Randagio
Inviato: sabato 8 agosto 2020, 11:23
Il medico ha digitato la sequenza numerica per la terza volta, all’ennesimo “error” colpisce lo schermo col palmo aperto. Se lo massaggia, bestemmiando sotto voce.
«Qual è il problema?» il secondo dottore non toglie gli occhi da Zero. Controlla le cinghie metalliche che lo bloccano sul tavolo operatorio, muove appena il sondino nasogastrico e glielo fissa con un pezzo di nastro sulla guancia.
«Non prende il codice, questo è il problema.»
«Quindi?»
«Quindi non posso resettarlo.» Si volta verso l’uomo legato e gli toglie gli elettrodi da tempie e torace. «Dobbiamo aspettare Carli, l’ha programmato lui questo aggeggio. Dio, quanto si incazzerà!»
«Non è mica colpa nostra se il suo giocattolo non funziona.»
«Certo, lo so. Ma non sarà comunque contento. Abbiamo rischiato di farlo ammazzare,» indica Zero, «e in più, non siamo ancora riusciti a cancellargli la memoria delle ultime ore». Si appoggia al banco alle proprie spalle e incrocia le braccia. «Tanto non possiamo farci niente finché non arriva.»
«E nel frattempo?»
Con un gesto della mano indica il corpo maciullato di Zero, «nel frattempo sistemiamo questo disastro».
L’altro fa spallucce, «guarirà da solo in poche ore, nemmeno starci a perdere tempo».
«Se gli sono rimasti proiettili all’interno può essere più complicato. E comunque lo vuole operativo al più presto. Pare che alla fine voglia prendersi anche quella Lupa.»
Zero scatta, tende i muscoli facendo cigolare le cinghie, dalle ferite aperte guizzi vermigli imbrattano il pavimento, «Che vuol dire?» urla. La voce è arrochita.
«Ah ma sei sveglio? Ben tornato tra noi, Zero.» Prepara una dose di sedativo, «voglio dire che finalmente avremo un nuovo Lupo su cui testare il nostro programma di condizionamento,» gli sorride avvicinandosi di un paio di passi, «a dire la verità cominciavo a stufarmi di te, e quella è anche un gran bel bocconcino!» passa la siringa nella sinistra e sfiora la cicatrice che percorre tutta la parte interna del braccio di Zero. «Certo, lei non potremmo impiantarla, è adulta ormai. Ma sii felice, scommetto che quando Carli ne avrà fatto un bravo cagnolino addestrato come te, ti ci lascerà giocare.»Toglie il tappo dal deflussore.
Zero grida, spacca la cinghia sul polso destro e riesce ad afferrare la mano del dottore. «Non ti permetterò di farle del male,» una rotazione del braccio e il polso del medico si spezza. Strappa l’altra cinghia e salta giù dal tavolo. L’altro uomo gli corre incontro solo per essere sbalzato contro un armadietto in fondo alla stanza.
Zero sfila flebo e sondino con un grugnito disarticolato, un calcio all’uomo a terra e afferra la maniglia.
Rovina in ginocchio, le mani premute contro le orecchie e il naso che non smette di sanguinare.
Il secondo medico ha in mano una trasmittente, il pulsante giallo con scritto “pulse” su on, se la porta alle labbra, «alzati e torna indietro».
Zero obbedisce, passi rigidi, una lacrima scivola fino al mento.
«Stenditi sul tavolo e allarga le braccia, non muoverti fino al prossimo ordine.» Di nuovo gli lega i polsi, poi gli mette il collare, solo dopo lascia il pulsante e soccorre il collega, aiutandolo ad alzarsi.
«Guarda che cazzo m’ha fatto!» Si stringe il braccio al petto e si avvicina di un paio di passi all’uomo legato. «Questa me la paghi, grandissimo pezzo di merda!»
«Vieni, devi farti steccare il braccio.»
«No, prima finisco qui.»
«Ma...»
«Prendi quel cazzo di bisturi!»
Si stringe nelle spalle, raccoglie la siringa da terra e la controlla.
