Il maestro

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo ottobre sveleremo il tema deciso da Debora Spatola. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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Proelium
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Il maestro

Messaggio#1 » venerdì 16 ottobre 2020, 11:10

Lo maggior corno della fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando...

If. XXVI


Mi chiamo Tobias e sono morto. In un’infermeria improvvisata, trafitto da un’asta e impalato a un muro. Una morte inutile, senza senso né gloria: fu il caso, non la Dea, a tradirmi. Intrappolato per errore, travolto dalla furia dei miei stessi alleati, caddi in uno dei tanti conflitti tra i Regni del Nord. Una prova più grande di me: ero troppo debole e giovane per salvarmi... E quell’uomo lo sapeva. Ricordo bene ciò che successe dopo. Durò un istante, o forse mille vite... Vidi le desolazioni infernali stendersi infinite, a perdita d’occhio, su un interminabile piano. L’ombra di una reggia oscura incombere su di me in lontananza. Udii i lamenti che echeggiavano dalle sue mura, ne provai gran pena... L’assenza totale di colori mi sconvolse: mi guardai le mani, benché sapessi di essere morto, e le trovai grigie e sbiadite. Non provai neanche a capire: lanciai un grido, uno solo, attraverso quelle desolazioni. Ricordo il diavolo che mi tentò, promettendomi immortalità e potere, e la fata che mi si avvicinò sfidando il grigio dell’intero piano: aveva un abito arancione, ciocche bionde e nastri verdi nei capelli. «La Dea è molto triste», disse, salutandomi con un leggero inchino. «Lo è sempre quando uno dei suoi chierici, anche il più inesperto, le viene strappato anzitempo.» Cercai di dire qualcosa, non so bene cosa, ma la fata mi interruppe. «La Dea ti chiama nel suo regno, Tobias Salomon: gioia e conforto ti attendono eterni. Ma sappi che in questo momento non c’è solo lei dalla tua parte: Malasorte ti chiama a risorgere. A chi dei due risponderai? La decisione è tua, ma ti avviso: se torni rinnegherai la Dea, e ciò la rattristerebbe molto. Lei è disposta a perdonarti: ci sono uomini per cui la fine vale più dell’inizio, ma non è il tuo caso
Sapevo che quelle parole si riferivano a lui. Il chierico mascherato che si faceva chiamare Malasorte. L’uomo che in seguito sarebbe diventato il mio maestro. Il guaritore più grande ed enigmatico che abbia mai conosciuto. Per motivi che ignoro era stato coinvolto, o forse incastrato, in quell’arrocco indifendibile... Il nostro incontro fu come la mia morte: un evento casuale e inevitabile. Rimasi subito colpito da lui: radunò e sfidò senza esitazione i pochi chierici rimasti, me compreso, per organizzare le unità mediche della città. Nessuno lo prese sul serio: la Dea fu insultata e derisa dai seguaci dell’Oscuro. Nessuno fece caso alla determinazione dietro quella maschera. Alla sua voce volitiva e struggente. Scelsi di fidarmi di lui.
«Salvati... Salvati...», udii mormorare a Malasorte mentre il suo incantesimo faceva effetto. Sentii il flusso di energia positiva riversarsi nel mio corpo attraverso le sue mani scheletriche. Ero vivo. Tornai a vederci e lo guardai: il chierico era chino su di me nell’infermeria divorata dalle fiamme. Sangue e cadaveri erano ovunque. Tossii un ringraziamento tra il nero del fumo. Non mi rispose. Chissà chi o cosa stava salvando, dietro quella maschera... Non ebbi mai il coraggio di chiederglielo. Neanche in seguito, quando dell’assedio non restarono che date e voci confuse consegnate alla storia. Neanche quando la morte, la mia stessa morte, cominciò ad apparirmi remota e insensata... un sogno incredibile di cui avrei perso ogni memoria, se non fosse per la cicatrice mortale che porto all’altezza del ventre. Mi chiedo se Malasorte me l’abbia lasciata di proposito: un monito o un dono, non saprei dirlo. Di doni e moniti, devo ammetterlo, fu sempre prodigo nei miei confronti: ogni cosa che mi lasciò, anche la più piccola, aveva un senso oltre che un valore. Prima un morning star di straordinaria fattura, che sbalordirebbe perfino mio padre, che è fabbro da una vita... mi incoraggiò a utilizzarlo; poi una pila di libri e pergamene sulla storia e la lingua degli Antichi... continuava a ripetermi che mi sarebbero serviti; infine un talismano di Hektron il Fiammante, nume caduto da oltre un millennio... non oso pensare a chi l’abbia strappato, o da dove.
