Effimera

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo ottobre sveleremo il tema deciso da Debora Spatola. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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Pietro D'Addabbo
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Effimera

Messaggio#1 » lunedì 19 ottobre 2020, 0:01

La pioggia, spinta da un vento incostante, picchia a scrosci sulle vetrate, ricorda il riflusso del mare sulle scogliere emerse di Atlit. La porzione superiore della finestra, basculante, è aperta, lascia entrare un piacevole odore sulfureo che si mescola a quello del wakame.
«La sabbia del mare, le gocce della pioggia e i giorni del mondo chi potrà contarli? »
Odori, sapori e proverbi di casa. La nostalgia è intensa, ma fugace.
Questa leccornia dovrebbe restare una fantasia, non trovarsi sul desco. Andrebbe dimenticata, il conto quasi in rosso parla chiaro. Presto il bar dovrà chiudere.
Brutta cosa somatizzare i guai, le branchie prudono, di nuovo. Lo specchio non mente, l’irritazione sul collo sembra voler competere con il conto in banca. La sciarpa imbevuta di AniSol torna ad avvolgerle, fasciando e nascondendo. L’odore intenso, troppo chimico, del farmaco spegne ogni fantasia nostalgica e rovina anche il retrogusto delle alghe.
Il sollievo invece è quasi immediato, per fortuna.
Lo spray torna nella specchiera del bagno. La vasca è degna di un’occhiata ma dovrà attendere l’ora di chiusura.

La parvenza di risacca, ipnotica, attira lo sguardo che cade in strada, appena un piano più in basso. Non si vede passare anima viva. Solo qualche droide dall’andatura compassata o le scie saettanti e luminose di qualche veicolo. Le gocce fitte e insistenti, deliziosamente acide, scoraggiano gli umani, ammazzando l’architettura precaria e barocca delle acconciature di moda fra di loro.

Il neon dell’insegna sfarfalla un po’, basta una crepa nella guaina indurita dell’ultima lettera e l’acqua arriva a fare i suoi danni. Con la D a mezzo servizio c’è solo un MERMAI ad invitare i clienti ad entrare. Da settimane sono in pochi a farlo, ogni giorno che passa affonda una barca di soldi e perdo squame su squame. Il fegato rode, la pioggia è bella ma non vuole smettere, i debiti crescono e la speranza scema. Rilevare il bar durante i primi giorni di pioggia è sembrato un vero affare. Un pinguino in mezzo alle orche che si illude di essere al sicuro perché è in vacanza alle Galapagos. Che fesso.

La consolle di sorveglianza mostra il bardroid dietro il bancone. E’ in stand-by da più di tre ore, custodisce la sala vuota. Il monitor scandisce la sconfitta, ribadisce ad intermittenza gli zero zero cinque clienti entrati questa sera. Se quel contatore avesse bisogno di tutte e tre le cifre, questo posto sarebbe una cornucopia di crediti, con le finanze di un piccolo stato dell’Eurasia. Lo era, prima che cominciasse la pioggia, prima che acquistassi.
Pessimo il tempo, peggiore il tempismo.

