Meat Doll

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo ottobre sveleremo il tema deciso da Debora Spatola. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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Pretorian
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Meat Doll

Messaggio#1 » domenica 18 ottobre 2020, 22:48

Meat Doll

Suono il campanello.
La porta si apre.
- Roland Ludvingson?
Folte sopracciglia brizzolate si aggrottano. L’uomo lascia qualche secondo di pausa prima di rispondere. Il mento barbuto trema leggermente.
- Sono io.
- Mi manda la Meat.doll.inc, per l’ordine che ha fatto due giorni fa.
Annuisce e mi fa cenno di entrare.
Il vestibolo porta direttamente al soggiorno. Alla luce del camino acceso, intravedo foto di famiglia e mobili d’alto design. Nella stanza si sente odore di pulito e di…arrosto?
- Ecco… posso farle una domanda? – Roland chiude la porta e aspetta un cenno di assenso prima di proseguire. – Qual è il senso di… di tutto questo? È strano.
Mentre parla, si indica il volto e il torace ma ho già capito cosa intende. Mi passo la mano sul cappuccio di cuoio che ho in testa e sulla tuta che copre il resto del corpo.
- Spersonalizzazione: i clienti sono più propensi ad accettare il risultato finale, se non conoscono l’aspetto dell’operatore.
Ludningson annuisce. È più alto di me di almeno due spanne e la camicia lascia intuire muscoli scolpiti. Osservando il torace, noto che si solleva rapidamente, quasi a tempo con l’aprirsi e il chiudersi delle grandi mani.
- Ha chiaro la procedura?
Lui annuisce.
- Ha preparato quanto le è stato chiesto?
Annuisce di nuovo e si allontana in una stanza adiacente. Seguendolo con lo sguardo, lo vedo trafficare accanto a una tavola apparecchiata per due.
- Ecco – dice, tornando indietro e porgendomi una busta di carta. – Ho controllato: corrisponde a tutti i parametri richiesti nelle vostre istruzioni.
Apro la busta e ne estraggo una ciocca di capelli color biondo grano. La annuso: non sento odori chimici.
- Direi che va bene – prendo due o tre capelli, poi gli restituisco la busta. – Potrebbe indicarmi il bagno?
Attraversiamo il soggiorno e un corridoio in penombra. Il bagno è lucido e pulito.
- Può tornare in soggiorno, se vuole. Ho bisogno di un po’ di tempo.
- Preferirei restare qui fuori. Voglio sfruttare ogni momento a disposizione.
Alzo le spalle e chiudo la porta. Mi tolgo cappuccio e tuta e li metto da parte. Dopo, è il momento della biancheria.
Prendo i capelli e li inghiotto. Ho giusto il tempo di sdraiarmi per terra, prima che cominci.
Le ossa cominciano a spezzarsi. Le fibre dei muscoli si strappano. La pelle si gonfia e si contrae. L’intero corpo perde ogni sua forma nel giro di pochi minuti. Poi comincia a ricomporsi. Le ossa calcificano secondo nuove configurazioni. Il tessuto muscolare si ricompone fibra a fibra. Persino la pelle cambia di ruvidità e colore, virando verso un rosaceo molto pallido.
Anche la mente muta. Si espande sotto la pressione di pensieri che non le appartengono. Immagini…suoni… sapori… un’intera vita che si rovescia violentemente dentro di me.
Gattono in un soggiorno dalle pareti immense. Mugolo per attirare l’attenzione dei miei genitori.
Sfoglio svogliatamente un libro per prepararmi all’ennesimo esame del liceo.
Mia madre si copre il volto con le mani. Piange mentre ascolta ciò che dovevo dirle da tanto tempo.
Ancora mia madre, ora più vecchia di vent’anni. Piange, ma stavolta con il sorriso sulle labbra: mi ha accompagnato all’altare dove mi aspettava l’uomo che amo.
Lo stesso uomo a cui rivolgo l’ultimo saluto nel momento in cui le forze mi abbandonano. Il calore della sua mano è l’ultima cosa che riesco a percepire mentre la massa che mi schiaccia il petto si decida a reclamare quello che resta della mia vita…
Lotto con tutte le mie forze per domare l’ondata di ricordi e per impedire che la mia coscienza ne venga disgregata. Una sfida così dura che il dolore del corpo che si disfa e si ricompone, sembra niente di più che un fastidio di sottofondo.
Alla fine, le memorie acquisite si incasellano al loro posto e le mie carni assumono la conformazione desiderata. Le membra rispondono a fatica ai miei ordini e mi ci vuole un po’ prima di potermi rialzare. Lo specchio del bagno restituisce l’aspetto di un uomo di mezza età, dalla corporatura esile e con folti capelli biondi. Quando mi sento pronto, apro la porta del bagno ed esco.
Come aveva detto, Roland è rimasto nel corridoio. Si volta verso di me e spalanca la bocca. Il suo respiro si mozza, mentre le mani potenti cominciano a tremare.
- Angel…
Geme, poi mi salta addosso e mi abbraccia. Le nuove memorie guidano istintivamente il mio volto sul suo torace, permettendomi di aspirare deodorante muschiato misto a sapone al latte. Dopo qualche istante, sento il suo corpo irrigidirsi. Seguendo il suo sguardo, mi accorgo che sta osservando una foto appesa alla parete: quella del loro… del nostro matrimonio.
- Non… non sono forte come pensavo, Angel… ogni giorno senza di te, è un inferno. Perdonami se devo ricorrere a queste menzogne per non impazzire.
Gli accarezzo le guance e lo faccio voltare verso di me.
- Te l’ho detto tante volte, Roland: non c’è nessuna menzogna nell’essere felici.
Sento il suo corpo ammorbidirsi, mentre il suo abbraccio si fa più forte.
- Sei bellissimo - sussurra, prima di sigillare le mie labbra con un bacio.

