La collina degli strani
Inviato: martedì 22 settembre 2020, 0:18
La collina degli strani, di Emanuela Di Novo
Una lunga fila di case rettangolari si schierava ai lati della strada che si arrampicava sulla collina. Erano tutte uguali. Stessa altezza, stessa larghezza, stesso colore. Grigio. Nessuna porta e una sola finestra rotonda che si affacciava sulla strada.
La sirena ruppe il silenzio e il rollio dei tetti che si aprivano alla luce del mattino diede avvio a un nuovo giorno, il Giorno.
Bianca inspirò profondamente l’aria fresca. Aprì gli occhi e il quadrato di cielo sopra la sua testa le diede il buon giorno.
Doveva alzarsi e prepararsi. Il tetto si apriva solo una volta al mese. Presto avrebbero calato le scatole e se avesse scelto quella con la chiave sarebbe uscita, e poi...
Si guardò il torace. Era tutto al suo posto. Il suo cuore pulsava a ritmo regolare al centro del petto, sollevando i piccoli seni che lo custodivano. La ragnatela di vene e arterie entrava e usciva dalla sua pelle.
Indossò la tunica di seta per proteggere il cuore che aveva deciso di mostrarsi al mondo e si avviò sulle scale per raggiungere il cornicione del tetto ad aspettarlo.
Sedute sui cornicioni vicini, tante piccole figurine in attesa dell’elicottero che avrebbe portato le scatole. Quel giorno alcuni di loro avrebbero trovato la scatola giusta e avrebbero raggiunto il laboratorio.
Nella casa di fronte, Luca aspettava lei. Si era svegliato molto prima della sirena. Sapeva che quello era il Giorno. Sapeva ciò che gli altri non sapevano. Era stato portato lì tra i primi, quando gli ospiti delle case alloggiavano ancora nel laboratorio e non aveva mai visto nessuno uscire dalla sala operatoria. Poi altri erano arrivati. Sempre di più. e avevano iniziato a trasferirli nelle piccole case di cemento, delle scatole di sardine a tre piani. Fu catturato nel bosco. Si sentiva protetto dagli alberi e dai cespugli. A contatto con la natura non era più lo strano, ma una creatura del mondo e le sue mani da aragosta potevano sentire e toccare quel mondo. Ma qualcuno lo vide e l’elicottero arrivò.
Seduto sul suo letto indossò i guanti per coprire le sei dita contorte e quando il suo tetto si aprì era già pronto a metà scala per arrivare per primo e vederla. Molte volte aveva pensato di correre oltre l’ultimo gradino, oltre il cornicione e lasciarsi andare. Ma poi era arrivata lei che aveva fermato la sua corsa all’ultimo passo, lei che l’aveva salvato.
«Luca, che facciamo?», gridò Bianca dall’altro lato della strada.
«Non apriamo nessuna scatola.»
Dal fondo della strada iniziarono gli applausi. L’elicottero stava arrivando.
Il vicino di Luca saltellava sventolando i cappelli delle sue due teste, la donna con la gemella sulla fronte agitava la braccia ed entrambe lanciavano grida verso il cielo. In strada si stavano radunando gli infermieri, pronti ad accogliere i prescelti e condurli in cima alla collina.
Silenzio. L’elicottero scomparve dietro gli alti pini. Tutti erano in attesa del segnale per poter aprire una delle tre scatole che gli erano state consegnate. Poi la sirena risuonò per la seconda volta e dopo qualche secondo iniziarono le grida di gioia di qualcuno. Il signore con due teste uscì dalla porta e corse ad abbracciare un infermiere. Dietro di lui, altri uomini e donne con i loro orpelli snaturati abbandonavano quelle che erano state le loro case, per dirigersi verso il laboratorio, nella speranza di uscirne come uomini e donne guariti, inconsapevoli che sarebbero volati via come cenere dal camino.
Una processione concitata si dirigeva verso il laboratorio, alcuni infermieri, però, erano ancora in strada. Aspettavano. Luca e Bianca osservavano le loro scatole ancora chiuse. Poi un clack. Le scatole si aprirono meccanicamente.
Luca si voltò verso Bianca e le sorrise. In mano una chiave. Si sfilò i guanti e, mostrandole per la prima volta le mani deformi, la salutò per l’ultima volta. Con il volto rigato dalle lacrime, Bianca si sfilò la tunica.
«Hai il mio cuore.»
«Abbiamo tutta la vita da non vivere insieme, disse un poeta.», e si diresse verso la porta.
Nel pomeriggio nuvole grige si addensarono sopra la collina. Dall’oblò della mansarda, Bianca guardava la cenere salire verso il cielo che si gonfiava per un temporale. Un lampo. Un tuono. E il suo cuore si spezzò.
