Missione Orion - Capitolo 1 - Campo Base

Simone Marzola
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Missione Orion - Capitolo 1 - Campo Base

Messaggio#1 » sabato 1 agosto 2020, 14:32

«Orion, qui campo base uno. Rispondete, passo.» L’uomo rilascia il pulsante e rimane in ascolto. Un fruscio poco incoraggiante.
«Orion, qui campo base uno. Rispondete per favore, passo.» Il clic del pulsante e di nuovo il fruscio, che all’uomo dà la stessa sensazione di un silenzio carico di significati per nulla piacevoli.
Una terza volta: «Orion, qui campo base uno… Sono Nicolai! Samantha, Alan, Irina rispondete per favore! Passo.»
«Nicolai, ancora niente?» La donna gli si avvicina e guarda le strumentazioni. Nicolai scuote la testa. L’unico suono che si sente è quel dannato fruscio.
«Sono già in silenzio radio e le onde corte non servono a niente… Devono essersi già messi al riparo dall’altra parte del pianeta» risponde Nicolai.
La donna si morde il labbro, nervosa. «E la Terra?»
Lui scuote la testa. «Anche loro sono irraggiungibili… c’è ancora il Sole di mezzo.»
«Credi sarà così pericoloso?» chiede lei.
«Non saprei… I dati non sembrano così preoccupanti, ma il rischio c’è» dice Nicolai, «Sai meglio di me cosa succederebbe al nostro organismo se le protezioni non fossero sufficienti, Mae.»
Mae annuisce. I danni biochimici causati dalle radiazioni di una tempesta solare sono uno dei grandi spauracchi del viaggio interplanetario. Prove e simulazioni possono fornire un modello, ma loro sarebbero state le prime cavie sul campo. Certo le caverne dentro le quali si sono insediati forniscono un riparo, ma rimane il problema delle strumentazioni e del supporto vitale. Senza atmosfera, il rischio di danni è una possibilità tutt’altro che remota.
Nicolai si alza e guarda la superficie di Marte da un minuscolo oblò. Il pianeta è tranquillo, morto, ignaro della loro presenza o addirittura noncurante.«Devo finire il controllo del campo, vedere se… se Peter ha finito di mettere tutto in sicurezza.»
«Ti do una mano…» dice Mae.
Il volto di Mae è tirato. La tempesta imminente, poi Peter… Situazioni che non aiutano dopo mesi di isolamento. Ora che anche la Orion è in silenzio, sono davvero soli.
«Come sta?»
Mae si riscuote dai pensieri. Inspira profondamente: l’aria artificiale le fa ancora uno strano effetto.
«Ho dovuto dargli due dosi di sedativo e l’elettrocardiogramma era ancora fuori parametro» spiega Mae. «La cosa incredibile è che non gli sia venuto un arresto cardiaco.»
«Mi ha quasi rotto la mascella…» Nicolai si massaggia, ancora dolorante. «Cosa gli è successo?»
Mae scuote la testa. «Dovrei fargli degli esami, ma non ho nemmeno tutte le attrezzature necessarie.»
«È… è ancora legato?»
«Credo sia la cosa migliore per lui in questo momento.» risponde Mae. «E anche per noi.»
Nicolai annuisce e sbuffa. Non ci voleva. Non ora. Se qualcosa si rompe è Peter a ripararlo. Sia lui che Mae sono addestrati a fare piccole riparazioni, ma lui è un biochimico e lei un medico. L’unico ingegnere sul suolo di Marte è Peter. E la Orion è in silenzio radio, per cui un qualsiasi supporto è da escludere.
Nicolai si passa una mano sui radi capelli a spazzola. Lo aiuta a riordinare le idee quando è confuso.
«Allora… la prima cosa da fare è mettere in sicurezza la serra. Se perdiamo le piante per le radiazioni, addio cibo. L’aria è a posto e i filtri verso l’esterno sono già chiusi.»
«Allora io penso ai pannelli solari e agli accumulatori all’esterno.»
Nicolai annuisce: «Ti aiuto con la tuta.»

