’occhiataccia.
«Due uomini e una bambina Dusha? Ti stai rincoglionendo, Sol?»
«Anche in quattro, se sei più sicuro. Noi due, la bambina e due di quelli nuovi. Gli altri a casa.»
Il capitano stringe di nuovo gli occhi a fessura e si prepara a mandarmi a fanculo.
Ma lo conosco troppo bene.
«E ci teniamo la loro parte. Più torta per noi.»
Il suo muso da lupo si rilassa un poco.
Lascia andare la guardia con uno spintone e sputa, centrandole lo stivale.
«E sia, ma guidi tu il pauk. Dei novellini non mi fido.»
Si fa di nuovo sotto alla guardia, a un centimetro dalla sua faccia.
«E tu dovrai spiegare alla mia squadra perché oggi non verranno pagati.» Sibila.
Gira i tacchi e torna al veicolo.
«Muoviamoci.»
Palina mi guarda fisso, immobile dove l’ho lasciata.
Sono troppo lontano perché mi legga la mente, ma ho l’impressione che non porterà nulla di buono una Dusha così sveglia.
D’altronde, stavolta ho avuto più fortuna del solito.
Speriamo continui così, o sono fottuto.
E lo è anche Lomenov.
***
Il pauk si arrampica tra le montagne di tronchi caduti del Sogno, le zampe da ragno di metallo si muovono a scatti.
I cingoli articolati posti alla fine mordono il legno con un ringhio e ci tirano avanti.
Pigio sull’acceleratore e devio appena verso destra. In fondo alla distesa di tronchi abbattuti ci sono alcuni edifici.
Se devo far fuori il capitano e gli altri due mi serve un terreno stabile su cui scendere.
Mi volto e do un’occhiata all’interno del trasporto.
Palina sta seduta da una parte, gli altri tre dall’altra.
La ragazzina ha gli occhi chiusi, ma l’espressione di sforzo e la vena che le pulsa in rilievo sulla tempia mi dicono che è solo concentrata.
Bledy e Kornilov, i due novellini, non le staccano gli occhi di dosso.
Non hanno mai visto una Dusha equilibrare il Sogno, penseranno che stia facendo chissà che stregoneria.
Mi schiarisco la gola.
«Ricordate di usare le pistole solo in caso di massima emergenza.»
Il sudore ha già sbavato la loro pittura mimetica, l’orlo dei passamontagna è macchiato di nero vicino agli occhi.
Sorinov sbuffa.
«Per qualunque cosa usate i dardi. Solo i dardi.» Sottolinea le sue parole scrocchiando le nocche della destra. «Anche le Tenie sono parte delle mente di Lomenov. E più facciamo male alla sua mente, più tutto va a puttane. Chiaro?»
Bledy, quello più alto, annuisce.
«Sissignore.»
Torno a guardare avanti. Abbiamo quasi raggiunto gli edifici.
Gli alberi caduti si interrompono di colpo, lasciando posto alla strada.
«Capitano.» La voce di Kornilov è bassa, ma venata dal timore. «Cosa dobbiamo raccogliere?»
Il capitano grugnisce.
Sa proprio farsi amare.
«Dove cazzo hai vissuto fino ad ora, in un fottuto scantinato isolato dal mondo?»
«Signornò, signore.»
I cingoli graffiano l’asfalto.
«Cos’è che alimenta questo cassonetto a motore? O gli elivelivoli della flotta? Cosa cazzo siamo venuti a prendere, secondo te?»
«Alcalodiodi, signore.»
«Con cosa cazzo abbiamo vinto la guerra?»
«C-con gli alcalodiodi, signore.»
Sorinov sputa.
«Se le cose le sai, perché cazzo devi fare queste domande idiote?»
Qualcosa passa davanti al parabrezza, velocissimo. Un altro oggetto, un altro ancora.
Fogli, fogli scritti a mano.
Una delle pagine del Diario di Lomenov si spiaccica sul vetro.
Leggo la prima riga.
Il dottore ha detto che la situazione diventa sempre più grave…
Una folata di vento la strappa via.
È il momento giusto.
«C’è un problema alla zampa uno, non risponde come dovrebbe.»
Rallento e freno, il pauk si ferma.
«Scendo a controllare.»
Sorinov grugnisce.
«Sto coso è un rottame.»
Sorrido tra me e me.
È per questo che l’ho scelto.
Premo il pulsante di apertura del portello con il pugno, sollevo la levetta della scala e quella per la abbassare le zampe.
Prendo il mio fucile dal sedile del passeggero e apro la portiera, mi arrampico giù per la scaletta retrattile.
Il pauk si accuccia, piegando le zampe metalliche.
Vado davanti al muso e tolgo la sicura al fucile.
Passi pesanti risuonano sul portellone del retro.
Forza, venite.
Metto una mano accanto alla bocca.
«Cazzo, c’è qualcosa che gratta nel cofano! Una pagina dev’essere entrata.»
Appoggio la spalla sinistra al veicolo, ascolto i loro passi. Il mio dito sfiora il grilletto.
«Perché cazzo ti sei fermato qui, Sol?»
Mi abbasso, sbircio sotto al mezzo. Tre coppie di anfibi, in fila simmetrica.
Espiro.
Ce la posso fare. Ce la posso fare.
Il rumore lontano di una maniglia che gira a vuoto mi graffia le orecchie. Qualcuno sbatacchia una porta senza riuscire ad aprirla.
