Le divinità - 3. La giustizia degli Dei
Inviato: mercoledì 12 agosto 2020, 17:21
Le divinità
Capitolo 3. La giustizia degli Dei
Non è stata colpa mia. Non potevo fare altrimenti. Non mi hanno dato scelta.
Entro in una delle piccole stanze attigue alla sala principale dei sotterranei e mi chiudo la porta alle spalle. Sbatto la schiena contro la superficie in legno e mi lascio cadere al suolo: le lacrime escono, le lascio libere nella solitudine. Un grido si fa strada dal petto alla gola, apro la bocca ed esce un rantolo strozzato.
Tradita da mia sorella e da mio marito, da chi è sangue del mio sangue e dalla persona a cui mi sono unita in un vincolo sacro davanti alla Dea. Pugnalata alle spalle e abbandonata. Ora sono da sola.
Un singhiozzo mi scuote come le percussioni su un tamburo, lo stomaco si contrae e tossisco. Mi manca l’aria. Porto le dita alle labbra tremanti e bagnate, infilo indice e medio in bocca: annaspo e sputo un grumo di saliva, ho la vista offuscata da una patina opaca e i capelli appiccicati alla faccia.
Inspiro forte e mi pulisco il mento dalla bava. Stringo le ginocchia al petto e affondo la faccia nella gonna per coprire le lacrime. Il cotone mi solletica le ciglia, senza darmi alcun conforto.
Vorrei un abbraccio di Bemus. Lui è la pace dopo una dura giornata di lavoro nei campi, la certezza di ogni alba. Doveva essere un giuramento per l’eternità. Dov’è ora? Starà seducendo altre donne? Generando figli illegittimi e inimicandosi altre divinità?
E Vania? Me ne sono presa cura, ho aiutato i nostri genitori a crescerla e non ci siamo mai separate; il peso della sua costante presenza si è trasformato nel tremendo vuoto dell’assenza.
Infilo una mano nel collo dell’abito e afferro l’amuleto: un colpo secco e la corda nera, a cui è appeso il triangolo rovesciato della Dea, è tra le mie dita. Il fuoco delle fiaccole appese alle pareti si riflette sulla superficie trasparente del vetro.
«Sono sempre stata una serva devota, ho riposto tutta la mia fiducia in te,» mormoro e tiro su col naso. «Perché a me? Che cosa ho sbagliato? Dimmi cosa!»
Tendo il braccio dietro la testa e scaglio via la collana, il tintinnio si perde nella penombra della stanza. Dalla mia divinità, nessuna risposta.
Riemergo nella sala principale e gli occhi di tutto il villaggio si spostano su di me. Abbasso la testa e mi concentro sulle venature della pietra, i segni del tempo e l’usura dovuta ai passi. Sono una reietta, tutto ciò che mi verrà detto e concesso da qui in avanti sarà per pura pietà.
«Clizia,» Veturia batte la mano sul pavimento accanto a sé, «vieni a sederti qui con noi, così ci scaldiamo insieme.»
Le altre donne sorridono con le labbra tirate. Scuoto la testa e tiro dritto, le unghie mi premono sui palmi.
Il Concilio è rimasto dove l’ho lasciato, davanti al lungo tavolo delle offerte: nessuna traccia di sangue, è immacolato come se non fosse stato compiuto nessun sacrificio. Hanno già pulito tutti i segni di impurità, con la stessa rapidità con cui hanno eliminato Vania. Potrei convincermi di non aver mai visto le interiora degli animali disposte sul legno, e allo stesso modo fingere che mia sorella non sia mai esistita. Stringo ancora di più i pugni.
Glauco si volta a guardarmi, la sua barba bianchissima ondeggia con il movimento della testa. «Hai bisogno di qualcosa, ragazza mia?»
«Cosa avete… che ne è stato di lei?»
Le parole mi si ingarbugliano in bocca, indistricabili dalle emozioni che mi scuotono lo stomaco.
