DELIRIO DOLCE
Inviato: domenica 13 dicembre 2020, 11:07
DELIRIO DOLCE
C’è un piccione morto sul marciapiede, il sole è coperto di nuvole e la scuola è solo a due passi.
Lo specchio parabolico sull’angolo della strada non aveva mentito. Il cadavere del volatile era proprio lì. Sabrina si fermò a osservarlo: sembrava l’avessero conficcato a forza nell’angolo tra la parete grigia del palazzo e il marciapiede. Doveva essere morto di freddo e quella posizione assurda era il ricordo del suo ultimo anelito di sopravvivenza. Voglio vivere tu tu tu tuuuuu, vado a rintanarmi dove non fa così freddo, tu tu tu tuuuu! Tac, morto! Peccato, perché aveva dei colori stupendi.
Si strinse nelle spalle. Il giubbotto pesante che mamma l’aveva costretta a indossare le nascondeva tutte le forme, ma quantomeno la teneva abbastanza calda. Così non farò la fine del sorbetto di uccello lì a terra.
L’amaro in bocca però non se ne andò.
«Mamma, ma sembro un palombaro con ‘sto coso addosso!»
«Ti prendi un mal di gola al mese e perdi settimane di scuola: ti ho comprato questo con i miei risparmi e questo di metti.» Mamma aveva sollevato lo sguardo solo per un attimo, gli occhi socchiusi quasi a sfidarla, e poi aveva ripreso a tagliare le carote. Sabrina aveva dovuto tirar fuori tutto il suo coraggio per balbettare una protesta.
«Ma mamma, quello rosa gelato che mi hanno comprato i nonni lo scorso Natale è caldo allo stesso modo e più carino…»
«È vecchio, consumato sulle maniche e puzza!»
Mamma aveva assunto quella sua espressione che non ammetteva repliche e Sabrina aveva, come sempre, tollerato il buio compresso che le si era piazzato in fondo allo stomaco.
Papà non l’avrebbe mai permesso! Lui le lasciava scegliere i vestiti più carini, non metteva mai in discussione le sue decisioni, non era per niente invadente. «Io sono felice se tu sei felice. Se poi agli altri non piaci, chi se ne frega? L’importante è piacere a se stessi.» Lo ripeteva sempre come un mantra. Era stato il padre migliore del mondo, fino a quando il cancro non glielo aveva portato via. Dopo era iniziata la tirannide matriarcale.
Sergio fuori da scuola se ne stava coi suoi amichetti a cazzeggiare. Sabrina gli lanciò solo un gesto rapido di saluto, qualcosa che voleva dire ”La tua ragazza è arrivata, se vuoi ci sono, ora tocca a te”.
È bene che non me le faccia girare oggi, che mi sono anche venute e il rischio di mettersi a piangere davanti a tutti come una scema è altissimo.
Lui si accese una Marlboro a testa bassa, rispondendo con un veloce cenno del capo. Era chiaro che il Signorino non aveva tempo da perdere con lei. Sabrina deglutì per mandare giù quel grumo che le aveva annodato la gola. Poco male, staremo un po’ assieme all’uscita. Non conta la durata, ma la qualità! Il pensiero la fece sorridere, riportandole alla memoria i tentativi maldestri fatti un paio di sere prima a casa sua.
Pensa se fossero arrivate l’altro ieri, mentre lui mi scavava negli slip non si sa bene in cerca di cosa. No! Dalla vergogna sarei morta e se mi avessero resuscitata sarei morta un’altra volta!
Oltrepassò l’ingresso e salì le scale.
Anna l’attendeva sul primo gradino: «Non ti fermi con Sergio? Neanche un bacino?»
Chissà perché tutti dovevano farsi gli affari suoi in quella classe? «Stamattina non mi sembra in vena di coccole.» Sabrina si afferrò al corrimano e si tirò su con enorme fatica. Come se la gravità volesse trattenerla, chissà perché, al pianterreno.
Anna si sbuffò via un ciuffo di capelli dagli occhi. «Mamma mia che carattere che hai! Possibile che non ti rendi conto di quanto vali? Quello dovrebbe accendere un cero alla Madonna tutti i giorni per ringraziarla di averti tutta per sé, e invece fa il prezioso! Io fossi in te andrei lì e me lo bacerei davanti a tutti. Così, tanto per mettere le cose in chiaro.»
Se la sua compagna di banco aveva un pregio era quello di riuscire sempre a farla ridere, anche quando le regalava quelle verità scomode. Le labbra le si stirarono ma non rispose, anche perché ormai erano arrivate al piano.
Vanessa occhi belli era già al posto di combattimento. Stava appoggiata di spalle alla parete accanto alla porta, mani dietro il sedere e schiena leggermente arcuata, chioma fluente lasciata libera di acchiappare pesci nella rete. Quanto mi sta sul cazzo!
