Il cane addestrato
Inviato: giovedì 6 agosto 2020, 2:33
Tessa spalanca gli occhi: lo schermo di fronte vomita sequenze di guerriglia urbana tra i livelli più bassi e l’esterno: incendi, esplosioni. Manifestanti in fuga e gendarmeria in assetto antisommossa. Zero è accanto alla finestra, ha scostato la tenda con due dita, mantenendosi al riparo.
«Che ore sono?» gli chiede alzandosi dal letto.
«Le due. Se davvero vuoi venire con me, è il momento di andarcene.»
«Perché?»
«Perché sono qui fuori, ci troveranno in una ventina di minuti.»
«Chi é qui fuori?»
«Quelli da cui sto scappando.»
Si avvicina anche lei è dà un’occhiata nella stradina sottostante. Poche persone, qualcuno più indaffarato di qualcun altro, un paio di auto sportive parcheggiate e un furgoncino bianco. «Quindi sai chi cercare?»
«No. So che loro,» punta il furgone con l’indice, «cercano me. Ho fatto da cavia nei loro laboratori per anni e non voglio tornarci. Ma non so chi siano».
Lei si sporge ancora un momento, tira la tenda, si volta e lo guarda: sulla pelle pulita del torace, decine di linee chiare, lievemente in rilievo. Ne sfiora una, «queste...»
Zero le sposta la mano e le sorride, «te l’ho detto che non voglio tornarci».
«Hai detto che eri capace,» si infila gli anfibi, «che non avrebbero rintracciato i nostri chip».
Lui fa spallucce e si mette la giacca, i lividi sul costato e sul viso sono ingialliti e della ferita sotto l’occhio è rimasta solo una linea arrossata. «Non credo abbiano rintracciato i nostri chip. Ci deve essere qualcosa che mi sfugge, qualcosa che non ho considerato.»
Tessa prende un vasetto dalla borsa ed estrae due dita del contenuto oleoso, lo spalma sulla testiera del letto, «dai muoviamoci,» ancora due dita dietro al comodino e corre alla porta. Se ne spalma una noce sui polsi e sugli stivali; un sorriso le illumina il volto dai tratti delicati, «allora?»
«Che diavolo è quella roba?»
«Un miscuglio di mia invenzione, canfora per lo più e qualche spezia. Tu non avrai odore ma io sì, se hanno un Lupo al seguito, sapranno che sono stata qui, questo invece lo confonderà.»
«E non gli basterà seguire la traccia di canfora?»
«Non è solo canfora,» apre la porta rimanendo all’interno, si affaccia e solo dopo aver guardato in entrambe le direzioni gli fa cenno di seguirla, «andiamo, o vuoi una lezione di chimica?»
Raggiungono il parcheggio sotterraneo da una scala di servizio, le scarpe da ginnastica di Zero stridono sul linoleum. «Ci sono solo auto precomandate qui, non riesco a crackarle.»
«Non importa, a piedi diamo meno nell’occhio, ma...» ruota su se stessa e abbatte un calcio sul parabrezza di un’utilitaria. L’antifurto starnazza solo un paio di secondi, il tempo che Tessa ne strappi i fili, infilandosi sotto al cruscotto.
«Ma che cazzo fai? Perché?»
Riemerge sul sedile di guida e si allunga verso quelli posteriori, cavandone una sacca da palestra. «Hai una giacca in cui cadi dentro e sembri uscito da una macelleria,» gliela lancia dal vetro infranto, «cambiati.»
Zero indossa un’anonima tuta grigia e le circonda le spalle con un braccio, scuote la testa per portarsi i capelli davanti agli occhi, «buona idea, ragazza».
«Lo so, ma ora dove andiamo?»
Le mostra la scheda prima di infilarla in tasca, «a cercare un computer».
La luce del giorno li investe all’uscita pedonale. Una manciata di gendarmi, nella via di fronte, ha circondato un ragazzo con la testa rasata, costretto in ginocchio sotto la minaccia dei mitra. Un paio di sirene in lontananza.