Lui sospira. «Quando te ne sei andata, due ragazzi si sono offerti volontari per trasportarla ai confini del villaggio, il più vicino possibile a quella maligna manifestazione terrena. Non è stato facile affrontare la tempesta, ma ora aspettiamo il responso degli Dei.»
Ho ancora voglia di vomitare. «Sta ancora cadendo ghiaccio dal cielo? E quella terribile nuvola nera che tocca terra?»
«Purtroppo sì.» Glauco si gratta i radi capelli e distoglie lo sguardo. «Ci prepariamo a un altro sacrificio per ingraziare la Terra e comprendere la volontà divina. Talvolta i loro intenti sono difficili da vaticinare.»
«Quanto tempo è passato?» Non riesco a quantificare per quanto sono rimasta in quella stanza a piangere.
«Credo qualche ora dal verdetto.»
Vania non ha placato la furia del Dio. Non è lei la responsabile.
Mi aggrappo alla manica larga dell’anziano e lo tiro a me. «Forse gli oracoli hanno mal interpretato i segni, ci dev’essere una spiegazione!»
«O forse avremmo dovuto ucciderla quando ne abbiamo avuto l’opportunità.» Serra le labbra in una linea sottile. «Sei stata codarda e hai delegato la sua morte agli Dei e alle bestie.»
Mi pizzicano gli occhi. Ha ragione, non ho avuto il coraggio di deciderne le sorti, di assistere al sacrificio di Vania. Mia sorella, non un animale qualunque. Ho avuto pietà della vita di un essere umano, di chi è sangue del mio sangue: devo essere punita anche per questo?
Lascio la tunica di Glauco e stringo gli occhi.
«La verità è che non avete idea di quel che state facendo. La Dea non vi sta parlando e brancolate nel buio.» Gli punto un dito contro il petto. «In più, la tempesta è ancora là fuori!»
Gli altri anziani si voltano nella nostra direzione, gli aruspici sussurrano qualcosa tra di loro. Potrei aver alzato troppo la voce.
«Come osi?» Glauco allontana la mia mano con un gesto secco. «Stai mettendo in dubbio l’autorità del Concilio? Rammenta che noi siamo i portavoce della volontà divina, tu nient’altro che una donna! Vergognati.»
Stupido vecchio.
Mi ritraggo e alzo il cappuccio. «È il caso che qualcuno vada a parlare di persona con il Dio in questione, e mi sembra che nessuno di voi abbia il coraggio di farlo.» Sollevo il mento. «Continuate pure a giocare con le budella degli animali, io esco là fuori.»
Imbocco il fioco corridoio verso l’uscita.
Davanti alla statua della Dea questa volta non mi inchino, mi limito a sfiorarne la superficie bianca. Il suo volto guarda in avanti, ben sopra la mia testa: anche lei fa finta di non vedere dall’alto della sua natura divina.
La supero e proseguo fino all’ingresso del tempio. La pioggia cade di traverso a secchiate, i granelli di ghiaccio mi piombano addosso, sono fradicia e dolorante. Mi schermo con una mano per scrutare l’orizzonte: la sagoma nera di nubi si è fatta più grande, incombe dal cielo alla terra in una promessa di distruzione. Rotea sopra ai campi, nel suo corpo oscuro turbinano alberi e pezzi di legno.
Con il respiro accelerato faccio un passo sulle scalinate, mi aggrappo al mantello come se fosse la mia unica salvezza contro la violenza della natura.
Le strade del villaggio sono fiumi navigabili, il corso d’acqua che bagna le coltivazioni dev’essere esondato; l’acqua marrone mi arriva ai polpacci e si fa strada negli stivali. Stringo i denti e incespico in avanti, schiaffeggiata dal vento: inciampo su qualcosa, forse un masso, e cado a gattoni. Degli spruzzi di fanghiglia mi arrivano in faccia e imbrattano ancor di più i capelli. Non ho la forza per rialzarmi, ma non posso cedere ora. Mia sorella è da qualche parte in questa grigia desolazione, da sola.
