Riflettere prima di parlare

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo ottobre sveleremo il tema deciso da Debora Spatola. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
Elliott
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Riflettere prima di parlare

Messaggio#1 » domenica 18 ottobre 2020, 23:39

Salii le scale che portavano alla mansarda polverosa di mia nonna. Non le avevo mai sopportate. Era al contempo tutto così perfetto e al suo posto, così preciso e ordinato, ma completamente coperto di polvere. Il vecchio divano, gli sgabelli tarlati, le dispense prive delle vetrate colorate che le adornavano quando venivano usate giornalmente. Sarebbe stato il paradiso per un acaro gigante. Tremendo. Ma ero li per un altro motivo. Lui era li. Lui mi aspettava. Sollevai le scale a pioli e sigillai quel loculo di vecchi ricordi in cui mi trovavo. Ora era un posto sicuro. Mi avvicinai al centro della stanza e presi la coperta di lana grossa e nera che lo nascondeva alla vista.
“Eccoti!” urlai trionfante, come presentando uno spettacolo teatrale ad un pubblico febbricitante. Mi guardava senza alcuna sorpresa sul volto, nessun cenno di sgomento, nulla.
“Hai sentito la mia mancanza?” sussurrai sardonico. Una leggera espressione di scherno si dipinse sul suo volto, come se volesse scrollarsi le mie parole di dosso.
Presi un sgabello tarlato, lo spolverai alla buona con la mano e mi sedetti direttamente di fronte a lui.
“Non parli eh? In fondo ad ogni nostro incontro non hai mai detto niente, ma come potresti? Non hai mai avuto fegato” continuai fissandolo senza battere ciglio, sempre più presuntuoso, con un filo di rabbia. Lo odiavo, con tutto me stesso, con tutta la mia mente. Avrei voluto prendere quelli zigomi rosati e perfetti e strapparglieli, così da non farlo ridere più. Niente più risate false, niente più menzogne, niente più sorrisi di circostanza mendaci. Solo il dolore e lo sguardo di terrore. Ma non potevo farlo. Quantomeno, non ancora.
“Zitto zitto, ti insinui nelle vite degli altri...” dissi e il suo volto iniziò a vibrare, una vibrazione di preoccupazione. Evidentemente sapeva dove volevo andare a parare. “...e poi ti stanchi, ti stufi, e distruggi tutto.”
Mi alzai dallo sgabello e continuai: “Quel ragazzo in fondo alla via ad esempio. “Siamo amici” gli dicevi, “ti guardo io le spalle” lo rincuoravi e “fidati di me” dicevi, e poi eri assieme agli altri compagni di lavoro a ridere quando gli versavano l’acqua bollente sulla schiena”.
Finalmente iniziava a guardarsi attorno nervoso. Non avevo intenzione di smettere ed avevo appena cominciato.
“E quella bella giovane che si era invaghita di te? Te la ricordi? Piuttosto bruttina certo, ma quanto era gentile! Ti veniva a prendere a casa e ti portava ovunque le chiedessi di andare. Non si faceva mai problemi. Coccinella era il suo soprannome. Soprannome che tu le avevi dato. Lei era convinta fosse una cosa carina, quasi una carezza che tu le facevi ogni volta che la chiamavi con quel nome. E lei sognava, sognava di poterti stare vicino. Non ti ha mai chiesto nulla in cambio. Però lei non sapeva la vera ragione per cui la chiamavi coccinella. Era per i nei che aveva sul viso. Che bastardo, prendere in giro una ragazza così gentile. Sai cosa ne è di lei ora?” dissi sedendomi nuovamente.
Il suo respiro si era fatto leggermente più affannoso e io continuai: “Quei tuoi amici buontemponi la hanno portata nel retro di un vicolo e l’hanno costretta a grattarsi. Con la paglietta per le pentole. Certo solo dopo averla violentata, sono stati molto carini e premurosi in fondo. E gridavano poi, in coro “adesso si che è una coccinella”! Ma si può essere così stupidi? Comunque non è successo una sola volta. É in riabilitazione, o così la chiamano. In sostanza la tengono chiusa in una stanza imbottita con le mani legate in modo che non possa tagliarsi le vene dei polsi. Oh certo! Anche la bocca imbavagliata, dato che aveva provato più di una volta a strapparseli a morsi dato che i tagli non erano abbastanza efficaci.”
Rabbrividì al pensiero di quella donna. I suoi capelli erano come fieno, raccolti sempre in una sbilenca coda di cavallo. Era perennemente in disordine, con un lembo della camicia spiegazzato o fuori dal pantalone, i bottoni della giacca delle volte abbottonati partendo dal bottone sbagliato, le maniche troppo larghe per la sua corporatura minuta sporche di quello che aveva mangiato a pranzo. Ma era gentile, era gentile come poche persone. La vita che aveva vissuto mi era chiara solo in parte. Il padre voleva un maschio e non mancava mai di farglielo pesare. Quando cercava di truccarsi per piacersi di più, o quando da bambina voleva dedicarsi alla danza. “Cosa pensi di migliorare con il rossetto? Sgualdrina, come tua madre!”, “Hai due piedi destri!”, “I maschi non fanno queste cose” le diceva. La madre guardava da lontano senza dire niente, troppo annebbiata dal vino e dalla sua insicurezza, ereditata poi dalla figlia.
