Livio Gambarini Edition Ritorno a casa
Inviato: venerdì 18 settembre 2015, 21:14
RITORNO A CASA
Di Alexandra Fischer
Devan Myrsen prese l’ultimo convoglio della notte perché desiderava ritornare nella propria città d’origine.
Sorgeva nella piana di Heisenland ed era famosa per il calore da fornace.
Proprio quello che ci voleva, per lui; le sue membra erano irrigidite dalla permanenza durata anni nella città di Ewigreignen e non ne poteva più di quell’eterna stagione di piogge.
Laggiù, l’unico cambiamento delle precipitazioni, era nella temperatura delle gocce che cadevano ininterrotte per ore: dalla morsa del gelo invernale, si passava ai bollori della calura estiva.
Sempre pioggia.
Non importava dove si abitasse. Ci aveva provato, lui a cambiare casa.
Nel corso dei suoi anni a Ewigreignen era stato in basso e in alto.
Nel quartiere basso, dalle case di pietra ornate da grondaie con musi di Cane Acquatico, era stato male per via delle strade lastricate di pietra multicolore.
Sì, c’era una manutenzione, ma si cadeva.
Colpa degli Spiriti delle Acque.
Quei demonietti invisibili cancellavano gli appigli e facevano cadere soprattutto gli stranieri da poco ambientatisi in città.
Come era successo a lui con Verme d’Acqua, così lo aveva chiamato, prima di calpestarlo, senza vederlo.
Crescendo, si era scoperto invisibile, i quattro soli multicolori di Heisenland gli avevano cancellato i lineamenti e sbiadito l’ombra.
E lui, che per rimediarvi, cercava clienti per i piatti di metallo azzurro che incideva, riempiendoli di paesaggi assolati e quadrupedi dal lungo collo ornati di campanelli della sua città natale.
Macché. Sarebbe stato più facile tirare giù i quattro soli e usarli per farsi luce nel laboratorio.
A Ewigreinen, poco a poco, il suo talento era piaciuto ai ricchi commercianti della città e lui aveva cambiato quartiere.
Finalmente sulle colline, in alto.
Ma quanti spiriti invisibili aveva cancellato fra uno scivolone e l’altro.
E per ogni creatura spiaccicata, era più ricco e solo.
Fino a quando ce ne fu uno di troppo, che gli tolse anche la visibilità come maestro.
I suoi allievi, dopo aver imitato in un primo tempo il suo stile, si erano messi a ornare i loro piatti di metallo verde e amaranto di creature acquatiche del genere di quelle viventi nei quartieri degli Evocatori degli Spiriti delle Acque.
Nessuno le aveva mai viste, Evocatori a parte, però davano prosperità, non solo pioggia.
Per lui erano fole.
Lo aveva detto anche a Lysveeta la sua allieva prediletta, la quale era riuscita a fargli accettare un sacchetto con un piccolo dono, che sbatacchiò con un suono metallico nel passaggio di mano.
Il convoglio, dall’aspetto di gigantesco pesce siluro ornato sulle fiancate con incisioni di musi di creature simili a raganelle, entrò nella lunga galleria che collegava Ewigreignen con Heiseland.
Fu lì che Devan Myrsen guardò il regalo d’addio di Lysveeta.
Il metallo era lavorato a specchio e lui vide corpi straziati: molti vermi, un cane.
Devan si lasciò scappare di mano il piattino e vi guardò attraverso, ma il suo riflesso non c’era più.
- PERDONO – gridò, ma nessuno gli badò, perché era invisibile.
Di Alexandra Fischer
Devan Myrsen prese l’ultimo convoglio della notte perché desiderava ritornare nella propria città d’origine.
Sorgeva nella piana di Heisenland ed era famosa per il calore da fornace.
Proprio quello che ci voleva, per lui; le sue membra erano irrigidite dalla permanenza durata anni nella città di Ewigreignen e non ne poteva più di quell’eterna stagione di piogge.
Laggiù, l’unico cambiamento delle precipitazioni, era nella temperatura delle gocce che cadevano ininterrotte per ore: dalla morsa del gelo invernale, si passava ai bollori della calura estiva.
Sempre pioggia.
Non importava dove si abitasse. Ci aveva provato, lui a cambiare casa.
Nel corso dei suoi anni a Ewigreignen era stato in basso e in alto.
Nel quartiere basso, dalle case di pietra ornate da grondaie con musi di Cane Acquatico, era stato male per via delle strade lastricate di pietra multicolore.
Sì, c’era una manutenzione, ma si cadeva.
Colpa degli Spiriti delle Acque.
Quei demonietti invisibili cancellavano gli appigli e facevano cadere soprattutto gli stranieri da poco ambientatisi in città.
Come era successo a lui con Verme d’Acqua, così lo aveva chiamato, prima di calpestarlo, senza vederlo.
Crescendo, si era scoperto invisibile, i quattro soli multicolori di Heisenland gli avevano cancellato i lineamenti e sbiadito l’ombra.
E lui, che per rimediarvi, cercava clienti per i piatti di metallo azzurro che incideva, riempiendoli di paesaggi assolati e quadrupedi dal lungo collo ornati di campanelli della sua città natale.
Macché. Sarebbe stato più facile tirare giù i quattro soli e usarli per farsi luce nel laboratorio.
A Ewigreinen, poco a poco, il suo talento era piaciuto ai ricchi commercianti della città e lui aveva cambiato quartiere.
Finalmente sulle colline, in alto.
Ma quanti spiriti invisibili aveva cancellato fra uno scivolone e l’altro.
E per ogni creatura spiaccicata, era più ricco e solo.
Fino a quando ce ne fu uno di troppo, che gli tolse anche la visibilità come maestro.
I suoi allievi, dopo aver imitato in un primo tempo il suo stile, si erano messi a ornare i loro piatti di metallo verde e amaranto di creature acquatiche del genere di quelle viventi nei quartieri degli Evocatori degli Spiriti delle Acque.
Nessuno le aveva mai viste, Evocatori a parte, però davano prosperità, non solo pioggia.
Per lui erano fole.
Lo aveva detto anche a Lysveeta la sua allieva prediletta, la quale era riuscita a fargli accettare un sacchetto con un piccolo dono, che sbatacchiò con un suono metallico nel passaggio di mano.
Il convoglio, dall’aspetto di gigantesco pesce siluro ornato sulle fiancate con incisioni di musi di creature simili a raganelle, entrò nella lunga galleria che collegava Ewigreignen con Heiseland.
Fu lì che Devan Myrsen guardò il regalo d’addio di Lysveeta.
Il metallo era lavorato a specchio e lui vide corpi straziati: molti vermi, un cane.
Devan si lasciò scappare di mano il piattino e vi guardò attraverso, ma il suo riflesso non c’era più.
- PERDONO – gridò, ma nessuno gli badò, perché era invisibile.