Allungo il braccio verso la bottiglia di scotch. La rovescio con il dorso della mano senza volerlo, ma non esce nulla. È vuota, come le altre sul pavimento. Cerco di ricordare se ne ho altre in dispensa, ma i miei pensieri vengono interrotti dallo squillo del cellulare.
Spengo la sigaretta nella ceneriera e mi alzo. Le gambe tremano e lo stomaco è attraversato da improvvisi conati che mi piegano a metà. Mentre tento di trattenere il vomito, mi trascino fino al soggiorno.
La stanza è immersa nella penombra e ho la vista annebbiata, ma la suoneria mi permette comunque di individuare il cellulare. È sul tavolo, vicino al bordo. Lo afferro, poi mi appoggio alla parete e mi lascio scivolare a terra.
Impiego alcuni minuti per riuscire a digitare i giusti comandi, ancora di più per mettere a fuoco le singole parole della mail.
È da parte della Meatdoll.inc
“Stasera, ore 22:30. Cliente Lana Parasini. Ulteriori dettagli in allegato.”
Un altro lavoro, a così poca distanza dall’ultimo. Gorgoglio un’imprecazione e apro gli allegati. Mentre leggo i dettagli sul cliente e sull’appuntamento, sento lo stomaco contrarsi di nuovo. La nausea mi stordisce. Non ho le forze per raggiungere il bagno: riesco appena a piegarmi di lato, poi rimetto tutto quello che ho nello stomaco. Vomito più volte, fino a quando non mi resta alto da sputare che bile acida. La caccio via assieme alle mie ultime energie e collasso a terra.