«Ho detto il bisturi, questo stronzo dell’anestetico può farne a meno.»
Quando Carli raggiunge il laboratorio, l’armadietto è di nuovo in ordine, il campo operatorio pulito e Zero è accasciato in un angolo. I polsi stretti da manette metalliche, il collare in funzione e il corpo coperto di sangue. «Ma che cazzo è successo qui?»
«Abbiamo avuto qualche problema, il condizionamento non ha funzionato.» Arrangia l’uomo massaggiandosi il braccio steccato.
Carli raggiunge Zero, gli avvicina due dita alla coscia che è gonfia e tumefatta, i punti di sutura grossolani, «cosa gli avete fatto?”»
«Quello che ci avevo detto di fare, aveva tre proiettili nella gamba.»
«Questo è il mio capolavoro, idioti!» Gli dà un paio di colpetti delicati sul viso, «quando voi due coglioni giocavate con i soldatini,» indica la targa che campeggia sulla porta: Linea Umanoidi Prototipi Iperesistenti, «io ero già parte del progetto L.U.P.I.» ancora due colpetti finché Zero non apre gli occhi. «Me li hanno portati via tutti, scappati, liberati... e quelli si sono moltiplicati come conigli impazziti ma lui no, me lo hanno lasciato e io ne ho fatto il soldato perfetto.» Gli sposta i capelli dagli occhi e lo guarda, «ora, mio gioiello, dobbiamo risolvere la questione Tessa Gregori: non ti preoccupare non la uccideremo se non sarà necessario,» sfiora un sensore sul collare e uno dei led lampeggia, «me la devi portare qui, ma devi fare un lavoro pulito, devono credere sia morta. Un bell’incendio per esempio, dove getterai il suo chip identificativo».
Zero solleva il viso, gli occhi acquosi e la voce è un sussurro, «ti prego, non farmelo fare».
«Perché mi obblighi sempre a usare le maniere forti?» di nuovo passa il pollice sul sensore. Dal collare dodici aghi scattano, infilandosi sulle terminazioni nervose, Zero si irrigidisce talmente tanto da battere la testa contro il muro alle proprie spalle. Un colpo, due, poi si ferma: la schiena dritta e lo sguardo fisso davanti a sé.
«Non preoccuparti, toglierò questo ricordo e magari, mi delizierete con dei cuccioli. Adesso alzati, Zero.» Gli libera le mani e il ragazzo si leva, la gamba ferita trema in modo vistoso. «Ecco, razza di imbecilli, avete rischiato di rovinarmelo. Avete preso un dio e ne avete fatto il vostro giocattolo: siete fuori dal programma, tutti e due.»
L’uomo con il polso steccato si guarda intorno, una gomitata appena accennata al collega, «ma signore, non si può lasciare il programma L.U.P.I.».
«Lo so bene. Zero: uccidili.»
Tessa ha riposto l’ennesimo faldone; una tazza di caffè macchiata sulla scrivania e occhiaie profonde.
«Sei ancora qui? Sono le due del mattino!» Tony ha la barba di qualche giorno e un pacchetto da pasticceria tra le mani.
«Lo sapevi, o non avresti portato provviste.»
Lo poggia accanto alla tazza, «Tes, sono tre giorni che non esci di qui e devo dire che non hai un buon odore».
«Non sono io, è canfora. Se non percepisco emanazioni riesco ad essere più concentrata.»
«Cosa speri di trovare?»
«Ci deve essere un file, un documento, un cazzo di foglio che lo riguardi.»
«Quella è la milizia corporativa, se decidono di far sparire qualcosa o qualcuno, quello sparisce.»
«Il progetto per la creazione dei Lupi è diventato illegale quarant’anni fa, lui non ne avrà più di trenta, dice di essere cresciuto in un laboratorio.» Afferra un altro faldone, «io credo che non abbiano mai liberato sua madre».
«È probabile, anzi è la soluzione più certa, ma come credi di dimostrarlo?»