Mi sono sforzato di starti dietro, Malasorte. Non ho mai dubitato di te: nemmeno quando voci orribili cominciarono a girare sul tuo conto; e sulla tua maschera, non sulla tua testa, fu posta una taglia spropositata. La tua voce era quella di un principe che mi sarebbe piaciuto conoscere. Ci ho provato, credimi, a decifrare l’enigma dei tuoi doni e della tua vita. Non ce l’ho fatta; non ho avuto abbastanza tempo. Né coraggio. E tu lo sapevi: non ti sei mai illuso che bastasse così poco a capirti. L’ho compreso solo dopo, raccogliendo frammenti e testimonianze qua e là, di quanti altri deboli come me tu abbia salvato. Tu, chierico di una Dea in cui forse nemmeno credevi, così disprezzato dal mondo e dai numi. Il tuo sforzo completamente umano incrinò la mia vocazione senza che me ne rendessi conto. Perché la Dea non faceva nulla per aiutarti? Perché eri stato tu e non lei a salvarmi? Perché condannava il villaggio in cui ero cresciuto a un’esistenza miserabile, vittima di scorribande e raccolti appena sufficienti per vivere? Perché aveva lasciato che una famiglia onesta vagasse per anni, patendo il freddo e la fame, prima di trovare una patria? Ero solo un bambino, ma il ricordo di quel carro traballante è ancora impresso nella mia memoria... il pianto di Amos, mio fratello minore, che piangeva chiedendo del pane... Pregai la Dea nel tempio per tre giorni, ininterrottamente, in attesa di una risposta che non arrivò mai. Ripensai a Quadrifoglio, il buon chierico paffuto che era stato il mio mentore. Lo rividi mentre brindava al mio futuro durante la festa del paese. Era paonazzo di vino e allegria, ma so che era sincero mentre prometteva, abbracciandomi, che ci sarebbe sempre stato... Già... Peccato che in quell’infermeria improvvisata, lacerata da fiamme e morte, c’era solo Malasorte. Il chierico ossuto consumato da chissà quale demone. Voltai le spalle all’altare e mi rinchiusi in biblioteca a studiare. Mi immersi nella lingua e nella storia degli Antichi e ne rimasi affascinato: una stirpe di uomini dalla volontà indomabile, ascesa e caduta sfidando i limiti umani e divini. Sentii il sangue ribollirmi nelle vene. Quel mondo perduto, sorto e tramontato al tempo di altri dèi, di un altro Sole, mi attirava a sé con una voce irresistibile. Struggente e volitiva come la sua. Persi me stesso, ma trovai molto altro: le tracce di una grandezza incompresa, tramontata e maledetta... la stessa che quell’uomo si portava addosso come un profumo. Cercai Quadrifoglio per parlarne con lui, ma il chierico paffuto perse subito il filo del discorso. Non sapeva nulla della storia presente, figurarsi di quella passata... Definì l’Antico Impero un’epoca folle fortunatamente perduta, mi fece l’occhiolino e mi invitò nel refettorio per uno spuntino. Rifiutai. Cominciai a capire le parole della fata.