Grido e sbatto i pugni nell’acqua sporca, ma gli ululati dell’aria coprono ogni suono. Ho bisogno di qualcuno a cui poter dare la colpa per tutto quello che mi è successo negli ultimi giorni. Mi alzo e subito la pioggia sciacqua il marrone dai miei abiti, sotto le unghie ho pezzi di terra. Avanzo nel nulla grigio, picchiata dal ghiaccio e dalle sferzate di vento; a stento nella tempesta riesco a riconoscere i muri degli edifici con cui sono solita orientarmi, nel villaggio in cui sono nata e cresciuta.
Poco più avanti, due enormi querce segnalano uno dei punti di confine, i rami sono ritorti e minacciano di spezzarsi da un momento all’altro. Con questo tempo, almeno per ora, non dovrei incontrare le bestie che infestano le terre libere.
Un pezzo della chioma si stacca con uno schiocco di frusta e vola in alto, diretto verso il cumulo di nubi nere. Mi aggrappo alla corteccia dell’altro albero nella speranza di non fare la stessa fine.
«Vania!» Urlo a pieni polmoni, i capelli mi vorticano davanti alla faccia. «Vania, dove sei?!»
Il martellare della pioggia sull’acqua si mastica le mie parole. L’oscurità che vortica dal cielo si staglia con la sua mole su di me, la forza del suo roteare fa piegare ancor di più i tronchi delle querce. Dei fulmini si abbattono sulla distanza che ci divide e una sagoma enorme appare là dove è avvenuto l’impatto.
Stringo gli occhi: alto il doppio di un uomo, qualcosa avanza nella mia direzione. Le gambe mi abbandonano e scivolo nell’acqua in ginocchio, sfregando le mani sulla corteccia; le stacco dall’albero per poggiarle sulle cosce. Il mio corpo è già pronto a inchinarsi e a pregare.
Nel grigiore si fa strada un corpo muscoloso, i genitali coperti da un drappo stretto in vita. Il viso d’ebano, cerchiato da capelli e barba neri che si agitano con il vento, mi fissa inespressivo dall’alto di occhi vacui come il mondo che ci circonda.
Tremo, e non solo per la sua stazza: attorno a lui gravita l’elettricità della cieca paura, quella che ti lascia inerme, come privo di ossa. La vescica mi cede, per fortuna sono seduta nell’acqua. È così che ci si sente al cospetto di un Dio? È orrendo.
Inclina la testa e la lingua guizza sul labbro superiore. «Ciao, bambina. Cosa ci fai qui?»
Apro e chiudo la bocca senza articolare un suono. Mia sorella. Fatico a inspirare, l’acqua è ovunque. Un guizzo di comprensione attraversa gli occhi grigi della divinità.
«Capisco.» Chiude la mano a pugno e attorno a noi la pioggia e il vento cessano. «Cerchi Vania. Strano, dal momento che sei proprio tu ad aver scelto di cacciarla. A tal proposito, grazie per avermela riportata.»
Drizzo al schiena, le tempie pulsano allo stesso ritmo folle del cuore: siamo all’interno di una bolla, una parentesi all’interno della tempesta. Come fa a saperlo? In che senso riportata?
Il Dio posa una mano sulla nuca e si scrocchia il collo. «Io vedo tutto, bambina. Inoltre, io e la tua sorellina ci eravamo già incontrati…» Inarca le labbra in un movimento che è tutto tranne che un sorriso. «Forse lei non mi ha riconosciuto, dato che non avevo questo aspetto quando l’ho fatta mia. Temo che mi abbia scambiato per tuo marito, il che è disdicevole per entrambi, non credi?»
Mi passo una mano sulla faccia per togliere l’acqua e mi sfrego gli occhi. Lui è ancora lì, statuario.
Vania non è stata con Bemus! Un peso mi si leva dal petto. Quindi ha giaciuto con una divinità? Non posso esserne felice, visto che questa situazione è anche peggiore della precedente.