È qui! La Porta è qui!
Il rumore viene da dietro di me, oltre i palazzi. Drizzo la testa.
È un segno!
«Cosa cazzo è ‘sto…» Bledy non finisce la frase.
Un raschiare secco copre il rumore della porta. Un colpo di tosse, un altro ancora.
Bledy spunta accanto a me, ma non mi vede. Tiene gli occhi sbarrati davanti a sè. Punta il dito.
«La donna pallida!»
Una donna nuda sta dritta in piedi. La pelle è cerea, i capelli scuri sono unti.
Le si contano le costole.
Mikela Lomenov.
Tossisce ancora, del sangue le esce dalla bocca e le macchia il mento. La tosse la piega in due, riverbera così forte nell’aria da far tremare tutto il Sogno.
Bledy e Kornilov stanno immobili e le puntano addosso i fucili.
«Non sparate a lei!» Palina è accanto a Sorinov, due passi indietro. Non l’avevo vista uscire. «Sparate alle Tenie!»
Altro raschiare di gole che chiedono aria, mischiato al ticchettio di mille zampette.
Dagli alberi caduti che chiudono la strada spuntano decine di piccole Tenie.
Corpi come vermi, lunghi quanto un cane e coperti di chitina bianca, con bocche che tossiscono sangue. Dai fianchi escono zampette sottili da insetto, almeno di un metro.
Cazzo, non adesso!
Indietreggio vicino a Palina.
Sorinov si arrampica sulla scaletta.
Se ci muoviamo e guida bene ce la faremo.
Bledy e Kornilov aprono il fuoco sulla massa.
Trascino Palina per il braccio fin dentro al pauk e mi affaccio dal portello.
«Muovetevi!»
Non mi sentono, le raffiche di dardi coprono la mia voce.
La raffica si interrompe con il click dei caricatori svuotati.
«Sono troppi!» Bledy espelle il suo e mette mano alla giberna. «Ci serve un diversivo.»
«Bella idea.» Sorinov si sporge dall’abitacolo.
Spara due dardi, uno a Bledy e uno a Kornilov. Il narcotico agisce subito, i due cadono.
Il pauk si raddrizza sulle zampe di colpo, mi appendo alla maniglia sulla parte per non volare giù.
Accelera, sterza a destra e lascia lì i due corpi.
Serro i denti, non riesco a non guardare.
Il portello mi si chiude davanti prima che l’orda di Tenie li raggiunga e li stritoli.
***
Il ringhio del motore rimbomba nel ventre del pauk. Sorinov sta pestando forte sull’acceleratore, si sarà preso un bello spavento.
Tutto ondeggia piano, tronco dopo tronco che superiamo.
«D-dove a-a…» Sorinov fa fatica a parlare, si sforza. «a-andia… mo?»
Cosa cazzo sta…?
Palina mi sta fissando. Lo indica col capo.
«Rispondigli.»
La Porta era dietro di me, quindi alla nostra destra. Dove siamo scappati.
Mi schiarisco la gola. «Tira dritto.»
Il capitano articola qualche suono sconnesso.
«Cosa gli è successo?»
«L’ho distratto un po’. Per prendergli questa.»
Palina tira fuori dalla tasca del cappotto al pistola di Sorinov e la punta su di me.
Il fiato mi si congela nei polmoni.
Sono fottuto.
«Siediti, Solomon. Lascia il fucile a terra. Piano.»
La sua voce mi fa ronzare i timpani. Sta cercando di leggermi, sta cercando…
Non pensare, non pensare a niente.
Appoggio il fucile sul metallo e, con le mani alzate, mi faccio indietro e mi sedo.
«Intreccia le mani dietro la testa.»
Non pensare.
Faccio come dice e resto a guardarla.
Non pensare.
«È inutile che continui a ripeterlo.» Palina si accarezza il collare di plastica. Lo sgancia e sposta i capelli sulla spalla destra, scoprendo una placca di metallo impiantata appena sotto la nuca, simile alla griglia di un dissipatore.
«Adesso dimmi: perché sei uscito proprio quando hanno iniziato a piovere le pagine?»
Non pensare.
«Le ho viste tante volte, ma non le ho mai lette. Tutti i Dusha sognano solo nel Sogno, ma nessuno le legge mai. Che c’è scritto?»
Non c’è scritto nulla.
Chiudo gli occhi e tengo i denti serrati. Le tempie mi pulsano, le orecchie ronzano come se ci fossero dentro delle api.
Per un attimo le vedo volare davanti ai miei occhi.
Non pensare.
Le api volano via, inizia a piovere fitto fitto.
Non devi pensare!
Le gocce in realtà sono pagine viste per il taglio, iniziano a danzare nell’aria. Come prima, una si spiaccica davanti a me su un finestrino invisibile.
Il Diario di Lomenov. Mikela…
«Chi è Mikela?»
La voce di Palina forma dentro la mia testa l’immagine della donna pallida, con il petto coperto di sangue e le costole sporgenti.
Non. Devi. Pensare.
«Cos’è il Diario? Cosa contiene?»
Mikela scompare, inghiottita da una cascata di pagine.
Non pensare a Lomenov, per l’amor di Dio.
Il suono di una maniglia che gira senza riuscire ad aprirsi mi gratta fin dento al cervello.