Alzai la voce: ”Mai un gesto di affetto, mai un soddisfazione, mai un complimento. Per questo alla prima persona che le aveva rivolto una parola diversa dalle grida e dal rimprovero, era rinata, pensava che forse una cosa buona c’era, che forse aver dovuto sopportare la sua maledetta famiglia era il prezzo da pagare per iniziare a provare un po’ di sollievo, o addirittura un pizzico di felicità. Aveva riposto in quella persona apparentemente cortese quel unico barlume di speranza che le rimaneva. Schiacciata dall’inerzia della mera sopravvivenza aveva incontrato te e il suo cuore aveva ricominciato leggermente a riprendere vita. Peccato che quella persona eri tu.”
Di fronte a me iniziava a manifestarsi qualcosa. Sapevo che iniziava a sentire una pressione, un peso sul suo petto, dove al posto del cuore c’era un bidone dell’umido. Lo sapevo bene, era lampante, chiunque ad occhio nudo lo avrebbe notato. Ma si sforzava di fare il gradasso, voleva mantenere freddezza e dignità, inutilmente.
Tolsi un po’ di polvere dai miei vestiti scuotendo la coperta che ancora stringevo forte tra i pugni e mi rimisi a parlare: “Fossero le uniche a cui hai rovinato la vita. Il signore per cui lavoravi due anni fa? I prodotti gli sparivano dal negozio e lui pensava che entrassero di notte i ladri a portagli via poche cose alla volta, con l’intenzione di non destare sospetti. Se porti via tanto, si nota tanto, se porti via poco, si nota poco. Che furbata! Il ladro era dentro invece! Quante cose hai portato via a quel pover’uomo eh? E lui non ha mai neppure pensato che quel bravo ragazzo che lo aiutava a scaricare la merce era la serpe che lo rovinava. Che stupido! Che stupido a credere nella tua onestà! Ma cosa sarà mai, dico io, a far si che la gente ti dia retta! Sarà perché sei belloccio, il capello biondo e curato, sempre con la schiena dritta, gli occhi grandi e celesti! Proprio il classico principe azzurro, amato da tutte le fanciulle, stimato da tutti i signori, un’elegante ragazzo della famiglia buona, sempre alla moda, di buon gusto, con il sorriso da spot televisivo. Magnifico! Bellissimo! Il bell’Antonio moderno! Ma che giacca sopraffina che indossa! Quali stivali di marca, deve essere ricco! Che portamento! Che intelletto!”
Inizia a ridere convulsamente, portandomi la coperta sul viso e anche lui iniziò a ridacchiare, come se fosse un atto, una farsa, una barzelletta così poco acuta da far ridere per la sua demenza e non per la sua comicità.
“Cazzate!” tuonai. Lui raggelò e smise di ridere, irrigidendo la schiena e le gambe.
Continuai quasi urlando: “Ma ci hai mai pensato a quanta distruzione hai portato con le due “innocenti bravate”, eh?! Prova a pensare, a una sola persona a cui hai migliorato una giornata, non dico la vita, ma anche solo una giornata! La verità è che nessuno ti vuole intorno. E poi mi dici che diavolo è questa mania degli abiti gialli? “Non esco mai di casa se non ho almeno un capo d’abbigliamento giallo!” è questo il tuo motto vero? Che cosa idiota! Perché ti porta fortuna, certo. Il farfallino giallo, la camicia canarino, le scarpe limone. Ma che diavolo? Sembri una banana ambulante! Anche ora sei conciato così. È solo perché vuoi distinguerti non è vero? Perché apparire non ti fa pensare a quello che fai, perché scegliere gli abiti nuovi, comprare compulsivamente vestiti sempre diversi, ma sempre rigorosamente gialli, non sia mai, ti da la febbre della novità. Un bellissimo contenitore e un pessimo contenuto! Sembri un bidone del secco residuo. Sempre lucido da fuori, dorato e baciato dai raggi del sole, ma dentro ci sono solo le cose che nessuno vuole, i rifiuti, la spazzatura. Sei uno bellissimo sacco dell’immondizia. Sono sicuro che quella ragazza è caduta ai tuoi piedi pure per questo motivo. Perché fuori sei pura magia, un adone fulgido, splendido Apollo. Ma perché non fai come lei? Perché non la fai finita? Fai un favore a tutti…”
Dalla schiena trassi un coltello seghettato e glielo portai al collo. Lui mi guardava con aria di sfida.