«Per voi sì. Il mio seme si è insinuato nel villaggio come un parassita, cogliendo di sorpresa la vostra Dea: lei ha perso mordente e io ho potuto scatenare i miei poteri. Ed eccoci qua.» Allarga le braccia a indicare la devastazione che imperversa fuori dalla protezione che ci avvolge.
Stringo i pugni per nascondere il tremito delle mani. «Quindi tu saresti…?»
Corruga la fronte. «Dio della pioggia, dei fiumi, delle inondazioni e delle tempeste. Insomma, dell’Acqua dolce. Occorre che impari bene i miei nomi, perché d’ora in avanti regnerò su questo sputo di terra.»
Mi blocco. Tento di dare un senso alle sue parole, ma mi esplode il cervello.
«Tu mi piaci, sei stata coraggiosa a venire fin qui sfidando il tornado.» In risposta, la lingua di nuvole vortica ancora più rapida. «Quindi penso che ti terrò in vita. Magari potrai darmi anche tu della prole.»
Tornado. Le spire scure prendono un nome. La divinità avanza fino a trovarsi di fronte a me: mi scruta dall’alto verso il basso e dalla mia posizione è ancora più imponente. Con un movimento secco del polso, il mostro di vento alle sue spalle si muove spedito verso il villaggio.
Urlo, tento di alzarmi ma la sua mano enorme mi avvolge la testa.
«Adesso guarderemo insieme la fine di questo luogo come lo conoscevi.» Fulmini crepitano e si schiantano sulle abitazioni, dando loro fuoco. «Questo è un nuovo inizio.»
Piango, attonita. Il mio intero corpo vorrebbe lanciarsi verso casa e proteggerla, ma la sua presa me lo impedisce.
«Prostrati bambina, e mostra il rispetto che mi è dovuto.» La sua voce vicino al mio orecchio è dura come il rombo di un tuono.
Abbasso la testa fino a sfiorare il fiume di pioggia, le lacrime si confondono con il fango. «Lode al potente Dio dell’Acqua.»
Capitolo 3. La giustizia degli Dei
Non è stata colpa mia. Non potevo fare altrimenti. Non mi hanno dato scelta.
Entro in una delle piccole stanze attigue alla sala principale dei sotterranei e mi chiudo la porta alle spalle. Sbatto la schiena contro la superficie in legno e mi lascio cadere al suolo: le lacrime escono, le lascio libere nella solitudine. Un grido si fa strada dal petto alla gola, apro la bocca ed esce un rantolo strozzato.
Tradita da mia sorella e da mio marito, da chi è sangue del mio sangue e dalla persona a cui mi sono unita in un vincolo sacro davanti alla Dea. Pugnalata alle spalle e abbandonata. Ora sono da sola.
Un singhiozzo mi scuote come le percussioni su un tamburo, lo stomaco si contrae e tossisco. Mi manca l’aria. Porto le dita alle labbra tremanti e bagnate, infilo indice e medio in bocca: annaspo e sputo un grumo di saliva, ho la vista offuscata da una patina opaca e i capelli appiccicati alla faccia.
Inspiro forte e mi pulisco il mento dalla bava. Stringo le ginocchia al petto e affondo la faccia nella gonna per coprire le lacrime. Il cotone mi solletica le ciglia, senza darmi alcun conforto.
Vorrei un abbraccio di Bemus. Lui è la pace dopo una dura giornata di lavoro nei campi, la certezza di ogni alba. Doveva essere un giuramento per l’eternità. Dov’è ora? Starà seducendo altre donne? Generando figli illegittimi e inimicandosi altre divinità?
E Vania? Me ne sono presa cura, ho aiutato i nostri genitori a crescerla e non ci siamo mai separate; il peso della sua costante presenza si è trasformato nel tremendo vuoto dell’assenza.
