Il biglietto
Inviato: mercoledì 15 luglio 2020, 16:19
Il biglietto
La piazza è invasa da una folla sterminata, siamo tutti sotto la pioggia primaverile, ognuno parlotta coi vicini. Io sto zitto.
Vecchi e vecchie abbracciati, donne e uomini con passeggini, fratelli e sorelle maggiori che tengono la mano ai più piccoli.
Le case sono deserte. Lo so perché anche casa mia è vuota. I miei genitori, mia moglie, sono da qualche parte in questo marasma di impermeabili giallo limone e blu oltremare. Ci siamo persi di vista ore fa, la cosa non mi dispiace.
Faccio scivolare le dita lungo la plastica viscida dell'impermeabile, nella tasca. Sfioro la bottiglietta.
Gli altoparlanti stridono, tutti ammutoliscono e si voltano verso il palco, verso il telo gigante retto dai tralicci.
Un proiettore inonda il lenzuolo con l'immagine sfarfallante del mezzobusto di un uomo, la proiezione si stabilizza. Appare il santo El nella sua tunica avorio, col suo caschetto biondo, gli occhi cobalto. Alle sue spalle un green screen simula una veduta posticcia della scogliera di Dover.
Teste e spalle oscillano davanti a me, ognuno vuole accaparrarsi la migliore posizione per guardare.
Il santo El fa un cenno a qualcuno non inquadrato e attacca a parlare nella lingua da iniziati che forse conosceranno in quaranta. La voce del traduttore si accoda, gli altoparlanti gracchiano "Cari esseri di luce, vi saluto." El guarda in camera, ed è come se guardasse dentro ognuno di noi.
Intorno a me si levano applausi, grida isteriche, pianti.
"Oggi, ci ricongiungeremo alle madri celesti." El chiude le palpebre, allarga le braccia con i palmi rivolti verso l'alto, come le mistiche durante l'estasi.
Tutti attorno a me imitano il gesto dell'uomo nello schermo. Da qualche parte anche mia madre, mia moglie e mio padre staranno facendo lo stesso. Frugo nella tasca, si sta riempiendo di acqua, ma la bottiglietta è al suo posto.
Il santo ha riaperto gli occhi. "Oggi cari esseri di luce, dobbiamo mostrarci alle madri con dignità, senza lacrime, senza paura." La folla si scuote dalla preghiera, mormora.
"Avete con voi il siero per la trasmigrazione?"
Intorno a me, cappucci gommati annuiscono. Esseri umani ridotti a fagotti idrorepellenti frugano nelle tasche e nei reggiseni, nelle mutande. In quante piazze e in quanti stadi in questo momento la gente fruga e annuisce? Nella mia tasca la bottiglia di siero galleggia in tre dita di acqua piovana.
"Ricordate cari esseri di luce, di aiutare prima gli anziani e i vostri cuccioli. Non vorrete abbandonarli sul piano sbagliato, all'arrivo delle dee?"
Una massa di cappucci fa cenno che no, non vorrebbe mai abbandonarli.
"E ricordate anche di usare tutto il siero, altrimenti la trasmigrazione potrebbe essere troppo lunga." Il santo El guarda ancora una volta fisso in camera, immobile. Un impermeabile accanto a me sviene, altri due lo sollevano da terra.
"Adesso miei cari esseri, siate pronti. Aspettiamo solo che le divinità si mostrino nel loro vascello celeste, allora procederemo."
La piazza risuona del rimestare in buste, tasche, biancheria intima. Nelle mani si materializzano bottigliette di plastica, barattolini di vetro, grosse fiale, tazze da caffè con coperchio filettato, siringhe extra large senza ago.
Stringo la bottiglietta nella tasca. Il vascello celeste o, come preferiscono chiamarlo i ricercatori, JK565-alpha.
El ha chiuso di nuovo gli occhi. Inizia una litania di "mmm", la parodia di una meditazione. Tutto la piazza fa "mmm." Tutto il mondo fa "mmm."
JK565-alpha o, come lo chiamano i giornalisti, "Oppy".
Ha smesso di piovere, le nuvole si stanno diradando. La folla mugghiante toglie alla cieca cappucci e impermeabili, gettandoli via. Un patchwork di gomma ricopre il suolo.
"Oppy" sta per Oppenheimer. Una citazione di una citazione.
