IL PIGIAMA A PALLINI - Capitolo III - FENOMENI ELETTRICI
Inviato: sabato 8 agosto 2020, 17:38
IL PIGIAMA A PALLINI
Capitolo III
FENOMENI ELETTRICI
Sabrina era seduta a terra con il cane in mezzo alla gambe.
«Non avere paura, Giulio.» gli abbracciò la testa e iniziò ad accarezzarlo «Ora ti racconto una storia magica che allontana i brutti pensieri!»
D’improvviso sentì i capelli che si gonfiavano verso l’alto e l’aria friggere in una cacofonia di suoni elettrici.
«Grazie mamma!»
Guardò nella direzione della voce. Era lì, con lo stesso ridicolo pigiama a pallini con cui l’aveva trovato appeso al letto a castello anni prima: il suo piccolino, la sua unica ragione di vita.
Il cuore le scoppiò nel petto per la commozione «Amore mio...» balbettò con gli occhi che si riempivano di lacrime.
«Mamma...»
Il bambino restava in piedi davanti a lei. Avrebbe voluto abbracciarlo, stringerlo, riempirlo di baci fino a consumarlo, ma aveva troppa paura di rovinare tutto, di farlo sparire di nuovo.
«Ti ho chiamato tanto, mamma. Ero sempre vicino a te. Ma tu hai fatto sempre finta di non vedermi: pensavo non mi volessi più bene.»
Sabrina sentiva il cuore che batteva a mille, la gola arsa e gli occhi che bruciavano, provava a farsi capire tra i singhiozzi: «Non ti ho sentito. Sei l’unico amore della mia vita...»
Il border collie iniziò ad abbaiare, mentre le sottili pareti della rimessa vibravano squassate dal vento. Cercò di calmarlo: «Va tutto bene, scemotto! Lo vedi? Giulio è tornato!» rideva e piangeva, attraversata da una serie di emozioni che non riusciva a decifrare.
I latrati continuavano più forti, mentre il capanno, sotto la furia dell’uragano, sembrava sul punto di schizzare in aria con tutto il suo contenuto.
Il volto del bambino si fece d’improvviso scuro «Sta arrivando, mamma, dobbiamo nasconderci!»
Cosa sta arrivando, la tromba d'aria? Non fece in tempo a chiedere spiegazioni. Giulio si voltò verso la porta, alzò le braccia in alto e dai suoi palmi, rivolti a terra, uscirono due piccole scariche elettriche che raggiunsero il pavimento. Davanti al ragazzino si formò un rettangolo nero. Era come se la luce, incontrando l’energia rilasciata dalle sue mani, cambiasse direzione.
Sergio bussava e urlava fuori dalla rimessa. Sabrina fece per alzarsi e aprire, ma fu fermata dallo sguardo di disapprovazione del figlio, che voltò la testa verso di lei.
La donna restò seduta: ubbidiente, come sempre. La porta si spalancò: il marito entrò con una violenta spallata e si mise a fissare il cane.
«Non può vederci.» sussurrò Giulio.
Era proprio così.
Sergio gridò «Sabrina!» rivolto in tutte le direzioni, poi scomparve oltre la soglia, seguito da Peregrino.
«Sbrighiamoci mamma, dobbiamo entrare in casa prima che papà si chiuda dentro!»
Lo assecondò, soprattutto per paura che un rifiuto potesse farlo scomparire. China e preceduta dal piccolo che spingeva davanti a sé quella specie di “quadrato d’ombra”, la donna raggiunse l’interno della casa, proprio mentre il cane si lanciava scodinzolando su per le scale.
Appena in tempo!
Scuotendo la testa, Sergio iniziò a inchiodare la porta.
Lei e il piccolo si nascosero in cucina.
Giulio abbassò le braccia, facendo scomparire il campo elettromagnetico dietro il quale si erano nascosti. Restarono, quindi, in silenzio per una manciata di minuti, in cui Sabrina cercò di controllare il respiro fino a farlo tornare regolare. Da fuori provenivano ripetuti rumori di oggetti sbatacchiati dal vento sulle pareti.
«Perché non vuoi farti vedere da papà? Sarebbe così contento!»
Il bambino cambiò espressione «Papà è cattivo!» e avvicinò la mano alla fronte della madre.
Sabrina sentì un formicolio poco sopra il naso e si trovò catapultata in un ricordo non suo.
