La botta sale, il bebop rimane (più forte, più duro)
Inviato: mercoledì 5 agosto 2020, 23:57
Mr. Phillips arretra e fa spazio, la mia band può uscire e andare incontro alla gloria.
Chubby varca la porta con il sax in mano. Tony, il nostro cavallo di razza drogato, mi passa davanti. Mr. Phillips li segue.
Aspetto che Paulie completi la processione. Non lo fa. Si avvicina alla porta, i suoi occhi non mi mollano, la chiude.
«Paulie, ma che diavolo…?»
La voce gli esce così calma che mi si torcono le budella. «Indovina un po’ cosa ho trovato, poco fa.»
Va al tavolo. Prende la custodia delle bacchette di Tony. La apre, tira fuori delle fiale.
Conosco bene quelle fiale. Le ho chiuse con un tappo verde, per distinguerle dalle altre che contengono coca. Sia mai che ti sniffi eroina.
Paul non domanda, va dritto al punto. «Questa roba è tua» dice. «Sei tu che gliel’hai venduta.»
Proprio ora, Cristo santissimo. «Paulie...»
È bello incazzato. Un negro incazzato nero.
Solleva la fiala. «Cos’è, volevi ammazzarlo?»
«Gesù, no. Vo-volevo proteggerlo. Dalla roba che poteva trovare qui.»
Paul sbatte la fiala a terra, l’ero si sparge. Dannato idiota. «Proteggerlo un corno! Lo stavi per ammazzare, cazzo!»
«È… è tutto sotto controllo.» Indico la porta, ci stanno aspettando. «Dai, Paulie, ne parliamo con calma. Dobbiamo andare.» Con il medio spingo su gli occhiali. Non rompere il cazzo proprio adesso.
«No, Ike.» Mi odia. «Non ne parliamo più. Sono stufo delle tue cazzate. Da domani ti cerchi un nuovo quartetto.»
La temperatura del camerino precipita sotto lo zero.
«Non puoi essere serio.»
«Ah, no?» Paul alza quel fottuto indice. «Ti dirò di più. Se il negro muore, parlo con la polizia.»
Merda. Questo no.
«Fottiti, Paulie.»
Fa un gesto verso la porta. «Dopo di te, Ike.»
Esco a testa bassa.
Mr. Phillips sta tornando indietro. «Dove cazzo eravate?» Mi si avvicina. «Ho visto come Rabbit è salito sul palco. È già tanto che abbia indovinato i gradini.»
Di male in peggio.
Il fiato di Mr. Phillips sa di gin. «Non fate scherzi, negri.»
Non rispondo, tiro dritto. Ho già avuto la mia dose di rogne, stasera.
L’annunciatore scalda la folla. «Ladies and gentlemen. Qui per voi, direttamente dalla scena newyorkese, i bopper più veloci dell’East Coast! Nelle vene di questi ragazzi scorre il jazz!»
Amico, tu non hai idea di cosa ci scorre nelle vene.
Il tizio fa una pausa teatrale. Fischio del microfono, riprende: «E allora un grande applauso per l’incredibile quartetto di Tony “The Rabbit” Blackfooooot!»
Nel locale qualcuno batte le mani in modo poco convinto. Prendo posizione sullo sgabello. Stavolta suono su uno Steinway verticale: meglio di niente.
Prima dell’esibizione è bello godersi il pubblico. Le facce speranzose, quelle già dubbie e pronte a criticare. Con un po’ di miglia sulle spalle, impari a distinguerli. Ma stasera i miei occhi vanno a Tony. Che non deve crollare, perdio. Tantomeno uscire dal locale con i piedi in avanti.
Dietro la fila di piatti, Tony non si muove: si guarda tra i piedi, il riflettore gli mette in ombra mezza faccia. È in down.
Paul, abbracciato al contrabbasso, tira occhiate a me e lui, a me e a lui. Che si fa?
The Rabbit doveva attaccare, e invece il coniglio resta inchiodato. Pronto a essere divorato.
Paul mi vorrebbe fare la pelle. Per lui suonare non è una questione di pura espressione. Lo vede come un lavoro, e nel lavoro che lui intende non ci si intossica per dare il meglio. Povero stupido: se vuoi essere al top, devi fotterti a poco a poco il cervello. Paul non lo fa, per questo è così mediocre.
