Catene sulla pelle - parte 2
Inviato: mercoledì 5 agosto 2020, 12:23
«Ah, cazzo!» urlò Patrick.
Ester tirò indietro la leva dell’otturatore, le mani dell’uomo strattonarono il fucile, ma lei non mollò la presa. Patrick la spinse contro la stufa. «Brutta stronza!»
Un lampo illuminò la stanza. Patrick mostrava i denti come un lupo, un orecchio sanguinava.
«Con tutto quello che ho fatto—»
Ester spinse la bocca del fucile per puntargliela contro, ma Patrick era troppo forte.
Un colpo esplose assordante. L’odore di metallo bruciato si mischiò a un fischio acuto. Patrick lasciò il calcio del fucile e la colpì allo zigomo. Ester urtò con la testa a terra e la polvere le finì in gola, il dolore e la nausea le fecero pizzicare gli occhi.
Aveva lasciato il fucile.
«Piccola stupida! Potevi ammazzarmi!» L’afferrò per un polso, la trascinò indietro e le sollevò la mano contro il tubo di ferro della stufa. Patrick cercò a tentoni le manette.
Il flash di un fulmine mostrò la mano dell’uomo che teneva l’anello di ferro sopra al suo polso.
No, non si sarebbe lasciata catturare come una bambina!
Tirò con tutte le forze. Un sottile clack a confermare che le manette erano scattate mentre lei finiva col culo a terra.
«No, cazzo!» gridò Patrick.
Ester si spinse indietro coi piedi solcando la polvere, la schiena urtò contro la pila di materassi.
L’uomo ringhiava e sbatteva qualcosa contro la stufa. Dalla finestra entrava il soffio furioso della tempesta. Un nuovo bagliore: Patrick era ammanettato.
Era successo davvero? «Ben ti sta, bastardo!»
«Sta’ attenta, ragazza! Ho ancora un colpo!»
Patrick si stava frugando nelle tasche.
La chiave! L’aveva lasciata nelle manette? Se non l’aveva già notata forse era caduta.
L’uomo colpì il tavolo con un calcio. «’Fanculo!»
Ester si lasciò andare con la schiena contro i materassi e la catena al collo si tese. La guancia bruciava, gli occhi erano pieni di lacrime, ma quella sensazione di leggerezza era la cosa migliore degli ultimi giorni.
«Dammi la chiave.»
«Col cazzo, brutto stronzo.» Doveva essere a terra. Forse ci si era seduto sopra.
«Hai sparato alla finestra. Devo chiuderla e riaccendere il fuoco o moriremo assiderati.»
Con un po’ di fortuna era scivolata sotto la stufa. «Correrò il rischio.» Doveva aspettare un lampo e controllare.
Patrick tirò su col naso. «Sei proprio brava a valutare le situazioni, eh?»
«Vaffanculo. Sei solo un pezzo di merda e non vedo l’ora che muori.»
«E ora da dove ti esce tutta questa grinta?»
Ecco, un po’ di luce. Troppo breve, ma non le sembrava di aver visto la chiave.
Facendo tintinnare la catena, andò a sedersi sul materasso di Patrick di fronte alla porta. Per fortuna quel guinzaglio era abbastanza lungo da lasciarle raggiungere ogni punto della stanza.
«Cosa fai?»
«Sta’ zitto.» Avvicinò lo zaino e l’aprì.
«Senti, questa cosa non può andarti bene. Siamo spacciati se—»
«Ho detto zitto!»
Dentro c’era un sacchetto. Dalla forma del contenuto doveva essere quello con le fette di pane biscottato. Tastò due barattoli, una borraccia di metallo e… il tubetto del ketchup.
Possibile che fosse tutto lì? Le serviva luce.
Allungò una mano e trovò la lampada a terra. «Dammi l’accendino.»
L’uomo sbuffò. L’accendino atterrò vicino al materasso. Accese la lampada tenendo bassa la fiamma.