«Sto controllando i chip dei primi Lupi creati e dei loro figli, che a occhio e croce dovrebbero essere della generazione di sua madre: quelli morti e quelli rilasciati e spero di trovare un’incongruenza.»
Tony apre il pacchetto e afferra un dolce al cioccolato, «non la troverai. Avranno falsificato i moduli, oppure impiantato il chip della madre in un cadavere qualsiasi».
«Questa cosa è illegale, se riesco a dimostrarla, forse riuscirò a far chiudere davvero questo abominio.»
L’allarme antincendio ulula dal piano inferiore, pochi attimi e si propaga in tutto il palazzo. Dai bocchettoni sul soffitto partono i nebulizzatori. «Rimetti quel faldone nello scaffale prima che si bagni del tutto, Tes!»
Lei esegue, chiude lo sportello e dà un giro di chiave, «ti sembra il momento per un’esercitazione? Ci saranno sei persone qua dentro!»
«Non credo che sia un’esercitazione.»
L’altoparlante gracchia alcuni vocalizzi incomprensibili, fischia e stride.
«Visto? Dai, usciamo.»
Il boato li raggiunge dal piano inferiore, il pavimento trema sotto l’onda d’urto dell’esplosione e fa perdere loro l’equilibrio. Tony si rialza per primo e afferra la maniglia, «Tes!»
La porta viene strappata via dall’esterno e Tony con essa, sbalzato contro il muro del corridoio. Zero lo solleva per il bavero della giacca, lo sbatte con violenza contro il muro e lo lascia a terra, privo di sensi.
«Zero...» lo sussurra soltanto, «come?»
Il ragazzo supera la porta, un salto di almeno tre metri e le è addosso. Tes schiva e lui atterra sul pavimento, la gamba cede e deve appoggiare le mani.
La lupa ne approfitta e lo colpisce con un calcio, «che cazzo stai facendo?» urla, prima di venire raggiunta da un diretto allo stomaco.
L’allarme ha raggiunto la massima intensità, dalla finestra che dà sulla strada, la luce dei lampioni è intervallata dai lampeggianti dei vigili del fuoco. Tes si rialza e affonda con un calcio al viso, va a segno, riprova ma Zero la intercetta. Serra la presa sulla gamba con la destra, la obbliga a una rotazione e con il gomito sinistro le spezza il ginocchio.
Tessa rovina a terra, uno scroscio sulla finestra chiusa avverte che gli idranti sono in azione, Zero è in piedi, carica un colpo e affonda.
La afferra per il colletto della giacca di pelle, un sacco vuoto nelle sue mani. La trascina per tutta la stanza, fino al corridoio. Dalle scale serpeggiano fiamme alte quattro metri, hanno già abbracciato il piano superiore e si avventano contro gli arredi nel corridoio.
«Che vuoi farmi?» Ha la forza di chiedere mentre si avvicinano all’incendio.
A un paio di metri la lascia.
Lei tenta di alzarsi senza risultato. Zero le prende la mano, la annusa, si blocca nella parte inferiore del palmo e la morde.
Il fiotto vermiglio esplode assieme al grido di lei. Zero sputa il brandello di carne sulla propria mano, lo palpa con le dita finché non trova il chip identificativo e lo getta tra le fiamme.
Tessa era riuscita ad allontanarsi di qualche passo, scivolando sui gomiti, la mano stretta al petto. Raggiunge Tony, lo scuote afferrandolo con la sinistra, «Tony svegliati, ti prego svegliati!»
Vetri infranti, urla. I vigili del fuoco stanno entrando ma Zero le è di nuovo addosso.
«Ti prego,» sta piangendo adesso, «ti prego...»
Il ragazzo la issa a sé, strattonandola per i capelli.
Si blocca.
Ha gli occhi spalancati e le vene del collo gonfie, respira in modo affannoso. «Vattene!» Le urla contro, i led del collare iniziano a lampeggiare e lui ha uno spasmo. Si porta le mani alle tempie e urla talmente forte da spaccarsi i capillari delle guance, «non posso fermarmi, vattene!» Infila le dita sotto al collare, le convulsioni sono sempre più forti, cade supino e inarca la schiena. I muscoli irrigiditi all’estremo. Un grido che ha poco di umano precede il rumore secco di ossa rotte.