Ognuno stringe tra le mani il proprio biglietto per il vascello celeste.
Oppy, JK565-alpha, il vascello celeste, o come piace chiamarlo a me, sasso spaziale. Un sasso grande come l’Everest, che ci corre incontro alla velocità che basterebbe a coprire New York - Londra in meno di tre minuti.
"Così sono diventato morte, il distruttore di mondi."
Come fa una setta millenarista di quaranta persone a diventare la prima religione mondiale? Usa la bibbia per calcolare la data della fine del mondo.
E indovina.
Indovina il giorno, prima della NASA.
Ho trovato la ricetta del mio siero su YouTube, non c'è star che non abbia proposto la sua versione rivisitata. Chanel vende boccette da 300 euro, con aroma di numero 5. Nello spot la modella ricorda che bisogna presentarsi alle dee facendo capire in fretta il proprio status.
Cosa se ne fa qualcuno di altri soldi, quando è l'ultimo giorno dell'umanità? Girano voci di miliardari pronti a fuggire in astronave. Voci di biglietti da mezzo miliardo di dollari per raggiungere stazioni orbitali, dove passare i decenni necessari a smaltire gli effetti dell'impatto.
Questa gente, che muggisce intorno a me, ha donato tutto ciò che aveva alla chiesa delle anime luminose. Aiuta molto il suicidio sapere che non hai più nulla. Siamo tutti pronti all'ultimo viaggio, nessun ripensamento.
Il santo El, il divino capo della chiesa delle anime di luce, dice che questo è il culmine dell’essere umano, l'apice spirituale. In confronto a lui, dice, Cristo o Buddha erano lavapiatti. Non so cosa credere, e non ha importanza. Tutti quelli che conosco sono convertiti.
Per quei pochi che non moriranno all'impatto, le ore successive sarebbero come un tuffo nelle vasche di raffreddamento a Černobyl'.
E fare il bidet con l'acqua di Fukushima.
E una corsetta a Bhopal il tre dicembre ottantaquattro.
Cosa ottieni mescolando sciroppo alla fragola, valium, cianuro, prometazina e idrato di cloro?
Il siero della rinascita.
In cielo, oltre al sole, qualcos'altro luccica. Luci di posizione del vascello celeste.
"Care anime luminose" la voce del traduttore riscuote tutti dalla trance meditativa, "mi dicono che il momento è giunto, che è ora di imbarcarci per il nostro viaggio, per liberarci di questo guscio fisico." Il santo guarda le sue braccia con sdegno. Qualcuno allunga nell'inquadratura un calice di cristallo colmo di liquido rosa. El Fa un cenno dritto in camera.
La gente svita e stappa e apre. L'odore sciropposo di fragola mi allaga le narici. Rimando indietro un conato, apro la mia bottiglia.
"Ci vediamo tra poco, anime fraterne." Il santo scola il calice, le casse rimandano il deglutire di altre persone non inquadrate. El si pulisce il bordo della bocca con un tovagliolo di seta, impassibile. "Adesso tocca a voi."
Nella piazza ogni genitore passa ai figli bottigliette, come fossimo a un picnic. Ai bambini piccoli si dà da bere col biberon. Sotto i portici ci sono una cinquantina di sedie a rotelle di un qualche circolo anziani. Le infermiere si danno un gran da fare vicino alle flebo di fisiologica che penzolano dalle aste.
Il deglutire ritmico di un milione di laringi suggerisce che vecchi e bambini sono a posto. Gli adulti possono timbrare il loro biglietto.
Dietro di me qualcosa di vetro si frantuma.
"No!"
Un tizio singhiozza, inginocchiato davanti a una pozzanghera di vetri e melma rosa. La folla dei morenti si allontana, formando un anello che circonda l'uomo. Lo additano, lo compatiscono. Non potrà raggiungerci sul vascello.
Tutti serrano le palpebre e allargano le mani in preghiera. El starà facendo lo stesso sullo schermo.
Mi avvicino all'uomo che lappa la fanghiglia vetrosa dal selciato. Gli poggio una mano sulla spalla. "Vuoi farti un'agonia di 15 ore?"
L'uomo solleva il capo e cerca il mio sguardo "Che cosa devo fare? ho perso il mio siero." Ha la lingua rosa, punteggiata da schegge di vetro insanguinate.