Si dirigono entrambi alla cabina di depressurizzazione, l’unica porta verso un mondo alieno. Mae si infila la sua tuta e Nicolai controlla che tutto sia sigillato e chiuso.
Lei si infila il casco e un sonoro clac decreta il totale isolamento con l’esterno. Lui bussa leggermente sul visore, per tre volte.È diventato il loro augurio di buona fortuna ogni volta che qualcuno deve uscire.A Peter non è servito a molto, pensa con amarezza Nicolai, mentre esce dalla cabina. La porta pneumatica con un sibilo decreta la chiusura ermetica. Nicolai ruota una valvola che blocca la porta.Una luce rossa si accende nella cabina.
Mae fa un cenno. «Mi senti? Passo» domanda la donna provando la radio della tuta.
L’uomo preme un pulsante: «Affermativo. Prendi il rover per fare più in fretta. Dovrai solo controllare che gli accumulatori siano tutti coperti. I pannelli solari non dovrebbero avere problemi, al massimo dovrai togliere quella maledetta polvere. Tutto chiaro? Passo.»
«Affermativo. Passo.»
Mae si rivolge alla porta verso l’esterno mentre Nicolai armeggia con una console. La pressione della stanza cambia e l’aria esce per equilibrare l’atmosfera con l’ambiente esterno. La luce diventa verde e Mae apre la porta su Marte.
Ha già camminato sulla superficie, ma ogni volta è come la prima volta. La cosa che la colpisce di più è il silenzio che ha intorno,le sembra di sentire il cuore pompare sangue e adrenalina in tutto il corpo. Rimane qualche secondo sulla soglia e si abbassa il visore per ripararsi dalla luce. Nicolai le richiude la porta alle spalle: devono assicurarsi che ci sia il minor numero di scambi possibili tra l’esterno e l’interno del loro habitat. Il rischio di contaminazione è altissimo.
Mae si incammina verso il veicolo per i brevi spostamenti, una specie di rover come quello che usarono nel primo sbarco sulla Luna. Niente a che vedere con l’altro bestione per l’esplorazione sulla lunga distanza che fa la guardia al campo base. Nicolai lo chiama l’orso, per la sua mole massiccia e la cabina di pilotaggio più piccola del resto del veicolo.
Mae si concentra sul rumore cadenzato dei suoi stivali. La gravità inferiore alla Terra la fa saltellare anziché camminare. Non osa pensare al suo corpo quando dovrà riabituarsi alla sua vera casa. Le tornano in mente i boschi del Vermont. Si concede un sorriso pensando al profumo di resina. Si ricorda quando, cuffie nelle orecchie, andava a correre tra gli alberi del suo minuscolo paesino. Il pensiero la calma e si immagina di essere lì, si immagina il ritorno. Magari le faranno una targa commemorativa nella biblioteca pubblica.
Mae preme l’avvio e il motore elettrico del rover emette un leggero ronzio confermando l’accensione. La donna preme l’acceleratore e il mezzo si mette in moto, scattante. Le piace guidare quella specie di go-kart. Per una frazione di secondo le torna in mente il volto di Peter sfigurato da una smorfia di dolore e le urla quasi disumane mentre si agitava, a stento trattenuto da Nicolai. Preme sull’acceleratore fino in fondo e ricaccia l’immagine nei meandri della sua mente. Pensa al Vermont, Mae, si dice.