- Pulisci bene: devono splendere.
- Si, Signore.
Baltazar alza leggermente il tallone. Accolgo l’invito e passo lo straccio con più convinzione sulla fibbia delle scarpe. Improvvisamente, mi afferra per i capelli e mi fa sollevare la testa verso di lui. Il parruccone a boccoli che indossa è grottesco e il trucco pesante sulle guance lo fa assomigliare più a un mimo da strada che a un nobile. Mi verrebbe voglia di ridergli in faccia, ma le memorie che ho assunto dal sangue di sua moglie mi suggeriscono solo pensieri di sottomissione.
- Stai facendo un lavoro orribile. È così che pensi di servire il tuo padrone?
- Mi spiace. Se la mia goffaggine la offende, mi punisca subito.
Le parole mi escono dalla bocca naturalmente, senza che riesca a determinare se siano frutto di cieco terrore o di una finzione appresa così bene da diventare indistinguibile dalla realtà
Il labbro baffuto si piega in un sorriso. Si alza in piedi e muove qualche passo, poi si ferma. Torna indietro e mi afferra per i capelli. Urlo, ma lascio che mi trascini nell’altra stanza usando i lunghi capelli castani come un guinzaglio.
Mi sbatte a terra e comincia ad armeggiare con le ante di un armadio.
- Spogliati – dice, senza voltarsi.
Mi tolgo il grembiule, la camicetta e il reggiseno, poi congiungo i polsi e li offro a Baltazar. Un gesto suggerito dalla memoria muscolare: lo scatto di manette arriva prima che ne ricordi il significato.
Il mio cliente è ritto davanti a me, a gambe divaricate. Stringe nelle mani una frusta di cuoio.
- Pensavo di averti insegnato le buone maniere – sussurra, girandomi attorno. – Pensavo che avessi finalmente imparato qual è il tuo ruolo e come si obbedisce al padrone…
La frusta colpisce sul fianco, appena sotto l’ultima costola. Il colpo mi mozza il respiro e mi strappa un gemito strozzato.
- Mi sbagliavo! – urla, sferrando altre scudisciate. – Devo farti sentire ancora la voce della frusta!
- Imparerò, mio signore! – urlo. – Se lei mi insegna, non la deluderò!
Arrivano altri colpi. La sferza mi scava la carne della schiena, del collo e delle natiche. Il dolore fisico è intenso, ma non dissimile a quello che ho provato in tante altre occasioni. Quello psicologico, invece… i ricordi che scoppiano nella mia mente ogni volta che la frusta mi lacera la pelle… quelli sono qualcosa di nuovo.
- Impara!
Ogni colpo di frusta ne richiama altri cento.
- Sottomettiti!
Il suo volto paonazzo ringiovanisce, ma la bocca spalancata in urla di disprezzo resta identica. La costante invariabile delle innumerevoli umiliazioni che si sono ripetute nel corso degli anni.
- Obbedisci!
Baltazar getta a terra la frusta e comincia a usare le mani. È una fortuna che non abbia qualcos’altro a disposizione: dagli aghi da cucito ai mozziconi di sigaretta, ha sempre dimostrato molta fantasia nel suo sadismo.
- Ora… hai capito? – biascica, lasciando che bava e sudore gli sbavino il trucco. – Hai capito qual è il tuo posto, Jesebel? Hai capito cosa devi fare per compiacere il tuo padrone?
Lo osservo in silenzio. Vorrei prendergli la frusta e restituirgli il dolore. Vorrei rinfacciargli di essere un fallito che sfoga le sue frustrazioni vestendosi come un damerino e umiliando sua moglie. Vorrei fargli scontare in una sola volta tutti gli anni di tormenti che la vera Jezebel ha passato. Vorrei spezzarlo ogni oltre possibilità di recupero e sputare sui frammenti inutili della sua esistenza. Vorrei, ma tutto quello che faccio è annuire e ostentare un leggero sorriso.
- Grazie per avermi insegnato ancora, mio padrone. Cosa posso fare per ringraziarla della sua pazienza?
Altre parole che non mi appartengo. Quando vedo il rigonfiamento nei pantaloni, faccio in tempo a pentirmene.
Baltazar mi infila il pene in bocca e comincia a spingere. Chiudo gli occhi e lascio che avvenga quello che deve avvenire. Il tocco delicato con cui mi accarezza i capelli mi offende più delle frustate.
- Sei bellissima… - grugnisce, gemendo in modo ripugnante. – la mia bellissima sposa sottomessa.
Devo resistere due giorni ai suoi tormenti. Come ha fatto Jezebel ad andare avanti per sei anni?

Quando mi risveglio, il vomito a terra è secco. Mi fa ancora male la testa, ma lo stomaco non sta più impazzendo. Mi rialzo e prendo fiato. Guardo l’orario sul cellulare e ricordo della mail che è arrivata dalla società. Indugio per qualche istante, poi sospiro: accarezzo l’idea di chiedere una sostituzione, poi il ricordo di tutte le spese che devo affrontare mi fanno rivalutare le mie condizioni fisiche. Pulisco il disastro il soggiorno, mi svesto, e apro l’acqua. Mentre aspetto che la vasca si riempia, vado a prendere i vestiti. La biancheria è nel cassetto, il completo di pelle è sull’indossatore accanto alla specchiera. Apro le cerniere e comincio a sistemarlo. Mi trovo a osservare le aperture della maschera.
“Spersonalizzazione”, mi viene quasi da ridere al pensiero che i clienti accettino una scusa così ridicola per giustificare l’abbigliamento dei meatdoll. Sono tutti così sciocchi e disperati da non farsi la benché minima domanda… oppure evitano di farsele perché sanno che le risposte non sarebbero piacevoli?
La verità può far male, soprattutto se si manifesta nel riflesso dello specchio.