Dopo quei fatti incontrai Malasorte solo un’altra volta. Compresi subito che si trattava di un addio. Sulle sue spalle portava un manto bianco che lo faceva sembrare un re. Tra le mani stringeva uno scettro di luce radiosa. Chi era davvero? A quel pensiero, con mio grande stupore, Malasorte si sfilò la maschera e mi mostrò il suo volto: una vista che non dimenticherò mai. Anche i suoi lineamenti, come la sua voce, erano quelli di un principe... ma qualcosa li aveva scavati, inaspriti fino a consumarli. Negli occhi intrisi di volontà e determinazione balenavano le ombre di un passato indicibile. E di un presente e un futuro altrettanto spaventosi. Si sforzò di sorridermi, ma non ci riuscì. Mi fece una gran pena. Lui se ne accorse e mi insultò. Nella lingua degli Antichi. Parlata con una cadenza, fluidità e sonorità tali da sconvolgermi. Provai a stargli dietro, ma i miei progressi non furono sufficienti. “Fuoco... Senza... Perdono...” fu tutto ciò che riuscii a distinguere. Mormorai una preghiera alla Dea per capirlo. Mi sentii un fallito. Malasorte se ne accorse e curvò le labbra in un ghigno. Mi stava umiliando. Mi disse che si era stancato di corrermi dietro e che il gioco stava per finire. Capii solo in seguito cosa intendesse. Menzogna e verità rendevano ogni suo gesto inestricabile. Mi guardò con ostentato disprezzo, estrasse un talismano e lo gettò ai miei piedi. Mi chinai per raccoglierlo e riconobbi la Fiamma di Hektron, la luce caduta dell’Antico Impero. Lo presi per ripulirlo dal fango e, istintivamente, guardai il mio mentore con disappunto. Stava sorridendo. Un guizzo di luce balenò tra i suoi occhi rasserenandoli. Ma l’attimo passò, il sorriso svanì e il suo sguardo si offuscò nuovamente.
«Ti avevo portato un dono», mormorò impassibile, «l’ultimo e il più importante. Non so se ne sarai mai degno. Il mondo è pieno fino alla nausea di uomini che vivono da giudici. Di giudici che vivono da uomini, invece, non credo di averne mai incontrati. Può darsi che siano affondati anche loro, insieme a Hektron, nel fango di mille e più anni fa. Addio, Tobias Salomon: le nostre strade si dividono qui.»
Si smaterializzò e se ne andò lasciandomi al mio destino. Io, il talismano e l’eco della sua ultima provocazione. Non avevo idea di cosa stesse per fare. Quella fu l’ultima volta che lo vidi: di lui, in seguito, si sarebbe detto molto altro, ma nulla che lo riassumesse per intero. Non dimenticai mai le sue parole. Pochi giorni dopo abbandonai il tempio della Dea. Quadrifoglio provò in ogni modo a dissuadermi, ma ogni suo sforzo fu vano. Il suo volto divenne paonazzo e scoppiò a piangere come un bambino. Lo abbracciai come lui aveva fatto con me qualche anno prima. Non era passato così tanto tempo, ma mi stupii di quanto quel ricordo mi apparisse lontano... Era come ripensare a un’altra vita. Quadrifoglio era rimasto lo stesso, ero io a essere cambiato. Raccolsi le mie cose e intrapresi la via del ritorno. La nostalgia di casa, accumulatasi segretamente fin dalla mia partenza, si fece largo dentro di me e straripò all’improvviso: i miei genitori... Amos e la piccola Yoah... tutti gli amici che mi ero lasciato alle spalle nell’illusione di aver capito, e risolto, la mia vita. Avevo sbagliato tutto, ma forse ero ancora in tempo per rimediare. Arrivai alle porte della città senza rendermene conto. Assorto tra i miei pensieri, camminavo a capo chino rigirandomi tra le mani la Fiamma di Hektron. La via del ritorno fu sia dolce che amara, lenta e rapida in egual misura. Mia madre Esther mi vide sul selciato di casa, lasciò cadere la cesta del bucato e mi abbracciò tra le lacrime. Poi toccò a mio padre, Amos e Yoah... tutti i miei amici... il loro affetto sanò dubbi e ferite. Mi diede la forza di ripartire. Nessuno di loro si fece mai giudice nei miei confronti, nessuno criticò le mie scelte. Ma capii fin troppo presto quanto la mia assenza avesse pesato in famiglia, e in questa consapevolezza compresi ciò che Malasorte aveva voluto dirmi. Ero fuggito dalle mie responsabilità illudendo tutti, soprattutto me stesso, di una vocazione che non avevo, mentre a mio fratello Amos era toccato rimboccarsi le maniche al mio posto nell’officina di nostro padre. La mia presenza li avrebbe aiutati durante gli stenti e le nevicate invernali. Sapevo che avrebbero