In alto il meteorite si è fatto più grande e luminoso. Sospiro.
Qualcuno piange. Genitori cullano tra le braccia neonati col volto blu fiordaliso. Le giacche colorate usate a mo’ di coperta funebre, al suolo, lasciano spuntare gambine grassocce. Adolescenti si contraggono a terra, schiumando rosa e porpora dalla bocca.
Devi essere veramente convinto, per voler finire così.
Gli tendo la bottiglia. "Tieni, prendi la mia." L'uomo sgrana gli occhi, mi strappa di mano il siero e l'ingolla in due sorsi. "Grazie, grazie, anima di luce!" Mi bacia i piedi.
Dagli altoparlanti arriva un gorgóglio, un tonfo, la telecamera schizza in alto, lasciando nell'inquadratura solo il volto di El. Il santo cade in avanti, e sul telone resta solo il cielo del fondale.
Intorno a me la gente barcolla, si accascia, un concerto di rantoli e singhiozzi. Vado a sedermi sugli scalini del porticato. I vecchi bluastri sulle sedie a rotelle sono morti tenendosi per mano, una collana di lapislazzuli rugosi. Ai loro piedi cinque infermiere riverse, tutte con la manica sinistra arrotolata.
Il bolide nel cielo è un piccolo sole. Anche le ultime voci si sono spente, sul manto di impermeabili giace un deserto di cadaveri bluastri con vomito rosa sulle labbra, sul petto. Gli impermeabili che abbiamo portato… abbiamo davvero pensato tutti di dover evitare il raffreddore? Fottuta speranza.
"Dai che abbiamo aspettato abbastanza." È la voce del traduttore a uscire dalle casse. Mi alzo, scendo le scale con un percorso a zig-zag, uno slalom tra cadaveri. Il telo della proiezione è perfettamente visibile, non c'è più nessuno in piedi a disturbare la visione.
Il santo El si alza, la tonaca riempie l'immagine. "Dammi un po' d'acqua, sono quaranta minuti che ho quello schifo di fragola in bocca." È la sua voce.
Nell'inquadratura, qualcuno passa a El un bicchiere d'acqua, si sente il rumore della bevuta dagli altoparlanti. Qualche goccia cade a punteggiare la tunica che gli copre il petto.
El avvicina il volto alla camera come guardasse in uno specchio. Si sistema il colletto. Con due dita divarica una palpebra e avvicina la punta dell'indice della mano libera. Il dito si allontana sormontato da una piccola lente azzurra. Ripete l'operazione tirando via anche l'altra lente. I suoi occhi porcini, nerissimi invadono l'immagine.
Infila le dita tra i capelli, nelle casse risuona un rumore di cerotti staccati. El butta via il parrucchino biondo, rivelando la pelata punteggiata di petecchie.
"Muoviti dai," dice la voce fuoricampo del traduttore "tra venti minuti dobbiamo essere a bordo della capsula." El abbandona l'immagine, restano il rumore dello statico e il cielo fasullo.
Attorno a me non c'è nessuno che possa vedere il supremo inganno.
L'autostrada è un deserto. Non guardo il contachilometri, non ci saranno multe per me. Il paesaggio è una sbavatura di colori mescolati dalla velocità. In alto, Oppy, fiammeggia. I ponti autostradali sono circondati da automobili parcheggiate sui lati, in giro però non c'è nessuno.
Mi fermo su un prato invaso da macchine, camper, moto. Scendo, anche qui è il deserto, si sente solo il frangere delle onde. Cammino sul manto erboso, fino al suo limite. Il bordo della scogliera. Mi sporgo, un abisso di roccia più in basso c’è la spiaggia, cosparsa di sagome umane. Quelli che hanno saltato più in là hanno raggiunto la battigia. Le onde rivoltano i cadaveri in una macabra danza. Sfilo l'impermeabile, lo lancio nel vuoto. Mi tolgo la maglia, i pantaloni, canottiera, mutande, calzini. Vola tutto giù.
Sotto il mio peso l'erba umida si spezza. L'aria è gonfia dell'odore di salsedine e terriccio bagnato. Il meteorite è più grande del sole.
Spingo le punte dei piedi oltre il baratro, ben piantato sui talloni. Stendo in alto le braccia. Che buffo, ho sempre avuto paura dei tuffi. Contraggo le gambe, rilascio la tensione, mi lancio in avanti.