Il signor Tezuka sta dormendo. Quando l’infermiera mi vede entrare, si allontana dai macchinari che stava controllando e sfiora la spalla sinistra dell’anziano. Quando lo vede svegliarsi, fa un inchino e si allontana. Nel passarmi accanto, noto che la giovane ha gli occhi lucidi.
- Sei proprio uguale a lei – mormora il vecchio, quando la porta si chiude alle mie spalle. – Sei uguale alla mia Misaki quando l’ho incontrata.
- Ma cosa dici, Jukai? Non mi riconosci? Sono io Misaki.
- No che non lo sei. Mia moglie è morta diciotto anni fa e tu sei solo un’evoluta che ne ha copiato l’aspetto – dice Tezuka, lasciando affiorare un sorriso sul volto rugoso. – Lascia le illusioni a chi ha tempo da perdere: non dispongo più di questo lusso.
Spalanco la bocca e m’irrigidisco. Il vecchio si sposta verso un bordo del letto e mi fa cenno di avvicinarmi con la mano scheletrica. Mi siedo sulla parte liberata e lui mi cinge il collo con un braccio. Lo assecondo e mi sdraio accanto a lui.
- Anche l’odore non è lo stesso. È quasi perfetto, ma, per due persone che hanno vissuto assieme metà della loro vita, quel “quasi” significa tutto.
Annuisco, anche se l’occhio mi cade sui tubicini dell’ossigeno nelle sue narici.
- Se non vuoi che finga di essere tua moglie, cosa vuoi che faccia?
- Canta per me. Voglio sentire ancora la voce di cui mi sono innamorato.
Comincia a tossire e i macchinari a cui è collegato emettono suoni d’allarme. Cerco alzarmi per chiamare i medici, ma lui mi trattiene.
- No, deve essere oggi. Non m’importa di andare avanti un altro giorno, ma voglio trascorrere bene le mie ultime ore.
Sospiro e torno a sdraiarmi del tutto.
- Cosa vuoi che ti canti?
- La canzone che lei stava recitando quando ci siamo incontrati per la prima volta.
- Ti ricordi qual è?
- No, ma tu sì.
Chiudo gli occhi e mi fermo a riflettere per qualche minuto. Nei ricordi di Misaki compare l’immagine sbiadita di una festa campestre, con uomini e donne vestiti di kimono variopinti che cantano e ballano attorno a dei falò. Mi vedo come una figura minuscola in mezzo alla folla, ma la gente danza al ritmo della mia voce. Poi, tra i falò e i danzatori in estasi, vedo comparire un giovane dai capelli corvini e l’espressione sognante. La stessa che vedo comparire sul volto devastato di Jukai quando comincio a cantare.

[i]Akai hana tsunde
Ano hito ni age yo
Ano hito no kami ni
Kono hana sashiteage yo
Akai hana akai hana ano hito no kami ni
Saite yureru darou ohisama no you ni

Shiroi hana tsunde ano hito ni age yo
Ano hito no mune ni kono hana sashiteage yo
Shiroi hana shiroi hana ano hito no mune ni
Saite yureru darou otsukisan no you ni
Otsukisan no you ni1
[/i]
L’ultima sillaba sgorga dalle mie labbra. Jukai sta piangendo. La mano che stringe la mia è sempre più debole, eppure la sua presa non cede.
- Cantane un’altra, per favore. Misaki conosceva così tante canzoni…
Sorrido e comincio ad accarezzargli le guance con la mano libera. Lui mi lascia fare per qualche secondo, poi scuote la testa.
- No, lei faceva esattamente così quando voleva essere dolce.
- Vuoi che canti come tua moglie, ma non vuoi che mi comporti come lei. Perché?
Resta in silenzio per alcuni istanti. La stretta della sua mano si fa più forte ed è accompagnata da un lieve tremolio.
- Perché se dimenticassi anche solo per un istante che è morta… se mi lasciassi cullare dall’illusione che lei può essere qui, accanto a me, allora non avrei più il coraggio di andarmene adesso – dice. – Ti chiederei di cantare ogni giorno per me, mentre i miei polmoni collassano sempre di più. Ti chiederei di parlare come lei e di ricordarmi cose che solo lei poteva ricordare, per distrarmi dal dolore. Poi, quando il momento non sarebbe più rimandabile, mi agiterei in modo vergognoso, perché sentirei che la vita mi sta portato via ancora una volta la donna che ho amato.
Sento le lacrime che mi affiorano dagli occhi. Quando sento di non poter più resistere, mi volto affinché Jukai non se ne accorga. È il ricordo del sentimento che Misaki provava per quest’uomo a farmi piangere… o sono io?
- Ti prego, non disprezzarmi se sono debole. Ho bisogno che tu canti per ricordarmi cosa mi aspetta dall’altra parte. Se sento la sua voce, allora non avrò più paura.
Non resisto più. Mi volto, incurante del fatto che lui mi veda piangere.
- Disprezzarti? – dico, portando la mano alle mie labbra. – Misaki avrebbe mai potuto fare una cosa simile?
Lui scuote il capo, poi mi accarezza il volto.
- Sei bellissima.
Io annuisco, poi intono una nuova canzone.