«Come ti chiami, ragazzina?»
«Aha! Perché me lo chiedi solo ora, figlio di puttana? Quattro giorni che mi chiami ragazzina e ora all’improvviso vuoi sapere come mi chiamo?»
Un lungo sospiro. «Ho le mie regole.»
Ester scostò lo zaino. «E io le mie: fottiti.» Raccolse una fetta di pane e vi spruzzò del ketchup.
Patrick rise e tossì. «E pensare che ti credevo una per bene.»
«Una per bene! Ma che cazzo dici? Mi hai incatenato! Volevi vendermi! Se avessi io quel fucile saresti morto, cazzo!»
«O senza l’altro orecchio.» Rise ancora e appoggiò la testa alla stufa. «Ora mostri come sei fatta davvero.»
«Disse quello col fucile.» Diede un morso al pane riempiendosi la bocca. «Volevo farti abbassare la guardia. E ce l’ho fatta, coglione.»
«Mmm. E ora tutto va alla grande.»
Ester svitò il tappo della borraccia. «Meglio di prima.» Finì l’acqua con un sorso.
Si alzò, entrò in bagno e aprì il rubinetto. Un brivido la fece trasalire. Cominciava a fare davvero freddo.
«Dovresti essermi grata.»
Uscì dal bagno, afferrò il giaccone imbottito di Patrick e lo indossò. Puzzava di bosco e sudore. «Grata?»
Merda! Patrik le stava puntando contro il fucile. «Ferma lì. Lanciami la chiave.» Tremava e stringeva i denti, per la rabbia o forse per il freddo. Una riga rossa scendeva dall’orecchio fin sotto il colletto del maglione. La canna non puntava al volto, non sembrava davvero minacciosa.
Ester sollevò la fetta di pane. «Mi vuoi sparare? E poi cosa fai, resti lì a morire?» Sorrise. «Sei ammanettato, coglione. Non arrivi al cibo, all’acqua... al cesso. E non ti rimarrebbe più nemmeno un colpo per farla finita.»
Patrick chiuse gli occhi e lasciò cadere la mano col fucile. «Ok, hai ragione. Ma lo farò, se non mi libererai.»
Ester diede un morso e si sedette sul materasso «Non ci casco.»
«Cristo se sei cocciuta. Alla Stadt ti avrebbero trattata bene.»
«Già, e che cazzo di posto sarebbe?»
«Non lo sai? È una specie di villaggio fortificato tra i resti di una città. C’è un tizio - Willhelm - che gestisce un bordello. Ti darà un tetto, cibo, protezione… Cosa puoi volere di più?»
«Libertà. Ti dice niente? Dove sono le altre provviste?»
«E cosa te ne fai della libertà? La tua carovana vagava in attesa di essere sterminata da qualche gruppo con più armi e meno scrupoli.»
«Non è così.»
«Vi ho seguiti per tre giorni. Da quanto eravate in giro?»
Una folata più forte fischiò contro il vetro rotto.
«Non sono cazzi tuoi.» Che nostalgia. «Prima avevamo un rifugio.»
«E perché lo avete abbandonato?»
«Predoni.»
«Ecco, appunto. Fidati: i tuoi compagni sono spacciati.»
«No, loro ormai saranno al Sud. Cercavamo un pullman per metterci in salvo. A quest’ora l’avranno trovato.»
Patrick stese le gambe e portò una mano a controllare l’orecchio ferito. «Sei un’ingenua. Prima di tutto le strade non sono percorribili. E poi non si può andare a sud: le bombe hanno cancellato ogni cosa.»
«Cazzate! A sud ci sono città e campagne. Hanno ricostruito.»
«Ah sì? E chi te l’ha detto?»
Papà. Ma… come faceva a saperlo? Non usciva mai dal rifugio.
«Ascolta, ragazzina. Non si resta molto in giro, a meno che tu non stia in gruppo con quei predoni che vi hanno stanati. E anche quelli hanno vita breve, credimi. Alla Stadt invece—»
«Vacci tu, stronzo.»