Sabrina la oltrepassò senza degnarla di uno sguardo, che sarebbe servito solo ad accrescerle l’autostima.
La stilettata arrivò vigliacca quando ormai era quasi dentro. «Ciao splendore, nel guardaroba non avevi niente di meglio?»
Non lo so, vogliamo controllare? Magari ti ci potrei infilare a forza di calci nel culo! Ma fu Anna a rispondere al posto suo: «Sicuramente potrai prestarci qualcosa tu, visto che vieni a scuola tutti i giorni vestita come a un matrimonio… o a un funerale.»
Lo sguardo da killer con cui l’amica sottolineò la frase sortì l’effetto sperato: Vanessa figa di mogano sorrise isterica e volse lo sguardo altrove.
Questa scuola è più faticosa di una battuta di pesca allo squalo.
«E quindi l’asse di un segmento…»
Niente da fare, Sabrina non riusciva a capire neanche una delle parole del professor Masini, con quella sgradevole sensazione di guazzetto nelle mutande. Devo andare a cambiarmi l’assorbente, altrimenti qui finisce in tragedia.
«…è quella retta che cade perpendicolare al segmento stesso…»
Alzò la mano cercando in tutti i modi di farsi notare: sul volto l’espressione disperata di ordinanza, che di solito capiscono alla prima solo le prof femmine.
«…nel suo punto di mezzo.» Macché, non ci arriva. Come volevasi dimostrare. Uomini…
“Scusi professore, dovrei andare in bagno”. Le sarebbe bastata quella piccola frase, ma non riusciva a pronunciarla. Non voleva interrompere e farsi notare dall’intera classe. Tutti avrebbero capito e le avrebbero guardato il culo per vedere se c’erano macchie rosse e magari, almeno a giudicare dalla sensazione sgradevole che sentiva tra le gambe, ce le avrebbero pure trovate.
Per tentare di essere più esplicita possibile alzò la borsetta colorata dal contenuto inequivocabile.
Nulla, il genio continuò la propria spiegazione come se lei non esistesse.
In fondo mancavano meno di dieci minuti al suono della campanella. Ci sarebbe andata durante la ricreazione: sempre di non cominciare a sgocciolare in giro!
D’un tratto, inaspettata, arrivò la salvezza. «Devo lasciarvi dieci minuti prima, non mi fate fare brutta figura col preside.»
Sabrina quasi pianse per il sollievo: «Mi scusi professore, posso andare in bagno?»
«Certamente, vai pure! Gli altri tutti in classe, mi raccomando.»
Era quasi certa di averla scampata quando il sibilo di Vanessa arpia di satana la raggiunse: «Qualcuno ha le perdite…» Un coro di risatine sommesse la accompagnò mentre si richiudeva la porta alle spalle.
Aveva quasi finito di risistemarsi quando suonò la campanella della ricreazione. Mi devo sbrigare, tra un po’ il bagno si riempirà di svampite che fumano e se con questa nausea sento anche odore di sigaretta va a finire che vomito in faccia a qualcuno.
«E quindi ti sei fatto la Quaranta?»
Sabrina drizzò le orecchie. Notizia gustosissima, qualcuno nel bagno dei ragazzi sparla di Vanessa labbra calienti: troppo succulenta per non restare a origliare.
«Fatti i cazzi tuoi, OK?»
Chi è? Mi pare di conoscerla questa voce.
«Eh no,Sergio, non te la cavi così, sei tu che hai lanciato il sasso e ora ci racconti per filo e per segno come è avvenuta la monta.»
La testa di Sabrina cominciò a girare. No, non è il mio Sergio. Signore, fa’ che non sia lui!
«Ragazzi, se lo viene a sapere Sabrina mi mettete nei casini. Smettetela, è come se non fosse mai successo!»
Doveva essere vera quella storia che quando uno muore gli passa tutta la vita davanti, perché nel momento stesso in cui il suo amore veniva fatto a pezzi a colpi di accetta, Sabrina si vide scorrere dinanzi agli occhi tutti i momenti belli passati con Sergio: le prime uscite in gruppo; il primo bacio nella camera di Valentina il giorno del suo compleanno, in mezzo ai cappotti gettati sul letto; i pomeriggi di baci a ripetere scienze a casa sua, fino a quell’ultimo in cui aveva lasciato che le mani di lui si gettassero in esplorazioni tremanti.
Insieme al ricordo scesero le lacrime: amare come il veleno.
La campanella suonò la fine della scuola. Sabrina raccolse il libro di chimica con movimenti svogliati: si sentiva pesante, come se le avessero caricato un quintale di zavorra sulla schiena e i ganci per sostenerla fossero stati infilati a forza da qualche parte vicino al suo ombelico.
Indossò il giubbino tubolare ecclesiastico e si issò lo zaino in spalla.