– Giacomo Puca –
La piazza è invasa da una folla sterminata, siamo tutti sotto la pioggia primaverile, ognuno parlotta coi vicini. Io sto zitto.
Vecchi e vecchie abbracciati, donne e uomini con passeggini, fratelli e sorelle maggiori che tengono la mano ai più piccoli.
Le case sono deserte. Lo so perché anche casa mia è vuota. I miei genitori, mia moglie, sono da qualche parte in questo marasma di impermeabili giallo limone e blu oltremare. Ci siamo persi di vista ore fa, la cosa non mi dispiace.
Faccio scivolare le dita lungo la plastica viscida dell'impermeabile, nella tasca. Sfioro la bottiglietta.
Gli altoparlanti stridono, tutti ammutoliscono e si voltano verso il palco, verso il telo gigante retto dai tralicci.
Un proiettore inonda il lenzuolo con l'immagine sfarfallante del mezzobusto di un uomo, la proiezione si stabilizza. Appare il santo El nella sua tunica avorio, col suo caschetto biondo, gli occhi cobalto. Alle sue spalle un green screen simula una veduta posticcia della scogliera di Dover.
Teste e spalle oscillano davanti a me, ognuno vuole accaparrarsi la migliore posizione per guardare.
Il santo El fa un cenno a qualcuno non inquadrato e attacca a parlare nella lingua da iniziati che forse conosceranno in quaranta. La voce del traduttore si accoda, gli altoparlanti gracchiano "Cari esseri di luce, vi saluto." El guarda in camera, ed è come se guardasse dentro ognuno di noi.
Intorno a me si levano applausi, grida isteriche, pianti.
"Oggi, ci ricongiungeremo alle madri celesti." El chiude le palpebre, allarga le braccia con i palmi rivolti verso l'alto, come le mistiche durante l'estasi.
Tutti attorno a me imitano il gesto dell'uomo nello schermo. Da qualche parte anche mia madre, mia moglie e mio padre staranno facendo lo stesso. Frugo nella tasca, si sta riempiendo di acqua, ma la bottiglietta è al suo posto.
Il santo ha riaperto gli occhi. "Oggi cari esseri di luce, dobbiamo mostrarci alle madri con dignità, senza lacrime, senza paura." La folla si scuote dalla preghiera, mormora.
"Avete con voi il siero per la trasmigrazione?"
Intorno a me, cappucci gommati annuiscono. Esseri umani ridotti a fagotti idrorepellenti frugano nelle tasche e nei reggiseni, nelle mutande. In quante piazze e in quanti stadi in questo momento la gente fruga e annuisce? Nella mia tasca la bottiglia di siero galleggia in tre dita di acqua piovana.
"Ricordate cari esseri di luce, di aiutare prima gli anziani e i vostri cuccioli. Non vorrete abbandonarli sul piano sbagliato, all'arrivo delle dee?"
Una massa di cappucci fa cenno che no, non vorrebbe mai abbandonarli.
"E ricordate anche di usare tutto il siero, altrimenti la trasmigrazione potrebbe essere troppo lunga." Il santo El guarda ancora una volta fisso in camera, immobile. Un impermeabile accanto a me sviene, altri due lo sollevano da terra.
"Adesso miei cari esseri, siate pronti. Aspettiamo solo che le divinità si mostrino nel loro vascello celeste, allora procederemo."
La piazza risuona del rimestare in buste, tasche, biancheria intima. Nelle mani si materializzano bottigliette di plastica, barattolini di vetro, grosse fiale, tazze da caffè con coperchio filettato, siringhe extra large senza ago.
Stringo la bottiglietta nella tasca. Il vascello celeste o, come preferiscono chiamarlo i ricercatori, JK565-alpha.
El ha chiuso di nuovo gli occhi. Inizia una litania di "mmm", la parodia di una meditazione. Tutto la piazza fa "mmm." Tutto il mondo fa "mmm."
JK565-alpha o, come lo chiamano i giornalisti, "Oppy".
Ha smesso di piovere, le nuvole si stanno diradando. La folla mugghiante toglie alla cieca cappucci e impermeabili, gettandoli via. Un patchwork di gomma ricopre il suolo.
"Oppy" sta per Oppenheimer. Una citazione di una citazione.
Ognuno stringe tra le mani il proprio biglietto per il vascello celeste.