Infilo una mano nel collo dell’abito e afferro l’amuleto: un colpo secco e la corda nera, a cui è appeso il triangolo rovesciato della Dea, è tra le mie dita. Il fuoco delle fiaccole appese alle pareti si riflette sulla superficie trasparente del vetro.
«Sono sempre stata una serva devota, ho riposto tutta la mia fiducia in te,» mormoro e tiro su col naso. «Perché a me? Che cosa ho sbagliato? Dimmi cosa!»
Tendo il braccio dietro la testa e scaglio via la collana, il tintinnio si perde nella penombra della stanza. Dalla mia divinità, nessuna risposta.
Riemergo nella sala principale e gli occhi di tutto il villaggio si spostano su di me. Abbasso la testa e mi concentro sulle venature della pietra, i segni del tempo e l’usura dovuta ai passi. Sono una reietta, tutto ciò che mi verrà detto e concesso da qui in avanti sarà per pura pietà.
«Clizia,» Veturia batte la mano sul pavimento accanto a sé, «vieni a sederti qui con noi, così ci scaldiamo insieme.»
Le altre donne sorridono con le labbra tirate. Scuoto la testa e tiro dritto, le unghie mi premono sui palmi.
Il Concilio è rimasto dove l’ho lasciato, davanti al lungo tavolo delle offerte: nessuna traccia di sangue, è immacolato come se non fosse stato compiuto nessun sacrificio. Hanno già pulito tutti i segni di impurità, con la stessa rapidità con cui hanno eliminato Vania. Potrei convincermi di non aver mai visto le interiora degli animali disposte sul legno, e allo stesso modo fingere che mia sorella non sia mai esistita. Stringo ancora di più i pugni.
Glauco si volta a guardarmi, la sua barba bianchissima ondeggia con il movimento della testa. «Hai bisogno di qualcosa, ragazza mia?»
«Cosa avete… che ne è stato di lei?»
Le parole mi si ingarbugliano in bocca, indistricabili dalle emozioni che mi scuotono lo stomaco.
Lui sospira. «Quando te ne sei andata, due ragazzi si sono offerti volontari per trasportarla ai confini del villaggio, il più vicino possibile a quella maligna manifestazione terrena. Non è stato facile affrontare la tempesta, ma ora aspettiamo il responso degli Dei.»
Ho ancora voglia di vomitare. «Sta ancora cadendo ghiaccio dal cielo? E quella terribile nuvola nera che tocca terra?»
«Purtroppo sì.» Glauco si gratta i radi capelli e distoglie lo sguardo. «Ci prepariamo a un altro sacrificio per ingraziare la Terra e comprendere la volontà divina. Talvolta i loro intenti sono difficili da vaticinare.»
«Quanto tempo è passato?» Non riesco a quantificare per quanto sono rimasta in quella stanza a piangere.
«Credo qualche ora dal verdetto.»
Vania non ha placato la furia del Dio. Non è lei la responsabile.
Mi aggrappo alla manica larga dell’anziano e lo tiro a me. «Forse gli oracoli hanno mal interpretato i segni, ci dev’essere una spiegazione!»
«O forse avremmo dovuto ucciderla quando ne abbiamo avuto l’opportunità.» Serra le labbra in una linea sottile. «Sei stata codarda e hai delegato la sua morte agli Dei e alle bestie.»
Mi pizzicano gli occhi. Ha ragione, non ho avuto il coraggio di deciderne le sorti, di assistere al sacrificio di Vania. Mia sorella, non un animale qualunque. Ho avuto pietà della vita di un essere umano, di chi è sangue del mio sangue: devo essere punita anche per questo?
Lascio la tunica di Glauco e stringo gli occhi.
«La verità è che non avete idea di quel che state facendo. La Dea non vi sta parlando e brancolate nel buio.» Gli punto un dito contro il petto. «In più, la tempesta è ancora là fuori!»
Gli altri anziani si voltano nella nostra direzione, gli aruspici sussurrano qualcosa tra di loro. Potrei aver alzato troppo la voce.