«Liberisti? A questo livello?» Zero la stringe più forte e accelera il passo, abbassando la testa. «Sono più intraprendenti di quello che pensavo.»
«Sono più stupidi,» la raffica di mitra le dà ragione; altre sirene, «appunto».
Quando superano il camioncino bianco, la stringe sovrastandola, «non voltarti».
«Cosa?»
«Si sono spostati.»
«Pensi che ti abbiano visto?»
«No, ma voglio mettere più strada possibile tra noi e...» L’autobomba esplode a pochi metri, scagliando brandelli di lamiera e gocce di plastica liquefatta. La palla di fuoco e fumo svetta in una colonna nera riflettendo nelle schegge delle vetrine in frantumi.
Tessa è veloce, si volta e si accuccia, le braccia sopra alla testa; Zero di più. La afferra per la vita sottile e si getta dietro un distributore di oppio sintetico.
Il sibilo è talmente forte da ovattare qualunque altro suono, le sirene si fondono agli antifurti e le grida sono echi lontani. Tessa si porta le mani davanti al viso, i palmi, poi i dorsi: sono annerite ma non bruciate. «Va tutto bene?» Urla. Come chi non riesce a sentire la propria voce. «Va tutto bene?» Ripete più forte.
Zero strizza gli occhi e solleva il labbro superiore. Un filo argenteo fuma su dalla spalla, si sfila la felpa con un gesto veloce, strattonandola, alla fine, per strapparla dalla pelle arricciata della schiena.
«Liberisti!» grida qualcuno non appena il rumore si attutisce, qualcun altro piange, altri colpi di mitra.
Tessa si sporge da un lato del distributore semi carbonizzato, «c’è una banca proprio lì davanti. Sono ladri, non liberisti. Hanno fatto saltare l’ingresso con l’autobomba e ora sono dentro, è una buona occasione per noi».
Un’autoambulanza inchioda loro accanto, mentre decine di persone corrono nella direzione da cui è arrivata. «Tutta la gendarmeria sta andando lì,» gli poggia la mano sulla spalla, la ferita dai bordi bruciacchiati sta sanguinando, «ce la fai?»
«Certo.» Si alza appoggiandosi al suo braccio ma si blocca prima di raggiungere la posizione eretta. Lo sguardo fisso in un punto oltre i ricci di lei.
«Zero, che succede?»
«Non lo senti?»
«Cosa?»
«Questo fischio: è fortissimo.»
Tessa si guarda intorno, «io non...»
Zero grida, si porta le mani alle tempie e crolla in ginocchio. Un istante più tardi è in piedi, lo sguardo inespressivo puntato verso di lei e i pugni serrati.
«Ma cosa diavolo ti è successo?»
Non le risponde, non la sta davvero guardando. Si volta, spinge via il distributore e inizia a correre. I ghirigori di plastica fusa brillano sulla schiena muscolosa.
«Ehi!» Tessa gli corre dietro, difficile tenerne il passo. Scavalca una macchina scivolando sul cofano e lo raggiunge. «Dove cazzo vai?» lo ferma, prendendogli il polso e lo trae a sé, lui si volta: l’altro braccio è sollevato, dritto come un tronco, la afferra per la gola. Nessun suono, oltre ai vocalizzi disarticolati di Tessa, ormai a un palmo da terra. Riesce a sferrargli un calcio al fianco, lui si piega, ma invece di mollare la presa stringe e la scaraventa alcuni metri più in là.
Un paio di colpi di tosse per liberare un respiro. Gonfia il petto mentre si massaggia la gola. Poggia le mani a terra e si rialza ma lui è già davanti alla banca.
Due poliziotti gli corrono incontro, prima che raggiunga i resti della macchina; il primo toglie la sicura al mitra, il secondo solleva la sinistra e apre la bocca, probabilmente per intimare un “alt”. Zero li colpisce entrambi, palmi aperti, dritti al plesso solare e spezza loro il respiro.
Sparisce oltre la porta distrutta un momento prima che due camionette militari si frappongano tra la banca e i pochi curiosi rimasti.