potuto condannarmi, ma il loro amore incondizionato, soprattutto quello di Amos, li aveva spinti senza esitare a darmi un’altra possibilità. Era cresciuto molto, sia nello spirito che nel corpo: il duro lavoro lo aveva temprato e, benché fosse ancora un ragazzino, era già più forte di me. Promisi a me stesso di non mancare più ai miei doveri. Affiancai lui e mio padre ogni giorno, per cinque lunghi anni, impugnando mazze e martelli pesanti quanto il morning star che custodivo in fondo al baule. Riallacciai i rapporti con gli altri ragazzi del villaggio. Agli occhi di tutti ero tornato a essere il Tobias di una volta... il primogenito volenteroso dei Salomon, cresciuto in quel villaggio immutato negli anni. Ma Tobias era morto, benché nessuno di loro lo sospettasse. In un’infermeria improvvisata, trafitto da un’asta e impalato a un muro. E anche se le mie giornate sembravano, ed erano, assolutamente normali, trascorrevo le mie notti sui tomi e le pergamene degli Antichi. In cinque anni ne appresi perfettamente storia, cultura e lingua. Mi esercitavo scrivendo e parlando da solo, sforzandomi di avvicinarmi il più possibile alla dizione struggente e volitiva di Malasorte, il chierico ossuto il cui ricordo sfumava sempre di più, mescolandosi ai nomi e alle conquiste dell’Impero Perduto. Approfondii i miei studi e, durante il mio quinto anno al villaggio, presi l’abitudine di tenere tra le mani il talismano di Hektron con sempre maggiore frequenza. Ogni sera recitavo formule e semplici preghiere nella lingua degli Antichi prima di dormire. Finché una notte, attraverso un sogno destinato a cambiarmi la vita, trovai la risposta che avevo atteso per anni.
Per qualche assurdo motivo me ne stavo in piedi sulla sommità di un monte, fissando il vuoto a precipizio sotto i miei piedi. Il cielo era terso e infinito, striato di cirri vaporosi e candidi. Un sole rosso incendiava l’orizzonte facendolo risplendere. Pensai che sarebbe bastato poco, forse un soffio, per farmi precipitare da lassù a cielo aperto. Accarezzai l’idea del volo, ma non mi lanciai. Una voce sorse alle mie spalle.
«Apprezzo che tu non l’abbia fatto», disse nella lingua degli Antichi. «La civiltà che ammiri ha commesso molti errori, il più grave dei quali fu trascendere i suoi limiti.»
A quelle parole sussultai, persi l’equilibrio e fui sul punto di cadere. Ma non caddi. Feci un passo indietro, mi voltai e lo vidi.
Un uomo dalla pelle bronzea, occhi di fiamma e barba ondulata stava in piedi a fissarmi. Sul capo portava un elmo da oplita con un cimiero incandescente. Lunghe trecce nere ricadevano sulle spalle. Una corazza di metallo liquido, arroventata e fumante, riempiva l’aria di un crepitio incessante. Le sue braccia erano scoperte, muscolose e aggraziate al tempo stesso.
«Hektron...», mormorai nella lingua degli Antichi, inginocchiandomi al cospetto del nume. La cima del monte fiorì di gerani e gladioli sanguigni.
«Mi piace come pronunci quel nome», disse ancora il nume. La sua voce era profonda e solenne. «Ti concedo di portare la Fiamma. Di adoperarla e onorarla con atti, parole e pensieri. Quanto più oscura si farà la notte, tanto più la Pira brucerà gloriosa.»
Mi svegliai di soprassalto. La Fiamma di Hektron avvampava di luce divina. Il talismano che avevo raccolto, ripulito dal fango e custodito per anni si era risvegliato e palpitava tra le mie mani. Accolsi il dono e formulai una preghiera: la luce si intensificò e divenne fuoco tra le dita tremanti. Ero di nuovo un chierico. Ripensai alla mia storia e a quanto l’incontro con Malasorte fosse stato determinante.
«Ne sarò degno», mormorai nella lingua degli Antichi, scandendo le sillabe come faceva lui. «Hektron, sono felice che tu sia tornato
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Proelium
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Re: Il maestro

