AETERNAM di Luca Fagiolo
Inviato: venerdì 11 dicembre 2020, 21:41
AETERNAM
di Luca Fagiolo
Trascini il corpo di Zac oltre il portello. Il cuore ti batte all’impazzata. Sta perdendo troppo sangue. Troppo sangue. Sul pavimento metallico si è formata una scia rossa. Non puoi mollare proprio ora. Ti infili sotto al suo braccio e lo sollevi. Zac grida. Batte le palpebre, fatica a tenerle aperte. «Cos’è successo?»
«Zac, mi dispiace così tanto. È tutta colpa mia.»
Perde i sensi.
Riesci a sistemarlo sul lettino della sala medica.
“Si prega di allontanarsi.” La voce metallica del sistema di diagnostica ti fa sobbalzare. Appoggi la schiena alla paratia e ti lasci cadere a terra. Le lacrime ti bagnano le guance.
Che cosa hai fatto?
Spengo la sveglia sfiorando lo schermo del pad. A tentoni cerco l’interruttore sul muro, lo pigio e la serranda si alza. La luce dei soli gemelli mi acceca, mi proteggo gli occhi con la mano.
Alzo il colletto della maglietta e ci infilo il naso: che puzza! La stanza è fresca, ma sono tutto sudato. Odio essere adolescente.
«Zac!» Dal piano terra mamma mi chiama. «La colazione è pronta.»
«Un minuto!»
Che scocciatura. Mi butto sotto la doccia e i getti multidirezionali mi solleticano la pelle. Indosso una felpa e un paio di jeans e scendo in cucina. Prendo posto sullo sgabello e attacco la fetta di torta. Cioccolato e… mandorle forse?
Mamma riempie le tazze col caffè, soffia via un ricciolo che le è caduto sulla fronte. «Hanno preso una decisione, caro?»
Papà è chino sul suo pad. Sistema gli occhiali sul naso, con la forchetta taglia e infilza un boccone di torta. «Sto leggendo la notizia, non interrompermi.» Si mordicchia un’unghia. «Merda!» La posata col pezzo di torta rotola sul pavimento. «Ha vinto il no. Il Consiglio ha respinto la mia mozione.»
Mamma gli accarezza la schiena. «Mi dispiace tanto.»
Alzo le spalle. «Avrei votato no anch’io.»
«Zaccaria!» Mamma strabuzza gli occhi. «Ma cosa diamine vai dicendo?»
Papà mi fissa da dietro le lenti. «Noemi, ha tutto il diritto di avere un’opinione a riguardo.» Si pulisce gli angoli della bocca nel tovagliolo immacolato e sbircia l’orologio al polso. «È ora che tu vada a scuola, ragazzo, altrimenti farai tardi.»
«Ancora con questa storia del ragazzo? Quando la smetterete?»
«Che impertinente.» Mamma impila i piatti della colazione. «Chi ti ha insegnato a rispondere così?»
Papà si alza dallo sgabello, mi preparo allo scontro. Non può pensare sempre e solo al lavoro.
Sistema il nodo alla cravatta e schiocca un bacio sulla guancia di mamma. «Buona giornata, amore mio.» Esce di casa senza degnarmi di uno sguardo.
Mi cadono le spalle.
«Dovresti trattarlo meglio, Zac. È molto stressato in questo periodo, la storia della razionalizzazione non gli dà pace. Almeno a casa facciamolo sentire sereno.»
«Io dovrei farlo sentire sereno? Ma se a lui non frega un cazzo di me! E neppure di te!»
«Modera il linguaggio. Sai che a tuo padre non piacciono certi termini.»
«Non fai che difenderlo.»
«È mio marito, cos’altro dovrebbe fare una brava moglie?»
Scuoto la testa, è inutile battibeccare con lei. «Meglio se vado a scuola. Ci vediamo stasera.» Raccolgo lo zaino e lo metto in spalla, finisco l’ultima sorsata di caffè.
Mamma appoggia i piatti nel lavello. «Pensavo di preparare qualcosa di speciale per cena. Ti va di invitare la tua ragazza?»
«Tea non è la mia ragazza. Siamo solo amici.»
«Certo, come no.» Ridacchia. «Vieni a darmi un bacio, brontolone.»
Ma figurati! Abbasso la maniglia della porta di casa. «Magari la invito lo stesso. Anche due amici possono cenare assieme, no?»
«Certamente.»
Mamma mi vuole bene, ma è troppo apprensiva. Ormai sono grande abbastanza per badare a me stesso. Anche la faccenda della scuola comincia a diventare ridicola. Per quanto ancora dovrò frequentare gli stessi corsi? Il pad trilla, le lezioni stanno per cominciare e sono ancora nel vialetto di casa. Meglio darsi una mossa.
Sistemo la bici nella rastrelliera e riprendo fiato. Mi levo il sudore dalla fronte e appoggio il pollice sul lettore. Riconosce l’impronta e il portone si apre. Seguo la scia di neon verdi fino alla classe di matematica. L’auditorium è affollato, le luci soffuse. Il professor Moretti sta scrivendo alcune formule alla lavagna virtuale. Questa lezione l’ho già sentita almeno cinque volte. Cerco un posto nelle file più in alto, Tea si sbraccia e indica il sedile accanto a sé.
Salgo i gradini e prendo posto. Cos’ha sul viso? Le labbra sembrano troppo carnose e per niente naturali.
«Buongiorno anche a te, Zac.»
«Scusami Tea, stavo cercando di capire…»
«Ho messo il rossetto di mia madre. E anche un po’ di matita agli occhi. Che ne pensi?» Sbatte le ciglia.
«Sembri più matura.»