Oppy, JK565-alpha, il vascello celeste, o come piace chiamarlo a me, sasso spaziale. Un sasso grande come l’Everest, che ci corre incontro alla velocità che basterebbe a coprire New York - Londra in meno di tre minuti.
"Così sono diventato morte, il distruttore di mondi."
Come fa una setta millenarista di quaranta persone a diventare la prima religione mondiale? Usa la bibbia per calcolare la data della fine del mondo.
E indovina.
Indovina il giorno, prima della NASA.
Ho trovato la ricetta del mio siero su YouTube, non c'è star che non abbia proposto la sua versione rivisitata. Chanel vende boccette da 300 euro, con aroma di numero 5. Nello spot la modella ricorda che bisogna presentarsi alle dee facendo capire in fretta il proprio status.
Cosa se ne fa qualcuno di altri soldi, quando è l'ultimo giorno dell'umanità? Girano voci di miliardari pronti a fuggire in astronave. Voci di biglietti da mezzo miliardo di dollari per raggiungere stazioni orbitali, dove passare i decenni necessari a smaltire gli effetti dell'impatto.
Questa gente, che muggisce intorno a me, ha donato tutto ciò che aveva alla chiesa delle anime luminose. Aiuta molto il suicidio sapere che non hai più nulla. Siamo tutti pronti all'ultimo viaggio, nessun ripensamento.
Il santo El, il divino capo della chiesa delle anime di luce, dice che questo è il culmine dell’essere umano, l'apice spirituale. In confronto a lui, dice, Cristo o Buddha erano lavapiatti. Non so cosa credere, e non ha importanza. Tutti quelli che conosco sono convertiti.
Per quei pochi che non moriranno all'impatto, le ore successive sarebbero come un tuffo nelle vasche di raffreddamento a Černobyl'.
E fare il bidet con l'acqua di Fukushima.
E una corsetta a Bhopal il tre dicembre ottantaquattro.
Cosa ottieni mescolando sciroppo alla fragola, valium, cianuro, prometazina e idrato di cloro?
Il siero della rinascita.
In cielo, oltre al sole, qualcos'altro luccica. Luci di posizione del vascello celeste.
"Care anime luminose" la voce del traduttore riscuote tutti dalla trance meditativa, "mi dicono che il momento è giunto, che è ora di imbarcarci per il nostro viaggio, per liberarci di questo guscio fisico." Il santo guarda le sue braccia con sdegno. Qualcuno allunga nell'inquadratura un calice di cristallo colmo di liquido rosa. El Fa un cenno dritto in camera.
La gente svita e stappa e apre. L'odore sciropposo di fragola mi allaga le narici. Rimando indietro un conato, apro la mia bottiglia.
"Ci vediamo tra poco, anime fraterne." Il santo scola il calice, le casse rimandano il deglutire di altre persone non inquadrate. El si pulisce il bordo della bocca con un tovagliolo di seta, impassibile. "Adesso tocca a voi."
Nella piazza ogni genitore passa ai figli bottigliette, come fossimo a un picnic. Ai bambini piccoli si dà da bere col biberon. Sotto i portici ci sono una cinquantina di sedie a rotelle di un qualche circolo anziani. Le infermiere si danno un gran da fare vicino alle flebo di fisiologica che penzolano dalle aste.
Il deglutire ritmico di un milione di laringi suggerisce che vecchi e bambini sono a posto. Gli adulti possono timbrare il loro biglietto.
Dietro di me qualcosa di vetro si frantuma.
"No!"
Un tizio singhiozza, inginocchiato davanti a una pozzanghera di vetri e melma rosa. La folla dei morenti si allontana, formando un anello che circonda l'uomo. Lo additano, lo compatiscono. Non potrà raggiungerci sul vascello.
Tutti serrano le palpebre e allargano le mani in preghiera. El starà facendo lo stesso sullo schermo.
Mi avvicino all'uomo che lappa la fanghiglia vetrosa dal selciato. Gli poggio una mano sulla spalla. "Vuoi farti un'agonia di 15 ore?"
L'uomo solleva il capo e cerca il mio sguardo "Che cosa devo fare? ho perso il mio siero." Ha la lingua rosa, punteggiata da schegge di vetro insanguinate.
In alto il meteorite si è fatto più grande e luminoso. Sospiro.