I talloni finiscono sul piano della consolle, l’attesa per lo più inutile sarà lunga.
“Report: Accesso numero sei.”
L’assistente vocale annuncia l’ingresso di un cliente. So tutto di lui senza guardare lo schermo: mutante, biotec e tassista, ha bisogno della ritirata e pagherà uno scaldabudella senza lasciare mancia. Come gli altri cinque.
“Report: umana, giovane adulta.”
I talloni tornano a toccare il suolo e gli occhi cercano conferme sui monitor. Lo scanner è stato riparato da poco, mangiandosi un’altra piccola fetta di risparmi già al lumicino. Non può aver sbagliato.
La consolle sta già sciorinando statistiche: 95% di probabilità che ordini Koronju -tutti gli ingredienti disponibili in deposito-, 80% che gradisca l’ultima hit musicale, 70% di probabilità che ordini un secondo Koronju se allettata dalla colonna sonora e da uno sconto ‘del giorno’. Per risollevare le sorti del bar di clienti come lei ne basterebbero una decina ogni giorno. Anche un giorno su due.
Vedo l’impermeabile che si avvicina al bardroid, una chioma liscia di capelli biondi fino alle spalle. La pioggia deve averle sciolto il gel modellante. Del profilo vedo solo un naso pallido.
“L’offerta è approvata.”
La consolle conferma di aver inteso, attendeva le parole chiave per avviare la procedura proposta. Il droide si attiva, riferisce dello sconto e attende l’ordinazione. Vantaggi dell’automazione e di un buon database. Un’altra spesa pesante, che doveva ripagarsi rapidamente. Se davvero ordina un secondo Koronju, sarà il primo passo in quella direzione.
“Report: richiesta non riconosciuta.”
Anche sul monitor campeggia il messaggio d’allerta: richiesta non riconosciuta.
Strano, il bardroid ha in lista centinaia di cocktail e una connessione in rete per gli aggiornamenti istantanei. La richiesta è registrata, l’audio inoltrato alla consolle. La prima volta la voce esce dalle casse troppo flebile, la seconda una singola parola diventa comprensibile.
“Aiuto”.
La telecamera inquadra il bancone, la donna si accascia lentamente al suolo.
“Attivare il Protocollo medico!”
“Il protocollo medico non è implementato su questa consolle. E’ disponibile per il download.”
I crediti richiesti lo rendono un prezzo esorbitante, una cifra superiore a quella sul conto.
Accanto al corpo della donna si allarga una macchia di liquido scuro, che gli hooverdroid stanno già ripulendo, pur evitando di toccarla. Il bardroid ancora in attesa di preparare un cocktail che conosca.
Se muore nel bar, si aggiungerà l’accusa di occultamento di prove a quella di omissione di soccorso.
“Possibilità di pagamento in quarantasette comode rate mensili. Poggiare l’indice sul bioreader e confermare l’opzione.”
“Confermo. Protocollo medico, acquisto rateale.”
Una leggera puntura, una goccia di sangue finisce nei capillari del rilevatore, l’identità associata al conto è confermata. Un rene non lo vuoi, vocina infernale?
“Upload del protocollo sul bardroid. Esecuzione immediata, non verbosa.”
L’assistenza comincia, finalmente. Un paio di panche imbottite del bar accolgono l’umana dopo essere state affiancate, una sistemazione per la quale non potrà lamentarsi finchè rimane incosciente. Incrociare le dita non serve, sapere che combina il droide nemmeno: la fisiologia umana è troppo complessa.
I debiti passano da mareggiata a tsunami, finire in prigione forse non era l’opzione peggiore. Perché i guai si sommano ai guai, persino quando cambi pianeta per ricominciare da zero?
Il collo ha di nuovo bisogno di un’altra dose di AniSol. Forse due.
Ciononostante il sollievo questa volta non è così immediato.

Emergenza medica in corso: le porte del locale sigillate per la fumigazione, di clienti per questa sera non ne entreranno più. La donna ha una specie di maschera per la ventilazione assistita, ricavata da una tanica di materiale plastico ed un tubo con serbatoio a fisarmonica, di quelli per il travaso dalle botti. Non sembra che abbia subito altri interventi, a parte la rimozione di tutti i vestiti. La pompa di calore è stata destinata all’asciugatura oltre che al riscaldamento dell’ambiente.
La consolle mostra quel corpo umano perfetto, candido, addirittura privo di qualsiasi nevo. Non c’è traccia d’inchiostro sulla pelle, pare una tela grezza, nuova. Non ha il minimo orpello metallico né fori da cui il droide potrebbe averli rimossi. Il report dell’assistente vocale cita terminologie mediche e percentuali varie con valori fluttuanti. C’è ben poco che un abitante di Atlit possa comprendere appieno in questo linguaggio che sembra iniziatico, ma il messaggio è ugualmente chiaro: l’umana non rischia la vita. Occorre attendere che si svegli da sola. Nessuna assistenza esterna è stata allertata.
Lo sguardo indugia sul monitor, è solo curiosità. Troppo umana perché stimoli la fantasia e gli ormoni, eppure deve essere il tipo che va per la maggiore fra quelli della sua razza: fisionomia del volto e del corpo ricordano qualcosa, potrebbe essere una modella, di quelle che occhieggiano i passanti dalle gigantografie pubblicitarie.
Un corpo come quello deve costare parecchio, fra creme, palestre, diete speciali. Potrà accordare una ricompensa? Illuso.