Passo lo sguardo dai piedi alle gambe, cercando un qualsiasi segno particolare sulla pelle grigiastra. Non ce ne sono
Indago sull’inguine vuoto, reso privo di genitali dagli innesti genetici. Guardo il ventre glabro e privo di ombelico e risalgo verso il petto dalle costole sporgenti e il collo sottile. Poi il volto. Per un istante, intravedo i lineamenti delle persone che ho avuto nel sangue. I volti di Angel, di Jesebel, di Misaki e di tanti altri… volti a volte felici, a volte disperati, ma tutti con storie e vite da raccontare. L’illusione scompare e quello che resta è una vuota maschera di carne pallida. Niente lineamenti, né naso, solo tre aperture sottili per bocca e narici e due piccoli occhi dalle iridi acquose. Una base anonima su cui il mio potere può disegnare i suoi capolavori.
Questo è quello che i clienti non devono vedere. Una bambola di carne ha la capacità di assumere qualunque aspetto… tranne il proprio.
Urlo e colpisco lo specchio con un pugno. Raccolgo uno dei cocci che ne è caduto e mi incido il polso. Finisco in ginocchio e comincio a piangere. Mentre il sangue comincia a fluire lentamente, ne raccolgo un po’ con la punta delle dita e comincio a disegnare sul mio corpo.
Punti neri, nei, imperfezioni della pelle e cicatrici. Sul volto, traccio la linea di un naso e le scocche rosse di imbarazzo. Un’intera chiazza cremisi a simulare dei capelli e degli sgorbi per imitare delle orecchie. Ricordando di un dettaglio che mi era piaciuto in passato, segno persino una fossetta sul mento. Da ultimo, circondo le labbra quasi inesistenti con un velo rosso, poi bacio il mio riflesso e mi perdo nei miei stessi occhi.
- Sei bellissima.
Immagino che sia qualcun altro a dirmelo, per la prima volta, senza indossare un corpo che non mi appartiene.


1Akai Hana Shiroi Hana di Junko Yamamoto

Di Agostino Langellotti



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Pretorian
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Re: Meat Doll

Messaggio#2 » domenica 18 ottobre 2020, 22:50

1) Il racconto è scritto in prima persona
2) Baltazar si veste come un damerino del Settecento

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MatteoMantoani
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Re: Meat Doll

Messaggio#3 » mercoledì 21 ottobre 2020, 22:26

Ciao Agostino. Piacere di leggerti. Idea molto buona: mi ricorda un episodio di Futurama (in cui si usavano dei robot per fare la stessa cosa, dimmi se per caso ho colto la citazione). Davvero una trama eccellente. Ho qualche consiglio e qualche riflessione per eventuali miglioramenti.
La poesia in giapponese è un pochino fuori luogo, specie perché non c’è la traduzione. Io consiglio sempre di non pretendere che un lettore vada a cercare qualcosa su Google per capire qualcosa del racconto che sta leggendo: non lo farà e si perderà un pezzo (magari importante).
Gli inframmezzi in corsivo che raccontano l’ultima scena sono una scelta che ho visto anche nel tuo racconto in gara nell’Arena. Lì forse questo espediente funzionava meglio, qui è un po’ più confusionario. Sinceramente non ci vedrei niente di male a mettere tutto alla fine senza spezzarlo.
Si vede che stai cercando di scrivere in modo immersivo, ma ci sono diverse parti di raccontato. Ti segnalerò le più evidenti.
Il tema è secondo me centrato e compare nelle ultime righe, quando l’essere artificiale cerca di compensare la sua bruttezza col sangue del suo suicidio (al solo ripensarci il finale mi commuove ancora). Bellissimo. Lo dico davvero. Bravo.
Un lettore navigato si accorge che l’espediente di rendere l’aspetto fisico di un pdv in prima persona col riflesso di uno specchio è un cliché usato e abusato. Qui ne fai uso parecchie volte, andrei a correggere un pochino questo difetto.

Passo al commento puntuale.

Il mento barbuto trema leggermente.
“leggermente” è “Tell” purissimo. Meglio evitare sempre gli avverbi in “ente”.

Nella stanza si sente odore di pulito e di…arrosto?
Per uno Show Don’t Tell perfetto evita i verbi sensoriali. Uno non pensa di sentire, pensa quello che sente e basta.

aspetta un cenno di assenso prima di proseguire
Ancora “Tell”.

Mi passo la mano sul cappuccio di cuoio che ho in testa e sulla tuta che copre il resto del corpo.
Poi si capisce cosa intendi, però qui non è chiaro che il cappuccio copre interamente il viso. Direi piuttosto “un passamontagna” o una “maschera”

prendo due o tre capelli, poi gli restituisco la busta
Evita il “poi”, unisci le due frasi con una “e”

Preferirei restare qui fuori. Voglio sfruttare ogni momento a disposizione.
Anche qui si capisce solo dopo cosa intende e sul momento la frase suona oscura. La cambierei per esplicitare meglio il concetto. Qualcosa come: “Preferisco non allontanarmi, non voglio perdere tempo a camminare avanti e indietro”

prima che cominci.
Cominci cosa? Specificherei.

mani potenti
Potenti? Stanno facendo a pezzi qualcosa? Che vuol dire? Forse l’hai messo per esaltare la contrapposizione col tremolio, però servirebbe un elemento a mostrare il “potere” cui ti riferisci.