Qualcuno piange. Genitori cullano tra le braccia neonati col volto blu fiordaliso. Le giacche colorate usate a mo’ di coperta funebre, al suolo, lasciano spuntare gambine grassocce. Adolescenti si contraggono a terra, schiumando rosa e porpora dalla bocca.
Devi essere veramente convinto, per voler finire così.
Gli tendo la bottiglia. "Tieni, prendi la mia." L'uomo sgrana gli occhi, mi strappa di mano il siero e l'ingolla in due sorsi. "Grazie, grazie, anima di luce!" Mi bacia i piedi.
Dagli altoparlanti arriva un gorgóglio, un tonfo, la telecamera schizza in alto, lasciando nell'inquadratura solo il volto di El. Il santo cade in avanti, e sul telone resta solo il cielo del fondale.
Intorno a me la gente barcolla, si accascia, un concerto di rantoli e singhiozzi. Vado a sedermi sugli scalini del porticato. I vecchi bluastri sulle sedie a rotelle sono morti tenendosi per mano, una collana di lapislazzuli rugosi. Ai loro piedi cinque infermiere riverse, tutte con la manica sinistra arrotolata.
Il bolide nel cielo è un piccolo sole. Anche le ultime voci si sono spente, sul manto di impermeabili giace un deserto di cadaveri bluastri con vomito rosa sulle labbra, sul petto. Gli impermeabili che abbiamo portato… abbiamo davvero pensato tutti di dover evitare il raffreddore? Fottuta speranza.
"Dai che abbiamo aspettato abbastanza." È la voce del traduttore a uscire dalle casse. Mi alzo, scendo le scale con un percorso a zig-zag, uno slalom tra cadaveri. Il telo della proiezione è perfettamente visibile, non c'è più nessuno in piedi a disturbare la visione.
Il santo El si alza, la tonaca riempie l'immagine. "Dammi un po' d'acqua, sono quaranta minuti che ho quello schifo di fragola in bocca." È la sua voce.
Nell'inquadratura, qualcuno passa a El un bicchiere d'acqua, si sente il rumore della bevuta dagli altoparlanti. Qualche goccia cade a punteggiare la tunica che gli copre il petto.
El avvicina il volto alla camera come guardasse in uno specchio. Si sistema il colletto. Con due dita divarica una palpebra e avvicina la punta dell'indice della mano libera. Il dito si allontana sormontato da una piccola lente azzurra. Ripete l'operazione tirando via anche l'altra lente. I suoi occhi porcini, nerissimi invadono l'immagine.
Infila le dita tra i capelli, nelle casse risuona un rumore di cerotti staccati. El butta via il parrucchino biondo, rivelando la pelata punteggiata di petecchie.
"Muoviti dai," dice la voce fuoricampo del traduttore "tra venti minuti dobbiamo essere a bordo della capsula." El abbandona l'immagine, restano il rumore dello statico e il cielo fasullo.
Attorno a me non c'è nessuno che possa vedere il supremo inganno.
L'autostrada è un deserto. Non guardo il contachilometri, non ci saranno multe per me. Il paesaggio è una sbavatura di colori mescolati dalla velocità. In alto, Oppy, fiammeggia. I ponti autostradali sono circondati da automobili parcheggiate sui lati, in giro però non c'è nessuno.
Mi fermo su un prato invaso da macchine, camper, moto. Scendo, anche qui è il deserto, si sente solo il frangere delle onde. Cammino sul manto erboso, fino al suo limite. Il bordo della scogliera. Mi sporgo, un abisso di roccia più in basso c’è la spiaggia, cosparsa di sagome umane. Quelli che hanno saltato più in là hanno raggiunto la battigia. Le onde rivoltano i cadaveri in una macabra danza. Sfilo l'impermeabile, lo lancio nel vuoto. Mi tolgo la maglia, i pantaloni, canottiera, mutande, calzini. Vola tutto giù.
Sotto il mio peso l'erba umida si spezza. L'aria è gonfia dell'odore di salsedine e terriccio bagnato. Il meteorite è più grande del sole.
Spingo le punte dei piedi oltre il baratro, ben piantato sui talloni. Stendo in alto le braccia. Che buffo, ho sempre avuto paura dei tuffi. Contraggo le gambe, rilascio la tensione, mi lancio in avanti.
– Giacomo Puca –