Dal pubblico qualcuno tossisce. Un mezzo applauso di incoraggiamento.
Andatevene a fanculo.
Note di sax volano al soffitto. Salto sullo sgabello. Chubby è partito con un assolo poderoso, ancora una volta viene a salvare le nostre anime.
Mi giro a guardarlo: tra le sue dita il sax sembra un gattino, e Chubby gli strappa l’anima. Come se avesse capito che tra me e Paulie corre il futuro della band.
Sotto il palco, un tizio apre la bocca e la lascia così, a prendere le mosche.
Chubby è veloce, sale all’ottava più alta e dà due colpi di lingua. Una mitraglietta che falcia la prima fila.
Paul mi fissa. Mi sta sbattendo fuori dal gruppo, con un bel grazie e tanti saluti. Col cavolo, stasera decidiamo chi resta e chi va.
Chubby scende per una misolidia che spacca il cuore. Arriva in fondo al registro, gira lì, si arresta di colpo. Quant’è durato, un minuto, un minuto e mezzo?
Il silenzio tiene in scacco la sala. Tra i tavoli in fondo un uomo si alza, gira il sigaro in bocca, sorride e applaude.
Tutti lo seguono, l’applauso invade il locale.
Bene così, anche se io e Paul sappiamo che questo momento durerà poco. Fino alla fine dell’applauso, dove saremo punto e a capo. È lì che mi aspetta, il bastardo.
Questi incipit sono belli se hai qualcosa da dire, se c’è del contenuto. Sennò il pubblico si accorge del bluff e ti lincia. Ma ci siamo abituati, da bravi negri.
L’applauso continua.
E allora torno a Tony, non s’è nemmeno accorto dell’esibizione di Chubby. La testa è cascata tra le spalle, le bacchette incrociate all’ingiù.
L’applauso sta finendo, non si aggiunge più nessuno.
Siamo fottuti.
Una sventagliata colpisce le finestre. Una seconda, e l’applauso cade. Un vetro va in pezzi, una donna grida. La pioggia aumenta, arriva un’altra raffica e una secchiata si rovescia su un tavolo in seconda fila.
Altro urlo. Donne si alzano, prendono la borsetta dal tavolino.
La serata sta andando a puttane e non per colpa nostra. Non tutta, almeno.
Un rullo sui piatti del charleston.
Insiste in un crescendo.
Ma cosa…?
Mi volto e Tony ha la stessa espressione di prima, catatonica, ma sotto di lui gli avambracci lavorano. Gesù, se lavorano: le bacchette vanno come pistoni.
La pioggia batte e Rabbit si è svegliato, ne segue il ritmo. Il rullare cresce, entra la cassa.
La gente già in piedi si ferma, le borsette e i sigari sospesi a mezz’aria.
Paul schiude la bocca, il contrabbasso poggiato alla spalla. Ne sa quanto me, non ha idea di dove si andrà a parare.
Il volto di Tony si solleva, esce dall’ombra. È vivo, cazzo. La botta sta salendo anche per lui.
Urlo sopra la tempesta, sopra il charleston. «Fottiti, Paulie!»
E via, allora.
Scivolo a fondo tastiera, pianto le dita, la sinistra comincia a scendere un accordo alla volta. La destra segue con la scala, sono super veloce cazzo, sono il messaggero di Dio. Il Dio delle droghe che mi fa fare queste cose. Paulie, non puoi capire. Vattene.
La batteria di Tony mi aspetta lì davanti, mi incastro sul suo tempo e chiudo con accordo che è un pugno.
Sguardo veloce ai tavolini: tutti hanno ripreso posto.
Bordate d’acqua entrano dalla finestra sfondata, le tovaglie svolazzano.
Mi volto verso Paul, i suoi occhi sono fessure: non è più questione di sbalordire il pubblico. Ora lottiamo tra di noi.
Si china sulle corde, le dita scattano ed è il suo turno. Fa da tappeto alla cassa di Tony, le mie note sono un dippiù, ormai.
«Levati, Paulie!» grido al soffitto, ma il suo blues è entrato.
E va bene, qui comando io. Ora facciamo del jazz.
Piego il labbro sotto gli incisivi, fischio. Mi guardano, è il momento.
«Billie’s Bounce!» grido.
