Un attimo, per sempre
Inviato: lunedì 24 agosto 2015, 23:23
È la pioggia sul viso che mi fa credere che non sia un sogno. L'aria fredda che si intrufola nei vestiti e le gocce che mi appiattiscono i capelli.
E poi riconosco la strada, ogni albero, ogni curva, solo che da quest'altezza tutto è diverso. Sfreccio sopra le rare macchine che passano a notte inoltrata e bucano il buio nei tratti senza lampioni. Fa freddo. E mi sono appena accorto di una cosa: non posso cambiare direzione, posso andare solo avanti, con una sensazione paradisica appena inquinata dalla consapevolezza che noi uomini non possiamo volare.
Non il nostro corpo, almeno. E allora?
Che mi sta succedendo?
Sto planando e trattengo i brividi, quando mi rendo conto di essere nei pressi del fiume che taglia in due la città, il ponte ora è ben visibile e l'auto che lo attraversa mi è familiare. Al volante c'è Giorgia.
Il cuore comincia a pompare disordinatamente mandandomi il cervello fuori giri, mi si apre un varco nel ventre e ci entra una bolla nera di paura. Giorgia... rallenta Giorgia. La mia bambina. Ha la pelle liscia come una pesca, con le guance ancora da mordere. Perché sono qui sopra di te? Vai piano, amore. Perché non sono a letto, steso vicino a tua madre? Dio, quanto fa freddo. Il ponte è ormai dietro di noi.
Brava, rallenta, così. No, metti via quel cellulare. Guarda avanti. Perché non mi schianto a terra? Tutta la paura che mi sento dentro dovrebbe trascinarmi giù, a rotolare sull'asfalto bagnato.
Mi devo svegliare. Svegliatemi! Dio, ascoltami! Cancella dai miei occhi questa strada, non la voglio vedere. So dove porta. Farò tutto quello che vuoi, tutto. Svegliami!
La macchina fila sulla lunga retta prima del paese dove abitiamo. I fari di un'altra auto si avvicinano nella direzione opposta. La mia pelle è coperta di ghiaccio e non posso distogliere gli occhi da quello che avviene sotto di me.
L'urto è tremendo, ma non sento rumore; ci sono scintille e pezzi che saltano ovunque. Mi trovo a girare in tondo senza poter scendere, come un condor affamato, allora urlo tutta la mia rabbia e, finalmente, posso avvicinarmi a terra.
C'è la luna che sbuca tra le nuvole e manda bagliori dai cristalli in frantumi. Mia figlia è faccia sotto sull'erba fradicia, con le gambe piegate in malomodo sul selciato. Mi avvicino piano per girarla e raccoglierle la testa sulle ginocchia, il sangue rende bianca la sua pelle.
Deposito tutti i baci che posso sul viso tiepido e aspiro vorace il suo respiro sempre più debole.
«Sono qui, Giorgia, mi senti? Sono qui con te.»
«Papà... » poco più di un sussurro. Apre gli occhi e guarda fisso nella notte. Quello che c'è di me vicino a lei è meno visibile di un raggio di luna.
«Dormi, bambina, non ti lascio, ora dormi.»
L'abbraccio stretta mentre se ne va e uno scroscio di pioggia porta via il sangue dalle sue guance livide.
Mi sveglia il suono insistente del campanello e, prima che possa impedirlo, mia moglie è già sulla soglia. Non posso più fare niente. Mi è stato dato un attimo e dovrà bastarmi per sempre.
E poi riconosco la strada, ogni albero, ogni curva, solo che da quest'altezza tutto è diverso. Sfreccio sopra le rare macchine che passano a notte inoltrata e bucano il buio nei tratti senza lampioni. Fa freddo. E mi sono appena accorto di una cosa: non posso cambiare direzione, posso andare solo avanti, con una sensazione paradisica appena inquinata dalla consapevolezza che noi uomini non possiamo volare.
Non il nostro corpo, almeno. E allora?
Che mi sta succedendo?
Sto planando e trattengo i brividi, quando mi rendo conto di essere nei pressi del fiume che taglia in due la città, il ponte ora è ben visibile e l'auto che lo attraversa mi è familiare. Al volante c'è Giorgia.
Il cuore comincia a pompare disordinatamente mandandomi il cervello fuori giri, mi si apre un varco nel ventre e ci entra una bolla nera di paura. Giorgia... rallenta Giorgia. La mia bambina. Ha la pelle liscia come una pesca, con le guance ancora da mordere. Perché sono qui sopra di te? Vai piano, amore. Perché non sono a letto, steso vicino a tua madre? Dio, quanto fa freddo. Il ponte è ormai dietro di noi.
Brava, rallenta, così. No, metti via quel cellulare. Guarda avanti. Perché non mi schianto a terra? Tutta la paura che mi sento dentro dovrebbe trascinarmi giù, a rotolare sull'asfalto bagnato.
Mi devo svegliare. Svegliatemi! Dio, ascoltami! Cancella dai miei occhi questa strada, non la voglio vedere. So dove porta. Farò tutto quello che vuoi, tutto. Svegliami!
La macchina fila sulla lunga retta prima del paese dove abitiamo. I fari di un'altra auto si avvicinano nella direzione opposta. La mia pelle è coperta di ghiaccio e non posso distogliere gli occhi da quello che avviene sotto di me.
L'urto è tremendo, ma non sento rumore; ci sono scintille e pezzi che saltano ovunque. Mi trovo a girare in tondo senza poter scendere, come un condor affamato, allora urlo tutta la mia rabbia e, finalmente, posso avvicinarmi a terra.
C'è la luna che sbuca tra le nuvole e manda bagliori dai cristalli in frantumi. Mia figlia è faccia sotto sull'erba fradicia, con le gambe piegate in malomodo sul selciato. Mi avvicino piano per girarla e raccoglierle la testa sulle ginocchia, il sangue rende bianca la sua pelle.
Deposito tutti i baci che posso sul viso tiepido e aspiro vorace il suo respiro sempre più debole.
«Sono qui, Giorgia, mi senti? Sono qui con te.»
«Papà... » poco più di un sussurro. Apre gli occhi e guarda fisso nella notte. Quello che c'è di me vicino a lei è meno visibile di un raggio di luna.
«Dormi, bambina, non ti lascio, ora dormi.»
L'abbraccio stretta mentre se ne va e uno scroscio di pioggia porta via il sangue dalle sue guance livide.
Mi sveglia il suono insistente del campanello e, prima che possa impedirlo, mia moglie è già sulla soglia. Non posso più fare niente. Mi è stato dato un attimo e dovrà bastarmi per sempre.