«Pensi che non farei a cambio? Ma tu pare che non sappia nulla di com’è ridotto il mondo. Ci sei cresciuta in quel rifugio?»
Certo che c’era cresciuta.
Ester si alzò. «Le altre provviste: dove sono?»
Patrick si morse un labbro. Annuì. «C’è un armadietto nel muro vicino al water.»
Mensole colme di barattoli di cibo in scatola. Dovevano essere lì da parecchio. Fagioli, funghi, gelatina. Contenitori con gallette di riso, carne essiccata, nocciole…
Ester abbassò la tavoletta e si sedette. Tolse un coperchio, raccolse dell’uvetta e la buttò in bocca. Dolce da far male.
Aveva accesso esclusivo al cibo, mentre Patrick era seduto davanti al vento gelido, non aveva una giacca e non poteva muoversi. Sarebbe morto. Doveva solo aspettare e frugare il suo cadavere per aprire il collare e scappare una volta finita la Tempesta. Era praticamente salva.
Rimaneva solo il problema del fucile. Anche se non sembrava che Patrick volesse davvero spararle, doveva stare attenta. Gliel’avrebbe preso appena si fosse addormentato.
«Ragazza!» La voce di Patrick si era arrochita. «Ragazza!»
Ester si affacciò. «Che c’è?»
L’uomo tremava. Pareva più pallido, ma era difficile dirlo con quella luce.
«Ti prego, chiudi il buco. C’è del nastro nello zaino. O vuoi vedermi perdere le guance?»
Sembrava che non riuscisse ad aprire del tutto gli occhi e anche le parole gli uscivano a fatica. Il fucile era posato a terra, il braccio libero stretto al corpo tremante. Era patetico.
Dopotutto, chiudere quel buco non era una cattiva idea.
Controllò sotto al tavolo. Vicino alla legna per la stufa c’erano piccole assi e pezzi di cartone. Ne afferrò uno, prese il nastro adesivo e si inginocchiò sulla panca sotto la finestra. I vetri sembravano lastre di ghiaccio.
Fuori la tempesta aveva già ricoperto tutto di neve. C’era una luce tra i fiocchi ghiacciati. «Ma che…»
«Chiudi quel buco, forza.»
«C’è qualcuno.»
La luce di un fanale voltò per un attimo lasciando intravedere dei cingoli.
«Come? Cosa vedi?»
«Credo sia una specie di trattore. Vedo delle luci.» Il mezzo era fermo e due nuovi punti luminosi si erano accesi. Da come si muovevano dovevano essere torce nelle mani di qualcuno.
Patrick gemette. Si allungò tendendo le manette. «Non va bene, cazzo. Non va bene!»
«Chi sono?»
«Non lo so. Niente di buono. Forse montanari.»
«Cosa facciamo?» Le luci si avvicinavano. «Vengono qui.»
«Liberami! Dobbiamo prepararci!»
«Magari non vogliono farci del male.»
«Cazzo! Sei proprio una stupida ingenua! Pensi che affronterebbero la Tempesta per aiutare qualcuno che non l’ha nemmeno chiesto?»
Giusto. Il cuore cominciò a batterle contro lo sterno, le tempie si scaldarono. «Cosa possono volere?»
«Qualunque cosa. Liberami! Se non mi liberi siamo entrambi spacciati!» Patrick tirò fuori dai pantaloni l’anello con le chiavi. «Tieni!»
Tintinnarono contro il pavimento. Ester le raccolse. Sei chiavi fredde.
«Quella grossa apre il collare.»
«Lo so.» Si liberò della catena e la lasciò cadere a terra.
Gli anelli colpirono il pavimento con un frastuono metallico. L’aria fredda soffiò sulla pelle ferita del collo.
«Quanto cazzo pesava quella roba.»
«Forza, ora dammi la chiave delle manette!»
Le luci erano più vicine.