«Mia madre dice che solo le poco di buono vanno a scuola truccate. Odia l’idea che io cresca e non riesce a capire quanto mi stia stretta questa età. Aeternam è il pianeta giusto per lei, ma non per me.»
«Credo che non invecchiare piaccia a tutti. Perlomeno agli adulti.»
«Non proprio a tutti.» Si guarda i lacci colorati delle sneakers. «Ho sentito che hanno respinto la mozione di tuo padre.»
Tiro fuori dallo zaino il PC. «Era furioso a colazione.» Me lo sistemo in grembo.
Tea digita qualcosa sul tab. «Ecaterina oggi non viene a scuola. La notizia deve averla distrutta.»
Ecaterina? Oh no. «Suo fratello quanti anni ha?»
«Età reale dodici, età biologica sette.»
«Merda. Quindi dovranno…»
«Razionalizzarlo, sì.»
Perdere un fratello deve lasciarti un buco enorme dentro, ma sapere che sarà ucciso per un’ordinanza del Consiglio dev’essere tremendo. Povera Ecaterina.
Dorotea calcia il sedile davanti. «Non invecchiare è una maledizione e fanculo a chi dice il contrario!»
Lucrezio si volta verso di noi col ciuffo azzurro ingellato dietro l’orecchio, si accorge delle lacrime sulle guance di Tea e torna a seguire la lezione.
Tea nasconde il viso tra le mani. Singhiozza. Vorrei sfiorarla, darle conforto, stringerla tra le mie braccia, ma cosa penserebbe? Non è quello che si aspetta da un amico. Le poso una mano sulla spalla. «Volevo chiederti…» Non è il momento giusto. Non è per niente il momento giusto. Deglutisco. «Stasera, per caso…» Se glielo chiedo adesso mi dirà senza dubbio di no, ma se non lo faccio dopo me ne pentirò. «Ti andrebbe di…»
Dorotea alza lo sguardo, gli occhi arrossati. «Ci facciamo una birra giù al fiume?»
«Certo!»
Il professore si schiarisce la voce. «La smettiamo di chiacchierare lì in fondo?»
Il ruscellare del fiume riempie il silenzio della notte. Dorotea guarda in lontananza malinconica, tamburella le dita sulla bottiglia. Ne stappo una anche per me, bevo un sorso e giocherello con l’angolo dell’etichetta staccata.
«Stai ancora pensando a Ecaterina e a suo fratello?»
«Non riesco a togliermeli dalla testa.» Sospira. «Sono così delusa. Mi dispiace per Cate, certo, ma penso anche a noi. Tre anni fa hanno razionalizzato gli anziani, ora i bambini. Quale sarà il prossimo passo?»
Dorotea ha ragione. Per gli adulti questo pianeta è il giardino dell’Eden, una vita eterna nel fiore degli anni. Ma noi a cosa siamo costretti? Passare l’esistenza nel corpo di ragazzini, con un’unica alternativa: la morte. Papà ha sempre avuto le idee chiare a riguardo. Da quando siamo atterrati su questo pianeta ha lottato per garantire a tutti un futuro. Ho sempre pensato che il Consiglio prendesse certe decisioni per il nostro bene, ma non ne sono più così sicuro.
«Sai,» Tea ingolla un sorso di birra, «mi piacerebbe scappare da qui e viaggiare tra le stelle come facevano i nostri genitori.»
«Ma non puoi andartene!»
«Lo so, stupido. Non posso salire su un’astronave e volare via»
«Io intendevo…»
«Che cosa?»
«Che se te ne andassi… ecco, io mi sentirei perso senza di te.» Le guance mi vanno a fuoco. Ma cosa mi esce dalla bocca? Tutta colpa della birra.
«Sei il mio migliore amico, Zac. Anche tu mi mancheresti.» Amico, certo. Solo amico.
Mi alzo in piedi, pulisco il retro dei pantaloni e le offro la mano. «Vieni, facciamo due passi.»
Il fiume ci scorre accanto in un gorgoglio sommesso. Il riflesso degli anelli orbitali irradia di fosforescenze verdi e giallo limone l’argine. La brezza notturna increspa i capelli scuri di Tea. Ha le labbra serrate, sta ancora rimuginando. Non l’ho mai vista così giù. Vorrei farla stare meglio. Sfilo la mano dalla tasca e cerco la sua. Intreccio le dita.
Tea si ferma. «Zac…» Si volta verso di me. Prende le mie mani e se le porta al petto. I peli sul collo mi si rizzano. «Fuggiamo da questa palla di merda!»
«Cosa?»
«Andiamo via! Rubiamo un’astronave e scappiamo. Io voglio viverla, la mia vita!»
«Io e te da soli?»
Tea pianta i suoi occhi meravigliosi nei miei.
«Ma non l’hai ancora capito che mi piaci?»
Il cuore mi finisce dritto in gola.
«Vieni qui, scemo.»
Mi accarezza la nuca e mi tira a sé. Le punte dei nasi si sfiorano, la mia bocca incontra la sua. Chiudo gli occhi e tutto sparisce, rimaniamo solo io e Tea.
Imposti le coordinate. Il computer di bordo conferma il percorso e con un frastuono i motori si attivano. Trovi la cambusa, ti levi i vestiti insanguinati e infili una tuta arancione. Ritorni alla sala medica, il metallo del corridoio ti gela le piante dei piedi. Le porte scorrono con un bip di conferma. Zac è steso sul lettino, immobilizzato. Le lacrime ti riempiono gli occhi. Se non fosse stato per il tuo stupido sogno ora non sarebbe in fin di vita.