Attacco con l’intro di pianoforte. Veloce come il demonio, nemmeno Parker corre così. Ma è ora di piantarla con le ritrosie. Se c’è uno che se ne deve andare, Paul, quello sei tu.
Stacco ed entra Tony the Rabbit.
E il coniglio corre, corre come un disperato: macina miglia da seduto. Tony ce la può fare, non morirà stanotte. Porterà a casa la serata e saremo degli dei.
E tu, Paulie, vaffanculo.
Tony chiude il fill-in, pronti con il tema. Due, tre e quattro.
Tema perfetto. Chubby sta sotto, non molla. Vai Gesù, vai.
Gente che si era seduta si rialza. Le mani nei capelli, le bocche spalancate.
Non hanno mai sentito roba del genere.
La nostra band ha un solo capo: un capo che crede nel potere divino e ispiratore della droga. Coca, ero, brown: butta tutto insieme e fa’ un bel sorriso.
Chubby e Tony dovranno scegliere. Darò loro un’unica opzione.
Il pavimento fino alla terza fila è un lago, i lampadari illuminano cascate. Ma nessuno schioda.
Entra il mio solo. Via di velocità, spingi cazzo, una scala dietro l’altra.
Mi volto, vedo Paul. Ha gli occhi sbarrati, sta gridando qualcosa.
Fanculo Paulie, non ti sento. Puoi gridare quanto vuoi, qui sei tu che te ne vai. Anzi, te ne sei già andato.
Grida ancora.
«Hai perso!» gli faccio io.
Ma qualcosa non va.
La batteria sta mancando dei colpi, e in modo sempre più convinto. Rallenta, perdo il passo. Un terribile pensiero.
Mi volto verso Tony: ma Tony è presente, attento.
Cristo, che paura. E allora che c’è?
C’è che Tony ha gli occhi che son due pozze d’acqua. Guarda in direzione di Chubby.
Chubby, che sarebbe dovuto partire alla fine del mio solo.
In platea una donna urla.
Chubby si tiene il braccio sinistro.
Le mie dita non mollano la tastiera, non ci riescono.
Chubby guarda in alto, guarda il dio dei jazzisti che è venuto a prenderlo.
Paul molla il contrabbasso. Si lancia verso di lui.
E Chubby, Chubby va giù.
Chubby varca la porta con il sax in mano. Tony, il nostro cavallo di razza drogato, mi passa davanti. Mr. Phillips li segue.
Aspetto che Paulie completi la processione. Non lo fa. Si avvicina alla porta, i suoi occhi non mi mollano, la chiude.
«Paulie, ma che diavolo…?»
La voce gli esce così calma che mi si torcono le budella. «Indovina un po’ cosa ho trovato, poco fa.»
Va al tavolo. Prende la custodia delle bacchette di Tony. La apre, tira fuori delle fiale.
Conosco bene quelle fiale. Le ho chiuse con un tappo verde, per distinguerle dalle altre che contengono coca. Sia mai che ti sniffi eroina.
Paul non domanda, va dritto al punto. «Questa roba è tua» dice. «Sei tu che gliel’hai venduta.»
Proprio ora, Cristo santissimo. «Paulie...»
È bello incazzato. Un negro incazzato nero.
Solleva la fiala. «Cos’è, volevi ammazzarlo?»
«Gesù, no. Vo-volevo proteggerlo. Dalla roba che poteva trovare qui.»
Paul sbatte la fiala a terra, l’ero si sparge. Dannato idiota. «Proteggerlo un corno! Lo stavi per ammazzare, cazzo!»
«È… è tutto sotto controllo.» Indico la porta, ci stanno aspettando. «Dai, Paulie, ne parliamo con calma. Dobbiamo andare.» Con il medio spingo su gli occhiali. Non rompere il cazzo proprio adesso.
«No, Ike.» Mi odia. «Non ne parliamo più. Sono stufo delle tue cazzate. Da domani ti cerchi un nuovo quartetto.»
La temperatura del camerino precipita sotto lo zero.
«Non puoi essere serio.»
«Ah, no?» Paul alza quel fottuto indice. «Ti dirò di più. Se il negro muore, parlo con la polizia.»
Merda. Questo no.
«Fottiti, Paulie.»
Fa un gesto verso la porta. «Dopo di te, Ike.»
Esco a testa bassa.