Una lunga fila di case rettangolari si schierava ai lati della strada che si arrampicava sulla collina. Erano tutte uguali. Stessa altezza, stessa larghezza, stesso colore. Grigio. Nessuna porta e una sola finestra rotonda che si affacciava sulla strada.
La sirena ruppe il silenzio e il rollio dei tetti che si aprivano alla luce del mattino diede avvio a un nuovo giorno, il Giorno.
Bianca inspirò profondamente l’aria fresca. Aprì gli occhi e il quadrato di cielo sopra la sua testa le diede il buon giorno.
Doveva alzarsi e prepararsi. Il tetto si apriva solo una volta al mese. Presto avrebbero calato le scatole e se avesse scelto quella con la chiave sarebbe uscita, e poi...
Si guardò il torace. Era tutto al suo posto. Il suo cuore pulsava a ritmo regolare al centro del petto, sollevando i piccoli seni che lo custodivano. La ragnatela di vene e arterie entrava e usciva dalla sua pelle.
Indossò la tunica di seta per proteggere il cuore che aveva deciso di mostrarsi al mondo e si avviò sulle scale per raggiungere il cornicione del tetto ad aspettarlo.
Sedute sui cornicioni vicini, tante piccole figurine in attesa dell’elicottero che avrebbe portato le scatole. Quel giorno alcuni di loro avrebbero trovato la scatola giusta e avrebbero raggiunto il laboratorio.
Nella casa di fronte, Luca aspettava lei. Si era svegliato molto prima della sirena. Sapeva che quello era il Giorno. Sapeva ciò che gli altri non sapevano. Era stato portato lì tra i primi, quando gli ospiti delle case alloggiavano ancora nel laboratorio e non aveva mai visto nessuno uscire dalla sala operatoria. Poi altri erano arrivati. Sempre di più. e avevano iniziato a trasferirli nelle piccole case di cemento, delle scatole di sardine a tre piani. Fu catturato nel bosco. Si sentiva protetto dagli alberi e dai cespugli. A contatto con la natura non era più lo strano, ma una creatura del mondo e le sue mani da aragosta potevano sentire e toccare quel mondo. Ma qualcuno lo vide e l’elicottero arrivò.
Seduto sul suo letto indossò i guanti per coprire le sei dita contorte e quando il suo tetto si aprì era già pronto a metà scala per arrivare per primo e vederla. Molte volte aveva pensato di correre oltre l’ultimo gradino, oltre il cornicione e lasciarsi andare. Ma poi era arrivata lei che aveva fermato la sua corsa all’ultimo passo, lei che l’aveva salvato.
«Luca, che facciamo?», gridò Bianca dall’altro lato della strada.
«Non apriamo nessuna scatola.»
Dal fondo della strada iniziarono gli applausi. L’elicottero stava arrivando.
Il vicino di Luca saltellava sventolando i cappelli delle sue due teste, la donna con la gemella sulla fronte agitava la braccia ed entrambe lanciavano grida verso il cielo. In strada si stavano radunando gli infermieri, pronti ad accogliere i prescelti e condurli in cima alla collina.
Silenzio. L’elicottero scomparve dietro gli alti pini. Tutti erano in attesa del segnale per poter aprire una delle tre scatole che gli erano state consegnate. Poi la sirena risuonò per la seconda volta e dopo qualche secondo iniziarono le grida di gioia di qualcuno. Il signore con due teste uscì dalla porta e corse ad abbracciare un infermiere. Dietro di lui, altri uomini e donne con i loro orpelli snaturati abbandonavano quelle che erano state le loro case, per dirigersi verso il laboratorio, nella speranza di uscirne come uomini e donne guariti, inconsapevoli che sarebbero volati via come cenere dal camino.
Una processione concitata si dirigeva verso il laboratorio, alcuni infermieri, però, erano ancora in strada. Aspettavano. Luca e Bianca osservavano le loro scatole ancora chiuse. Poi un clack. Le scatole si aprirono meccanicamente.
Luca si voltò verso Bianca e le sorrise. In mano una chiave. Si sfilò i guanti e, mostrandole per la prima volta le mani deformi, la salutò per l’ultima volta. Con il volto rigato dalle lacrime, Bianca si sfilò la tunica.
«Hai il mio cuore.»
«Abbiamo tutta la vita da non vivere insieme, disse un poeta.», e si diresse verso la porta.
Nel pomeriggio nuvole grige si addensarono sopra la collina. Dall’oblò della mansarda, Bianca guardava la cenere salire verso il cielo che si gonfiava per un temporale. Un lampo. Un tuono. E il suo cuore si spezzò.