Era piccolo (piccola), con indosso un pigiama a pallini, e saltellava sopra il letto. Sapeva che non doveva farlo, Era sera tardi. Ma che poteva succedere? Al massimo papà e mamma lo (la) avrebbero sgridato(a) un po’.
La porta della cameretta si spalancò ed entrò papà (suo marito Sergio). Aveva gli occhi da pazzo: allargò il braccio e lo (la) colpì forte con un pugno sulla guancia. La testa si piegò e scrocchiò, poi vide tutto nero.
Sabrina avrebbe voluto gridare per l’orrore e la rabbia, ma si trattenne.
Spalancò gli occhi. Giulio la fissava triste. Una lacrima gli scese lungo la guancia, scorse giù fino al mento.
«È stato lui, mamma! Poi mi ha appeso al letto, per far pensare a un incidente!»
Senza quasi accorgersene, Sabrina prese un lungo coltello dal cassetto delle posate.
Il bambino le sorrise.
«Brava, ammazzalo! Si merita di morire, è un pazzo. Prima o poi, ucciderà anche te!»
Quello non era il modo di parlare di Giulio. Di nessun bambino della sua età, a dirla tutta. Come o dove aveva imparato?
Quel pensiero la scosse dallo stato di furore tremante che le aveva messo addosso la visione. Cercò di razionalizzare, mentre la rabbia cieca le urlava dentro di infilare la lama che stringeva in pugno più a fondo possibile nella gola del marito, dell’assassino della cosa più bella che la vita le avesse donato.
Sabrina ingoiò lacrime e saliva «Lo ucciderò!»
La voce tremava ma il braccio sembrava irrobustito da una convinzione per lei del tutto nuova.
Fece per mettersi in marcia verso l’ingresso, quando il figlio la fermò con il palmo aperto della mano.
«Aspetta. Lo distrarrò, così lo colpirai alle spalle! Conta fino a cento e poi vieni in salotto.»
Sabrina si ritrovò sola, nel buio.
Uno… due… tre…
Chissà che fine ha fatto quella cretina!
Il vento all’esterno aveva raggiunto una tale intensità che le persiane, anche se incatenate o inchiodate, sbatacchiavano con forza nei loro cardini.
La porta era stata assicurata alla meglio anche con dei tasselli di legno. Sergio guardò il proprio lavoro soddisfatto. Reggerà!
Sperava proprio che Sabrina fosse rientrata in casa o, quantomeno, avesse trovato riparo nella vecchia segheria. Ce la farà! È un’imbecille buona a nulla, ma sono sicuro che riuscirà a salvarsi il culo.
L’unico che aveva fottuto tutti era quel maledetto cane che, alla fine, era sgattaiolato in casa e a nascondersi chissà dove.
Si voltò verso il salottino: tanto valeva accendere la TV per provare a beccare qualche notizia fresca fino a quando la corrente avesse retto.
«Ciao, papà!»
Lo guardava proprio dal centro della saletta, vestito con lo stesso pigiamino a pallini che aveva indosso l’ultima volta. Il corpicino era attraversato da scariche elettriche apparentemente innocue che lo facevano brillare.
«Giulio...» la gola gli si ruppe in un singhiozzo, ma l’uomo si impose di non piagnucolare come una donnicciola. Chiuse gli occhi e se li stropicciò con forza. Quando li riaprì il bambino era sempre lì al suo posto «Sei tu? Sei una specie di fantasma?»
«Io non me ne sono mai andato. Ti ho chiamato tanto. Solo oggi, sembra che riusciate a vedermi.»
“Riusciate”… Allora ha visto Sabrina!
«Hai parlato anche con mamma? Sai dov’è andata?»
Il bimbo fece un cenno di assenso col capo, poi, dopo un lungo silenzio, i suoi occhi brillarono di una luce maligna: «Quella stupida! È colpa sua se sono morto, del suo stupido letto. È nascosta in cucina. Ha preso un coltello e vuole ammazzarti. Nasconditi dietro la porta e, quando arriva, infilale il cacciavite in gola, prima che lei uccida te!»
La mano dell’uomo andò rapida al taschino esterno dei pantaloni in cui teneva gli attrezzi da lavoro più piccoli.
Novantotto… novantanove… cento...
Sabrina si incamminò verso il salottino, il braccio teso e il coltello alto sopra la testa.