Ester si lanciò in bagno. Aprì l’armadietto e buttò nello zaino tutti i barattoli che potevano starci. La borraccia era piena. Tornò al materasso e tolse la giacca.
«Che fai? Dammi la chiave!»
«Un momento.»
«Non ce l’abbiamo!»
Prese due maglioni dalla pila in fondo al materasso e li infilò. Rimise la giacca. Il riflesso delle lampade entrava dalla finestra disegnando un triangolo contro il soffitto.
Tirò su la cerniera. «Non ho la chiave.» Issò lo zaino su una spalla.
«Cosa? E dov’è?»
Sotto il suo culo, sotto la stufa. A terra, tra la polvere. Poteva dargli la lampada e lasciarlo cercare. Ma non voleva che Patrick la catturasse ancora.
Aveva ragione lui: era stata un’ingenua. Era ora di smettere.
«Non lo so. Me ne vado.»
«No, ragazzina! Aspetta! La Tempesta ti ucciderà se non lo faranno quelli!»
«Correrò il rischio.»
«Lasciami almeno le munizioni! Ho un colpo solo!»
Ester tirò la porta e il nastro adesivo si strappò dal bordo. Patrick stava lì con la bocca spalancata. Protendeva le mani verso di lei.
«I colpi del fucile! Sono nella tasca davanti, ti prego!»
Tra i sospiri della tempesta arrivarono delle voci. Ester mise fuori la testa. I fasci luminosi delle torce si avvicinavano.
Si voltò verso Patrick. «Non ho tempo, mi dispiace.»
«Ti prego!»
Quell’uomo aveva l’età di suo padre. Non aveva mai visto un adulto tanto disperato.
Tolse lo zaino dalla spalla e glielo lanciò. «Buona fortuna.»
S’infilò nell’aria gelida. Si coprì il viso col braccio e si accucciò contro il vento. Girò attorno alla casa rasentando le pareti. In lontananza poteva vedere il faro acceso del trattore. Doveva raggiungerlo: quello poteva essere la sua salvezza.
Controllò oltre lo spigolo: le luci erano sull’altro lato. Inspirò l’aria fredda e si lanciò allo scoperto, sospinta dal vento. Scivolò sulla neve ghiacciata, urtò un albero con la spalla e finì a terra.
«Cazzo!»
Perché aveva lasciato tutto a Patrick? Ora non aveva né cibo né acqua. Cazzo, sarebbe morta di sicuro.
«Stupida idiota!»
Il vento cambiò direzione soffiandole contro. Si mise carponi e proseguì spingendo verso il faro nell’oscurità. La neve la frustava in faccia. Portò una mano al viso, le dita non sembravano le sue, ma sentiva le guance bruciare.
Raggiunse il trattore. Da vicino lo distingueva meglio. Non era molto grande, ma aveva una cabina.
Aprì lo sportello. Levò la mano dalla maniglia, sentì uno strappo e un bruciore alle dita. Il palmo era lacerato e rosso di carne viva. Strillò, si morse un labbro e mise un piede sui cingoli.
«Questo farà male.»
Vicino al sedile c’era un grosso involto di pelle nera. Riconobbe i manici che sporgevano. Allungò la mano sana e slegò la cinghia: erano coltelli. Come quelli degli uomini della carovana, quelli che usavano dopo la caccia, per la macellazione.
Perché li avevano? Quei tipi dovevano sapere che non c’erano animali tra i monti durante la Tempesta. Allora perché…
Rabbrividì e il cuore riprese a battere. «Devo andarmene.»
Si issò al posto di guida e chiuse lo sportello.
«Ma… dove cazzo è il volante?»
C’erano solo tre leve e una sorta di pomello. «Merda.»
Oltre il parabrezza, le luci delle torce puntavano contro la casa.
Spiavano dentro alla finestra rotta?
Il boato di uno sparo la raggiunse flebile oltre i fischi del vento.
C’era una chiave inserita tra le leve.
