L'angelo caduto
Inviato: martedì 20 ottobre 2020, 0:57
L'angelo caduto
di Alessio magno
«Non ho alcuna intenzione di stare ad ascoltare queste stronzate!»
L’uomo seduto davanti a suoi occhi sembrava mostrare tutto il peso dei lunghi anni di servizio.
«Non farmi scenate Nate, non è proprio il momento. So quanto ci tieni ma sei a un punto morto da troppo tempo. Niente discussioni, l’ordine viene dall’alto.»
«Quindi è già tutto deciso!»
«Si, ti hanno tolto il caso, mi dispiace. Se vuoi qualcuno con cui prendertela ce l’hai davanti, è solo colpa mia se ti ho concesso tanto tempo per niente. Pensavo potessi farcela ma mi sbagliavo. Ti sei lasciato coinvolgere troppo dai tuoi… trascorsi.»
Si alzò di scatto, la sedia cadde all’indietro sulla moquette in un tonfo ovattato.
«Cosa intendi dire?»
«Lasciamo stare, ok?»
«Parli di mia figlia, non è vero? Credi ancora che sia matto!»
L’uomo si sistemò il nodo alla cravatta evitando il suo sguardo.
«Tua figlia è stata vittima di un brutto incidente… e tu stai proiettando il tuo dolore verso un uomo che ha infinite colpe, ma non quella di averla uccisa.»
Lo fissò con sguardo indemoniato ma lui continuava ad evitarlo.
«Mia figlia è stata la prima!»
Non aggiunse una parola di più.
«...Ti dimostrerò che stai sbagliando.»
«Non fare di testa tua, se interferisci con le indagini mi costringerai a sospenderti.»
Cancellò quell’avvertimento sbattendo la porta dietro di sé più forte che poteva.
Al diavolo le decisioni del distretto, quella gente impomatata non aveva la più pallida idea di come si cattura un serial killer. Forse nemmeno lui, ma ormai non poteva fare finta di niente. Quell’uomo gli aveva tolto tutto, l’aveva umiliato, l’aveva portato a diventare l’ombra di sé stesso. Prese al volo l’arma di ordinanza dal cassetto della scrivania e uscì dal commissariato, diretto all’ultimo luogo in cui aveva ucciso la notte scorsa.
Era sempre stato un passo avanti a lui, sin dall’inizio. Amava lasciargli piccole briciole, utili a evidenziare quanto fosse incapace e inadeguato nel dargli la caccia. Ma credeva anche che lui volesse essere trovato, che volesse coronare l’apice dei suoi perversi desideri finendo in manette, e doveva essere lui a farlo.
Arrivò al 42 di Jackson Street.
Scrutò all’interno dell’abitazione dal porticato, i vetri rotti della finestra da cui si era introdotto l’assassino scricchiolarono sotto i suoi piedi. Sembrava vuota. Il povero cristo che quella mattina aveva trovato sua figlia squartata e legata come un capretto era probabile stesse annegando dentro un barile di single malt.
Entrò senza far rumore e perlustrò brevemente il soggiorno. Si, non c’era nessuno, ma non era sorpreso. Tutte le vittime erano ragazzine di massimo vent’anni, figlie di padri divorziati. L’unico collegamento che fosse mai riuscito a constatare con certezza tra i vari omicidi. Lui stesso ne era una vittima, ma non gli avevano mai creduto.
Si diresse verso il piano superiore, nella stanza della ragazza.
«Figlio di puttana...»
La cameretta era diventata uno scannatoio, il sangue rappreso era sparso ovunque in generosi schizzi. L’interno della testa di quel pazzo se la immaginava esattamente in quel modo, un’anticamera oscura e lorda, che celava perversioni innominabili. Sul pavimento c’era il solito pentacolo dove si era consumato l’omicidio, il nome immancabile dell’assassino scritto a mano col sangue della vittima.
“Samael”.
Uno dei tanti nomi del diavolo. Lo sapeva perché la sua ex moglie era ossessionata da quella roba. Lui non lo sopportava.
La scientifica era già passata a fare i rilevamenti di rito quel mattino, sapeva di non poter far nulla, ma doveva comunque vedere quell’ennesimo scempio.
Fece per andarsene, quando qualcosa attirò la sua attenzione.
La cassettiera vicino alla porta era aperta a metà, spuntava la manica di un k way giallo fluo, come quello di sua figlia. Lo tirò fuori con mani tremolanti.
Era identico. Anzi, era lo stesso.
Lo gettò a terra sconvolto, da una tasca scivolò un biglietto. Lo raccolse.
“Ti prego, fermami. Fallo per Tracy.”
Era la sua calligrafia.
In un istante le due metà di se stesso, scisse dal dolore della morte di sua figlia, si unirono nuovamente.
Era lui Samael, lo era sempre stato.
Sorrise. Il ghigno dell’uno, la disperazione dell’altro.
Tirò fuori la pistola d’ordinanza.