Una porta di legno rosso, che chiude una piccola baita sbilenca. L’ho vista una volta sola, la Porta, ma non ho mai potuto scordarla.
«Cosa?!» Palina ha un singulto. «Tu…»
«Esci dalla mia testa!»
Sbatto la nuca all’indietro, contro la parete d’acciaio. Il dolore mi fa aprire gli occhi, il ronzio sparisce.
Palina ha la mandibola contratta, il suo volto magro trema.
«Tu vuoi aprire la Porta!»
Il pauk sobbalza di colpo, si inclina di lato.
Volo avanti, mi riparo la testa con le braccia. Il mondo mi si ribalta attorno.
Il boato di uno sparo e un fischio, un trillo assordante nelle orecchie.
Il pauk rotola sul fianco, mi schianto contro la paratia. La fronte mi esplode per un istante, gattono avanti alla cieca.
Con uno stridio dei pistoni, il portellone si apre di lato davanti a me.
Cl-cl-clack cl-cl…
Qualcuno cerca a tutti i costi di aprire quella maledetta porta.
È lì, oltre una catasta di tronchi abbattuti.
Una baita, la porta rossa che trema senza aprirsi. Meno di trenta metri.
La fronte mi pizzica, non so se è sangue o sudore quello che ho addosso. Non importa.
Mi puntello sui gomiti e le ginocchia e ruzzolo giù dal pauk.
Una Tenia di cinque metri ha avvolto le sue spire attorno alle zampe e alla cabina di guida del veicolo. Tossisce sangue sulle paratie di metallo.
La portiera gli si spalanca addosso e colpisce la sua testa da verme.
Sorinov le scarica una raffica di dardi addosso.
«Fottuto schifo di merda!»
La Tenia si divincola, il capitano balza giù e rotola a terra.
Prima che il mostro molli il pauk apre di nuovo il fuoco.
I dardi crivellano il corpo bianchiccio e rimbalzano contro le paratie, il caricatore si svuota in un lampo.
La Tenia crolla, trema appena.
Gattono fino a un tronco e mi isso in piedi. Sento meglio le gambe, sono più salde. Possono correre.
Palina emerge dal ventre del pauk, i suoi occhi mi si piantano addosso, pieni d’odio.
Sposta lo sguardo su Sorinov e l’espressione del capitano si congela per un istante.
Spalanca la bocca, come per gridare, ma il suo tono è poco più di un sussurro.
«La Porta…»
Il suo volto diventa quello di un lupo feroce.
Lascia il fucile e scatta verso di me.
Palina crolla in ginocchio.
Estraggo la pistola dalla fondina e abbasso al sicura.
L’anfibio destro mi scivola sulla corteccia umida e di nuovo il mondo si rovescia su sé stesso.
Sparo, l’impatto col terreno è una mazzata.
Come rimetto a fuoco Sorinov il suo calcio mi strappa di mano al pistola.
Mi calcia il fianco, strappandomi il respiro.
I suoi anfibi grattano il terreno, indietreggia per sferrarne un altro.
Rotolo a terra, gli tolgo il bersaglio.
Afferro il piede e colpisco con un pugno al cavallo.
Il capitano geme e crolla nel fango, non ho tempo di finirlo.
Mi aggrappo all’albero, ma Sorinov si rialza più in fretta.
Mi schiaccia contro il tronco e picchia alle costole, uno, due, tre pugni.
Vomito aria e sangue, mi piego in due.
Colpisce ancora il naso, il mondo diventa rosso. Non respiro.
La Porta sbatacchia ancora, così vicina.
Acciaio che striscia fuori dal cuoio. Qualcosa mi buca la mano sinistra, la passa da parte a parte.
Urlo.
Sorinov strappa il pugnale.
«Che cazzo credi di fare? Vuoi toglierci il lavoro? Distruggere tutto?»
Il mio sangue gocciola dalla lama del suo coltello.
Anche adesso pensa solo ai soldi. Non concepisce proprio che ci sia il sogno di un uomo, in mezzo.
Colpi di tosse, rochi, da destra. Sotto i tronchi.
Mollo un calcio a Sorinov in pieno petto, con tutta la forza che ho. Tira una coltellata, ma mi graffia solo il ginocchio.
Palina punta al pistola, ma una Tenia sbuca da sotto i tronchi e si avvinghia al capitano, tra me e lei.
Lo inizia a stritolare, attorno risuonano altri colpi di tosse.
Ringhio di dolore, riprendo la scalata.
Palina esplode un colpo, sbreccia un tronco acanto a me.
Non mi posso fermare, non adesso.
Spara ancora, ma non a me.
Mi inerpico sul mucchio di tronchi e vedo la casetta. È ancora lì, non è sparita.
Ce la posso fare.
***
La mano brucia come l’inferno. Ad ogni falcata le costole fanno più male, ma ci sono quasi, sono pochi metri.
Il pomello tremola, cerca di girare ancora e ancora, ma non ci…
Uno sparo, un dolore ardente alla coscia. La gamba cede e cado avanti, tra i sassi.
«Stai fermo!»
Sono pochi metri. Ma anche tra me e lei ci sono pochi metri, e non è una distanza da cui si può sbagliare.
Mi volto sul fianco.
«Perché hai sparato alla gamba?»
«Perché vuoi aprire la Porta? Potrebbe…»
«Svegliarsi?» la interrompo. «Sì, l’idea è quella.»