Riempio il vassoio con il pasto del giorno. Il robot schizza metà della porzione fuori dal piatto. Dove si sarà cacciata Tea? Al nostro solito tavolo sono seduti Lucrezio e i suoi amici secchioni. Si tirano pacche sulle spalle e se la ridono. Chissà cosa c’è di tanto divertente.
«Cerchi qualcuno?»
Mi volto e Tea mi stampa un bacio sulla guancia. A momenti lascio cadere il vassoio.
«Sei diventato tutto rosso.»
«Non è vero!»
«Sì invece. Ma è una cosa dolce.»
Ecco, ora sì che mi si sono infiammate le guance.
Mi prende sotto braccio. «In sala mensa non c’era posto, mi sono seduta fuori sul prato. Mi fai compagnia?»
«Volentieri, ho anche qualcosa da farti vedere.»
Stendiamo una coperta sull’erba e appoggio il mio vassoio. Dorotea estrae dallo zaino un sacchetto di carta con il pranzo.
«Sicura che non ci fosse posto dentro?»
«Avevo voglia di fare un picnic, che male c’è?» Tea morde il panino, si pulisce il mento da una goccia di maionese. «Vuoi assaggiare?»
«No, ti ringrazio.»
Le invio alcune foto sul pad. «Guarda queste.»
«Cosa sono?»
«La soluzione a tutti i nostri problemi.»
Le siedo accanto e apriamo le immagini. «Questo è il nuovo spazioporto che stanno finendo di costruire nell’ansa del fiume.» L’ho fotografato da varie angolazioni. «Questa invece,» ingrandisco, «è un’astronave coloniale!»
Tea mi fissa. «Scusa Zac, ma non capisco.»
«È la nostra possibilità per andarcene!»
Il viso di Dorotea si fa dubbioso, aggrotta le sopracciglia. «Vuoi dire che...» Spalanca la bocca. «Lo faresti davvero? Scapperesti con me?»
«Ci ho pensato tutta la notte, anche io voglio un futuro con te. Voglio costruire una famiglia, avere dei figli!»
Tea mi salta al collo. «Ti adoro!» Mi riempie di baci le guance e la fronte. «Fino a ieri mi sembrava una follia anche solo parlarne. Oggi invece… non sono mai stata così felice!»
«Sì, ma abbassa la voce.» Giro la testa, nessuno dei ragazzi in cortile sembra prestarci attenzione. «Non dobbiamo farci scoprire, altrimenti siamo fregati. Non so per quanto tempo l’astronave rimarrà incustodita allo spazioporto: dobbiamo fare in fretta.»
«Ok, dammi un paio di giorni e sarò pronta.»
Bevi un sorso di tè, il calore della tazza ti riscalda le mani intirizzite. I bracci chirurgici ronzano sull’addome di Zac. Disinfettano, tagliano, cuciono. Il respiratore gli copre naso e bocca. Vorresti accarezzargli la guancia, baciargli la fronte imperlata di sudore. Sul monitor lampeggiano temperatura, pressione e altri valori che non sai leggere. Del sangue gocciola sul pavimento. Si è formata una piccola pozza.
Esci dalla sala medica, ancora un istante e potresti metterti a gridare.
Sul soffitto della camera le luci danzano al ritmo della musica nelle mie cuffie. Onde e spirali colorate che esplodono in ologrammi a tre dimensioni.
Le immagini si bloccano di colpo. Prendo il pad, Dorotea mi sta chiamando. Striscio la cornetta verde e sullo schermo appare il suo viso rigato dalle lacrime. Singhiozza. «Che succede?» Mi alzo dal letto di scatto.
«Ecaterina…»
«Ecaterina cosa?»
«Si è tolta la vita.»
Oh no. Raccolgo la giacca da terra e infilo la manica. «Dimmi dove sei, ti raggiungo.»
«Sto andando allo spazioporto. Voglio andarmene.»
«Vuoi partire ora?!»
«Non rimarrò un minuto di più su questo pianeta senza futuro!» Riattacca.
Riavvio la chiamata. “L’utente non è raggiungibile.” «Merda!»
Allungo la mano sotto al letto e agguanto lo zaino. Scendo le scale filato verso la porta di casa.
«Dove credi di andare, Zaccaria?» Mamma sorseggia un calice di vino. «È quasi pronta la cena.»
«Devo…» E ora che mi invento? «Ho dimenticato una cosa da un amico. Vado e torno.»
Papà sfila gli occhiali. «Non uscirai di casa a quest’ora, ragazzo.» La camicia slacciata sul collo, la cravatta allentata, deve essere appena rientrato.
«Non è il momento.» Apro l’uscio.
«Ragazzo!» Papà alza la voce. «Non puoi fare sempre quello che ti pare.» Si solleva dalla poltrona, si mette tra me e l’uscita e richiude la porta. «Ti ho detto di no.»
«Papà, ti prego! È Dorotea, ha bisogno di me.»
I lineamenti del viso si ammorbidiscono. «Ti porto io. Prendo le chiavi dell’auto.»
«È una cosa che devo fare da solo.»
«Ha a che fare con lo spazioporto?»
«Come fai a… Mi controllate il pad? Come vi siete permessi?» Mamma è impassibile. «Fate schifo!»
«Bada a come parli!» Mi intima papà con l’indice puntato davanti al naso. «Siamo i tuoi genitori, non possiamo tollerare un comportamento del genere.»
«Avrei vent’anni se solo potessi crescere. Lasciatemi in pace!»
Afferro la maniglia, ma papà mi schiaffeggia la mano. «Non costringermi a—»
La spalla, il braccio, la mano si muovono da soli. Lo colpisco con un pugno sul naso. Crack!
Papà si copre il viso e si regge alla parete.