Stava per varcarne la soglia, quando udì la voce di Giulio sussurrare: «Quella stupida! È colpa sua se sono morto, del suo stupido letto. È nascosta in cucina. Ha preso un coltello e vuole ammazzarti. Nasconditi dietro la porta e, quando arriva, infilale il cacciavite in gola, prima che lei uccida te!»
Il braccio le si afflosciò, come se l’osso all’interno si fosse trasformato in gelatina.
Il coltello cadde sul pavimento, con un tintinnio sordo.
La voce di Sergio tuonò dall’interno della saletta: «Chi c’è?»
«Io, Sergio,» era sconvolta «io… Solo che non capisco...»
La voce del marito era irosa, carica di tensione. «Lo so cosa vuoi fare, stronza maledetta. Me l’ha detto Giulio! Ho il cacciavite in mano, se ti avvicini sei morta!»
L’aggressività del tono del marito le fece ritrovare la giusta concentrazione. Si chinò lenta, con tutti i sensi vigili, a raccogliere l’arma.
«Lo so cosa ti ha detto, l’ho sentito. A me ha fatto credere che l’abbia ucciso tu...»
Suo marito comparve dalla soglia, stringeva la sua arma improvvisata con mano tremante: «E perché nostro figlio vorrebbe che ci ammazzassimo a vicenda?»
Già, perché? Perché Giulio vuole che ci facciamo del male, che ci uccidiamo l'uno con l'altra?
In un istante Sabrina ebbe chiaro il progetto. Sentì un groppo alla gola e fissò il soffitto alcuni secondi per respingere altre lacrime. Poi si tirò i capelli dietro le orecchie e scoppiò in un riso nervoso.
«Perché è un bambino. Perché vuole con sé il suo papà e la sua mamma. Perché fino a oggi, fino a quando l’uragano gli ha dato l’energia per parlare con noi, è rimasto solo! Se ci ammazziamo a vicenda... tutti e tre staremo per sempre assieme...»
Giulio ricomparve tra lei e il marito. Gridò un violento e prolungato “no” brillando di scariche elettriche che lo resero fosforescente. Un fulmine attraversò la finestra alle sue spalle, mandando in frantumi il vetro e incenerendo la persiana.
Il grido si spense e il piccolo scomparve. Il vento freddo iniziò ad invadere la casa.
Sergio si sentiva come se l'avessero preso a pugni: sul momento non aveva creduto alle parole della moglie, poi, quando il figlio era ricomparso gridando, aveva iniziato a capire. Quell'urlo continuava a rimbalzargli nella testa, stordendolo. Quasi non si era accorto del fulmine e dell'esplosione della finestra.
L'uomo cadde sulle ginocchia, lasciando scivolare il cacciavite.
«Potevamo ammazzarci… Potevamo ammazzarci...»
Sussurrava con voce carica di disperazione, seppur tentando di tenere a bada le lacrime che premevano da dietro agli occhi pronte a scoppiare.
Gli uomini non piangono!
Sabrina gli si avvicinò e gli abbracciò la testa, facendosela appoggiare sul grembo.
«Il nostro bambino… Voleva solo non sentirsi abbandonato...»
L’uomo sentì appena la lama conficcarsi alla base del cranio, nel cervelletto. Il suo corpo iniziò a muoversi di spasmi involontari.
Da terra vide la moglie alzare il coltello e appoggiarselo alla gola: «Amore, abbi solo un po’ di pazienza, mamma e papà stanno arrivando!»
La lama squarciò la gola e Sabrina cadde nel sangue.
Peregrino camminò molte volte in su e in giù sulle scale, prima di trovare il coraggio di scendere: aveva sentito un fulmine che aveva fatto brillare a giorno l'esterno. Il tuono aveva squassato le pareti.
Quando arrivò al piano di sotto il vento stava smettendo di fischiare e la casa sembrava deserta.
Si mise in cerca dei suoi padroni e l’odore lo portò verso una sala in cui entrambi giacevano a terra. Provò a leccar loro il viso, ma non accennavano a muoversi.
Si appoggiò al tavolinetto da fumo, con le zampe anteriori, per rubare una caramella dal vassoio d'argento, era diventato bravo a sbucciarle dalla carta. Senza volere fece cadere a terra una cornice.
Si fermò un attimo a guardare la foto: ritraeva la signora che gli dava da mangiare e il tizio che lo prendeva a calci, con in braccio il loro cucciolo.
Il vetro si era rotto, ma quei tre sembravano davvero felici.