Il suo viso pallido è sporco di sangue, come quello di Mikela.
«Non te lo permetterò. Non mi toglierai i miei sogni.»
Rido. Nonostante la gamba che arde come un ciocco nella stufa, rido più forte che posso.
È come gli altri.
«Lo sai perché Lomenov si era ritirato nella Siberia più profonda? Lo sai cos’è successo a Mikela?»
Palina trema, ma tiene la pistola puntata al mio petto.
«Non mi interessa.»
«È questo il punto!»
Grido così forte da graffiarmi la gola. Qualcosa di bagnato mi scivola lungo la guancia.
«È questo… non importa a nessuno. Non importa a nessuno che sua moglie fosse morta, quello che ha passato, il motivo di questo incubo. Sai perché la donna tossisce?»
Mi metto in ginocchio, Palina fa un passo indietro.
«Stai fermo o ti sparo.»
«Tubercolosi. È morta di tubercolosi.»
La ragazzina non ha il collare a coprire la griglia nella nuca.
Sente tutto.
Il suo dito trema sul grilletto.
E allora ci ripenso.
Ripenso alle notti universitarie passate a capire cosa dovesse aver trovato Lomenov, quando sua moglie era morta. Agli studi del dottor Dalikijm, su cosa doveva essere successo quando ha iniziato il Sogno.
Quando ci è caduto dentro, senza più uscire.
Ripenso al vuoto che ho sentito nel cuore.
Sulla guancia di Palina scende una lacrima.
«S-smettila.»
«No.» Sibilo. «Se non avesse mai Sognato, tu potresti sognare come una bambina normale.»
Serra le labbra, ma abbassa un po’ la pistola.
«N-non m’importa.»
«Era il suo sogno, non un evento storico. Ora è il suo incubo, e noi non gli permettiamo di svegliarsi. È giusto che il mondo viva sul dolore di una persona?»
Palina si asciuga un occhio. La pistola si abbassa ancora un pochino.
«Ho detto che non m’importa.»
Le mie dita sfiorano il profilo del sasso giusto. Pesante ma non troppo, con un bordo appuntito.
«A me sì.»
Scaglio la pietra con tutta la forza che ho. La centro nell’occhio.
Grida come un’aquila, spara alla cieca.
Sto già correndo. La gamba non risponde, ma non importa.
Sono pochi metri.
Qualcosa mi fischia accanto all’orecchio.
Ha senso che muoia io, per lui? Che muoia tutto il mondo?
Non m’importa.
Chiudo le dita sul pomello, il petto mi esplode. La spalla avvampa, nelle mie orecchie solo spari.
Cado.
E giro la maniglia.
La prospettiva di tradire il proprio paese mette ansia, suppongo.
La pancia di metallo del veicolo vibra appena, i cingoli articolati sono pensati per superare ben di più di una strada accidentata.
«Non è strano?» Sollevo il guanto destro con la sinistra e soffio sul palmo per scaldarlo.
Il capitano Sorinov, davanti a me, accarezza il fucile.
«Cosa è strano, Sol?»
«No, pensavo che studiando ti viene detto che un evento storico è quando si avvera il sogno di tanti uomini. Ed è sempre stata una metafora, no? Ma qui, l’evento di Tunguska… se Lomenov non fosse caduto nel sogno…»
«La Russia starebbe ancora in mano allo Zar.» Sorinov sbuffa e alza i suoi occhi da Husky. «Quante volte ti ho sentito dire queste cazzate ultimamente, Sol?»
Lo sapevo che era inutile. Yuri Sorinov non è il tipo con cui parlare di ideali, se non hanno un tornaconto in rubli.
«Forse un po’ troppe, capitano.»
«E allora piantala. Il signor Kulikym vuole che il carico dell’estrazione sia sull’aereo per la consegna entro domattina. Mi servi sveglio.»
Lancia un’occhiata al resto della squadra.
Quasi tutti novellini, i volti coperti da passamontagna mimetici. Proprio da novellini.
Non si sono chiesti perchè né io né il capitano le abbiamo.
Nel Sogno di Tunguska non c’è mimetica che tenga, le Tenie ti trovano sempre.
Conta solo quanti dardi hai nel fucile e quanta alcalodixina c’è nel pauk.
«Ledjanko? Mi stai ascoltando?» Gli occhi del capitano si stringono, diventano due fessure.
«Sissignore.»
«Lo spero. Se avevi la testa tra le nuvole anche quando preparavi i dardi della squadra, allora siamo fottuti.»
«Ho potenziato i dardi. Per le Tenie piccole ne bastano tre a bersaglio. Quelle grosse sono imprevedibili, ma mezzo caricatore basterà.»
Uno dei novellini mi tiene gli occhi puntati addosso. Si starà cacando sotto.
«Che c’è, soldato?»
«La nostra guida sarà… un Dusha?»
«Sì. Non ne hai mai conosciuti, vero?»
Fa segno di no.
«È vero che quando dormono sognano quello che c’è dentro il Sogno? Che non hanno sogni normali?»
Tutta la squadra ora è fissa su di me.
Annuisco.
«Per questo sono ottime guide, e stabilizzano il Sogno. Meglio di così…»
Mugugnano, ma paiono convinti.
La verità è che i Dusha sono i parassiti del Sogno. Un po’ come tutta la Nuova Russia, in effetti.