Tony si riprende e sfiora la spalla di Tes che è rimasta immobile. «Andiamo via, ragazza!»
Una delle finestre dell’ufficio viene infranta, dall’altra parte un vigile del fuoco fa loro cenno di raggiungerlo.
Tony afferra la ragazza per le braccia e se la trascina dietro.
«Aspetta, dobbiamo aiutarlo!»
Zero si alza, un movimento della testa involontario, ruota le spalle indietro e l’omero si riposiziona nella propria sede. I led sul collare lampeggiano a una frequenza tale da sembrare fissi.
Ancora due scatti del capo e si dirige verso di loro.
Tes si divincola dalla presa dell’amico, si getta in avanti e, appoggiandosi alla scrivania si alza, «in qualche modo ti aiuterò. Non ti lascio qui».
Una seconda esplosione fa tremare tutto l’edificio. Il pompiere rotola nella stanza. Il fuoco ha raggiunto il corridoio, ormai invaso dal fumo. Zero barcolla, poggia la mano contro la parete, il muro di fiamme alle spalle.
Stringe i pugni, il respiro é quasi un rantolo.
Per un momento il viso si distende, per un momento i muscoli si rilassano: sorride, allarga le braccia e si getta all’indietro.
L’esterno del palazzo di giustizia è completamente annerito, due delle quattro autopompe sono ancora in funzione e irrorano quel che rimane dell’incendio, al piano terra. Tessa è seduta sul pavimento di un’autoambulanza, la mano fasciata e la gamba distesa. Mezzo metro più in alto, Tony è legato a una barella.
Un soccorritore le circonda le spalle con una coperta termica, «ora ti sposto sulla sedia, sei pronta?»
Annuisce, lo sguardo sul portone carbonizzato. «Quanta gente avete tirato fuori?»
«C’eravate solo voi due, all’interno. Gli uomini di guardia li abbiamo trovati privi di sensi nel cortile.»
«Nemmeno un corpo?»
«No.»
«Qual è il problema?» il secondo dottore non toglie gli occhi da Zero. Controlla le cinghie metalliche che lo bloccano sul tavolo operatorio, muove appena il sondino nasogastrico e glielo fissa con un pezzo di nastro sulla guancia.
«Non prende il codice, questo è il problema.»
«Quindi?»
«Quindi non posso resettarlo.» Si volta verso l’uomo legato e gli toglie gli elettrodi da tempie e torace. «Dobbiamo aspettare Carli, l’ha programmato lui questo aggeggio. Dio, quanto si incazzerà!»
«Non è mica colpa nostra se il suo giocattolo non funziona.»
«Certo, lo so. Ma non sarà comunque contento. Abbiamo rischiato di farlo ammazzare,» indica Zero, «e in più, non siamo ancora riusciti a cancellargli la memoria delle ultime ore». Si appoggia al banco alle proprie spalle e incrocia le braccia. «Tanto non possiamo farci niente finché non arriva.»
«E nel frattempo?»
Con un gesto della mano indica il corpo maciullato di Zero, «nel frattempo sistemiamo questo disastro».
L’altro fa spallucce, «guarirà da solo in poche ore, nemmeno starci a perdere tempo».
«Se gli sono rimasti proiettili all’interno può essere più complicato. E comunque lo vuole operativo al più presto. Pare che alla fine voglia prendersi anche quella Lupa.»
Zero scatta, tende i muscoli facendo cigolare le cinghie, dalle ferite aperte guizzi vermigli imbrattano il pavimento, «Che vuol dire?» urla. La voce è arrochita.