«Francesco!» Il bicchiere di mamma impatta sul pavimento e si frantuma.
Apro la porta, esco nel buio.
«Zac, non fare sciocchezze!» Grida mio padre.
Inforco la bici, devo raggiungere Tea. Ho paura possa fare qualche stupidaggine se non vado subito da lei.
Lo spazioporto è deserto. Il sistema di vigilanza sembra spento. Scavalco la cancellata e incasso la testa nelle spalle, pronto al grido delle sirene. Silenzio. «Tea! Sei qui?» Almeno rispondesse al pad.
Un rumore metallico. Mi schiaccio contro il muro perimetrale, fermo immobile. Da dove proviene? È insistente e furioso. Supero un container. Dorotea sta colpendo con un tubo il portello dell’astronave. «Apriti, cazzo, apriti!»
«Tea!»
«Zac,» il tubo cade a terra con un clangore, «finalmente sei qui.»
Mi corre incontro e mi salta al collo. Il corpo è percorso da tremiti. Singhiozza. Preme il viso sulla mia felpa sudata.
«Andrà tutto bene, vedrai.»
«Ecaterina si è uccisa...» Si pulisce il naso col braccio. «Non poteva sopportare che—»
«Calmati. Adesso ce ne andiamo.»
«Voi due non andrete da nessuna parte!» Mamma avanza verso di noi. Ha una pistola in mano, i capelli scarmigliati. Papà è più indietro, con il fazzoletto premuto sul naso e la camicia macchiata di sangue.
«Mamma, non ce lo puoi impedire!»
«Non lo capisci che così morirai?»
«Almeno sarò libero di vivere la mia vita, non questa vostra eterna bugia.»
Dorotea mi si aggrappa al braccio. Averla accanto mi dà la forza di affrontare i miei genitori.
Mamma ride. «È una pazzia. Diglielo anche tu, Francesco.»
Papà non apre bocca.
«Francesco?»
Abbassa il fazzoletto dal naso gonfio. «Ti capisco, Zac.»
«Ma cosa stai dicendo? Sei impazzito anche tu?» Mamma scuote la testa. «Non ve lo lascerò fare.» Alza il braccio e ci punta contro la pistola.
Papà si avvicina con le mani protese. «Metti via quell’arma, Noemi.»
«Se rimane qui con noi Zaccaria non invecchierà mai!»
«Ma non sarà felice.»
«E alla mia felicità non ci pensi?» Ha gli occhi stralunati. «Cosa ne sarà di me se non potrò più essere una madre?»
«I figli crescono e bisogna lasciarli liberi. Se questo è quello che desidera Zac non posso che augurargli il meglio.»
Tea congiunge le mani. «Signora Adelmi, la prego.»
Mamma sembra accorgersi di lei solo ora. «È tutta colpa tua. Guarda cos’hai fatto al mio piccolo!»
«Non ho fatto niente. Vogliamo solo avere una famiglia...»
«Distruggendo la mia? Non posso permetterlo.» La mano le trema.
«Mamma, no!» Nascondo Dorotea dietro di me. Un boato mi buca i timpani.
Papà spinge la mamma a terra e le strappa l’arma dalle mani.
Le gambe non mi reggono. Il dolore si irradia dal ventre. Sono pieno di sangue.
Dorotea grida.
Papà corre verso di me e mi adagia a terra. «Zac! Guardami. Guardami, ti ho detto!» Sbatto gli occhi, non riesco a metterlo a fuoco. Anche Dorotea si è inginocchiata. Vorrei dirle di non piangere, che andrà tutto bene, ma sono così debole.
Papà tira fuori un badge dalla tasca e lo dà a Tea. «Questo aprirà il portello dell’astronave e la metterà in funzione. Porta Zac nella sala medica. L’I.A. integrata si occuperà della ferita. Andatevene da questo pianeta maledetto.»
Papà mi stringe. «Ti voglio bene, ragazzo mio.»
«Grazie papà,» sussurro, «anche io ti...»
Il trillo insistente ti sveglia. Viene dalla sala medica. Cosa succede? Oddio, Zac!
Non perdi tempo, percorri i corridoi ormai familiari. Con il fiato corto entri nella stanza. I parametri vitali sul monitor sembrano a posto. Ti avvicini al lettino, un passo alla volta. Hai una bruttissima sensazione, ti sporgi.
Zac sbatte le palpebre. «Tea, sei tu?» Cerca di sollevare il braccio.
«Aspetta, ti aiuto io.»
Gli accompagni le dita sul tuo viso, ti accarezza. «Ce l’abbiamo fatta?»
«Guarda tu stesso.»
Prendi uno specchietto e glielo metti davanti. Zac spalanca la bocca, si passa le dita tra i peli della barba ispida. «È… è incredibile!»
Scosta lo specchio e ti si butta al collo.
«Fa’ piano, altrimenti si riaprirà la ferita.»
Ti bacia. Le labbra sono screpolate, la stretta è debole, ma il suo sapore è inconfondibile.
«Pungi!» È il primo sorriso che ti sfiora le labbra dopo lunghi mesi.
La stanza ha uno scossone.
«Dove siamo?» Zac si guarda intorno spaesato. «Sull’astronave?»
Digiti un codice sul tastierino di controllo ambientale, la paratia intorno a voi scompare. Siete immersi in un nero punteggiato di stelle talmente luminose da accecare, nebulose dalle tinte sgargianti, piccoli soli, pianeti, lune e satelliti. Lo spazio profondo si dipana davanti ai vostri occhi, una miriade di colori e luci, una miriade di possibilità.
«Dove siamo diretti, Tea?» Non c’è timore nella sua voce.