Ma almeno noi siamo liberi di sognare altro.
Il pauk rallenta e si ferma con un cigolio.
Siamo già arrivati! Cazzo, il piano non è ancora pronto.
Il capitano grugnisce.
«Signorine, scendete a sgranchirvi le gambe. La partenza è tra meno di dieci minuti.»
Sparisce in cabina di pilotaggio a parlare col guidatore.
Il portello sul retro del trasporto sibila e si abbassa.
Il freddo del Confine del Sogno scivola subito dentro, così intenso da farmi rizzare i peli sotto all’uniforme.
Siamo troppi, come faccio a trovare la Porta?
Fuori, le case in lamiera e legno dei Dusha si addossano alla muraglia di contenimento.
Il fumo bianco sporco che sale dai comignoli non riesce a oscurare la luce rosa pallido del cielo.
Lo squarcio percorre le nubi come una coltellata rimarginata male.
Oltre la muraglia alta quindici metri, il Sogno. È come guardare in una bolla, di un rosso sbiadito.
Mi dà il vomito.
Una ragazzina Dusha con un cappotto lucido, rosso pure lui, si avvicina.
Sposta una ciocca dei capelli stinti, dello stesso colore della pelle che non ha mai visto il sole vero.
Scopre per un attimo il collare in plastica dura sulla nuca.
Le vado incontro.
Lei sarà il più grosso ostacolo, il mio nemico, ma non devo pensarlo. Non devo, o mi sentirà.
Non pensare. Non pensare.
«Ciao.»
La ragazzina si gratta la cauterizzazione attorno al collare, dove la pelle è arrossata.
«Non devi ripeterlo così forte. Non voglio leggerti.»
Deglutisco.
«M-ma se lo hai sentito…»
«Non ti sto leggendo, ma è come se lo stessi urlando. Smettila, per favore.»
Si massaggia la radice del naso con le ditine bianche.
«Scusa. Come ti chiami?»
«Palina.» Sporge la testa accanto a me. «Quella è la squadra?»
«Sì.»
La voce di Sorinov taglia l’aria.
«Cosa cazzo vuol dire che ce ne sono dentro già sedici?!»
Il militare di guardia al cancello, a pochi passi da noi, si schiaccia contro il muro.
«M-mi è solo stato comunicato…»
«Ascolta bene, piccolo idiota.» Sorinov lo afferra per il bavero dell’uniforme. «Il signor Kulikym vuole il suo carico per domattina sull’aereo. Se non mi paga lui chi cazzo mi paga, tu? Come facciamo a operare con altre sedici squadre?»
Che colpo di culo.
Sgambetto avanti sull’asfalto e lo raggiungo.
«Capitano, il carico è più importante. Per quindici chili bastiamo noi.»
Mi rivolge un’occhiataccia.
«Due uomini e una bambina Dusha? Ti stai rincoglionendo, Sol?»
«Anche in quattro, se sei più sicuro. Noi due, la bambina e due di quelli nuovi. Gli altri a casa.»
Il capitano stringe di nuovo gli occhi a fessura e si prepara a mandarmi a fanculo.
Ma lo conosco troppo bene.
«E ci teniamo la loro parte. Più torta per noi.»
Il suo muso da lupo si rilassa un poco.
Lascia andare la guardia con uno spintone e sputa, centrandole lo stivale.
«E sia, ma guidi tu il pauk. Dei novellini non mi fido.»
Si fa di nuovo sotto alla guardia, a un centimetro dalla sua faccia.
«E tu dovrai spiegare alla mia squadra perché oggi non verranno pagati.» Sibila.
Gira i tacchi e torna al veicolo.
«Muoviamoci.»
Palina mi guarda fisso, immobile dove l’ho lasciata.
Sono troppo lontano perché mi legga la mente, ma ho l’impressione che non porterà nulla di buono una Dusha così sveglia.
D’altronde, stavolta ho avuto più fortuna del solito.
Speriamo continui così, o sono fottuto.
E lo è anche Lomenov.
***
Il pauk si arrampica tra le montagne di tronchi caduti del Sogno, le zampe da ragno di metallo si muovono a scatti.
I cingoli articolati posti alla fine mordono il legno con un ringhio e ci tirano avanti.
Pigio sull’acceleratore e devio appena verso destra. In fondo alla distesa di tronchi abbattuti ci sono alcuni edifici.
Se devo far fuori il capitano e gli altri due mi serve un terreno stabile su cui scendere.
Mi volto e do un’occhiata all’interno del trasporto.
Palina sta seduta da una parte, gli altri tre dall’altra.
La ragazzina ha gli occhi chiusi, ma l’espressione di sforzo e la vena che le pulsa in rilievo sulla tempia mi dicono che è solo concentrata.
Bledy e Kornilov, i due novellini, non le staccano gli occhi di dosso.
Non hanno mai visto una Dusha equilibrare il Sogno, penseranno che stia facendo chissà che stregoneria.
Mi schiarisco la gola.
«Ricordate di usare le pistole solo in caso di massima emergenza.»
Il sudore ha già sbavato la loro pittura mimetica, l’orlo dei passamontagna è macchiato di nero vicino agli occhi.
Sorinov sbuffa.
«Per qualunque cosa usate i dardi. Solo i dardi.» Sottolinea le sue parole scrocchiando le nocche della destra. «Anche le Tenie sono parte delle mente di Lomenov. E più facciamo male alla sua mente, più tutto va a puttane. Chiaro?»