Angel…
Quei puntini mi hanno fatto pensare che il nome fosse pronunciato solo in parte (Angelo). Poi ho capito che era il nome completo. Userei un nome più neutro per evitare fraintendimenti, o toglierei i puntini.

Geme, poi mi salta addosso e mi abbraccia.
Questo “poi” spezza un po’ il fluire delle scene invece di favorirlo. In genere lo eviterei sempre, una buona virgola qui funziona meglio.

Le nuove memorie guidano istintivamente il mio volto sul suo torace
Se sono abbracciati come fa ad annusargli il torace? Meglio dire il collo.

Gli accarezzo le guance e lo faccio voltare verso di me.
Quando si è girato? E poi, non erano abbracciati?

Cerco di ricordare se ne ho altre in dispensa
Qui il personaggio si rivolge a una platea invisibile: purissimo “Tell”.

ceneriera
Portacenere?

mi fa sollevare la testa verso di lui.
La testa o il volto?

Si, Signore.
Refuso: Sì

usando i lunghi capelli castani come un guinzaglio
Specificare qui che i capelli sono castani è forzatissimo. Se mi trascinassero via per i capelli penserei solo al male cane, non al colore (e comunque al colore dei miei capelli non ci penso mai, perché so di che colore sono)

sussurra, girandomi attorno
Evita i gerundi nei beat.

dice
Finora hai usato la tecnica dei beat. Qui cadi nel (piccolo) errore di usare i dialogue tag anziché i beat.

Da qui in poi ci sono altri elementi di “Tell”, non te li segnalo più perché sono delle stesse tipologie che ti ho già segnalato.

volti a volte felici
Volti e volte… piccola ripetizione che rovina questo momento commovente.

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Davide Di Tullio
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Re: Meat Doll

Messaggio#4 » lunedì 26 ottobre 2020, 21:52

Ciao Agostino

ho trovato il tuo racconto molto toccante. Mi piace l'alternanza di scena calda e scena fredda, con il protagonista che si mostra nelle trasformazioni e nella sua quotidianità solitaria. Sullo stile ci sono margini di miglioramento. Potresti puntare a ripulire il testo un po' di aggettivi, rendendolo ancora più fluido. Eviterei poi la parte in giapponese. In una sceneggiatura cinematografica funzionerebbe, perché verrebbe interpretata e ne sentiremmo il suono. Qui no. diventa solo il pedante passaggio in una lingua sconosciuta. Anche l'incipit forse potrebbe essere sistemato, provando ad anticipare il conflitto nelle primissime batture, conflitto che, seppur accennato, non diventa mai l'elemento cruciale del racconto. Ed è forse questo il difetto più grande del tuo scritto. Di fatto il protagonista mostra il suo disagio di bambola di carne, ma resta sempre al di qua dal trovare una soluzione. La protagonista comincia come una bambola di carne e finisce come bambola di carne.

a rileggerci!

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Polly Russell
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Re: Meat Doll

Messaggio#5 » mercoledì 28 ottobre 2020, 11:47

Molto buona questa prova, Ago. Non conoscevo questo tuo lato romantico e sensibile. C’è un po’ di confusione all’inizio, quando impersona Angel, a un certo punto rientra in bagno, torna se stesso, poi invece è di nuovo Angel.
La parte del sadico avrebbe più senso se specificassi quanto era importante per il richiedente che fosse sua moglie ad essere dominata. Con quello che deve costare una procedura del genere, immagino avrebbe potuto pagarsi una vagonata di squillo esperte nella pratica. Quindi porrei un’accento su quanto lui volesse proprio la moglie, altrimenti sembra una cosa messa lì per regalarci un po’ di violenza. Pratica che io apprezzo n intendiamoci, ma tutti dicono che debba essere motivata: quindi...
Ho trovato più struggente la parte del vecchio giapponese che il suicidio del protagonista, davvero bello. Un amore è una forza incredibili, descritto in maniera ottima.
Qualche aggettivo in meno, qua e là, per il resto, davvero buono.
Polly

Elliott
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Re: Meat Doll

Messaggio#6 » mercoledì 28 ottobre 2020, 19:43

Il racconto è incredibile. Mi è piaciuto moltissimo sia la narrazione che l'idea. Molto funzionale anche l'alternare i pensieri della protagonista con quello che è il momento del lavoro, soprattutto l'uso del corsivo per differenziare questi due momenti. L'idea potrebbe diventare un libro bello e buono. Questo tipo di fantascienza fa molto black mirror. Fantastico
Elliott Toledo