Spari, urla. Un paio di tonfi sordi, vetro, ancora spari.
«Tessa!» Tony si sbraccia dal finestrino di un’auto civetta, fa un segno all’autista che le parcheggia accanto. «Sali.»
«Cosa?»
«Sali ho detto!»
Tessa si prende un gomito, le braccia sono escoriate dall’asfalto e il collo è livido. «È entrato là dentro, devo...»
«Devi venire via.»
Altre tre camionette militari raggiungono le prime due e formano un semicerchio davanti alla porta, i soldati che ne scendono si dispongono in un cordone, allontanando le persone per far passare il furgoncino bianco.
Tessa ha aperto la portiera ma continua a guardare nella medesima direzione. Tra i teloni mimetici si intravede l’ingresso della banca, «aspetta un momento».
Zero è coperto di sangue, zoppica. Stretta nella destra la testa di un uomo, privo di sensi, che sta trascinando. Lo molla, appena fuori, ai due militari che gli sono andati incontro, dietro di loro altri due uomini: abiti civili e visi anonimi. Uno dei due ha un cerchio metallico tra le mani.
Zero lo raggiunge e lascia che glielo chiuda intorno al collo. Uno spasmo, una convulsione talmente forte da farlo crollare in ginocchio.
Tessa emette un suono sottile, quasi un lamento, interrotto dalla stretta di Tony, «Tes, ti prego sali».
Entra in macchina, sul sedile posteriore.
Zero si è rialzato, ha la testa bassa, ancora qualche brivido evidente. L’uomo che aveva il collare gli fa un cenno e lui lo segue all’interno del furgone bianco.
«Chi cazzo erano quelli, Tony?» Gli urla addosso sparpagliando il disinfettante dalla boccetta. La poggia con veemenza sulla scrivania, facendone zampillare un’altra dose abbondante.
«Non lo so e non lo voglio sapere. E nemmeno tu!»
«Senti, quel tipo è più forte di me, più veloce, più addestrato! Non è un Lupo ma ha i sensi più sviluppati dei miei, una specie di fottuto supereroe che di punto in bianco sbrocca e mi lancia a cinque metri!»
Tony è seduto, tampona con dei fogli da fotocopia gli schizzi d’alcol. «Sono stati molto chiari con me: io faccio sparire le sue impronte dallo schedario, le registrazioni delle videocamere, i suoi fascicoli; e loro fanno sparire i tuoi.»
«Loro chi? L’antiterrorismo?»
«Ma figurati! Quelli li hanno zittiti molto prima di me. Non hai visto che oggi nemmeno c’erano?»
Si volta verso lo specchietto che Tony ha appoggiato sullo scaffale per controllare l’escoriazione sulle spalle, «chi cazzo sono allora?»
«Milizia corporativa, e siamo già abbastanza fortunati se ci hanno chiesto una piccola amnesia, invece di assicurarsi il nostro silenzio facendoci sparire.»
Sposta la poltroncina di pelle dallo schienale e ci sprofonda dentro. «Lo staranno riportando in quel laboratorio, gli faranno del male.»
«Non è affar tuo.»
«Invece sì.»
«Io lo so cosa pensi,» le prende la destra con entrambe le mani e la stringe, «credi che sia come te e magari lo era. Ma non più.»
«Che vuoi dire?»
«Lo sai cosa intendo. Vi hanno quasi decimati anni fa, per capire come sfruttare il vostro potere, per usarvi.»
Tessa sfila la mano e se la massaggia. «Ci hanno anche creati, probabilmente. Non è questo il punto. La sperimentazione sui Lupi è vietata da anni, da prima che io nascessi.»
«Magari non da prima che nascesse lui.»
«Impossibile. Chi era stato preso all’epoca è morto. Se la mia gente è in pericolo devo saperlo.»
«Senti, siete rimasti in pochi, nemmeno un centinaio in città. Schedati e riconoscibili. Non possono prendere nessuno di voi, almeno per ora. Non fargli cambiare idea.»