Il viaggio è breve e i generatori la accolgono placidi. Peter aveva già messo tutte le coperture: strutture semirigide e facilmente montabili per far fronte a eventuali tempeste solari come quella che stava per colpirli.
«Nicolai, ci sono. Peter li ha già coperti tutti. Vedo se li ha fissati. Passo.»
«Ricevuto. Io sto chiudendo la serra. Passo» risponde Nicolai. Poi passa a osservare il suo orgoglio, la prima coltivazione marziana. Non avrebbe mai creduto che potesse diventare così rigogliosa. La luce si affievolisce man mano chela copertura si distende sulla superficie esterna del modulo serra, come se fosse una comune tenda da sole. Una lieve scossa elettrica e quella specie di tessuto si irrigidisce. I prodigi della tecnica, pensa Nicolai.
Armeggia con il computer a parete: temperatura, umidità, luci. Tutto in ordine. Si concede di fischiettare. Quello è il suo posto felice su Marte, in fin dei conti. Lì dentro le urla di Peter non possono entrare. Si chiede ancora se ha davvero visto occhi, naso e bocca spostarsi sul volto del suo compagno di missione. Con foga Nicolai si passa la mano sui capelli, nel tentativo di dimenticare e riportare in superficie il ricordo delle sue piante.
«C’è qualcosa di strano. Passo.» la voce di Mae interrompe i suoi pensieri.
«Cioè? Passo.»
«Ho finito il giro, fissato i picchetti, ma ho trovato qualcosa che non capisco. Forse è solo qualche cosa uscita dagli accumulatori, ma ne ho preso un campione. Passo.»
Mae guarda il campione che ha prelevato. Sembra una sostanza oleosa di un colore biancastro con venature gialle. Ogni tanto sembra iridescente, un colore a cui non saprebbe dare un nome. Ma forse è solo il visore che altera la sua percezione. Mentre raccoglieva quella sostanza,per un attimo le è sembrato che si avvolgesse intorno alla paletta che stava usando, ma non era possibile. È incredibile però come abbia quasi corroso uno dei picchetti in così poco tempo. Potrebbe essere che Peter… Deve controllare la sua tuta: deve sapere se Peter è entrato in contatto con quella cosa. Deve poter spiegare quello che ha visto. La faccia di Peter che sembrava sciogliersi come un dipinto finito per sbaglio sotto la pioggia. Mae chiude gli occhi e conta fino a cinque, fa respiri profondi. Calmarsi. Respirare e calmarsi, si ripete come un mantra.
Controlla nuovamente l’ultimo generatore, ma sembra che non ci siano altri residui di quella melma. Colpisce con un piede il picchetto che ha piantato: sembra tutto a posto, le piace il senso di concretezza di quel gesto. Torna al veicolo, sistema gli attrezzi nella cassetta e il barattolo con la sostanza. Strano. Era sicura di averlo già riposto nella cassetta eppure ce l’ha ancora in mano. In effetti è difficile avere sensibilità con i guanti della tuta.
Chiude il vano porta attrezzi e si siede al posto di guida, il barattolo sul posto del passeggero.
«Mae sei rientrata? Passo.» le chiede Nicolai.
«Quasi, sto rientrando ora. Perché? Passo.»
«Credo sia finito l’effetto dei calmanti. Sbrigati. Passo.»
Non è possibile, pensa Mae.
Nicolai sente Peter urlare, agitarsi nel tentativo di liberarsi. Forse dovrebbe andare a controllare, ma non vuole rivedere i denti del compagno che gli si spostano sul viso, come se cercassero un nuovo spazio più consono, più adatto a nuovi scopi, a loro inconcepibili e sconosciuti. Nicolai ha un conato di vomito al ricordo.
Recita una preghiera, la prima da almeno trent’anni: che la tempesta passi presto e che la Orion torni online.
Lui e Mae potrebbero anche andarsene. Potrebbero abbandonarlo e dire che è vittima delle radiazioni, della tempesta. Potrebbero inventarsi qualcosa.
La sua mano raggiunge nuovamente la testa. Due, tre, quattro volte. Diventa dura in certi casi riordinare le idee, far uscire certi pensieri. Nicolai sente del movimento alle sue spalle: Mae, finalmente.
La cabina si riequilibra, la polvere marziana viene sputata all’esterno. Luce verde, la porta verso l’interno si può aprire.
Mae posa il barattolo, Nicolai le si fa incontro e la aiuta a spogliarsi.
Un nuovo urlo. Qualcosa di non umano. Metallo contro metallo. Oggetti che cadono.
Lo sguardo di Mae e quello di Nicolai si incontrano. Negli occhi l’uno dell’altra, i due hanno la conferma che quello che hanno visto non era un’allucinazione.
Procedono affiancati. L’istinto fa prendere loro qualcosa che possa essere usato come un’arma. Un estintore da un angolo, un cacciavite da un tavolo.
Mae pensa che dovrebbe attenersi al giuramento di Ippocrate, all’orgoglio di medico. Ma Ippocrate e i suoi colleghi non sono in quell’infermeria: in quel momento sono a quattrocento milioni di chilometri. Lei e Nicolai sono soli. Una tempesta è in arrivo.
E Peter non è più Peter.



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Re: Missione Orion - Capitolo 1 - Campo Base

Messaggio#2 » domenica 2 agosto 2020, 14:47

Tutto ok con i caratteri. Se apporterai modifiche entro la chiusura del tempo utile per la prima traccia avvertimi che ripasso a controllare.

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Re: Missione Orion - Capitolo 1 - Campo Base

Messaggio#3 » martedì 4 agosto 2020, 18:55

Racconto ben controllato e organizzato. I due protagonisti sono ben introdotti e la tempesta in arrivo è sia letterale (e spaziale) che metaforica. Inoltre il cliffhanger è riuscito e richiama alla lettura del prosieguo. Una problematica l'ho riscontrata nel momento in cui cambi pdv perché mi sembra troppo brusco e poco chiaro anche a livello grafico (magari andando a capo risolvevi). Brusco passaggio anche sul rientro di Mae, un po' troppo veloce rispetto al resto, a mio parere. Detto questo, il pollice è tendente verso l'alto in modo convinto.

Simone Marzola
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Re: Missione Orion - Capitolo 1 - Campo Base

Messaggio#4 » mercoledì 5 agosto 2020, 9:13

antico ha scritto:Racconto ben controllato e organizzato. I due protagonisti sono ben introdotti e la tempesta in arrivo è sia letterale (e spaziale) che metaforica. Inoltre il cliffhanger è riuscito e richiama alla lettura del prosieguo. Una problematica l'ho riscontrata nel momento in cui cambi pdv perché mi sembra troppo brusco e poco chiaro anche a livello grafico (magari andando a capo risolvevi). Brusco passaggio anche sul rientro di Mae, un po' troppo veloce rispetto al resto, a mio parere. Detto questo, il pollice è tendente verso l'alto in modo convinto.


Grazie!
Ne faccio (anzi ne ho fatto) tesoro per lo sviluppo della seconda parte.
Grazie ancora

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