Bledy, quello più alto, annuisce.
«Sissignore.»
Torno a guardare avanti. Abbiamo quasi raggiunto gli edifici.
Gli alberi caduti si interrompono di colpo, lasciando posto alla strada.
«Capitano.» La voce di Kornilov è bassa, ma venata dal timore. «Cosa dobbiamo raccogliere?»
Il capitano grugnisce.
Sa proprio farsi amare.
«Dove cazzo hai vissuto fino ad ora, in un fottuto scantinato isolato dal mondo?»
«Signornò, signore.»
I cingoli graffiano l’asfalto.
«Cos’è che alimenta questo cassonetto a motore? O gli elivelivoli della flotta? Cosa cazzo siamo venuti a prendere, secondo te?»
«Alcalodiodi, signore.»
«Con cosa cazzo abbiamo vinto la guerra?»
«C-con gli alcalodiodi, signore.»
Sorinov sputa.
«Se le cose le sai, perché cazzo devi fare queste domande idiote?»
Qualcosa passa davanti al parabrezza, velocissimo. Un altro oggetto, un altro ancora.
Fogli, fogli scritti a mano.
Una delle pagine del Diario di Lomenov si spiaccica sul vetro.
Leggo la prima riga.
Il dottore ha detto che la situazione diventa sempre più grave…
Una folata di vento la strappa via.
È il momento giusto.
«C’è un problema alla zampa uno, non risponde come dovrebbe.»
Rallento e freno, il pauk si ferma.
«Scendo a controllare.»
Sorinov grugnisce.
«Sto coso è un rottame.»
Sorrido tra me e me.
È per questo che l’ho scelto.
Premo il pulsante di apertura del portello con il pugno, sollevo la levetta della scala e quella per la abbassare le zampe.
Prendo il mio fucile dal sedile del passeggero e apro la portiera, mi arrampico giù per la scaletta retrattile.
Il pauk si accuccia, piegando le zampe metalliche.
Vado davanti al muso e tolgo la sicura al fucile.
Passi pesanti risuonano sul portellone del retro.
Forza, venite.
Metto una mano accanto alla bocca.
«Cazzo, c’è qualcosa che gratta nel cofano! Una pagina dev’essere entrata.»
Appoggio la spalla sinistra al veicolo, ascolto i loro passi. Il mio dito sfiora il grilletto.
«Perché cazzo ti sei fermato qui, Sol?»
Mi abbasso, sbircio sotto al mezzo. Tre coppie di anfibi, in fila simmetrica.
Espiro.
Ce la posso fare. Ce la posso fare.
Il rumore lontano di una maniglia che gira a vuoto mi graffia le orecchie. Qualcuno sbatacchia una porta senza riuscire ad aprirla.
È qui! La Porta è qui!
Il rumore viene da dietro di me, oltre i palazzi. Drizzo la testa.
È un segno!
«Cosa cazzo è ‘sto…» Bledy non finisce la frase.
Un raschiare secco copre il rumore della porta. Un colpo di tosse, un altro ancora.
Bledy spunta accanto a me, ma non mi vede. Tiene gli occhi sbarrati davanti a sè. Punta il dito.
«La donna pallida!»
Una donna nuda sta dritta in piedi. La pelle è cerea, i capelli scuri sono unti.
Le si contano le costole.
Mikela Lomenov.
Tossisce ancora, del sangue le esce dalla bocca e le macchia il mento. La tosse la piega in due, riverbera così forte nell’aria da far tremare tutto il Sogno.
Bledy e Kornilov stanno immobili e le puntano addosso i fucili.
«Non sparate a lei!» Palina è accanto a Sorinov, due passi indietro. Non l’avevo vista uscire. «Sparate alle Tenie!»
Altro raschiare di gole che chiedono aria, mischiato al ticchettio di mille zampette.
Dagli alberi caduti che chiudono la strada spuntano decine di piccole Tenie.
Corpi come vermi, lunghi quanto un cane e coperti di chitina bianca, con bocche che tossiscono sangue. Dai fianchi escono zampette sottili da insetto, almeno di un metro.
Cazzo, non adesso!
Indietreggio vicino a Palina.
Sorinov si arrampica sulla scaletta.
Se ci muoviamo e guida bene ce la faremo.
Bledy e Kornilov aprono il fuoco sulla massa.
Trascino Palina per il braccio fin dentro al pauk e mi affaccio dal portello.
«Muovetevi!»
Non mi sentono, le raffiche di dardi coprono la mia voce.
La raffica si interrompe con il click dei caricatori svuotati.
«Sono troppi!» Bledy espelle il suo e mette mano alla giberna. «Ci serve un diversivo.»
«Bella idea.» Sorinov si sporge dall’abitacolo.
Spara due dardi, uno a Bledy e uno a Kornilov. Il narcotico agisce subito, i due cadono.
Il pauk si raddrizza sulle zampe di colpo, mi appendo alla maniglia sulla parte per non volare giù.
Accelera, sterza a destra e lascia lì i due corpi.
Serro i denti, non riesco a non guardare.
Il portello mi si chiude davanti prima che l’orda di Tenie li raggiunga e li stritoli.
***
Il ringhio del motore rimbomba nel ventre del pauk. Sorinov sta pestando forte sull’acceleratore, si sarà preso un bello spavento.