Il border collie saltò dalla finestra annerita dal fulmine.
Fuori era tornato il sereno.
Capitolo III
FENOMENI ELETTRICI
Sabrina era seduta a terra con il cane in mezzo alla gambe.
«Non avere paura, Giulio.» gli abbracciò la testa e iniziò ad accarezzarlo «Ora ti racconto una storia magica che allontana i brutti pensieri!»
D’improvviso sentì i capelli che si gonfiavano verso l’alto e l’aria friggere in una cacofonia di suoni elettrici.
«Grazie mamma!»
Guardò nella direzione della voce. Era lì, con lo stesso ridicolo pigiama a pallini con cui l’aveva trovato appeso al letto a castello anni prima: il suo piccolino, la sua unica ragione di vita.
Il cuore le scoppiò nel petto per la commozione «Amore mio...» balbettò con gli occhi che si riempivano di lacrime.
«Mamma...»
Il bambino restava in piedi davanti a lei. Avrebbe voluto abbracciarlo, stringerlo, riempirlo di baci fino a consumarlo, ma aveva troppa paura di rovinare tutto, di farlo sparire di nuovo.
«Ti ho chiamato tanto, mamma. Ero sempre vicino a te. Ma tu hai fatto sempre finta di non vedermi: pensavo non mi volessi più bene.»
Sabrina sentiva il cuore che batteva a mille, la gola arsa e gli occhi che bruciavano, provava a farsi capire tra i singhiozzi: «Non ti ho sentito. Sei l’unico amore della mia vita...»
Il border collie iniziò ad abbaiare, mentre le sottili pareti della rimessa vibravano squassate dal vento. Cercò di calmarlo: «Va tutto bene, scemotto! Lo vedi? Giulio è tornato!» rideva e piangeva, attraversata da una serie di emozioni che non riusciva a decifrare.
I latrati continuavano più forti, mentre il capanno, sotto la furia dell’uragano, sembrava sul punto di schizzare in aria con tutto il suo contenuto.
Il volto del bambino si fece d’improvviso scuro «Sta arrivando, mamma, dobbiamo nasconderci!»
Cosa sta arrivando, la tromba d'aria? Non fece in tempo a chiedere spiegazioni. Giulio si voltò verso la porta, alzò le braccia in alto e dai suoi palmi, rivolti a terra, uscirono due piccole scariche elettriche che raggiunsero il pavimento. Davanti al ragazzino si formò un rettangolo nero. Era come se la luce, incontrando l’energia rilasciata dalle sue mani, cambiasse direzione.
Sergio bussava e urlava fuori dalla rimessa. Sabrina fece per alzarsi e aprire, ma fu fermata dallo sguardo di disapprovazione del figlio, che voltò la testa verso di lei.
La donna restò seduta: ubbidiente, come sempre. La porta si spalancò: il marito entrò con una violenta spallata e si mise a fissare il cane.
«Non può vederci.» sussurrò Giulio.
Era proprio così.
Sergio gridò «Sabrina!» rivolto in tutte le direzioni, poi scomparve oltre la soglia, seguito da Peregrino.
«Sbrighiamoci mamma, dobbiamo entrare in casa prima che papà si chiuda dentro!»
Lo assecondò, soprattutto per paura che un rifiuto potesse farlo scomparire. China e preceduta dal piccolo che spingeva davanti a sé quella specie di “quadrato d’ombra”, la donna raggiunse l’interno della casa, proprio mentre il cane si lanciava scodinzolando su per le scale.
Appena in tempo!
Scuotendo la testa, Sergio iniziò a inchiodare la porta.
Lei e il piccolo si nascosero in cucina.
Giulio abbassò le braccia, facendo scomparire il campo elettromagnetico dietro il quale si erano nascosti. Restarono, quindi, in silenzio per una manciata di minuti, in cui Sabrina cercò di controllare il respiro fino a farlo tornare regolare. Da fuori provenivano ripetuti rumori di oggetti sbatacchiati dal vento sulle pareti.
«Perché non vuoi farti vedere da papà? Sarebbe così contento!»
Il bambino cambiò espressione «Papà è cattivo!» e avvicinò la mano alla fronte della madre.
Sabrina sentì un formicolio poco sopra il naso e si trovò catapultata in un ricordo non suo.
Era piccolo (piccola), con indosso un pigiama a pallini, e saltellava sopra il letto. Sapeva che non doveva farlo, Era sera tardi. Ma che poteva succedere? Al massimo papà e mamma lo (la) avrebbero sgridato(a) un po’.