“Vai all’Inferno!”
di Alessio magno
«Non ho alcuna intenzione di stare ad ascoltare queste stronzate!»
L’uomo seduto davanti a suoi occhi sembrava mostrare tutto il peso dei lunghi anni di servizio.
«Non farmi scenate Nate, non è proprio il momento. So quanto ci tieni ma sei a un punto morto da troppo tempo. Niente discussioni, l’ordine viene dall’alto.»
«Quindi è già tutto deciso!»
«Si, ti hanno tolto il caso, mi dispiace. Se vuoi qualcuno con cui prendertela ce l’hai davanti, è solo colpa mia se ti ho concesso tanto tempo per niente. Pensavo potessi farcela ma mi sbagliavo. Ti sei lasciato coinvolgere troppo dai tuoi… trascorsi.»
Si alzò di scatto, la sedia cadde all’indietro sulla moquette in un tonfo ovattato.
«Cosa intendi dire?»
«Lasciamo stare, ok?»
«Parli di mia figlia, non è vero? Credi ancora che sia matto!»
L’uomo si sistemò il nodo alla cravatta evitando il suo sguardo.
«Tua figlia è stata vittima di un brutto incidente… e tu stai proiettando il tuo dolore verso un uomo che ha infinite colpe, ma non quella di averla uccisa.»
Lo fissò con sguardo indemoniato ma lui continuava ad evitarlo.
«Mia figlia è stata la prima!»
Non aggiunse una parola di più.
«...Ti dimostrerò che stai sbagliando.»
«Non fare di testa tua, se interferisci con le indagini mi costringerai a sospenderti.»
Cancellò quell’avvertimento sbattendo la porta dietro di sé più forte che poteva.
Al diavolo le decisioni del distretto, quella gente impomatata non aveva la più pallida idea di come si cattura un serial killer. Forse nemmeno lui, ma ormai non poteva fare finta di niente. Quell’uomo gli aveva tolto tutto, l’aveva umiliato, l’aveva portato a diventare l’ombra di sé stesso. Prese al volo l’arma di ordinanza dal cassetto della scrivania e uscì dal commissariato, diretto all’ultimo luogo in cui aveva ucciso la notte scorsa.
Era sempre stato un passo avanti a lui, sin dall’inizio. Amava lasciargli piccole briciole, utili a evidenziare quanto fosse incapace e inadeguato nel dargli la caccia. Ma credeva anche che lui volesse essere trovato, che volesse coronare l’apice dei suoi perversi desideri finendo in manette, e doveva essere lui a farlo.
Arrivò al 42 di Jackson Street.
Scrutò all’interno dell’abitazione dal porticato, i vetri rotti della finestra da cui si era introdotto l’assassino scricchiolarono sotto i suoi piedi. Sembrava vuota. Il povero cristo che quella mattina aveva trovato sua figlia squartata e legata come un capretto era probabile stesse annegando dentro un barile di single malt.
Entrò senza far rumore e perlustrò brevemente il soggiorno. Si, non c’era nessuno, ma non era sorpreso. Tutte le vittime erano ragazzine di massimo vent’anni, figlie di padri divorziati. L’unico collegamento che fosse mai riuscito a constatare con certezza tra i vari omicidi. Lui stesso ne era una vittima, ma non gli avevano mai creduto.
Si diresse verso il piano superiore, nella stanza della ragazza.
«Figlio di puttana...»
La cameretta era diventata uno scannatoio, il sangue rappreso era sparso ovunque in generosi schizzi. L’interno della testa di quel pazzo se la immaginava esattamente in quel modo, un’anticamera oscura e lorda, che celava perversioni innominabili. Sul pavimento c’era il solito pentacolo dove si era consumato l’omicidio, il nome immancabile dell’assassino scritto a mano col sangue della vittima.
“Samael”.
Uno dei tanti nomi del diavolo. Lo sapeva perché la sua ex moglie era ossessionata da quella roba. Lui non lo sopportava.
La scientifica era già passata a fare i rilevamenti di rito quel mattino, sapeva di non poter far nulla, ma doveva comunque vedere quell’ennesimo scempio.
Fece per andarsene, quando qualcosa attirò la sua attenzione.
La cassettiera vicino alla porta era aperta a metà, spuntava la manica di un k way giallo fluo, come quello di sua figlia. Lo tirò fuori con mani tremolanti.
Era identico. Anzi, era lo stesso.
Lo gettò a terra sconvolto, da una tasca scivolò un biglietto. Lo raccolse.
“Ti prego, fermami. Fallo per Tracy.”
Era la sua calligrafia.
In un istante le due metà di se stesso, scisse dal dolore della morte di sua figlia, si unirono nuovamente.
Era lui Samael, lo era sempre stato.
Sorrise. Il ghigno dell’uno, la disperazione dell’altro.
Tirò fuori la pistola d’ordinanza.
“Vai all’Inferno!”