«Ah ma sei sveglio? Ben tornato tra noi, Zero.» Prepara una dose di sedativo, «voglio dire che finalmente avremo un nuovo Lupo su cui testare il nostro programma di condizionamento,» gli sorride avvicinandosi di un paio di passi, «a dire la verità cominciavo a stufarmi di te, e quella è anche un gran bel bocconcino!» passa la siringa nella sinistra e sfiora la cicatrice che percorre tutta la parte interna del braccio di Zero. «Certo, lei non potremmo impiantarla, è adulta ormai. Ma sii felice, scommetto che quando Carli ne avrà fatto un bravo cagnolino addestrato come te, ti ci lascerà giocare.»Toglie il tappo dal deflussore.
Zero grida, spacca la cinghia sul polso destro e riesce ad afferrare la mano del dottore. «Non ti permetterò di farle del male,» una rotazione del braccio e il polso del medico si spezza. Strappa l’altra cinghia e salta giù dal tavolo. L’altro uomo gli corre incontro solo per essere sbalzato contro un armadietto in fondo alla stanza.
Zero sfila flebo e sondino con un grugnito disarticolato, un calcio all’uomo a terra e afferra la maniglia.
Rovina in ginocchio, le mani premute contro le orecchie e il naso che non smette di sanguinare.
Il secondo medico ha in mano una trasmittente, il pulsante giallo con scritto “pulse” su on, se la porta alle labbra, «alzati e torna indietro».
Zero obbedisce, passi rigidi, una lacrima scivola fino al mento.
«Stenditi sul tavolo e allarga le braccia, non muoverti fino al prossimo ordine.» Di nuovo gli lega i polsi, poi gli mette il collare, solo dopo lascia il pulsante e soccorre il collega, aiutandolo ad alzarsi.
«Guarda che cazzo m’ha fatto!» Si stringe il braccio al petto e si avvicina di un paio di passi all’uomo legato. «Questa me la paghi, grandissimo pezzo di merda!»
«Vieni, devi farti steccare il braccio.»
«No, prima finisco qui.»
«Ma...»
«Prendi quel cazzo di bisturi!»
Si stringe nelle spalle, raccoglie la siringa da terra e la controlla.
«Ho detto il bisturi, questo stronzo dell’anestetico può farne a meno.»
Quando Carli raggiunge il laboratorio, l’armadietto è di nuovo in ordine, il campo operatorio pulito e Zero è accasciato in un angolo. I polsi stretti da manette metalliche, il collare in funzione e il corpo coperto di sangue. «Ma che cazzo è successo qui?»
«Abbiamo avuto qualche problema, il condizionamento non ha funzionato.» Arrangia l’uomo massaggiandosi il braccio steccato.
Carli raggiunge Zero, gli avvicina due dita alla coscia che è gonfia e tumefatta, i punti di sutura grossolani, «cosa gli avete fatto?”»
«Quello che ci avevo detto di fare, aveva tre proiettili nella gamba.»
«Questo è il mio capolavoro, idioti!» Gli dà un paio di colpetti delicati sul viso, «quando voi due coglioni giocavate con i soldatini,» indica la targa che campeggia sulla porta: Linea Umanoidi Prototipi Iperesistenti, «io ero già parte del progetto L.U.P.I.» ancora due colpetti finché Zero non apre gli occhi. «Me li hanno portati via tutti, scappati, liberati... e quelli si sono moltiplicati come conigli impazziti ma lui no, me lo hanno lasciato e io ne ho fatto il soldato perfetto.» Gli sposta i capelli dagli occhi e lo guarda, «ora, mio gioiello, dobbiamo risolvere la questione Tessa Gregori: non ti preoccupare non la uccideremo se non sarà necessario,» sfiora un sensore sul collare e uno dei led lampeggia, «me la devi portare qui, ma devi fare un lavoro pulito, devono credere sia morta. Un bell’incendio per esempio, dove getterai il suo chip identificativo».
Zero solleva il viso, gli occhi acquosi e la voce è un sussurro, «ti prego, non farmelo fare».
«Perché mi obblighi sempre a usare le maniere forti?» di nuovo passa il pollice sul sensore. Dal collare dodici aghi scattano, infilandosi sulle terminazioni nervose, Zero si irrigidisce talmente tanto da battere la testa contro il muro alle proprie spalle. Un colpo, due, poi si ferma: la schiena dritta e lo sguardo fisso davanti a sé.