“...e dacci un taglio!” dissi mimando il gesto di sgozzarlo. Lui non resse e iniziò a piegare i lembi delle labbra. Voleva iniziare a piangere. Stava crollando.
Non potevo e non volevo fermarmi: “Pensaci un attimo. Sarebbe un bene per tutti non credi? Guarda la miseria che ti lasci dietro. Tua sorella si spacca la schiena per mantenerti e tu la tratti come una schiava. È solo perché ha promesso ai tuoi genitori sul letto di morte che si sarebbe presa cura di te che lo fa, altrimenti, oh te lo assicuro, non alzerebbe un dito. Tanto è l’amore suo verso la tua defunta madre e il tuo defunto padre quanto l’odio che prova per te. Lei lo sa che non vali niente. Lei lo sa che tutte le attenzioni doveva riceverle lei perché lei le meritava. Era lei che doveva diventare un brillante avvocato, ma invece guarda un po’ chi ha avuto tutte le grazie? Tu, bastardo! Starebbe tutti meglio senza di te, non saresti più un peso per lei, come lo sei stato per i tuoi genitori, i tuoi colleghi non dovrebbero rivedere la tua brutta faccia, sempre allegro, sempre al settimo cielo. Che essere rivoltante. Non meriti niente. Niente!”
Iniziò a singhiozzare. L’armatura era ormai rotta.
Mi alzai in preda all’ira. Come poteva aver avuto al faccia tosta di non chiedere mai scusa, di non dire mia grazie? Ogni giorno sua sorella, lo svegliava e gli dava un bacio sulla fronte. Da quando i suoi erano morti era stata come una madre. Non aveva mai perso un giorno di lavoro, perché sapeva che da questo dipendeva il benestare del fratello. Ogni giorno gli preparava la colazione e mentiva “Ho già mangiato, serviti pure”. Non sapeva come il fratello potesse permettersi vestiti tanto costosi ma non le importava, se lui stava bene, lei era contenta. Forse era solo abile a trovarli scontati, forse sembravano sfarzosi ma erano delle contraffazioni, come quelle belle imitazioni a basso prezzo che lei sognava quando andava a fare la spesa, davanti alle vetrine cristalline tempestate di cartelli che annunciavano i saldi. Lei sapeva quali erano le priorità e non si concedeva mai un lusso. Aveva imparato che la famiglia era la cosa che più era importante, perché così le ripeteva sua madre, fin da bambina. Non aveva mai avuto un singolo dubbio sul suo ruolo e sui suoi doveri. Lei è sempre stata bellissima. Non tanto per il suo aspetto, ma per i suoi modi, la sua dedizione. Quando sorrideva, la fossetta sulla sua guancia destra le dava un’aria tenera, sincera, quasi quella fossetta indicasse che la sua gioia era vera, di cuore. E sul suo viso, quella fossetta c’era sempre.
Sbattei il coltello sullo sgabello e lo lasciai, osservando i movimenti di quell’animale. Prese il coltello in preda ad un pianto convulso e mi guardò intensamente.
“Fallo!” gridai. Lui avvicinò la lama ai polsi e iniziò a premere ma era esitante. Rinunciò a quel metodo e testò la lama con il pollice. Immediatamente il polpastrello cominciò a sanguinare. Era sicuro che quella lama avrebbe tagliato qualunque cosa.
“Puoi anche pugnalarti se preferisci, ma non i polsi. Se ti tagli quelli, potresti anche salvarti. Deve essere una cosa veloce e irreversibile. Sarà una liberazione, fidati. Niente più sensi di colpa, niente più spese inutili per te, nessuna persona rimarrà ferita. Certo, nessuna a parte te. Ma chiamarti persona mi sembra un pochino troppo lusinghiero non trovi? Un colpo secco qui, o qui” dissi indicando prima il petto e poi il collo. Si tastò il collo cercando la vena che pulsava di più. La trovò dopo qualche secondo e il suo pianto aumentò. Si portò il coltello sotto il mento e provò il movimento, giusto per essere sicuro di non sbagliare. Doveva essere un taglio netto, perché al sentire un dolore minore, poteva anche ripensarci e lasciare il lavoro a metà. Il suo respiro si fece molto affannoso e pesante, la mano gli tremava. Lo guardavo con gli occhi sbarrati e pensando tra me e me “Sarà una liberazione! Fallo! Liberati! Liberati! Liberati!”
All’improvviso una voce ci colse di sorpresa. Era lontana e familiare: “Sono tornata! Scendi che ceniamo!”
Mi asciugai in fretta le lacrime e rimisi il coltello dietro la schiena, assicurato dalla cintura. Risposi: “Arrivo sorellona”. Mi aggiustai il farfallino giallo, raddrizzai la camicia canarino e battei a terra gli stivali limone che calzavo per levare la polvere rimasta. Presi la coperta di lana grossa e coprì rapidamente lo specchio opaco e sporco che mi aveva tenuto compagnia nell’ultima mezz’ora, trascinando così assieme a lui, nelle tenebre di quella polverosa mansarda, ogni parola, ogni intenzione, ogni pensiero, ogni colpa.