«Non lo so,» gli baci la fronte, «ma non ha importanza finché sarai al mio fianco.»
di Luca Fagiolo
Trascini il corpo di Zac oltre il portello. Il cuore ti batte all’impazzata. Sta perdendo troppo sangue. Troppo sangue. Sul pavimento metallico si è formata una scia rossa. Non puoi mollare proprio ora. Ti infili sotto al suo braccio e lo sollevi. Zac grida. Batte le palpebre, fatica a tenerle aperte. «Cos’è successo?»
«Zac, mi dispiace così tanto. È tutta colpa mia.»
Perde i sensi.
Riesci a sistemarlo sul lettino della sala medica.
“Si prega di allontanarsi.” La voce metallica del sistema di diagnostica ti fa sobbalzare. Appoggi la schiena alla paratia e ti lasci cadere a terra. Le lacrime ti bagnano le guance.
Che cosa hai fatto?
Spengo la sveglia sfiorando lo schermo del pad. A tentoni cerco l’interruttore sul muro, lo pigio e la serranda si alza. La luce dei soli gemelli mi acceca, mi proteggo gli occhi con la mano.
Alzo il colletto della maglietta e ci infilo il naso: che puzza! La stanza è fresca, ma sono tutto sudato. Odio essere adolescente.
«Zac!» Dal piano terra mamma mi chiama. «La colazione è pronta.»
«Un minuto!»
Che scocciatura. Mi butto sotto la doccia e i getti multidirezionali mi solleticano la pelle. Indosso una felpa e un paio di jeans e scendo in cucina. Prendo posto sullo sgabello e attacco la fetta di torta. Cioccolato e… mandorle forse?
Mamma riempie le tazze col caffè, soffia via un ricciolo che le è caduto sulla fronte. «Hanno preso una decisione, caro?»
Papà è chino sul suo pad. Sistema gli occhiali sul naso, con la forchetta taglia e infilza un boccone di torta. «Sto leggendo la notizia, non interrompermi.» Si mordicchia un’unghia. «Merda!» La posata col pezzo di torta rotola sul pavimento. «Ha vinto il no. Il Consiglio ha respinto la mia mozione.»
Mamma gli accarezza la schiena. «Mi dispiace tanto.»
Alzo le spalle. «Avrei votato no anch’io.»
«Zaccaria!» Mamma strabuzza gli occhi. «Ma cosa diamine vai dicendo?»
Papà mi fissa da dietro le lenti. «Noemi, ha tutto il diritto di avere un’opinione a riguardo.» Si pulisce gli angoli della bocca nel tovagliolo immacolato e sbircia l’orologio al polso. «È ora che tu vada a scuola, ragazzo, altrimenti farai tardi.»
«Ancora con questa storia del ragazzo? Quando la smetterete?»
«Che impertinente.» Mamma impila i piatti della colazione. «Chi ti ha insegnato a rispondere così?»
Papà si alza dallo sgabello, mi preparo allo scontro. Non può pensare sempre e solo al lavoro.
Sistema il nodo alla cravatta e schiocca un bacio sulla guancia di mamma. «Buona giornata, amore mio.» Esce di casa senza degnarmi di uno sguardo.
Mi cadono le spalle.
«Dovresti trattarlo meglio, Zac. È molto stressato in questo periodo, la storia della razionalizzazione non gli dà pace. Almeno a casa facciamolo sentire sereno.»
«Io dovrei farlo sentire sereno? Ma se a lui non frega un cazzo di me! E neppure di te!»
«Modera il linguaggio. Sai che a tuo padre non piacciono certi termini.»
«Non fai che difenderlo.»
«È mio marito, cos’altro dovrebbe fare una brava moglie?»
Scuoto la testa, è inutile battibeccare con lei. «Meglio se vado a scuola. Ci vediamo stasera.» Raccolgo lo zaino e lo metto in spalla, finisco l’ultima sorsata di caffè.
Mamma appoggia i piatti nel lavello. «Pensavo di preparare qualcosa di speciale per cena. Ti va di invitare la tua ragazza?»
«Tea non è la mia ragazza. Siamo solo amici.»
«Certo, come no.» Ridacchia. «Vieni a darmi un bacio, brontolone.»
Ma figurati! Abbasso la maniglia della porta di casa. «Magari la invito lo stesso. Anche due amici possono cenare assieme, no?»
«Certamente.»
Mamma mi vuole bene, ma è troppo apprensiva. Ormai sono grande abbastanza per badare a me stesso. Anche la faccenda della scuola comincia a diventare ridicola. Per quanto ancora dovrò frequentare gli stessi corsi? Il pad trilla, le lezioni stanno per cominciare e sono ancora nel vialetto di casa. Meglio darsi una mossa.
Sistemo la bici nella rastrelliera e riprendo fiato. Mi levo il sudore dalla fronte e appoggio il pollice sul lettore. Riconosce l’impronta e il portone si apre. Seguo la scia di neon verdi fino alla classe di matematica. L’auditorium è affollato, le luci soffuse. Il professor Moretti sta scrivendo alcune formule alla lavagna virtuale. Questa lezione l’ho già sentita almeno cinque volte. Cerco un posto nelle file più in alto, Tea si sbraccia e indica il sedile accanto a sé.
Salgo i gradini e prendo posto. Cos’ha sul viso? Le labbra sembrano troppo carnose e per niente naturali.
«Buongiorno anche a te, Zac.»
«Scusami Tea, stavo cercando di capire…»
«Ho messo il rossetto di mia madre. E anche un po’ di matita agli occhi. Che ne pensi?» Sbatte le ciglia.
«Sembri più matura.»