Mr. Phillips sta tornando indietro. «Dove cazzo eravate?» Mi si avvicina. «Ho visto come Rabbit è salito sul palco. È già tanto che abbia indovinato i gradini.»
Di male in peggio.
Il fiato di Mr. Phillips sa di gin. «Non fate scherzi, negri.»
Non rispondo, tiro dritto. Ho già avuto la mia dose di rogne, stasera.
L’annunciatore scalda la folla. «Ladies and gentlemen. Qui per voi, direttamente dalla scena newyorkese, i bopper più veloci dell’East Coast! Nelle vene di questi ragazzi scorre il jazz!»
Amico, tu non hai idea di cosa ci scorre nelle vene.
Il tizio fa una pausa teatrale. Fischio del microfono, riprende: «E allora un grande applauso per l’incredibile quartetto di Tony “The Rabbit” Blackfooooot!»
Nel locale qualcuno batte le mani in modo poco convinto. Prendo posizione sullo sgabello. Stavolta suono su uno Steinway verticale: meglio di niente.
Prima dell’esibizione è bello godersi il pubblico. Le facce speranzose, quelle già dubbie e pronte a criticare. Con un po’ di miglia sulle spalle, impari a distinguerli. Ma stasera i miei occhi vanno a Tony. Che non deve crollare, perdio. Tantomeno uscire dal locale con i piedi in avanti.
Dietro la fila di piatti, Tony non si muove: si guarda tra i piedi, il riflettore gli mette in ombra mezza faccia. È in down.
Paul, abbracciato al contrabbasso, tira occhiate a me e lui, a me e a lui. Che si fa?
The Rabbit doveva attaccare, e invece il coniglio resta inchiodato. Pronto a essere divorato.
Paul mi vorrebbe fare la pelle. Per lui suonare non è una questione di pura espressione. Lo vede come un lavoro, e nel lavoro che lui intende non ci si intossica per dare il meglio. Povero stupido: se vuoi essere al top, devi fotterti a poco a poco il cervello. Paul non lo fa, per questo è così mediocre.
Dal pubblico qualcuno tossisce. Un mezzo applauso di incoraggiamento.
Andatevene a fanculo.
Note di sax volano al soffitto. Salto sullo sgabello. Chubby è partito con un assolo poderoso, ancora una volta viene a salvare le nostre anime.
Mi giro a guardarlo: tra le sue dita il sax sembra un gattino, e Chubby gli strappa l’anima. Come se avesse capito che tra me e Paulie corre il futuro della band.
Sotto il palco, un tizio apre la bocca e la lascia così, a prendere le mosche.
Chubby è veloce, sale all’ottava più alta e dà due colpi di lingua. Una mitraglietta che falcia la prima fila.
Paul mi fissa. Mi sta sbattendo fuori dal gruppo, con un bel grazie e tanti saluti. Col cavolo, stasera decidiamo chi resta e chi va.
Chubby scende per una misolidia che spacca il cuore. Arriva in fondo al registro, gira lì, si arresta di colpo. Quant’è durato, un minuto, un minuto e mezzo?
Il silenzio tiene in scacco la sala. Tra i tavoli in fondo un uomo si alza, gira il sigaro in bocca, sorride e applaude.
Tutti lo seguono, l’applauso invade il locale.
Bene così, anche se io e Paul sappiamo che questo momento durerà poco. Fino alla fine dell’applauso, dove saremo punto e a capo. È lì che mi aspetta, il bastardo.
Questi incipit sono belli se hai qualcosa da dire, se c’è del contenuto. Sennò il pubblico si accorge del bluff e ti lincia. Ma ci siamo abituati, da bravi negri.
L’applauso continua.
E allora torno a Tony, non s’è nemmeno accorto dell’esibizione di Chubby. La testa è cascata tra le spalle, le bacchette incrociate all’ingiù.
L’applauso sta finendo, non si aggiunge più nessuno.
Siamo fottuti.
Una sventagliata colpisce le finestre. Una seconda, e l’applauso cade. Un vetro va in pezzi, una donna grida. La pioggia aumenta, arriva un’altra raffica e una secchiata si rovescia su un tavolo in seconda fila.
Altro urlo. Donne si alzano, prendono la borsetta dal tavolino.
La serata sta andando a puttane e non per colpa nostra. Non tutta, almeno.