Elliott Toledo

Elliott
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Re: Riflettere prima di parlare

Messaggio#2 » domenica 18 ottobre 2020, 23:41

Aspiro ai bonus:
1)personaggio stravagante
2)prima persona
Elliott Toledo

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Mauro Lenzi
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Re: Riflettere prima di parlare

Messaggio#3 » sabato 24 ottobre 2020, 22:42

Ciao Elliott,

credo che nelle tue intenzioni il punto di forza di questo racconto dovesse basarsi sul colpo di scena finale.
Se è così attenzione, perché il rischio è che poi il racconto perda di mordente se il lettore conosce già - o a un certo punto intuisce, come è capitato a me - dove la storia va a parare.
Il titolo, appropriato, può fare da spoiler. Nel mio caso no, mi sono insospettito al protrarsi del solo monologo, di fronte alle espressioni, ma ai continui silenzi, della controparte... che ho intuito essere uno specchio.
Tra parentesi, ci ho rivisto l'interpretazione di Dafoe - Goblin in Spiderman.

L'idea mi è comunque piaciuta: un tizio che allo specchio si accusa delle nefandezze su cui ha costruito la propria vita. Ma credo che sarebbe più adatta a un racconto molto breve, come quelli da 4200 battute circa di Minuti Contati.
Qui purtroppo è un lungo monologo, tra l'altro con una sovrabbondanza di parole, che risulta molto pesante. Un altro problema del monologo è che non porta a un vero conflitto. Si assiste al protagonista che minaccia un tizio: il quale essendo totalmente passivo, e comunque vittima, non ha un vero mordente; e non si riesce a empatizzare né con l'uno né con l'altro.

La cattiveria del personaggio appare infine caratterizzata da tante piccole storie. Ma sono slegate tra loro, senza che delineino un quadro preciso della mentalità di quest'uomo. Inoltre, cosa da non sottovalutare, le sue malefatte dovrebbero andare in crescendo.

Spero che questi miei suggerimenti ti siano utili. Per quanto posso avere intuito, con uno studio delle basi di stile e di narratologia (ti do alcuni agganci: show don't tell, temperatura delle scene, empatia, fatal flaw del personaggio e suo arco di trasformazione) credo che ci sia il potenziale per migliorare facilmente e di molto.

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Fagiolo17
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Re: Riflettere prima di parlare

Messaggio#4 » domenica 25 ottobre 2020, 11:24

Ciao Elliot,
l'idea del tuo racconto mi è piaciuta, ma ho trovato delle cose nel testo che mi hanno fatto storcere il naso.
In prima battuta essendo condotto dal dialogo risulta molto raccontato. Il protagonista racconta al "cattivo" una serie di avvenimenti e si perde in immersione.
Seconda cosa mi risulta troppo lungo. Essendo un monologo più che un dialogo e così raccontato perde di verve e il ritmo cala.
Hai usato molti avverbi in -mente (almeno una quindicina) che non dico vogliano evitati come la peste, ma andrebbero ridotti al minimo se non assolutamente necessari.
Alcune frasi sono un po' ridondanti, ad esempio "Lo sapevo bene, era lampante, chiunque ad occhio nudo lo avrebbe notato." non aggiunge niente al testo, è troppo vaga e può essere tolta senza inficiare sulla qualità del racconto.

Il signore per cui lavoravi due anni fa.
Il tuo capo? Datore di lavoro?

Tanto è l’amore suo verso la tua defunta madre e il tuo defunto padre quanto l’odio che prova per te.
Questa frase è molto contorta. L'ho dovuta leggere due volte e rimane comunque è legnosa, non scorre bene.