«Quindi che devo fare?»
L’uomo estrae una bottiglia dal primo cassetto, ne prende un lungo sorso e gliela passa. «Te lo devi dimenticare.»
«Che ore sono?» gli chiede alzandosi dal letto.
«Le due. Se davvero vuoi venire con me, è il momento di andarcene.»
«Perché?»
«Perché sono qui fuori, ci troveranno in una ventina di minuti.»
«Chi é qui fuori?»
«Quelli da cui sto scappando.»
Si avvicina anche lei è dà un’occhiata nella stradina sottostante. Poche persone, qualcuno più indaffarato di qualcun altro, un paio di auto sportive parcheggiate e un furgoncino bianco. «Quindi sai chi cercare?»
«No. So che loro,» punta il furgone con l’indice, «cercano me. Ho fatto da cavia nei loro laboratori per anni e non voglio tornarci. Ma non so chi siano».
Lei si sporge ancora un momento, tira la tenda, si volta e lo guarda: sulla pelle pulita del torace, decine di linee chiare, lievemente in rilievo. Ne sfiora una, «queste...»
Zero le sposta la mano e le sorride, «te l’ho detto che non voglio tornarci».
«Hai detto che eri capace,» si infila gli anfibi, «che non avrebbero rintracciato i nostri chip».
Lui fa spallucce e si mette la giacca, i lividi sul costato e sul viso sono ingialliti e della ferita sotto l’occhio è rimasta solo una linea arrossata. «Non credo abbiano rintracciato i nostri chip. Ci deve essere qualcosa che mi sfugge, qualcosa che non ho considerato.»
Tessa prende un vasetto dalla borsa ed estrae due dita del contenuto oleoso, lo spalma sulla testiera del letto, «dai muoviamoci,» ancora due dita dietro al comodino e corre alla porta. Se ne spalma una noce sui polsi e sugli stivali; un sorriso le illumina il volto dai tratti delicati, «allora?»
«Che diavolo è quella roba?»
«Un miscuglio di mia invenzione, canfora per lo più e qualche spezia. Tu non avrai odore ma io sì, se hanno un Lupo al seguito, sapranno che sono stata qui, questo invece lo confonderà.»
«E non gli basterà seguire la traccia di canfora?»
«Non è solo canfora,» apre la porta rimanendo all’interno, si affaccia e solo dopo aver guardato in entrambe le direzioni gli fa cenno di seguirla, «andiamo, o vuoi una lezione di chimica?»
Raggiungono il parcheggio sotterraneo da una scala di servizio, le scarpe da ginnastica di Zero stridono sul linoleum. «Ci sono solo auto precomandate qui, non riesco a crackarle.»
«Non importa, a piedi diamo meno nell’occhio, ma...» ruota su se stessa e abbatte un calcio sul parabrezza di un’utilitaria. L’antifurto starnazza solo un paio di secondi, il tempo che Tessa ne strappi i fili, infilandosi sotto al cruscotto.
«Ma che cazzo fai? Perché?»
Riemerge sul sedile di guida e si allunga verso quelli posteriori, cavandone una sacca da palestra. «Hai una giacca in cui cadi dentro e sembri uscito da una macelleria,» gliela lancia dal vetro infranto, «cambiati.»
Zero indossa un’anonima tuta grigia e le circonda le spalle con un braccio, scuote la testa per portarsi i capelli davanti agli occhi, «buona idea, ragazza».
«Lo so, ma ora dove andiamo?»
Le mostra la scheda prima di infilarla in tasca, «a cercare un computer».
La luce del giorno li investe all’uscita pedonale. Una manciata di gendarmi, nella via di fronte, ha circondato un ragazzo con la testa rasata, costretto in ginocchio sotto la minaccia dei mitra. Un paio di sirene in lontananza.
«Liberisti? A questo livello?» Zero la stringe più forte e accelera il passo, abbassando la testa. «Sono più intraprendenti di quello che pensavo.»