Messaggio#2 » venerdì 16 ottobre 2020, 11:14

Concorro per entrambi i bonus:

Stravaganza e bellezza maledetta: Malasorte, il maestro
Narrazione in prima persona: Tobias, l'allievo

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maurizio.ferrero
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Re: Il maestro

Messaggio#3 » giovedì 22 ottobre 2020, 21:41

Ciao Francesco, piacere di rileggerti.

Sbaglio, o non è la prima volta che ci parli di Malasorte? Ho ricordi di un tuo vecchio racconto con un sacerdote come protagonista, ma sinceramente non ricordo se sia lo stesso personaggio.
Parliamo però di questo.
Preferisco dirtelo chiaro e tondo: ho fatto molta fatica. La prima persona completamente narrata è pesante da gestire, la totale assenza di dialoghi non aiuta. L'idea è quella di trovarsi davanti a un massiccio Wall of Text che in alcuni punti diventa molto difficile da seguire.
Mi è piaciuta l'idea di fondo: l'epopea di un giovane sacerdote morto e poi resuscitato, che infine incontra il suo dio. Ma devo purtroppo dirti anche che se fosse stato scritto con un intento stilistico diverso, con più scene e dialoghi diretti, l'avrei trovato di molto più digeribile.
E penso anche che non te la saresti cavata con soli 20000 caratteri!
Tema e bonus sono presi

A presto!

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Proelium
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Re: Il maestro

Messaggio#4 » giovedì 22 ottobre 2020, 23:16

Ciao Maurizio,
sì, è stata una partecipazione sofferta (periodaccio, lasciamo stare...). Avevo un po' di appunti già abbozzati compatibili con la traccia e ho voluto provarci. Mi ritrovo nelle tue osservazioni: apprezzo sempre la profondità con cui ti accosti ai testi, e sì, con Malasorte ricordavi bene. Comunque hai ragione, potenziare l'impianto avrebbe richiesto grandi sforzi, anche in termini di spazio. Per necessità (e stanchezza) ho ripiegato sul monologo dandogli più ritmo che potevo, ma 20k in prima sono duri da reggere, anche se l'idea è buona... Colgo l'occasione per farti i complimenti: ho letto Tre-Graffi, gran bel racconto.

Un saluto Maurizio, e grazie!

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Pretorian
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Re: Il maestro

Messaggio#5 » venerdì 23 ottobre 2020, 21:45

Ciao, Proelium e piacere di leggerti.

Devo dirlo, il racconto presenta pecche molto pesanti e ammetto di aver fatto molta fatica ad arrivare fino in fondo. Lo stile è pesante, pieno di aggettivi e avverbi che spesso aggiungono poco alla narrazione. L'uso spropositato di termini aulici o comunque ricercati, poi, invece di impreziosire il testo, lo rende ancor più lento e poco digeribile. Buona la scelta di usare frasi di un solo periodo per cercare di ottenere la massima resa possibile, ma questo è un metodo che non si può usare all'infinito, soprattutto se quello che stai descrivendo non sono singole azioni, ma l'elenco di avvenimenti molto lontani nel tempo. Qui passiamo al secondo problema: la storia è allo stesso tempo lentissima e succinta. Ci sono numerosissimi eventi, personaggi e luoghi, ma, a parte Malasorte e, in minima parte, Quadrifoglio, sono tutti trattati di sfuggita e senza il minimo approfondimento. L'effetto che hai ottenuto è quello di una sorta di "riassunto" di una storia più lunga, più simile a quei wall of text che nei romanzi servono per raccontare il passato di un personaggio: sono elementi utili ma sono apprezzabili solo come unicum in narrazioni più lunghe, non hanno nessuna capacità di resistere da soli. Da ultimo, anche il contesto della storia presenta lacune: gli elementi per un'ambientazione fantasy decente ci sono, ma, anche qui, ne metti troppi e senza curarti minimamente di approfondirli in modo efficace. Chi sono i chierici? Cos'era l'antico impero? Che legame c'è tra la Dea e Malasorte? Chi era Hektron? Sono tutte domande a cui non fornisci nemmeno il minimo appiglio di risposta e che finiscono per rendere il testo incomprensibile, anzi, per dare al lettore l'idea che si sia perso qualcosa e questo è persino peggio.
Peccato.

Alla prossima!