Tutto ondeggia piano, tronco dopo tronco che superiamo.
«D-dove a-a…» Sorinov fa fatica a parlare, si sforza. «a-andia… mo?»
Cosa cazzo sta…?
Palina mi sta fissando. Lo indica col capo.
«Rispondigli.»
La Porta era dietro di me, quindi alla nostra destra. Dove siamo scappati.
Mi schiarisco la gola. «Tira dritto.»
Il capitano articola qualche suono sconnesso.
«Cosa gli è successo?»
«L’ho distratto un po’. Per prendergli questa.»
Palina tira fuori dalla tasca del cappotto al pistola di Sorinov e la punta su di me.
Il fiato mi si congela nei polmoni.
Sono fottuto.
«Siediti, Solomon. Lascia il fucile a terra. Piano.»
La sua voce mi fa ronzare i timpani. Sta cercando di leggermi, sta cercando…
Non pensare, non pensare a niente.
Appoggio il fucile sul metallo e, con le mani alzate, mi faccio indietro e mi sedo.
«Intreccia le mani dietro la testa.»
Non pensare.
Faccio come dice e resto a guardarla.
Non pensare.
«È inutile che continui a ripeterlo.» Palina si accarezza il collare di plastica. Lo sgancia e sposta i capelli sulla spalla destra, scoprendo una placca di metallo impiantata appena sotto la nuca, simile alla griglia di un dissipatore.
«Adesso dimmi: perché sei uscito proprio quando hanno iniziato a piovere le pagine?»
Non pensare.
«Le ho viste tante volte, ma non le ho mai lette. Tutti i Dusha sognano solo nel Sogno, ma nessuno le legge mai. Che c’è scritto?»
Non c’è scritto nulla.
Chiudo gli occhi e tengo i denti serrati. Le tempie mi pulsano, le orecchie ronzano come se ci fossero dentro delle api.
Per un attimo le vedo volare davanti ai miei occhi.
Non pensare.
Le api volano via, inizia a piovere fitto fitto.
Non devi pensare!
Le gocce in realtà sono pagine viste per il taglio, iniziano a danzare nell’aria. Come prima, una si spiaccica davanti a me su un finestrino invisibile.
Il Diario di Lomenov. Mikela…
«Chi è Mikela?»
La voce di Palina forma dentro la mia testa l’immagine della donna pallida, con il petto coperto di sangue e le costole sporgenti.
Non. Devi. Pensare.
«Cos’è il Diario? Cosa contiene?»
Mikela scompare, inghiottita da una cascata di pagine.
Non pensare a Lomenov, per l’amor di Dio.
Il suono di una maniglia che gira senza riuscire ad aprirsi mi gratta fin dento al cervello.
Una porta di legno rosso, che chiude una piccola baita sbilenca. L’ho vista una volta sola, la Porta, ma non ho mai potuto scordarla.
«Cosa?!» Palina ha un singulto. «Tu…»
«Esci dalla mia testa!»
Sbatto la nuca all’indietro, contro la parete d’acciaio. Il dolore mi fa aprire gli occhi, il ronzio sparisce.
Palina ha la mandibola contratta, il suo volto magro trema.
«Tu vuoi aprire la Porta!»
Il pauk sobbalza di colpo, si inclina di lato.
Volo avanti, mi riparo la testa con le braccia. Il mondo mi si ribalta attorno.
Il boato di uno sparo e un fischio, un trillo assordante nelle orecchie.
Il pauk rotola sul fianco, mi schianto contro la paratia. La fronte mi esplode per un istante, gattono avanti alla cieca.
Con uno stridio dei pistoni, il portellone si apre di lato davanti a me.
Cl-cl-clack cl-cl…
Qualcuno cerca a tutti i costi di aprire quella maledetta porta.
È lì, oltre una catasta di tronchi abbattuti.
Una baita, la porta rossa che trema senza aprirsi. Meno di trenta metri.
La fronte mi pizzica, non so se è sangue o sudore quello che ho addosso. Non importa.
Mi puntello sui gomiti e le ginocchia e ruzzolo giù dal pauk.
Una Tenia di cinque metri ha avvolto le sue spire attorno alle zampe e alla cabina di guida del veicolo. Tossisce sangue sulle paratie di metallo.
La portiera gli si spalanca addosso e colpisce la sua testa da verme.
Sorinov le scarica una raffica di dardi addosso.
«Fottuto schifo di merda!»
La Tenia si divincola, il capitano balza giù e rotola a terra.
Prima che il mostro molli il pauk apre di nuovo il fuoco.
I dardi crivellano il corpo bianchiccio e rimbalzano contro le paratie, il caricatore si svuota in un lampo.
La Tenia crolla, trema appena.
Gattono fino a un tronco e mi isso in piedi. Sento meglio le gambe, sono più salde. Possono correre.
Palina emerge dal ventre del pauk, i suoi occhi mi si piantano addosso, pieni d’odio.
Sposta lo sguardo su Sorinov e l’espressione del capitano si congela per un istante.
Spalanca la bocca, come per gridare, ma il suo tono è poco più di un sussurro.
«La Porta…»
Il suo volto diventa quello di un lupo feroce.
Lascia il fucile e scatta verso di me.
Palina crolla in ginocchio.
Estraggo la pistola dalla fondina e abbasso al sicura.