«Non preoccuparti, toglierò questo ricordo e magari, mi delizierete con dei cuccioli. Adesso alzati, Zero.» Gli libera le mani e il ragazzo si leva, la gamba ferita trema in modo vistoso. «Ecco, razza di imbecilli, avete rischiato di rovinarmelo. Avete preso un dio e ne avete fatto il vostro giocattolo: siete fuori dal programma, tutti e due.»
L’uomo con il polso steccato si guarda intorno, una gomitata appena accennata al collega, «ma signore, non si può lasciare il programma L.U.P.I.».
«Lo so bene. Zero: uccidili.»
Tessa ha riposto l’ennesimo faldone; una tazza di caffè macchiata sulla scrivania e occhiaie profonde.
«Sei ancora qui? Sono le due del mattino!» Tony ha la barba di qualche giorno e un pacchetto da pasticceria tra le mani.
«Lo sapevi, o non avresti portato provviste.»
Lo poggia accanto alla tazza, «Tes, sono tre giorni che non esci di qui e devo dire che non hai un buon odore».
«Non sono io, è canfora. Se non percepisco emanazioni riesco ad essere più concentrata.»
«Cosa speri di trovare?»
«Ci deve essere un file, un documento, un cazzo di foglio che lo riguardi.»
«Quella è la milizia corporativa, se decidono di far sparire qualcosa o qualcuno, quello sparisce.»
«Il progetto per la creazione dei Lupi è diventato illegale quarant’anni fa, lui non ne avrà più di trenta, dice di essere cresciuto in un laboratorio.» Afferra un altro faldone, «io credo che non abbiano mai liberato sua madre».
«È probabile, anzi è la soluzione più certa, ma come credi di dimostrarlo?»
«Sto controllando i chip dei primi Lupi creati e dei loro figli, che a occhio e croce dovrebbero essere della generazione di sua madre: quelli morti e quelli rilasciati e spero di trovare un’incongruenza.»
Tony apre il pacchetto e afferra un dolce al cioccolato, «non la troverai. Avranno falsificato i moduli, oppure impiantato il chip della madre in un cadavere qualsiasi».
«Questa cosa è illegale, se riesco a dimostrarla, forse riuscirò a far chiudere davvero questo abominio.»
L’allarme antincendio ulula dal piano inferiore, pochi attimi e si propaga in tutto il palazzo. Dai bocchettoni sul soffitto partono i nebulizzatori. «Rimetti quel faldone nello scaffale prima che si bagni del tutto, Tes!»
Lei esegue, chiude lo sportello e dà un giro di chiave, «ti sembra il momento per un’esercitazione? Ci saranno sei persone qua dentro!»
«Non credo che sia un’esercitazione.»
L’altoparlante gracchia alcuni vocalizzi incomprensibili, fischia e stride.
«Visto? Dai, usciamo.»
Il boato li raggiunge dal piano inferiore, il pavimento trema sotto l’onda d’urto dell’esplosione e fa perdere loro l’equilibrio. Tony si rialza per primo e afferra la maniglia, «Tes!»
La porta viene strappata via dall’esterno e Tony con essa, sbalzato contro il muro del corridoio. Zero lo solleva per il bavero della giacca, lo sbatte con violenza contro il muro e lo lascia a terra, privo di sensi.
«Zero...» lo sussurra soltanto, «come?»
Il ragazzo supera la porta, un salto di almeno tre metri e le è addosso. Tes schiva e lui atterra sul pavimento, la gamba cede e deve appoggiare le mani.
La lupa ne approfitta e lo colpisce con un calcio, «che cazzo stai facendo?» urla, prima di venire raggiunta da un diretto allo stomaco.
L’allarme ha raggiunto la massima intensità, dalla finestra che dà sulla strada, la luce dei lampioni è intervallata dai lampeggianti dei vigili del fuoco. Tes si rialza e affonda con un calcio al viso, va a segno, riprova ma Zero la intercetta. Serra la presa sulla gamba con la destra, la obbliga a una rotazione e con il gomito sinistro le spezza il ginocchio.