«Mia madre dice che solo le poco di buono vanno a scuola truccate. Odia l’idea che io cresca e non riesce a capire quanto mi stia stretta questa età. Aeternam è il pianeta giusto per lei, ma non per me.»
«Credo che non invecchiare piaccia a tutti. Perlomeno agli adulti.»
«Non proprio a tutti.» Si guarda i lacci colorati delle sneakers. «Ho sentito che hanno respinto la mozione di tuo padre.»
Tiro fuori dallo zaino il PC. «Era furioso a colazione.» Me lo sistemo in grembo.
Tea digita qualcosa sul tab. «Ecaterina oggi non viene a scuola. La notizia deve averla distrutta.»
Ecaterina? Oh no. «Suo fratello quanti anni ha?»
«Età reale dodici, età biologica sette.»
«Merda. Quindi dovranno…»
«Razionalizzarlo, sì.»
Perdere un fratello deve lasciarti un buco enorme dentro, ma sapere che sarà ucciso per un’ordinanza del Consiglio dev’essere tremendo. Povera Ecaterina.
Dorotea calcia il sedile davanti. «Non invecchiare è una maledizione e fanculo a chi dice il contrario!»
Lucrezio si volta verso di noi col ciuffo azzurro ingellato dietro l’orecchio, si accorge delle lacrime sulle guance di Tea e torna a seguire la lezione.
Tea nasconde il viso tra le mani. Singhiozza. Vorrei sfiorarla, darle conforto, stringerla tra le mie braccia, ma cosa penserebbe? Non è quello che si aspetta da un amico. Le poso una mano sulla spalla. «Volevo chiederti…» Non è il momento giusto. Non è per niente il momento giusto. Deglutisco. «Stasera, per caso…» Se glielo chiedo adesso mi dirà senza dubbio di no, ma se non lo faccio dopo me ne pentirò. «Ti andrebbe di…»
Dorotea alza lo sguardo, gli occhi arrossati. «Ci facciamo una birra giù al fiume?»
«Certo!»
Il professore si schiarisce la voce. «La smettiamo di chiacchierare lì in fondo?»
Il ruscellare del fiume riempie il silenzio della notte. Dorotea guarda in lontananza malinconica, tamburella le dita sulla bottiglia. Ne stappo una anche per me, bevo un sorso e giocherello con l’angolo dell’etichetta staccata.
«Stai ancora pensando a Ecaterina e a suo fratello?»
«Non riesco a togliermeli dalla testa.» Sospira. «Sono così delusa. Mi dispiace per Cate, certo, ma penso anche a noi. Tre anni fa hanno razionalizzato gli anziani, ora i bambini. Quale sarà il prossimo passo?»
Dorotea ha ragione. Per gli adulti questo pianeta è il giardino dell’Eden, una vita eterna nel fiore degli anni. Ma noi a cosa siamo costretti? Passare l’esistenza nel corpo di ragazzini, con un’unica alternativa: la morte. Papà ha sempre avuto le idee chiare a riguardo. Da quando siamo atterrati su questo pianeta ha lottato per garantire a tutti un futuro. Ho sempre pensato che il Consiglio prendesse certe decisioni per il nostro bene, ma non ne sono più così sicuro.
«Sai,» Tea ingolla un sorso di birra, «mi piacerebbe scappare da qui e viaggiare tra le stelle come facevano i nostri genitori.»
«Ma non puoi andartene!»
«Lo so, stupido. Non posso salire su un’astronave e volare via»
«Io intendevo…»
«Che cosa?»
«Che se te ne andassi… ecco, io mi sentirei perso senza di te.» Le guance mi vanno a fuoco. Ma cosa mi esce dalla bocca? Tutta colpa della birra.
«Sei il mio migliore amico, Zac. Anche tu mi mancheresti.» Amico, certo. Solo amico.
Mi alzo in piedi, pulisco il retro dei pantaloni e le offro la mano. «Vieni, facciamo due passi.»
Il fiume ci scorre accanto in un gorgoglio sommesso. Il riflesso degli anelli orbitali irradia di fosforescenze verdi e giallo limone l’argine. La brezza notturna increspa i capelli scuri di Tea. Ha le labbra serrate, sta ancora rimuginando. Non l’ho mai vista così giù. Vorrei farla stare meglio. Sfilo la mano dalla tasca e cerco la sua. Intreccio le dita.
Tea si ferma. «Zac…» Si volta verso di me. Prende le mie mani e se le porta al petto. I peli sul collo mi si rizzano. «Fuggiamo da questa palla di merda!»
«Cosa?»
«Andiamo via! Rubiamo un’astronave e scappiamo. Io voglio viverla, la mia vita!»
«Io e te da soli?»
Tea pianta i suoi occhi meravigliosi nei miei.
«Ma non l’hai ancora capito che mi piaci?»
Il cuore mi finisce dritto in gola.
«Vieni qui, scemo.»
Mi accarezza la nuca e mi tira a sé. Le punte dei nasi si sfiorano, la mia bocca incontra la sua. Chiudo gli occhi e tutto sparisce, rimaniamo solo io e Tea.
Imposti le coordinate. Il computer di bordo conferma il percorso e con un frastuono i motori si attivano. Trovi la cambusa, ti levi i vestiti insanguinati e infili una tuta arancione. Ritorni alla sala medica, il metallo del corridoio ti gela le piante dei piedi. Le porte scorrono con un bip di conferma. Zac è steso sul lettino, immobilizzato. Le lacrime ti riempiono gli occhi. Se non fosse stato per il tuo stupido sogno ora non sarebbe in fin di vita.