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Re: Meat Doll

Messaggio#7 » mercoledì 28 ottobre 2020, 21:18

MentisKarakorum ha scritto:Ciao Agostino. Piacere di leggerti. Idea molto buona: mi ricorda un episodio di Futurama (in cui si usavano dei robot per fare la stessa cosa, dimmi se per caso ho colto la citazione). Davvero una trama eccellente. Ho qualche consiglio e qualche riflessione per eventuali miglioramenti.
La poesia in giapponese è un pochino fuori luogo, specie perché non c’è la traduzione. Io consiglio sempre di non pretendere che un lettore vada a cercare qualcosa su Google per capire qualcosa del racconto che sta leggendo: non lo farà e si perderà un pezzo (magari importante).
Gli inframmezzi in corsivo che raccontano l’ultima scena sono una scelta che ho visto anche nel tuo racconto in gara nell’Arena. Lì forse questo espediente funzionava meglio, qui è un po’ più confusionario. Sinceramente non ci vedrei niente di male a mettere tutto alla fine senza spezzarlo.
Si vede che stai cercando di scrivere in modo immersivo, ma ci sono diverse parti di raccontato. Ti segnalerò le più evidenti.
Il tema è secondo me centrato e compare nelle ultime righe, quando l’essere artificiale cerca di compensare la sua bruttezza col sangue del suo suicidio (al solo ripensarci il finale mi commuove ancora). Bellissimo. Lo dico davvero. Bravo.
Un lettore navigato si accorge che l’espediente di rendere l’aspetto fisico di un pdv in prima persona col riflesso di uno specchio è un cliché usato e abusato. Qui ne fai uso parecchie volte, andrei a correggere un pochino questo difetto.

Passo al commento puntuale.

Il mento barbuto trema leggermente.
“leggermente” è “Tell” purissimo. Meglio evitare sempre gli avverbi in “ente”.

Nella stanza si sente odore di pulito e di…arrosto?
Per uno Show Don’t Tell perfetto evita i verbi sensoriali. Uno non pensa di sentire, pensa quello che sente e basta.

aspetta un cenno di assenso prima di proseguire
Ancora “Tell”.

Mi passo la mano sul cappuccio di cuoio che ho in testa e sulla tuta che copre il resto del corpo.
Poi si capisce cosa intendi, però qui non è chiaro che il cappuccio copre interamente il viso. Direi piuttosto “un passamontagna” o una “maschera”

prendo due o tre capelli, poi gli restituisco la busta
Evita il “poi”, unisci le due frasi con una “e”

Preferirei restare qui fuori. Voglio sfruttare ogni momento a disposizione.
Anche qui si capisce solo dopo cosa intende e sul momento la frase suona oscura. La cambierei per esplicitare meglio il concetto. Qualcosa come: “Preferisco non allontanarmi, non voglio perdere tempo a camminare avanti e indietro”

prima che cominci.
Cominci cosa? Specificherei.

mani potenti
Potenti? Stanno facendo a pezzi qualcosa? Che vuol dire? Forse l’hai messo per esaltare la contrapposizione col tremolio, però servirebbe un elemento a mostrare il “potere” cui ti riferisci.

Angel…
Quei puntini mi hanno fatto pensare che il nome fosse pronunciato solo in parte (Angelo). Poi ho capito che era il nome completo. Userei un nome più neutro per evitare fraintendimenti, o toglierei i puntini.

Geme, poi mi salta addosso e mi abbraccia.
Questo “poi” spezza un po’ il fluire delle scene invece di favorirlo. In genere lo eviterei sempre, una buona virgola qui funziona meglio.

Le nuove memorie guidano istintivamente il mio volto sul suo torace
Se sono abbracciati come fa ad annusargli il torace? Meglio dire il collo.

Gli accarezzo le guance e lo faccio voltare verso di me.
Quando si è girato? E poi, non erano abbracciati?

Cerco di ricordare se ne ho altre in dispensa
Qui il personaggio si rivolge a una platea invisibile: purissimo “Tell”.

ceneriera
Portacenere?

mi fa sollevare la testa verso di lui.
La testa o il volto?

Si, Signore.
Refuso: Sì

usando i lunghi capelli castani come un guinzaglio
Specificare qui che i capelli sono castani è forzatissimo. Se mi trascinassero via per i capelli penserei solo al male cane, non al colore (e comunque al colore dei miei capelli non ci penso mai, perché so di che colore sono)

sussurra, girandomi attorno
Evita i gerundi nei beat.

dice
Finora hai usato la tecnica dei beat. Qui cadi nel (piccolo) errore di usare i dialogue tag anziché i beat.