La porta della cameretta si spalancò ed entrò papà (suo marito Sergio). Aveva gli occhi da pazzo: allargò il braccio e lo (la) colpì forte con un pugno sulla guancia. La testa si piegò e scrocchiò, poi vide tutto nero.
Sabrina avrebbe voluto gridare per l’orrore e la rabbia, ma si trattenne.
Spalancò gli occhi. Giulio la fissava triste. Una lacrima gli scese lungo la guancia, scorse giù fino al mento.
«È stato lui, mamma! Poi mi ha appeso al letto, per far pensare a un incidente!»
Senza quasi accorgersene, Sabrina prese un lungo coltello dal cassetto delle posate.
Il bambino le sorrise.
«Brava, ammazzalo! Si merita di morire, è un pazzo. Prima o poi, ucciderà anche te!»
Quello non era il modo di parlare di Giulio. Di nessun bambino della sua età, a dirla tutta. Come o dove aveva imparato?
Quel pensiero la scosse dallo stato di furore tremante che le aveva messo addosso la visione. Cercò di razionalizzare, mentre la rabbia cieca le urlava dentro di infilare la lama che stringeva in pugno più a fondo possibile nella gola del marito, dell’assassino della cosa più bella che la vita le avesse donato.
Sabrina ingoiò lacrime e saliva «Lo ucciderò!»
La voce tremava ma il braccio sembrava irrobustito da una convinzione per lei del tutto nuova.
Fece per mettersi in marcia verso l’ingresso, quando il figlio la fermò con il palmo aperto della mano.
«Aspetta. Lo distrarrò, così lo colpirai alle spalle! Conta fino a cento e poi vieni in salotto.»
Sabrina si ritrovò sola, nel buio.
Uno… due… tre…
Chissà che fine ha fatto quella cretina!
Il vento all’esterno aveva raggiunto una tale intensità che le persiane, anche se incatenate o inchiodate, sbatacchiavano con forza nei loro cardini.
La porta era stata assicurata alla meglio anche con dei tasselli di legno. Sergio guardò il proprio lavoro soddisfatto. Reggerà!
Sperava proprio che Sabrina fosse rientrata in casa o, quantomeno, avesse trovato riparo nella vecchia segheria. Ce la farà! È un’imbecille buona a nulla, ma sono sicuro che riuscirà a salvarsi il culo.
L’unico che aveva fottuto tutti era quel maledetto cane che, alla fine, era sgattaiolato in casa e a nascondersi chissà dove.
Si voltò verso il salottino: tanto valeva accendere la TV per provare a beccare qualche notizia fresca fino a quando la corrente avesse retto.
«Ciao, papà!»
Lo guardava proprio dal centro della saletta, vestito con lo stesso pigiamino a pallini che aveva indosso l’ultima volta. Il corpicino era attraversato da scariche elettriche apparentemente innocue che lo facevano brillare.
«Giulio...» la gola gli si ruppe in un singhiozzo, ma l’uomo si impose di non piagnucolare come una donnicciola. Chiuse gli occhi e se li stropicciò con forza. Quando li riaprì il bambino era sempre lì al suo posto «Sei tu? Sei una specie di fantasma?»
«Io non me ne sono mai andato. Ti ho chiamato tanto. Solo oggi, sembra che riusciate a vedermi.»
“Riusciate”… Allora ha visto Sabrina!
«Hai parlato anche con mamma? Sai dov’è andata?»
Il bimbo fece un cenno di assenso col capo, poi, dopo un lungo silenzio, i suoi occhi brillarono di una luce maligna: «Quella stupida! È colpa sua se sono morto, del suo stupido letto. È nascosta in cucina. Ha preso un coltello e vuole ammazzarti. Nasconditi dietro la porta e, quando arriva, infilale il cacciavite in gola, prima che lei uccida te!»
La mano dell’uomo andò rapida al taschino esterno dei pantaloni in cui teneva gli attrezzi da lavoro più piccoli.
Novantotto… novantanove… cento...
Sabrina si incamminò verso il salottino, il braccio teso e il coltello alto sopra la testa.
Stava per varcarne la soglia, quando udì la voce di Giulio sussurrare: «Quella stupida! È colpa sua se sono morto, del suo stupido letto. È nascosta in cucina. Ha preso un coltello e vuole ammazzarti. Nasconditi dietro la porta e, quando arriva, infilale il cacciavite in gola, prima che lei uccida te!»