«Finalmente una cosa normale.» L’afferrò e la girò.
Ester tirò indietro la leva dell’otturatore, le mani dell’uomo strattonarono il fucile, ma lei non mollò la presa. Patrick la spinse contro la stufa. «Brutta stronza!»
Un lampo illuminò la stanza. Patrick mostrava i denti come un lupo, un orecchio sanguinava.
«Con tutto quello che ho fatto—»
Ester spinse la bocca del fucile per puntargliela contro, ma Patrick era troppo forte.
Un colpo esplose assordante. L’odore di metallo bruciato si mischiò a un fischio acuto. Patrick lasciò il calcio del fucile e la colpì allo zigomo. Ester urtò con la testa a terra e la polvere le finì in gola, il dolore e la nausea le fecero pizzicare gli occhi.
Aveva lasciato il fucile.
«Piccola stupida! Potevi ammazzarmi!» L’afferrò per un polso, la trascinò indietro e le sollevò la mano contro il tubo di ferro della stufa. Patrick cercò a tentoni le manette.
Il flash di un fulmine mostrò la mano dell’uomo che teneva l’anello di ferro sopra al suo polso.
No, non si sarebbe lasciata catturare come una bambina!
Tirò con tutte le forze. Un sottile clack a confermare che le manette erano scattate mentre lei finiva col culo a terra.
«No, cazzo!» gridò Patrick.
Ester si spinse indietro coi piedi solcando la polvere, la schiena urtò contro la pila di materassi.
L’uomo ringhiava e sbatteva qualcosa contro la stufa. Dalla finestra entrava il soffio furioso della tempesta. Un nuovo bagliore: Patrick era ammanettato.
Era successo davvero? «Ben ti sta, bastardo!»
«Sta’ attenta, ragazza! Ho ancora un colpo!»
Patrick si stava frugando nelle tasche.
La chiave! L’aveva lasciata nelle manette? Se non l’aveva già notata forse era caduta.
L’uomo colpì il tavolo con un calcio. «’Fanculo!»
Ester si lasciò andare con la schiena contro i materassi e la catena al collo si tese. La guancia bruciava, gli occhi erano pieni di lacrime, ma quella sensazione di leggerezza era la cosa migliore degli ultimi giorni.
«Dammi la chiave.»
«Col cazzo, brutto stronzo.» Doveva essere a terra. Forse ci si era seduto sopra.
«Hai sparato alla finestra. Devo chiuderla e riaccendere il fuoco o moriremo assiderati.»
Con un po’ di fortuna era scivolata sotto la stufa. «Correrò il rischio.» Doveva aspettare un lampo e controllare.
Patrick tirò su col naso. «Sei proprio brava a valutare le situazioni, eh?»
«Vaffanculo. Sei solo un pezzo di merda e non vedo l’ora che muori.»
«E ora da dove ti esce tutta questa grinta?»
Ecco, un po’ di luce. Troppo breve, ma non le sembrava di aver visto la chiave.
Facendo tintinnare la catena, andò a sedersi sul materasso di Patrick di fronte alla porta. Per fortuna quel guinzaglio era abbastanza lungo da lasciarle raggiungere ogni punto della stanza.
«Cosa fai?»
«Sta’ zitto.» Avvicinò lo zaino e l’aprì.
«Senti, questa cosa non può andarti bene. Siamo spacciati se—»
«Ho detto zitto!»
Dentro c’era un sacchetto. Dalla forma del contenuto doveva essere quello con le fette di pane biscottato. Tastò due barattoli, una borraccia di metallo e… il tubetto del ketchup.
Possibile che fosse tutto lì? Le serviva luce.
Allungò una mano e trovò la lampada a terra. «Dammi l’accendino.»
L’uomo sbuffò. L’accendino atterrò vicino al materasso. Accese la lampada tenendo bassa la fiamma.
«Come ti chiami, ragazzina?»