Da qui in poi ci sono altri elementi di “Tell”, non te li segnalo più perché sono delle stesse tipologie che ti ho già segnalato.

volti a volte felici
Volti e volte… piccola ripetizione che rovina questo momento commovente.



Grazie del commento, Mentis, lo apprezzo molto. Si, ho presente l'episodio di Futurama: era quello dove Fry esce con Lucy Liu, giusto?
Si, hai visto giusto: una delle narrazioni che preferisco è quella che vede un 'incrocio tra due diverse linee temporali. In questo caso, l'idea era di incrociare una "linea narrativa" fatta di diversi episodi del lavoro del protagonista, atti a mostrare il suo immergersi nelle vite dei defunti e un'altra che ne mostrasse l'alienazione causata da questa immersione e dal contrasto tra i mille corpi che indossa e il proprio corpo, privato di qualsiasi elemento distintivo. Grazie per le indicazioni sul tell: sono pochi mesi che mi sto sforzando di ripulire il mio stile ed è evidente che ho ancora molta strada da fare.

P.s.: il protagonista (o la protagonista) non è una macchina, ma un essere umano dotato del potere di modificare il proprio codice genetico e modellarlo su quello che ingerisce, acquisendo, nel processo, i ricordi del donatore.
Alla prossima!!

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Pretorian
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Re: Meat Doll

Messaggio#8 » mercoledì 28 ottobre 2020, 21:22

Davide Di Tullio ha scritto:Ciao Agostino

ho trovato il tuo racconto molto toccante. Mi piace l'alternanza di scena calda e scena fredda, con il protagonista che si mostra nelle trasformazioni e nella sua quotidianità solitaria. Sullo stile ci sono margini di miglioramento. Potresti puntare a ripulire il testo un po' di aggettivi, rendendolo ancora più fluido. Eviterei poi la parte in giapponese. In una sceneggiatura cinematografica funzionerebbe, perché verrebbe interpretata e ne sentiremmo il suono. Qui no. diventa solo il pedante passaggio in una lingua sconosciuta. Anche l'incipit forse potrebbe essere sistemato, provando ad anticipare il conflitto nelle primissime batture, conflitto che, seppur accennato, non diventa mai l'elemento cruciale del racconto. Ed è forse questo il difetto più grande del tuo scritto. Di fatto il protagonista mostra il suo disagio di bambola di carne, ma resta sempre al di qua dal trovare una soluzione. La protagonista comincia come una bambola di carne e finisce come bambola di carne.

a rileggerci!



Grazie dei suggerimenti, Davide. Mi sono reso conto io stesso che il conflitto del racconto si disvelasse troppo tardi, ma mi sono trovato a fare le modifiche all'ultimo e non sono riuscito a fare di meglio. Biasimo su di me. In ogni caso, la vicenda non è pensata per avere una soluzione: il protagonista è bloccato tra i corpi che è costretto a vivere e il proprio fisico vuoto e anonimo e non ha modo di risolverlo.
Per quanto riguarda il giapponese, ammetto che non è stata un'ottima idea, però quella canzoncina mi tormentava da giorni e sentivo che DOVEVO metterla in un racconto, o avrebbe continuato a tormentarmi. XDXD

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MatteoMantoani
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Re: Meat Doll

Messaggio#9 » mercoledì 28 ottobre 2020, 22:05

Grazie del commento, Mentis, lo apprezzo molto. Si, ho presente l'episodio di Futurama: era quello dove Fry esce con Lucy Liu, giusto?
Si, hai visto giusto: una delle narrazioni che preferisco è quella che vede un 'incrocio tra due diverse linee temporali. In questo caso, l'idea era di incrociare una "linea narrativa" fatta di diversi episodi del lavoro del protagonista, atti a mostrare il suo immergersi nelle vite dei defunti e un'altra che ne mostrasse l'alienazione causata da questa immersione e dal contrasto tra i mille corpi che indossa e il proprio corpo, privato di qualsiasi elemento distintivo. Grazie per le indicazioni sul tell: sono pochi mesi che mi sto sforzando di ripulire il mio stile ed è evidente che ho ancora molta strada da fare.

P.s.: il protagonista (o la protagonista) non è una macchina, ma un essere umano dotato del potere di modificare il proprio codice genetico e modellarlo su quello che ingerisce, acquisendo, nel processo, i ricordi del donatore.
Alla prossima!!


Sì esatto l'episodio di Futurama era quello :)
Sì, quando dicevo essere artificiale intendevo proprio una persona biologica, ma immaginavo fosse stato in qualche modo fabbricato, da qui artificiale.
Rinnovo i complimenti e spero tanto che il tuo racconto venga valorizzato. Buona gara!

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