Un pulsante vira il monitor sul notiziario. La maggior parte delle notizie si può riassumere con una parola: piove. Sport all’aperto sospesi, comunicazioni intercittadine rallentate, commercio e industria dell’intrattenimento in crisi profonda. Quasi ogni notizia ruota intorno a questa pioggia, come la vita di tutti ormai.
In coda una breve appendice di pettegolezzi, piuttosto annacquati anche loro, ma la sedia sotto le natiche diventa rovente. Una starlette è scomparsa, una giovane cantante. Congelare l’immagine permette di osservare bene quel volto, è la donna di sotto, riversa sulle panche del bar. Ha saltato un concerto, è rinchiusa in un centro di cura per improvvisi problemi di salute. Tutto falso. E’ qui, impossibile avere dubbi dopo aver bipartito lo schermo e confrontato immagine e realtà.
E’ lei la ciambella di salvataggio che permetterà a questo fallimento di sopravvivere? Potrebbe davvero esserci una ricompensa per averla aiutata!
Ma perché mentire sul luogo in cui si trova?
“Ricerca modalità di contatto: Casa di Cura Madre Paola da Bombay.”
Il testo è dettato in pochi istanti, la foto del volto allegata, la missiva digitale inviata subito dopo. Nemmeno il tempo di tornare a guardare quel volto ed arriva una risposta due sole righe. La prima laconica ma chiara.
“Attendere istruzioni. Mantenere riserbo. Congrua ricompensa.”
La seconda aggiunge una posticcia cordialità a quelle parole asettiche.
“Grazie per la segnalazione.”
Se qualcosa ha portato nel bar quella donna, è il karma. Non poteva andare tutto talmente storto senza qualcosa che intervenisse a ripristinare l’equilibrio.