Il braccio le si afflosciò, come se l’osso all’interno si fosse trasformato in gelatina.
Il coltello cadde sul pavimento, con un tintinnio sordo.
La voce di Sergio tuonò dall’interno della saletta: «Chi c’è?»
«Io, Sergio,» era sconvolta «io… Solo che non capisco...»
La voce del marito era irosa, carica di tensione. «Lo so cosa vuoi fare, stronza maledetta. Me l’ha detto Giulio! Ho il cacciavite in mano, se ti avvicini sei morta!»
L’aggressività del tono del marito le fece ritrovare la giusta concentrazione. Si chinò lenta, con tutti i sensi vigili, a raccogliere l’arma.
«Lo so cosa ti ha detto, l’ho sentito. A me ha fatto credere che l’abbia ucciso tu...»
Suo marito comparve dalla soglia, stringeva la sua arma improvvisata con mano tremante: «E perché nostro figlio vorrebbe che ci ammazzassimo a vicenda?»
Già, perché? Perché Giulio vuole che ci facciamo del male, che ci uccidiamo l'uno con l'altra?
In un istante Sabrina ebbe chiaro il progetto. Sentì un groppo alla gola e fissò il soffitto alcuni secondi per respingere altre lacrime. Poi si tirò i capelli dietro le orecchie e scoppiò in un riso nervoso.
«Perché è un bambino. Perché vuole con sé il suo papà e la sua mamma. Perché fino a oggi, fino a quando l’uragano gli ha dato l’energia per parlare con noi, è rimasto solo! Se ci ammazziamo a vicenda... tutti e tre staremo per sempre assieme...»
Giulio ricomparve tra lei e il marito. Gridò un violento e prolungato “no” brillando di scariche elettriche che lo resero fosforescente. Un fulmine attraversò la finestra alle sue spalle, mandando in frantumi il vetro e incenerendo la persiana.
Il grido si spense e il piccolo scomparve. Il vento freddo iniziò ad invadere la casa.
Sergio si sentiva come se l'avessero preso a pugni: sul momento non aveva creduto alle parole della moglie, poi, quando il figlio era ricomparso gridando, aveva iniziato a capire. Quell'urlo continuava a rimbalzargli nella testa, stordendolo. Quasi non si era accorto del fulmine e dell'esplosione della finestra.
L'uomo cadde sulle ginocchia, lasciando scivolare il cacciavite.
«Potevamo ammazzarci… Potevamo ammazzarci...»
Sussurrava con voce carica di disperazione, seppur tentando di tenere a bada le lacrime che premevano da dietro agli occhi pronte a scoppiare.
Gli uomini non piangono!
Sabrina gli si avvicinò e gli abbracciò la testa, facendosela appoggiare sul grembo.
«Il nostro bambino… Voleva solo non sentirsi abbandonato...»
L’uomo sentì appena la lama conficcarsi alla base del cranio, nel cervelletto. Il suo corpo iniziò a muoversi di spasmi involontari.
Da terra vide la moglie alzare il coltello e appoggiarselo alla gola: «Amore, abbi solo un po’ di pazienza, mamma e papà stanno arrivando!»
La lama squarciò la gola e Sabrina cadde nel sangue.
Peregrino camminò molte volte in su e in giù sulle scale, prima di trovare il coraggio di scendere: aveva sentito un fulmine che aveva fatto brillare a giorno l'esterno. Il tuono aveva squassato le pareti.
Quando arrivò al piano di sotto il vento stava smettendo di fischiare e la casa sembrava deserta.
Si mise in cerca dei suoi padroni e l’odore lo portò verso una sala in cui entrambi giacevano a terra. Provò a leccar loro il viso, ma non accennavano a muoversi.
Si appoggiò al tavolinetto da fumo, con le zampe anteriori, per rubare una caramella dal vassoio d'argento, era diventato bravo a sbucciarle dalla carta. Senza volere fece cadere a terra una cornice.
Si fermò un attimo a guardare la foto: ritraeva la signora che gli dava da mangiare e il tizio che lo prendeva a calci, con in braccio il loro cucciolo.
Il vetro si era rotto, ma quei tre sembravano davvero felici.
Il border collie saltò dalla finestra annerita dal fulmine.
Fuori era tornato il sereno.