«Come osi?» Glauco allontana la mia mano con un gesto secco. «Stai mettendo in dubbio l’autorità del Concilio? Rammenta che noi siamo i portavoce della volontà divina, tu nient’altro che una donna! Vergognati.»
Stupido vecchio.
Mi ritraggo e alzo il cappuccio. «È il caso che qualcuno vada a parlare di persona con il Dio in questione, e mi sembra che nessuno di voi abbia il coraggio di farlo.» Sollevo il mento. «Continuate pure a giocare con le budella degli animali, io esco là fuori.»
Imbocco il fioco corridoio verso l’uscita.
Davanti alla statua della Dea questa volta non mi inchino, mi limito a sfiorarne la superficie bianca. Il suo volto guarda in avanti, ben sopra la mia testa: anche lei fa finta di non vedere dall’alto della sua natura divina.
La supero e proseguo fino all’ingresso del tempio. La pioggia cade di traverso a secchiate, i granelli di ghiaccio mi piombano addosso, sono fradicia e dolorante. Mi schermo con una mano per scrutare l’orizzonte: la sagoma nera di nubi si è fatta più grande, incombe dal cielo alla terra in una promessa di distruzione. Rotea sopra ai campi, nel suo corpo oscuro turbinano alberi e pezzi di legno.
Con il respiro accelerato faccio un passo sulle scalinate, mi aggrappo al mantello come se fosse la mia unica salvezza contro la violenza della natura.
Le strade del villaggio sono fiumi navigabili, il corso d’acqua che bagna le coltivazioni dev’essere esondato; l’acqua marrone mi arriva ai polpacci e si fa strada negli stivali. Stringo i denti e incespico in avanti, schiaffeggiata dal vento: inciampo su qualcosa, forse un masso, e cado a gattoni. Degli spruzzi di fanghiglia mi arrivano in faccia e imbrattano ancor di più i capelli. Non ho la forza per rialzarmi, ma non posso cedere ora. Mia sorella è da qualche parte in questa grigia desolazione, da sola.
Grido e sbatto i pugni nell’acqua sporca, ma gli ululati dell’aria coprono ogni suono. Ho bisogno di qualcuno a cui poter dare la colpa per tutto quello che mi è successo negli ultimi giorni. Mi alzo e subito la pioggia sciacqua il marrone dai miei abiti, sotto le unghie ho pezzi di terra. Avanzo nel nulla grigio, picchiata dal ghiaccio e dalle sferzate di vento; a stento nella tempesta riesco a riconoscere i muri degli edifici con cui sono solita orientarmi, nel villaggio in cui sono nata e cresciuta.
Poco più avanti, due enormi querce segnalano uno dei punti di confine, i rami sono ritorti e minacciano di spezzarsi da un momento all’altro. Con questo tempo, almeno per ora, non dovrei incontrare le bestie che infestano le terre libere.
Un pezzo della chioma si stacca con uno schiocco di frusta e vola in alto, diretto verso il cumulo di nubi nere. Mi aggrappo alla corteccia dell’altro albero nella speranza di non fare la stessa fine.
«Vania!» Urlo a pieni polmoni, i capelli mi vorticano davanti alla faccia. «Vania, dove sei?!»
Il martellare della pioggia sull’acqua si mastica le mie parole. L’oscurità che vortica dal cielo si staglia con la sua mole su di me, la forza del suo roteare fa piegare ancor di più i tronchi delle querce. Dei fulmini si abbattono sulla distanza che ci divide e una sagoma enorme appare là dove è avvenuto l’impatto.
Stringo gli occhi: alto il doppio di un uomo, qualcosa avanza nella mia direzione. Le gambe mi abbandonano e scivolo nell’acqua in ginocchio, sfregando le mani sulla corteccia; le stacco dall’albero per poggiarle sulle cosce. Il mio corpo è già pronto a inchinarsi e a pregare.
Nel grigiore si fa strada un corpo muscoloso, i genitali coperti da un drappo stretto in vita. Il viso d’ebano, cerchiato da capelli e barba neri che si agitano con il vento, mi fissa inespressivo dall’alto di occhi vacui come il mondo che ci circonda.