Questo è un nuovo inizio, il wakame tornerà sul desco tutte le sere, finalmente, a partire da subito. Porzione doppia, consumata in vasca. L’acqua ribolle, l’AniSol invade la stanza con il suo odore pungente, la cena scende in gola. Le squame luccicano, i muscoli fremono, le branchie respirano libere, la mente è finalmente leggera. Dilatare le pinne sugli avambracci è la quintessenza del piacere, nella vasca non c’è nulla che possa danneggiarle, le punte scivolano sulla ceramica senza impigliarsi o rovinarsi.
La vetrata implode.
Miriadi di schegge della finestra volano verso il volto, gli occhi, le braccia protese, rimbalzando sulle squame. Una nuvola di fumo si spande, fuoriuscendo da un cilindro metallico, aggiungendo ulteriore solfuro a quello già presente. Quel che sta per accadere è stampato nella mente come fosse impresso a fuoco; la ragione, per il momento, invece rimane oscura.
Non è più il momento di rilassarsi.
Il cilindro fumante è già sotto un asciugamani quando un paio di anfibi neri irrompono dalla finestra in frantumi. Le ritmiche esplosioni di un AX32 spingono un nugolo di proiettili nell’acqua della vasca, spaccando la ceramica, ottenendo null’altro che spargere acqua dovunque.
Il tubo metallico del doccino è una frusta, travolge i polsi che reggono l’arma. Stringere il collo rimanendo alle sue spalle e colpire l’incavo delle ginocchia è un riflesso condizionato, il liquido sul pavimento aiuta la manovra. L’assalitore è spacciato. Ma non è il solo. Altre vetrate sono implose, nelle stanze vicine.
L’AX32 a lui non gli servirà più. I colpi ci sono ancora, più di metà del caricatore.
Quando la porta del bagno comincia ad aprirsi, ne partono una mezza dozzina. Perforano il legno, abbattono il bersaglio oltre quella inutile barriera.
Nebbia solfurea anche nell’altra stanza. Gli assalitori non sapevano di che razza fossi. Ostacolano la propria vista costringendosi ad indossare maschere. Occhi annebbiati dal pianto e polmoni in fiamme quel che cercano di ottenere. Contano su un vantaggio tattico, mentre minano il terreno a mio vantaggio.
Ce ne sono altri due armati a questo piano. Uccidere il più vicino richiede due raffiche. L’ultimo spara all’impazzata, i danni al mobilio fanno lievitare il debito. La ricompensa dovrà essere molto più che congrua per rimettere tutto a posto. La sua arma esaurisce i colpi. I miei centrano il bersaglio. Tute anonime, armamentario standard. Nulla che dica chi sono.
Una consapevolezza improvvisa e folgorante, è lei che vogliono.
Il messaggio era una tattica diversiva, per tenerla ferma qui, impedire che venisse spostata. Piano militare, entrare dal piano superiore per superare la blindatura per la fumigazione ha un’unica facile via d’accesso, la porta e la scala che portano a questo piano.
La consolle funziona ancora, il monitor è incrinato ma mostra il sonno placido ed ignaro dell’umana, la sua bellezza fragile, delicata, quasi evanescente. Una libellula nel sole d’agosto.
Un’altra missiva digitale parte verso lo stesso indirizzo, il tenore è molto diverso dal precedente. La risposta non torna con lo stesso mezzo, perché questa volta arriva per posta aerea.
Di nuovo qualcuno vuole entrare dalla finestra, questa volta non sono scarponi ma mocassini. Una piattaforma scende all’altezza delle finestre sfondate, l’uomo che entra ha giacca, cravatta, ventiquattrore e un contenitore medico. Si fa largo da solo nella cornice divelta della vetrata. La pioggia non lo ha nemmeno sfiorato il suo abito, l’aircraft sospeso sopra di lui deve essere largo quanto la via.
“Non posso tergiversare.” apre la valigetta, digita, alza velocemente lo sguardo.
La consolle reagisce trillando, un'occhiata rapida, infine un cenno alle scale che lui comprende, perché si avvia. Scende portando con sè solo il contenitore.
Una decina di minuti, poi torna su. Ha ancora il contenitore, lo stringe sotto braccio con entrambe le mani, risale sulla piattaforma. La valigetta dimenticata lo segue con un lancio brusco ma preciso, che lo sfiora senza colpirlo. Gli sguardi si incrociano, non c’è sfida in nessuno dei due.
La pioggia torna a cadere, senza il velivolo a far da riparo. Comincia ad allagare la stanza, non c’è più alcun vetro a tenerla fuori.
Il monitor mostra ancora la ragazza. Il volto incantato, sotto la maschera, sorride.
Uno squarcio al centro dello sterno mostra il luogo dove batteva il cuore.
“Disattivare protocollo medico. Preparare la riapertura.”
Da qualche parte una starlette tornerà ad amare.


"Ho solo due cose da lasciarti in eredità, figlio mio, e si tratta di radici ed ali." (William Hodding Carter)

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Re: Effimera

Messaggio#2 » lunedì 19 ottobre 2020, 0:03

1) Bonus personaggio stravagante: protagonista
2) Bonus narrazione in prima persona.

Racconto ritirato per consegna oltre il tempo limite.
Sarà spostato nel Laboratorio.
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Re: Effimera

Messaggio#3 » giovedì 22 ottobre 2020, 13:22

Spostamento effettuato.

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