Un rullo sui piatti del charleston.
Insiste in un crescendo.
Ma cosa…?
Mi volto e Tony ha la stessa espressione di prima, catatonica, ma sotto di lui gli avambracci lavorano. Gesù, se lavorano: le bacchette vanno come pistoni.
La pioggia batte e Rabbit si è svegliato, ne segue il ritmo. Il rullare cresce, entra la cassa.
La gente già in piedi si ferma, le borsette e i sigari sospesi a mezz’aria.
Paul schiude la bocca, il contrabbasso poggiato alla spalla. Ne sa quanto me, non ha idea di dove si andrà a parare.
Il volto di Tony si solleva, esce dall’ombra. È vivo, cazzo. La botta sta salendo anche per lui.
Urlo sopra la tempesta, sopra il charleston. «Fottiti, Paulie!»
E via, allora.
Scivolo a fondo tastiera, pianto le dita, la sinistra comincia a scendere un accordo alla volta. La destra segue con la scala, sono super veloce cazzo, sono il messaggero di Dio. Il Dio delle droghe che mi fa fare queste cose. Paulie, non puoi capire. Vattene.
La batteria di Tony mi aspetta lì davanti, mi incastro sul suo tempo e chiudo con accordo che è un pugno.
Sguardo veloce ai tavolini: tutti hanno ripreso posto.
Bordate d’acqua entrano dalla finestra sfondata, le tovaglie svolazzano.
Mi volto verso Paul, i suoi occhi sono fessure: non è più questione di sbalordire il pubblico. Ora lottiamo tra di noi.
Si china sulle corde, le dita scattano ed è il suo turno. Fa da tappeto alla cassa di Tony, le mie note sono un dippiù, ormai.
«Levati, Paulie!» grido al soffitto, ma il suo blues è entrato.
E va bene, qui comando io. Ora facciamo del jazz.
Piego il labbro sotto gli incisivi, fischio. Mi guardano, è il momento.
«Billie’s Bounce!» grido.
Attacco con l’intro di pianoforte. Veloce come il demonio, nemmeno Parker corre così. Ma è ora di piantarla con le ritrosie. Se c’è uno che se ne deve andare, Paul, quello sei tu.
Stacco ed entra Tony the Rabbit.
E il coniglio corre, corre come un disperato: macina miglia da seduto. Tony ce la può fare, non morirà stanotte. Porterà a casa la serata e saremo degli dei.
E tu, Paulie, vaffanculo.
Tony chiude il fill-in, pronti con il tema. Due, tre e quattro.
Tema perfetto. Chubby sta sotto, non molla. Vai Gesù, vai.
Gente che si era seduta si rialza. Le mani nei capelli, le bocche spalancate.
Non hanno mai sentito roba del genere.
La nostra band ha un solo capo: un capo che crede nel potere divino e ispiratore della droga. Coca, ero, brown: butta tutto insieme e fa’ un bel sorriso.
Chubby e Tony dovranno scegliere. Darò loro un’unica opzione.
Il pavimento fino alla terza fila è un lago, i lampadari illuminano cascate. Ma nessuno schioda.
Entra il mio solo. Via di velocità, spingi cazzo, una scala dietro l’altra.
Mi volto, vedo Paul. Ha gli occhi sbarrati, sta gridando qualcosa.
Fanculo Paulie, non ti sento. Puoi gridare quanto vuoi, qui sei tu che te ne vai. Anzi, te ne sei già andato.
Grida ancora.
«Hai perso!» gli faccio io.
Ma qualcosa non va.
La batteria sta mancando dei colpi, e in modo sempre più convinto. Rallenta, perdo il passo. Un terribile pensiero.
Mi volto verso Tony: ma Tony è presente, attento.
Cristo, che paura. E allora che c’è?
C’è che Tony ha gli occhi che son due pozze d’acqua. Guarda in direzione di Chubby.
Chubby, che sarebbe dovuto partire alla fine del mio solo.
In platea una donna urla.
Chubby si tiene il braccio sinistro.
Le mie dita non mollano la tastiera, non ci riescono.
Chubby guarda in alto, guarda il dio dei jazzisti che è venuto a prenderlo.
Paul molla il contrabbasso. Si lancia verso di lui.
E Chubby, Chubby va giù.