Tremo, e non solo per la sua stazza: attorno a lui gravita l’elettricità della cieca paura, quella che ti lascia inerme, come privo di ossa. La vescica mi cede, per fortuna sono seduta nell’acqua. È così che ci si sente al cospetto di un Dio? È orrendo.
Inclina la testa e la lingua guizza sul labbro superiore. «Ciao, bambina. Cosa ci fai qui?»
Apro e chiudo la bocca senza articolare un suono. Mia sorella. Fatico a inspirare, l’acqua è ovunque. Un guizzo di comprensione attraversa gli occhi grigi della divinità.
«Capisco.» Chiude la mano a pugno e attorno a noi la pioggia e il vento cessano. «Cerchi Vania. Strano, dal momento che sei proprio tu ad aver scelto di cacciarla. A tal proposito, grazie per avermela riportata.»
Drizzo al schiena, le tempie pulsano allo stesso ritmo folle del cuore: siamo all’interno di una bolla, una parentesi all’interno della tempesta. Come fa a saperlo? In che senso riportata?
Il Dio posa una mano sulla nuca e si scrocchia il collo. «Io vedo tutto, bambina. Inoltre, io e la tua sorellina ci eravamo già incontrati…» Inarca le labbra in un movimento che è tutto tranne che un sorriso. «Forse lei non mi ha riconosciuto, dato che non avevo questo aspetto quando l’ho fatta mia. Temo che mi abbia scambiato per tuo marito, il che è disdicevole per entrambi, non credi?»
Mi passo una mano sulla faccia per togliere l’acqua e mi sfrego gli occhi. Lui è ancora lì, statuario.
Vania non è stata con Bemus! Un peso mi si leva dal petto. Quindi ha giaciuto con una divinità? Non posso esserne felice, visto che questa situazione è anche peggiore della precedente.
«Per voi sì. Il mio seme si è insinuato nel villaggio come un parassita, cogliendo di sorpresa la vostra Dea: lei ha perso mordente e io ho potuto scatenare i miei poteri. Ed eccoci qua.» Allarga le braccia a indicare la devastazione che imperversa fuori dalla protezione che ci avvolge.
Stringo i pugni per nascondere il tremito delle mani. «Quindi tu saresti…?»
Corruga la fronte. «Dio della pioggia, dei fiumi, delle inondazioni e delle tempeste. Insomma, dell’Acqua dolce. Occorre che impari bene i miei nomi, perché d’ora in avanti regnerò su questo sputo di terra.»
Mi blocco. Tento di dare un senso alle sue parole, ma mi esplode il cervello.
«Tu mi piaci, sei stata coraggiosa a venire fin qui sfidando il tornado.» In risposta, la lingua di nuvole vortica ancora più rapida. «Quindi penso che ti terrò in vita. Magari potrai darmi anche tu della prole.»
Tornado. Le spire scure prendono un nome. La divinità avanza fino a trovarsi di fronte a me: mi scruta dall’alto verso il basso e dalla mia posizione è ancora più imponente. Con un movimento secco del polso, il mostro di vento alle sue spalle si muove spedito verso il villaggio.
Urlo, tento di alzarmi ma la sua mano enorme mi avvolge la testa.
«Adesso guarderemo insieme la fine di questo luogo come lo conoscevi.» Fulmini crepitano e si schiantano sulle abitazioni, dando loro fuoco. «Questo è un nuovo inizio.»
Piango, attonita. Il mio intero corpo vorrebbe lanciarsi verso casa e proteggerla, ma la sua presa me lo impedisce.
«Prostrati bambina, e mostra il rispetto che mi è dovuto.» La sua voce vicino al mio orecchio è dura come il rombo di un tuono.
Abbasso la testa fino a sfiorare il fiume di pioggia, le lacrime si confondono con il fango. «Lode al potente Dio dell’Acqua.»