Aveva imparato che la famiglia era la cosa che più era importante.
Anche questo è un giro di parole: aveva imparato che la famiglia era la cosa più importante.

Era sicuro che quella lama avrebbe tagliato qualunque cosa.
Perchè ne era sicuro? Dammi un dettaglio. Sgrana gli occhi? Appena la sfiora sgorga subito il sangue? Così me lo stai dicendo ma non me lo stai facendo vedere.

Mi asciugai in fretta le lacrime e rimisi il coltello dietro la schiena, assicurato dalla cintura. Risposi: “Arrivo sorellona”. Mi aggiustai il farfallino giallo, raddrizzai la camicia canarino e battei a terra gli stivali limone che calzavo per levare la polvere rimasta. Presi la coperta di lana grossa e coprì rapidamente lo specchio opaco e sporco che mi aveva tenuto compagnia nell’ultima mezz’ora, trascinando così assieme a lui, nelle tenebre di quella polverosa mansarda, ogni parola, ogni intenzione, ogni pensiero, ogni colpa.
Qui me lo spieghi troppo. Devi farmelo capire che stava parlando con sè stesso, però sarebbe bastato un dei tre dettagli del vestiario e lui che copre lo specchio, senza lo spiegone della mezz'ora di compagnia e via dicendo. Più liscio e pulito.
Ciononostante il colpo di scena mi è piaciuto un sacco. Lo avevo intuito qualche battuta prima del finale, ma non troppo presto, quindi mi sono goduto la scena e mi sono chiesto chi potesse essere finchè non ho realizzato che probabilmente era davanti a uno specchio. Ma come scrivevo sopra il racconto è troppo lungo. Non puoi tenere nascosto per così tanto tempo l'evidenza senza che il lettore si senta infastidito o si renda conto del perché non gli stai dicendo chi è il tizio davanti a lui e perché reagisce così poco.
Una buona prova, con spazio di miglioramento sistemando qualche dettaglio qua e là.
Alla prossima.

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Proelium
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Re: Riflettere prima di parlare

Messaggio#5 » domenica 25 ottobre 2020, 11:29

Ciao Elliott,
anch’io mi collego a quanto detto da Mauro. Idea interessante, ma si dipana in maniera poco fluida, soprattutto nella parte centrale che dovrebbe essere il cuore del racconto. E ritardare così tanto l’evidenza dello specchio, di cui comunque è facile sospettare, crea un’attesa inutile che porta a non seguire con interesse ciò che la precede. Non è una critica cattiva: ho usato anch’io un io narrante che non ha funzionato granché, scene elusive e troppo slegate tra loro. Perché non provi, intanto, a portare tutto al tempo presente? Ho immaginato di leggerlo così e noto già un miglioramento. Il risultato non è dei più disperati, ma c’è anche tanto di meglio da leggere. I bonus ci sono. Alla prossima!

andyvox
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Re: Riflettere prima di parlare

Messaggio#6 » domenica 25 ottobre 2020, 19:41

Ciao Elliott,

sono d'accordo con i commenti che mi hanno preceduto: l'idea è buona, ma è difficile riuscire a farla reggere per un racconto così lungo senza produrre delle lungaggini e degli inevitabili cali di tensione. Anche caricando molto le nefandezze del protagonista, l'assenza totale di dinamismo alla lunga risulta un po' stancante. Una menzione speciale per il titolo, devo dire che io l'ho trovato geniale.

Alla prossima
Andrea Pozzali

Elliott
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Re: Riflettere prima di parlare

Messaggio#7 » mercoledì 28 ottobre 2020, 20:03

Grazie mille per i vostri pareri. In effetti il racconto risulta essere un pochino troppo lungo per quello che racconta e indubbiamente devo ancora inquadrare bene come descrivere alcune cose e come ordinarle nel testo. Per quanto riguarda la narratologia, non sapevo neanche esistesse questa disciplina, quindi un grazie molto sentito per avermi dato questo spunto da cui poter apprendere di più.
Elliott Toledo

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MatteoMantoani
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Re: Riflettere prima di parlare

Messaggio#8 » mercoledì 28 ottobre 2020, 20:07

Ciao Elliott. La disciplina esiste ma è difficile trovare qualcosa in italiano. Ti consiglio i manuali di Show don't Tell, o in italiano Narrativa Immersiva. Su questo c'è qualcosa di più, e ho l'impressione che i frequentatori di questo forum (me compreso) abbiano molto a cuore queste regole. Spero che il mio suggerimento ti sia utile. Buona fortuna, buon lavoro e soprattutto buon divertimento.

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