Tessa rovina a terra, uno scroscio sulla finestra chiusa avverte che gli idranti sono in azione, Zero è in piedi, carica un colpo e affonda.
La afferra per il colletto della giacca di pelle, un sacco vuoto nelle sue mani. La trascina per tutta la stanza, fino al corridoio. Dalle scale serpeggiano fiamme alte quattro metri, hanno già abbracciato il piano superiore e si avventano contro gli arredi nel corridoio.
«Che vuoi farmi?» Ha la forza di chiedere mentre si avvicinano all’incendio.
A un paio di metri la lascia.
Lei tenta di alzarsi senza risultato. Zero le prende la mano, la annusa, si blocca nella parte inferiore del palmo e la morde.
Il fiotto vermiglio esplode assieme al grido di lei. Zero sputa il brandello di carne sulla propria mano, lo palpa con le dita finché non trova il chip identificativo e lo getta tra le fiamme.
Tessa era riuscita ad allontanarsi di qualche passo, scivolando sui gomiti, la mano stretta al petto. Raggiunge Tony, lo scuote afferrandolo con la sinistra, «Tony svegliati, ti prego svegliati!»
Vetri infranti, urla. I vigili del fuoco stanno entrando ma Zero le è di nuovo addosso.
«Ti prego,» sta piangendo adesso, «ti prego...»
Il ragazzo la issa a sé, strattonandola per i capelli.
Si blocca.
Ha gli occhi spalancati e le vene del collo gonfie, respira in modo affannoso. «Vattene!» Le urla contro, i led del collare iniziano a lampeggiare e lui ha uno spasmo. Si porta le mani alle tempie e urla talmente forte da spaccarsi i capillari delle guance, «non posso fermarmi, vattene!» Infila le dita sotto al collare, le convulsioni sono sempre più forti, cade supino e inarca la schiena. I muscoli irrigiditi all’estremo. Un grido che ha poco di umano precede il rumore secco di ossa rotte.
Tony si riprende e sfiora la spalla di Tes che è rimasta immobile. «Andiamo via, ragazza!»
Una delle finestre dell’ufficio viene infranta, dall’altra parte un vigile del fuoco fa loro cenno di raggiungerlo.
Tony afferra la ragazza per le braccia e se la trascina dietro.
«Aspetta, dobbiamo aiutarlo!»
Zero si alza, un movimento della testa involontario, ruota le spalle indietro e l’omero si riposiziona nella propria sede. I led sul collare lampeggiano a una frequenza tale da sembrare fissi.
Ancora due scatti del capo e si dirige verso di loro.
Tes si divincola dalla presa dell’amico, si getta in avanti e, appoggiandosi alla scrivania si alza, «in qualche modo ti aiuterò. Non ti lascio qui».
Una seconda esplosione fa tremare tutto l’edificio. Il pompiere rotola nella stanza. Il fuoco ha raggiunto il corridoio, ormai invaso dal fumo. Zero barcolla, poggia la mano contro la parete, il muro di fiamme alle spalle.
Stringe i pugni, il respiro é quasi un rantolo.
Per un momento il viso si distende, per un momento i muscoli si rilassano: sorride, allarga le braccia e si getta all’indietro.
L’esterno del palazzo di giustizia è completamente annerito, due delle quattro autopompe sono ancora in funzione e irrorano quel che rimane dell’incendio, al piano terra. Tessa è seduta sul pavimento di un’autoambulanza, la mano fasciata e la gamba distesa. Mezzo metro più in alto, Tony è legato a una barella.
Un soccorritore le circonda le spalle con una coperta termica, «ora ti sposto sulla sedia, sei pronta?»
Annuisce, lo sguardo sul portone carbonizzato. «Quanta gente avete tirato fuori?»
«C’eravate solo voi due, all’interno. Gli uomini di guardia li abbiamo trovati privi di sensi nel cortile.»
«Nemmeno un corpo?»
«No.»