L’anfibio destro mi scivola sulla corteccia umida e di nuovo il mondo si rovescia su sé stesso.
Sparo, l’impatto col terreno è una mazzata.
Come rimetto a fuoco Sorinov il suo calcio mi strappa di mano al pistola.
Mi calcia il fianco, strappandomi il respiro.
I suoi anfibi grattano il terreno, indietreggia per sferrarne un altro.
Rotolo a terra, gli tolgo il bersaglio.
Afferro il piede e colpisco con un pugno al cavallo.
Il capitano geme e crolla nel fango, non ho tempo di finirlo.
Mi aggrappo all’albero, ma Sorinov si rialza più in fretta.
Mi schiaccia contro il tronco e picchia alle costole, uno, due, tre pugni.
Vomito aria e sangue, mi piego in due.
Colpisce ancora il naso, il mondo diventa rosso. Non respiro.
La Porta sbatacchia ancora, così vicina.
Acciaio che striscia fuori dal cuoio. Qualcosa mi buca la mano sinistra, la passa da parte a parte.
Urlo.
Sorinov strappa il pugnale.
«Che cazzo credi di fare? Vuoi toglierci il lavoro? Distruggere tutto?»
Il mio sangue gocciola dalla lama del suo coltello.
Anche adesso pensa solo ai soldi. Non concepisce proprio che ci sia il sogno di un uomo, in mezzo.
Colpi di tosse, rochi, da destra. Sotto i tronchi.
Mollo un calcio a Sorinov in pieno petto, con tutta la forza che ho. Tira una coltellata, ma mi graffia solo il ginocchio.
Palina punta al pistola, ma una Tenia sbuca da sotto i tronchi e si avvinghia al capitano, tra me e lei.
Lo inizia a stritolare, attorno risuonano altri colpi di tosse.
Ringhio di dolore, riprendo la scalata.
Palina esplode un colpo, sbreccia un tronco acanto a me.
Non mi posso fermare, non adesso.
Spara ancora, ma non a me.
Mi inerpico sul mucchio di tronchi e vedo la casetta. È ancora lì, non è sparita.
Ce la posso fare.
***
La mano brucia come l’inferno. Ad ogni falcata le costole fanno più male, ma ci sono quasi, sono pochi metri.
Il pomello tremola, cerca di girare ancora e ancora, ma non ci…
Uno sparo, un dolore ardente alla coscia. La gamba cede e cado avanti, tra i sassi.
«Stai fermo!»
Sono pochi metri. Ma anche tra me e lei ci sono pochi metri, e non è una distanza da cui si può sbagliare.
Mi volto sul fianco.
«Perché hai sparato alla gamba?»
«Perché vuoi aprire la Porta? Potrebbe…»
«Svegliarsi?» la interrompo. «Sì, l’idea è quella.»
Il suo viso pallido è sporco di sangue, come quello di Mikela.
«Non te lo permetterò. Non mi toglierai i miei sogni.»
Rido. Nonostante la gamba che arde come un ciocco nella stufa, rido più forte che posso.
È come gli altri.
«Lo sai perché Lomenov si era ritirato nella Siberia più profonda? Lo sai cos’è successo a Mikela?»
Palina trema, ma tiene la pistola puntata al mio petto.
«Non mi interessa.»
«È questo il punto!»
Grido così forte da graffiarmi la gola. Qualcosa di bagnato mi scivola lungo la guancia.
«È questo… non importa a nessuno. Non importa a nessuno che sua moglie fosse morta, quello che ha passato, il motivo di questo incubo. Sai perché la donna tossisce?»
Mi metto in ginocchio, Palina fa un passo indietro.
«Stai fermo o ti sparo.»
«Tubercolosi. È morta di tubercolosi.»
La ragazzina non ha il collare a coprire la griglia nella nuca.
Sente tutto.
Il suo dito trema sul grilletto.
E allora ci ripenso.
Ripenso alle notti universitarie passate a capire cosa dovesse aver trovato Lomenov, quando sua moglie era morta. Agli studi del dottor Dalikijm, su cosa doveva essere successo quando ha iniziato il Sogno.
Quando ci è caduto dentro, senza più uscire.
Ripenso al vuoto che ho sentito nel cuore.
Sulla guancia di Palina scende una lacrima.
«S-smettila.»
«No.» Sibilo. «Se non avesse mai Sognato, tu potresti sognare come una bambina normale.»
Serra le labbra, ma abbassa un po’ la pistola.
«N-non m’importa.»
«Era il suo sogno, non un evento storico. Ora è il suo incubo, e noi non gli permettiamo di svegliarsi. È giusto che il mondo viva sul dolore di una persona?»
Palina si asciuga un occhio. La pistola si abbassa ancora un pochino.
«Ho detto che non m’importa.»
Le mie dita sfiorano il profilo del sasso giusto. Pesante ma non troppo, con un bordo appuntito.
«A me sì.»
Scaglio la pietra con tutta la forza che ho. La centro nell’occhio.
Grida come un’aquila, spara alla cieca.
Sto già correndo. La gamba non risponde, ma non importa.
Sono pochi metri.
Qualcosa mi fischia accanto all’orecchio.
Ha senso che muoia io, per lui? Che muoia tutto il mondo?
Non m’importa.
Chiudo le dita sul pomello, il petto mi esplode. La spalla avvampa, nelle mie orecchie solo spari.
Cado.
E giro la maniglia.