«Aha! Perché me lo chiedi solo ora, figlio di puttana? Quattro giorni che mi chiami ragazzina e ora all’improvviso vuoi sapere come mi chiamo?»
Un lungo sospiro. «Ho le mie regole.»
Ester scostò lo zaino. «E io le mie: fottiti.» Raccolse una fetta di pane e vi spruzzò del ketchup.
Patrick rise e tossì. «E pensare che ti credevo una per bene.»
«Una per bene! Ma che cazzo dici? Mi hai incatenato! Volevi vendermi! Se avessi io quel fucile saresti morto, cazzo!»
«O senza l’altro orecchio.» Rise ancora e appoggiò la testa alla stufa. «Ora mostri come sei fatta davvero.»
«Disse quello col fucile.» Diede un morso al pane riempiendosi la bocca. «Volevo farti abbassare la guardia. E ce l’ho fatta, coglione.»
«Mmm. E ora tutto va alla grande.»
Ester svitò il tappo della borraccia. «Meglio di prima.» Finì l’acqua con un sorso.
Si alzò, entrò in bagno e aprì il rubinetto. Un brivido la fece trasalire. Cominciava a fare davvero freddo.
«Dovresti essermi grata.»
Uscì dal bagno, afferrò il giaccone imbottito di Patrick e lo indossò. Puzzava di bosco e sudore. «Grata?»
Merda! Patrik le stava puntando contro il fucile. «Ferma lì. Lanciami la chiave.» Tremava e stringeva i denti, per la rabbia o forse per il freddo. Una riga rossa scendeva dall’orecchio fin sotto il colletto del maglione. La canna non puntava al volto, non sembrava davvero minacciosa.
Ester sollevò la fetta di pane. «Mi vuoi sparare? E poi cosa fai, resti lì a morire?» Sorrise. «Sei ammanettato, coglione. Non arrivi al cibo, all’acqua... al cesso. E non ti rimarrebbe più nemmeno un colpo per farla finita.»
Patrick chiuse gli occhi e lasciò cadere la mano col fucile. «Ok, hai ragione. Ma lo farò, se non mi libererai.»
Ester diede un morso e si sedette sul materasso «Non ci casco.»
«Cristo se sei cocciuta. Alla Stadt ti avrebbero trattata bene.»
«Già, e che cazzo di posto sarebbe?»
«Non lo sai? È una specie di villaggio fortificato tra i resti di una città. C’è un tizio - Willhelm - che gestisce un bordello. Ti darà un tetto, cibo, protezione… Cosa puoi volere di più?»
«Libertà. Ti dice niente? Dove sono le altre provviste?»
«E cosa te ne fai della libertà? La tua carovana vagava in attesa di essere sterminata da qualche gruppo con più armi e meno scrupoli.»
«Non è così.»
«Vi ho seguiti per tre giorni. Da quanto eravate in giro?»
Una folata più forte fischiò contro il vetro rotto.
«Non sono cazzi tuoi.» Che nostalgia. «Prima avevamo un rifugio.»
«E perché lo avete abbandonato?»
«Predoni.»
«Ecco, appunto. Fidati: i tuoi compagni sono spacciati.»
«No, loro ormai saranno al Sud. Cercavamo un pullman per metterci in salvo. A quest’ora l’avranno trovato.»
Patrick stese le gambe e portò una mano a controllare l’orecchio ferito. «Sei un’ingenua. Prima di tutto le strade non sono percorribili. E poi non si può andare a sud: le bombe hanno cancellato ogni cosa.»
«Cazzate! A sud ci sono città e campagne. Hanno ricostruito.»
«Ah sì? E chi te l’ha detto?»
Papà. Ma… come faceva a saperlo? Non usciva mai dal rifugio.
«Ascolta, ragazzina. Non si resta molto in giro, a meno che tu non stia in gruppo con quei predoni che vi hanno stanati. E anche quelli hanno vita breve, credimi. Alla Stadt invece—»
«Vacci tu, stronzo.»