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Eugene Fitzherbert
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Re: Il maestro

Messaggio#6 » lunedì 26 ottobre 2020, 22:51

Ciao, Francesco Proelium!
Ci si ribecca in questi lidi.
Stavolta però, il tuo racconto non mi ha preso così tanto.
Il tuo esperimento di usare una prima persona al passato remoto ha reso tutto troppo raccontato (per intenderci: non c'è molta azione diretta, ma solo parole che servono a far capire che qualcosa è successo ma senza che mai si veda). Inoltre la disposizoine del testo non aiuta a velocizzare la lettura. Forse andare a capo un po' di più avrebbe aiutato.
Un'altra cosa che mi ha tenuto un po' lontano dal mood della storia è la scansione temporale, che salta dal passato al presente sena soluzione di continuità, come se tutto fosse un flusso di ricordi. Una struttura del genere, però, ha senso (in minima parte, se vai a sentire i guru della scrittura moderni non dovrebbe esistere questo tipo di approccio raccontato) solo se APRE le strade a qualcosa di tangibile. In pratica, potresti usare le prime righe del tuo testo come introduzione e poi far VIVERE (è proprio il caso di dirlo) il tuo personaggio principale Salomon e farlo muovere, nel suo incontro con Malasorte.
Così come l'hai messo in piedi, il racconto, pieno di belle immagini, belle suggestioni, resta purtroppo incompleto e poco incisivo. Però una cosa è certa: hai messo su carta materiale per almeno una storia da 35k parole! Che aspetti?

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Giacomo Puca
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Re: Il maestro

Messaggio#7 » martedì 27 ottobre 2020, 18:14

Ciao Proelium, prima volta che ti leggo. Ecco la mia valutazione:

Tema
Secondo me non è molto centrato. Ho visto poca bellezza e un po' disperazione. La famiglia del protagonista ha sofferto ma alla fine non l'ha respinto, lui è morto ma poi è resuscitato...
La storia mi sembra ruotare più attorno ai temi di vita e morte, potere delle divinità e antiche saggezze ormai perdute.

I bonus sono ok.

Stile
Punto dolente. Storia pesantissima da leggere, ho dovuto fare varie pause.
Come ti hanno già detto altri, il wall of text fa scappare il lettore. Il ricorso a forme desuete, a una narrazione che sembra uscita da un libro di 150 anni fa, sono tutti elementi che inficiano ulteriormente il godimento dell'opera. Il fatto che pochissimo sia mostrato impedisce di trattenere le informazioni che si apprendono, tanto che quando ho finito di leggere mi sono accorto di non ricordare quasi nulla.

Se questo pezzo fosse stato ridotto del 70% e messo in bocca a un personaggio concreto, che si muove e che si vede, per introdurre poi la narrazione vera e propria, sarebbe stato decisamente meglio.

Trama
L'idea non è male. Ci sono un sacco di elementi di world building che magari sarebbero più adatti a un romanzo. La vaghezza di certi elementi è anche sensata, specialmente quando si ha a che fare con elementi di un passato remoto o con misteriose entità.
I difetti di trama sono 2:
1. La storia vaga nel tempo e nello spazio in modo abbastanza confuso, come se non sapesse bene dove andare a parare.
2. La storia finisce quando le cose interessanti sembrano iniziare. Il finale sospeso è una scelta legittima, ma per funzionare la storia dovrebbe fornire abbastanza elementi da dare al lettore un'idea del significato di un tale finale. Per esempio l'accensione del medaglione potrebbe significare cose molto cattive (cose a caso per capirci: la fine del mondo, il ritorno dei demoni di fuoco...) o molto buone (il ritorno di Bakon, il dio buono delle braciole...). Sappiamo che torna hektron ma non possiamo che prenderne atto, non ci emozioniamo, non siamo felici o tristi o impauriti.

Valutazione finale
Il testo non mi ha convinto né per il tema, né per lo stile. Il fatto che sia, come leggo in altri commenti, materiale nato in seno a un altro progetto spiega forse la scarsa attinenza con il tema. Lo stile, al di là della pesantezza, è anche poco chiaro, tant'è che scrivendo questa valutazione ho sempre dei dubbi riguardo il senso di quel che hai scritto e del significato che intendeva avere.

Spero di rileggerti presto, sono sicuro che ci siano molte idee nel tuo "magazzino dello scrittore" che valga la pena scoprire.

Un saluto,
Giacomo
In narrativa non esistono regole, ma se le rispetti è meglio.

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