Riempio il vassoio con il pasto del giorno. Il robot schizza metà della porzione fuori dal piatto. Dove si sarà cacciata Tea? Al nostro solito tavolo sono seduti Lucrezio e i suoi amici secchioni. Si tirano pacche sulle spalle e se la ridono. Chissà cosa c’è di tanto divertente.
«Cerchi qualcuno?»
Mi volto e Tea mi stampa un bacio sulla guancia. A momenti lascio cadere il vassoio.
«Sei diventato tutto rosso.»
«Non è vero!»
«Sì invece. Ma è una cosa dolce.»
Ecco, ora sì che mi si sono infiammate le guance.
Mi prende sotto braccio. «In sala mensa non c’era posto, mi sono seduta fuori sul prato. Mi fai compagnia?»
«Volentieri, ho anche qualcosa da farti vedere.»
Stendiamo una coperta sull’erba e appoggio il mio vassoio. Dorotea estrae dallo zaino un sacchetto di carta con il pranzo.
«Sicura che non ci fosse posto dentro?»
«Avevo voglia di fare un picnic, che male c’è?» Tea morde il panino, si pulisce il mento da una goccia di maionese. «Vuoi assaggiare?»
«No, ti ringrazio.»
Le invio alcune foto sul pad. «Guarda queste.»
«Cosa sono?»
«La soluzione a tutti i nostri problemi.»
Le siedo accanto e apriamo le immagini. «Questo è il nuovo spazioporto che stanno finendo di costruire nell’ansa del fiume.» L’ho fotografato da varie angolazioni. «Questa invece,» ingrandisco, «è un’astronave coloniale!»
Tea mi fissa. «Scusa Zac, ma non capisco.»
«È la nostra possibilità per andarcene!»
Il viso di Dorotea si fa dubbioso, aggrotta le sopracciglia. «Vuoi dire che...» Spalanca la bocca. «Lo faresti davvero? Scapperesti con me?»
«Ci ho pensato tutta la notte, anche io voglio un futuro con te. Voglio costruire una famiglia, avere dei figli!»
Tea mi salta al collo. «Ti adoro!» Mi riempie di baci le guance e la fronte. «Fino a ieri mi sembrava una follia anche solo parlarne. Oggi invece… non sono mai stata così felice!»
«Sì, ma abbassa la voce.» Giro la testa, nessuno dei ragazzi in cortile sembra prestarci attenzione. «Non dobbiamo farci scoprire, altrimenti siamo fregati. Non so per quanto tempo l’astronave rimarrà incustodita allo spazioporto: dobbiamo fare in fretta.»
«Ok, dammi un paio di giorni e sarò pronta.»
Bevi un sorso di tè, il calore della tazza ti riscalda le mani intirizzite. I bracci chirurgici ronzano sull’addome di Zac. Disinfettano, tagliano, cuciono. Il respiratore gli copre naso e bocca. Vorresti accarezzargli la guancia, baciargli la fronte imperlata di sudore. Sul monitor lampeggiano temperatura, pressione e altri valori che non sai leggere. Del sangue gocciola sul pavimento. Si è formata una piccola pozza.
Esci dalla sala medica, ancora un istante e potresti metterti a gridare.
Sul soffitto della camera le luci danzano al ritmo della musica nelle mie cuffie. Onde e spirali colorate che esplodono in ologrammi a tre dimensioni.
Le immagini si bloccano di colpo. Prendo il pad, Dorotea mi sta chiamando. Striscio la cornetta verde e sullo schermo appare il suo viso rigato dalle lacrime. Singhiozza. «Che succede?» Mi alzo dal letto di scatto.
«Ecaterina…»
«Ecaterina cosa?»
«Si è tolta la vita.»
Oh no. Raccolgo la giacca da terra e infilo la manica. «Dimmi dove sei, ti raggiungo.»
«Sto andando allo spazioporto. Voglio andarmene.»
«Vuoi partire ora?!»
«Non rimarrò un minuto di più su questo pianeta senza futuro!» Riattacca.
Riavvio la chiamata. “L’utente non è raggiungibile.” «Merda!»
Allungo la mano sotto al letto e agguanto lo zaino. Scendo le scale filato verso la porta di casa.
«Dove credi di andare, Zaccaria?» Mamma sorseggia un calice di vino. «È quasi pronta la cena.»
«Devo…» E ora che mi invento? «Ho dimenticato una cosa da un amico. Vado e torno.»
Papà sfila gli occhiali. «Non uscirai di casa a quest’ora, ragazzo.» La camicia slacciata sul collo, la cravatta allentata, deve essere appena rientrato.
«Non è il momento.» Apro l’uscio.
«Ragazzo!» Papà alza la voce. «Non puoi fare sempre quello che ti pare.» Si solleva dalla poltrona, si mette tra me e l’uscita e richiude la porta. «Ti ho detto di no.»
«Papà, ti prego! È Dorotea, ha bisogno di me.»
I lineamenti del viso si ammorbidiscono. «Ti porto io. Prendo le chiavi dell’auto.»
«È una cosa che devo fare da solo.»
«Ha a che fare con lo spazioporto?»
«Come fai a… Mi controllate il pad? Come vi siete permessi?» Mamma è impassibile. «Fate schifo!»
«Bada a come parli!» Mi intima papà con l’indice puntato davanti al naso. «Siamo i tuoi genitori, non possiamo tollerare un comportamento del genere.»
«Avrei vent’anni se solo potessi crescere. Lasciatemi in pace!»
Afferro la maniglia, ma papà mi schiaffeggia la mano. «Non costringermi a—»
La spalla, il braccio, la mano si muovono da soli. Lo colpisco con un pugno sul naso. Crack!
Papà si copre il viso e si regge alla parete.
«Francesco!» Il bicchiere di mamma impatta sul pavimento e si frantuma.