«Pensi che non farei a cambio? Ma tu pare che non sappia nulla di com’è ridotto il mondo. Ci sei cresciuta in quel rifugio?»
Certo che c’era cresciuta.
Ester si alzò. «Le altre provviste: dove sono?»
Patrick si morse un labbro. Annuì. «C’è un armadietto nel muro vicino al water.»
Mensole colme di barattoli di cibo in scatola. Dovevano essere lì da parecchio. Fagioli, funghi, gelatina. Contenitori con gallette di riso, carne essiccata, nocciole…
Ester abbassò la tavoletta e si sedette. Tolse un coperchio, raccolse dell’uvetta e la buttò in bocca. Dolce da far male.
Aveva accesso esclusivo al cibo, mentre Patrick era seduto davanti al vento gelido, non aveva una giacca e non poteva muoversi. Sarebbe morto. Doveva solo aspettare e frugare il suo cadavere per aprire il collare e scappare una volta finita la Tempesta. Era praticamente salva.
Rimaneva solo il problema del fucile. Anche se non sembrava che Patrick volesse davvero spararle, doveva stare attenta. Gliel’avrebbe preso appena si fosse addormentato.
«Ragazza!» La voce di Patrick si era arrochita. «Ragazza!»
Ester si affacciò. «Che c’è?»
L’uomo tremava. Pareva più pallido, ma era difficile dirlo con quella luce.
«Ti prego, chiudi il buco. C’è del nastro nello zaino. O vuoi vedermi perdere le guance?»
Sembrava che non riuscisse ad aprire del tutto gli occhi e anche le parole gli uscivano a fatica. Il fucile era posato a terra, il braccio libero stretto al corpo tremante. Era patetico.
Dopotutto, chiudere quel buco non era una cattiva idea.
Controllò sotto al tavolo. Vicino alla legna per la stufa c’erano piccole assi e pezzi di cartone. Ne afferrò uno, prese il nastro adesivo e si inginocchiò sulla panca sotto la finestra. I vetri sembravano lastre di ghiaccio.
Fuori la tempesta aveva già ricoperto tutto di neve. C’era una luce tra i fiocchi ghiacciati. «Ma che…»
«Chiudi quel buco, forza.»
«C’è qualcuno.»
La luce di un fanale voltò per un attimo lasciando intravedere dei cingoli.
«Come? Cosa vedi?»
«Credo sia una specie di trattore. Vedo delle luci.» Il mezzo era fermo e due nuovi punti luminosi si erano accesi. Da come si muovevano dovevano essere torce nelle mani di qualcuno.
Patrick gemette. Si allungò tendendo le manette. «Non va bene, cazzo. Non va bene!»
«Chi sono?»
«Non lo so. Niente di buono. Forse montanari.»
«Cosa facciamo?» Le luci si avvicinavano. «Vengono qui.»
«Liberami! Dobbiamo prepararci!»
«Magari non vogliono farci del male.»
«Cazzo! Sei proprio una stupida ingenua! Pensi che affronterebbero la Tempesta per aiutare qualcuno che non l’ha nemmeno chiesto?»
Giusto. Il cuore cominciò a batterle contro lo sterno, le tempie si scaldarono. «Cosa possono volere?»
«Qualunque cosa. Liberami! Se non mi liberi siamo entrambi spacciati!» Patrick tirò fuori dai pantaloni l’anello con le chiavi. «Tieni!»
Tintinnarono contro il pavimento. Ester le raccolse. Sei chiavi fredde.
«Quella grossa apre il collare.»
«Lo so.» Si liberò della catena e la lasciò cadere a terra.
Gli anelli colpirono il pavimento con un frastuono metallico. L’aria fredda soffiò sulla pelle ferita del collo.
«Quanto cazzo pesava quella roba.»
«Forza, ora dammi la chiave delle manette!»
Le luci erano più vicine.