«Sono più stupidi,» la raffica di mitra le dà ragione; altre sirene, «appunto».
Quando superano il camioncino bianco, la stringe sovrastandola, «non voltarti».
«Cosa?»
«Si sono spostati.»
«Pensi che ti abbiano visto?»
«No, ma voglio mettere più strada possibile tra noi e...» L’autobomba esplode a pochi metri, scagliando brandelli di lamiera e gocce di plastica liquefatta. La palla di fuoco e fumo svetta in una colonna nera riflettendo nelle schegge delle vetrine in frantumi.
Tessa è veloce, si volta e si accuccia, le braccia sopra alla testa; Zero di più. La afferra per la vita sottile e si getta dietro un distributore di oppio sintetico.
Il sibilo è talmente forte da ovattare qualunque altro suono, le sirene si fondono agli antifurti e le grida sono echi lontani. Tessa si porta le mani davanti al viso, i palmi, poi i dorsi: sono annerite ma non bruciate. «Va tutto bene?» Urla. Come chi non riesce a sentire la propria voce. «Va tutto bene?» Ripete più forte.
Zero strizza gli occhi e solleva il labbro superiore. Un filo argenteo fuma su dalla spalla, si sfila la felpa con un gesto veloce, strattonandola, alla fine, per strapparla dalla pelle arricciata della schiena.
«Liberisti!» grida qualcuno non appena il rumore si attutisce, qualcun altro piange, altri colpi di mitra.
Tessa si sporge da un lato del distributore semi carbonizzato, «c’è una banca proprio lì davanti. Sono ladri, non liberisti. Hanno fatto saltare l’ingresso con l’autobomba e ora sono dentro, è una buona occasione per noi».
Un’autoambulanza inchioda loro accanto, mentre decine di persone corrono nella direzione da cui è arrivata. «Tutta la gendarmeria sta andando lì,» gli poggia la mano sulla spalla, la ferita dai bordi bruciacchiati sta sanguinando, «ce la fai?»
«Certo.» Si alza appoggiandosi al suo braccio ma si blocca prima di raggiungere la posizione eretta. Lo sguardo fisso in un punto oltre i ricci di lei.
«Zero, che succede?»
«Non lo senti?»
«Cosa?»
«Questo fischio: è fortissimo.»
Tessa si guarda intorno, «io non...»
Zero grida, si porta le mani alle tempie e crolla in ginocchio. Un istante più tardi è in piedi, lo sguardo inespressivo puntato verso di lei e i pugni serrati.
«Ma cosa diavolo ti è successo?»
Non le risponde, non la sta davvero guardando. Si volta, spinge via il distributore e inizia a correre. I ghirigori di plastica fusa brillano sulla schiena muscolosa.
«Ehi!» Tessa gli corre dietro, difficile tenerne il passo. Scavalca una macchina scivolando sul cofano e lo raggiunge. «Dove cazzo vai?» lo ferma, prendendogli il polso e lo trae a sé, lui si volta: l’altro braccio è sollevato, dritto come un tronco, la afferra per la gola. Nessun suono, oltre ai vocalizzi disarticolati di Tessa, ormai a un palmo da terra. Riesce a sferrargli un calcio al fianco, lui si piega, ma invece di mollare la presa stringe e la scaraventa alcuni metri più in là.
Un paio di colpi di tosse per liberare un respiro. Gonfia il petto mentre si massaggia la gola. Poggia le mani a terra e si rialza ma lui è già davanti alla banca.
Due poliziotti gli corrono incontro, prima che raggiunga i resti della macchina; il primo toglie la sicura al mitra, il secondo solleva la sinistra e apre la bocca, probabilmente per intimare un “alt”. Zero li colpisce entrambi, palmi aperti, dritti al plesso solare e spezza loro il respiro.
Sparisce oltre la porta distrutta un momento prima che due camionette militari si frappongano tra la banca e i pochi curiosi rimasti.
Spari, urla. Un paio di tonfi sordi, vetro, ancora spari.