Apro la porta, esco nel buio.
«Zac, non fare sciocchezze!» Grida mio padre.
Inforco la bici, devo raggiungere Tea. Ho paura possa fare qualche stupidaggine se non vado subito da lei.
Lo spazioporto è deserto. Il sistema di vigilanza sembra spento. Scavalco la cancellata e incasso la testa nelle spalle, pronto al grido delle sirene. Silenzio. «Tea! Sei qui?» Almeno rispondesse al pad.
Un rumore metallico. Mi schiaccio contro il muro perimetrale, fermo immobile. Da dove proviene? È insistente e furioso. Supero un container. Dorotea sta colpendo con un tubo il portello dell’astronave. «Apriti, cazzo, apriti!»
«Tea!»
«Zac,» il tubo cade a terra con un clangore, «finalmente sei qui.»
Mi corre incontro e mi salta al collo. Il corpo è percorso da tremiti. Singhiozza. Preme il viso sulla mia felpa sudata.
«Andrà tutto bene, vedrai.»
«Ecaterina si è uccisa...» Si pulisce il naso col braccio. «Non poteva sopportare che—»
«Calmati. Adesso ce ne andiamo.»
«Voi due non andrete da nessuna parte!» Mamma avanza verso di noi. Ha una pistola in mano, i capelli scarmigliati. Papà è più indietro, con il fazzoletto premuto sul naso e la camicia macchiata di sangue.
«Mamma, non ce lo puoi impedire!»
«Non lo capisci che così morirai?»
«Almeno sarò libero di vivere la mia vita, non questa vostra eterna bugia.»
Dorotea mi si aggrappa al braccio. Averla accanto mi dà la forza di affrontare i miei genitori.
Mamma ride. «È una pazzia. Diglielo anche tu, Francesco.»
Papà non apre bocca.
«Francesco?»
Abbassa il fazzoletto dal naso gonfio. «Ti capisco, Zac.»
«Ma cosa stai dicendo? Sei impazzito anche tu?» Mamma scuote la testa. «Non ve lo lascerò fare.» Alza il braccio e ci punta contro la pistola.
Papà si avvicina con le mani protese. «Metti via quell’arma, Noemi.»
«Se rimane qui con noi Zaccaria non invecchierà mai!»
«Ma non sarà felice.»
«E alla mia felicità non ci pensi?» Ha gli occhi stralunati. «Cosa ne sarà di me se non potrò più essere una madre?»
«I figli crescono e bisogna lasciarli liberi. Se questo è quello che desidera Zac non posso che augurargli il meglio.»
Tea congiunge le mani. «Signora Adelmi, la prego.»
Mamma sembra accorgersi di lei solo ora. «È tutta colpa tua. Guarda cos’hai fatto al mio piccolo!»
«Non ho fatto niente. Vogliamo solo avere una famiglia...»
«Distruggendo la mia? Non posso permetterlo.» La mano le trema.
«Mamma, no!» Nascondo Dorotea dietro di me. Un boato mi buca i timpani.
Papà spinge la mamma a terra e le strappa l’arma dalle mani.
Le gambe non mi reggono. Il dolore si irradia dal ventre. Sono pieno di sangue.
Dorotea grida.
Papà corre verso di me e mi adagia a terra. «Zac! Guardami. Guardami, ti ho detto!» Sbatto gli occhi, non riesco a metterlo a fuoco. Anche Dorotea si è inginocchiata. Vorrei dirle di non piangere, che andrà tutto bene, ma sono così debole.
Papà tira fuori un badge dalla tasca e lo dà a Tea. «Questo aprirà il portello dell’astronave e la metterà in funzione. Porta Zac nella sala medica. L’I.A. integrata si occuperà della ferita. Andatevene da questo pianeta maledetto.»
Papà mi stringe. «Ti voglio bene, ragazzo mio.»
«Grazie papà,» sussurro, «anche io ti...»
Il trillo insistente ti sveglia. Viene dalla sala medica. Cosa succede? Oddio, Zac!
Non perdi tempo, percorri i corridoi ormai familiari. Con il fiato corto entri nella stanza. I parametri vitali sul monitor sembrano a posto. Ti avvicini al lettino, un passo alla volta. Hai una bruttissima sensazione, ti sporgi.
Zac sbatte le palpebre. «Tea, sei tu?» Cerca di sollevare il braccio.
«Aspetta, ti aiuto io.»
Gli accompagni le dita sul tuo viso, ti accarezza. «Ce l’abbiamo fatta?»
«Guarda tu stesso.»
Prendi uno specchietto e glielo metti davanti. Zac spalanca la bocca, si passa le dita tra i peli della barba ispida. «È… è incredibile!»
Scosta lo specchio e ti si butta al collo.
«Fa’ piano, altrimenti si riaprirà la ferita.»
Ti bacia. Le labbra sono screpolate, la stretta è debole, ma il suo sapore è inconfondibile.
«Pungi!» È il primo sorriso che ti sfiora le labbra dopo lunghi mesi.
La stanza ha uno scossone.
«Dove siamo?» Zac si guarda intorno spaesato. «Sull’astronave?»
Digiti un codice sul tastierino di controllo ambientale, la paratia intorno a voi scompare. Siete immersi in un nero punteggiato di stelle talmente luminose da accecare, nebulose dalle tinte sgargianti, piccoli soli, pianeti, lune e satelliti. Lo spazio profondo si dipana davanti ai vostri occhi, una miriade di colori e luci, una miriade di possibilità.
«Dove siamo diretti, Tea?» Non c’è timore nella sua voce.
«Non lo so,» gli baci la fronte, «ma non ha importanza finché sarai al mio fianco.»