Ester si lanciò in bagno. Aprì l’armadietto e buttò nello zaino tutti i barattoli che potevano starci. La borraccia era piena. Tornò al materasso e tolse la giacca.
«Che fai? Dammi la chiave!»
«Un momento.»
«Non ce l’abbiamo!»
Prese due maglioni dalla pila in fondo al materasso e li infilò. Rimise la giacca. Il riflesso delle lampade entrava dalla finestra disegnando un triangolo contro il soffitto.
Tirò su la cerniera. «Non ho la chiave.» Issò lo zaino su una spalla.
«Cosa? E dov’è?»
Sotto il suo culo, sotto la stufa. A terra, tra la polvere. Poteva dargli la lampada e lasciarlo cercare. Ma non voleva che Patrick la catturasse ancora.
Aveva ragione lui: era stata un’ingenua. Era ora di smettere.
«Non lo so. Me ne vado.»
«No, ragazzina! Aspetta! La Tempesta ti ucciderà se non lo faranno quelli!»
«Correrò il rischio.»
«Lasciami almeno le munizioni! Ho un colpo solo!»
Ester tirò la porta e il nastro adesivo si strappò dal bordo. Patrick stava lì con la bocca spalancata. Protendeva le mani verso di lei.
«I colpi del fucile! Sono nella tasca davanti, ti prego!»
Tra i sospiri della tempesta arrivarono delle voci. Ester mise fuori la testa. I fasci luminosi delle torce si avvicinavano.
Si voltò verso Patrick. «Non ho tempo, mi dispiace.»
«Ti prego!»
Quell’uomo aveva l’età di suo padre. Non aveva mai visto un adulto tanto disperato.
Tolse lo zaino dalla spalla e glielo lanciò. «Buona fortuna.»
S’infilò nell’aria gelida. Si coprì il viso col braccio e si accucciò contro il vento. Girò attorno alla casa rasentando le pareti. In lontananza poteva vedere il faro acceso del trattore. Doveva raggiungerlo: quello poteva essere la sua salvezza.
Controllò oltre lo spigolo: le luci erano sull’altro lato. Inspirò l’aria fredda e si lanciò allo scoperto, sospinta dal vento. Scivolò sulla neve ghiacciata, urtò un albero con la spalla e finì a terra.
«Cazzo!»
Perché aveva lasciato tutto a Patrick? Ora non aveva né cibo né acqua. Cazzo, sarebbe morta di sicuro.
«Stupida idiota!»
Il vento cambiò direzione soffiandole contro. Si mise carponi e proseguì spingendo verso il faro nell’oscurità. La neve la frustava in faccia. Portò una mano al viso, le dita non sembravano le sue, ma sentiva le guance bruciare.
Raggiunse il trattore. Da vicino lo distingueva meglio. Non era molto grande, ma aveva una cabina.
Aprì lo sportello. Levò la mano dalla maniglia, sentì uno strappo e un bruciore alle dita. Il palmo era lacerato e rosso di carne viva. Strillò, si morse un labbro e mise un piede sui cingoli.
«Questo farà male.»
Vicino al sedile c’era un grosso involto di pelle nera. Riconobbe i manici che sporgevano. Allungò la mano sana e slegò la cinghia: erano coltelli. Come quelli degli uomini della carovana, quelli che usavano dopo la caccia, per la macellazione.
Perché li avevano? Quei tipi dovevano sapere che non c’erano animali tra i monti durante la Tempesta. Allora perché…
Rabbrividì e il cuore riprese a battere. «Devo andarmene.»
Si issò al posto di guida e chiuse lo sportello.
«Ma… dove cazzo è il volante?»
C’erano solo tre leve e una sorta di pomello. «Merda.»
Oltre il parabrezza, le luci delle torce puntavano contro la casa.
Spiavano dentro alla finestra rotta?
Il boato di uno sparo la raggiunse flebile oltre i fischi del vento.
C’era una chiave inserita tra le leve.
«Finalmente una cosa normale.» L’afferrò e la girò.