«Tessa!» Tony si sbraccia dal finestrino di un’auto civetta, fa un segno all’autista che le parcheggia accanto. «Sali.»
«Cosa?»
«Sali ho detto!»
Tessa si prende un gomito, le braccia sono escoriate dall’asfalto e il collo è livido. «È entrato là dentro, devo...»
«Devi venire via.»
Altre tre camionette militari raggiungono le prime due e formano un semicerchio davanti alla porta, i soldati che ne scendono si dispongono in un cordone, allontanando le persone per far passare il furgoncino bianco.
Tessa ha aperto la portiera ma continua a guardare nella medesima direzione. Tra i teloni mimetici si intravede l’ingresso della banca, «aspetta un momento».
Zero è coperto di sangue, zoppica. Stretta nella destra la testa di un uomo, privo di sensi, che sta trascinando. Lo molla, appena fuori, ai due militari che gli sono andati incontro, dietro di loro altri due uomini: abiti civili e visi anonimi. Uno dei due ha un cerchio metallico tra le mani.
Zero lo raggiunge e lascia che glielo chiuda intorno al collo. Uno spasmo, una convulsione talmente forte da farlo crollare in ginocchio.
Tessa emette un suono sottile, quasi un lamento, interrotto dalla stretta di Tony, «Tes, ti prego sali».
Entra in macchina, sul sedile posteriore.
Zero si è rialzato, ha la testa bassa, ancora qualche brivido evidente. L’uomo che aveva il collare gli fa un cenno e lui lo segue all’interno del furgone bianco.
«Chi cazzo erano quelli, Tony?» Gli urla addosso sparpagliando il disinfettante dalla boccetta. La poggia con veemenza sulla scrivania, facendone zampillare un’altra dose abbondante.
«Non lo so e non lo voglio sapere. E nemmeno tu!»
«Senti, quel tipo è più forte di me, più veloce, più addestrato! Non è un Lupo ma ha i sensi più sviluppati dei miei, una specie di fottuto supereroe che di punto in bianco sbrocca e mi lancia a cinque metri!»
Tony è seduto, tampona con dei fogli da fotocopia gli schizzi d’alcol. «Sono stati molto chiari con me: io faccio sparire le sue impronte dallo schedario, le registrazioni delle videocamere, i suoi fascicoli; e loro fanno sparire i tuoi.»
«Loro chi? L’antiterrorismo?»
«Ma figurati! Quelli li hanno zittiti molto prima di me. Non hai visto che oggi nemmeno c’erano?»
Si volta verso lo specchietto che Tony ha appoggiato sullo scaffale per controllare l’escoriazione sulle spalle, «chi cazzo sono allora?»
«Milizia corporativa, e siamo già abbastanza fortunati se ci hanno chiesto una piccola amnesia, invece di assicurarsi il nostro silenzio facendoci sparire.»
Sposta la poltroncina di pelle dallo schienale e ci sprofonda dentro. «Lo staranno riportando in quel laboratorio, gli faranno del male.»
«Non è affar tuo.»
«Invece sì.»
«Io lo so cosa pensi,» le prende la destra con entrambe le mani e la stringe, «credi che sia come te e magari lo era. Ma non più.»
«Che vuoi dire?»
«Lo sai cosa intendo. Vi hanno quasi decimati anni fa, per capire come sfruttare il vostro potere, per usarvi.»
Tessa sfila la mano e se la massaggia. «Ci hanno anche creati, probabilmente. Non è questo il punto. La sperimentazione sui Lupi è vietata da anni, da prima che io nascessi.»
«Magari non da prima che nascesse lui.»
«Impossibile. Chi era stato preso all’epoca è morto. Se la mia gente è in pericolo devo saperlo.»
«Senti, siete rimasti in pochi, nemmeno un centinaio in città. Schedati e riconoscibili. Non possono prendere nessuno di voi, almeno per ora. Non fargli cambiare idea.»
«Quindi che devo fare?»
L’uomo estrae una bottiglia dal primo cassetto, ne prende un lungo sorso e gliela passa. «Te lo devi dimenticare.»