Scese le scale cauta, per lo stordimento che il ciclo le regalava sempre i primi giorni.
Fuori Sergio l’aspettava con a fianco i suoi degni amici. Vanessa scopa ragazzi altrui era dall’altra parte della strada a tener d’occhio la sua conquista segreta da una distanza di sicurezza.
Scenata, due schiaffi a lei e tre a lui, o rimandiamo a domani?
«Facciamo la strada assieme?» Sergio bugiardo e assassino come il diavolo incarnato vinse il record mondiale di sorriso falso.
Rimandiamo a domani, oggi non ce la faccio.
«No, scusa amo’, ho promesso a Silvia che mi fermo da lei per portarle i compiti.»
Il ragazzo si guardò la punta delle scarpe: «OK.» Fa pure l’uomo deluso, lo stronzo!
Sabrina girò l’angolo e proseguì sul marciapiede a testa bassa.
«Ora Vanessa avrà campo libero. Ma se sei contenta così…»
Sabrina si bloccò. Prese a guardarsi attorno frenetica, a destra, poi a sinistra. Nessuno.
«Ehi, quaggiù!» Il piccione morto aveva ripreso vita e le stava parlando. Va bene essere devastata dal dolore e dalla delusione, ma essere già da ricovero mi sembra un po’ troppo.
«Ascolta, tu non stai parlando, perché sei morto.» E già le sembrò troppo rispondere. Continuò per la sua strada facendo finta che non ci fosse.
L’uccello cominciò a passeggiarle a fianco agitando leggermente le ali. «A dire il vero questa mattina mi sono solo svegliato tardi. La notte tira un vento d’inferno e l’unico posto in cui si riesce a stare un po’ temperati è l’angolo tra la parete e il marciapiede.»
«Oh, ma com’è interessante. Dai, spiegami altre gustose teorie di termodinamica da volatili.»
Lo disse senza guardarlo: non voleva certo che qualcuno si accorgesse che stava parlando da sola.
«Era per chiacchierare. In realtà volevo farti notare che se scappi - come fai sempre - dai problemi, Vanessa ti fotte il ragazzo. Ma se sei contenta così…»
Un moto di rabbia la spinse a fermarsi e a rivolgersi al suo improbabile interlocutore: «Allora, parliamoci chiaro: tu sei solo un’allucinazione. Ho visto sei volte “A Beautiful Mind” e so perfettamente come riconoscerti. E io non accetto consigli da un parto delle mia mente che, a quanto pare» e fece una smorfia indicandolo «è malata!»
Il piccione la fissò con uno sguardo che, se fosse stato umano, sarebbe stato di rimprovero. «Sei una testona. Ti chiedo solo di prendere il coraggio a due mani per una volta nella vita e tornare all’angolo della strada. Vedi, c’è lo specchio parabolico lì all’incrocio, per le auto. Dai un occhiata dentro e dimmi quello che vedi. Solo questo: dammi retta solo stavolta e ti prometto che non ti disturberò più.»
«Se serve a farti sparire lo faccio di sicuro!»
Sabrina tornò sui suoi passi pestando i piedi, con quel rompiscatole del volatile che le continuava a saltellare a fianco.
«Sto guardando nelle specchio, contento?»
«Sei sicura? Guarda davvero.»
Sabrina riportò gli occhi in alto con uno sbuffo. Quell’attrezzo le consentiva di osservare la facciata della scuola senza esser vista. La superficie convessa non rimandava immagini troppo chiare, ma si poteva intuire con un certo grado di sicurezza che Vanessa se ne stava stretta al suo Sergio davanti all’edificio e che lui stava tentando di operarle le tonsille con la lingua.
Le montò una furia degna di Wolverine quando Fenice gli si rivolta contro.
Girò l’angolo e si piazzò dinanzi agli amanti clandestini con i pugni sui fianchi: «Che c’è, Sergio, è la tua nuova ragazza o ti hanno vomitato sul giubbotto?»
I due si girarono a guardarla con espressioni impagabili: un misto di vergogna, paura, stupore e voglia di seppellirsi.
Sergio si aggiudicò subito il premio per la frase più banale: «Non è come pensi!»
BUM!
Il colpo le venne fuori come se non avesse fatto altro che studiare arti marziali per tutta la vita. Si diede la spinta, roteò su se stessa e alzò la gamba all’altezza della faccia di lui. Ahimè, il calcio arrivò preciso anche sul volto di Vanessa punching-ball di merda: ma cosa poteva pretendere il mondo da lei? Mica era una professionista!
«Ahia, ma fei impaffita?» Sergio aveva ancora la forza per parlare. A dire il vero non riusciva a esprimersi in maniera troppo chiara senza gli incisivi superiori. Vanessa pozza di piscio, invece, era a terra e si teneva le mani a coppa sotto il suo ex delicato nasino all’insù mentre il sangue le sgorgava copioso. «Aaaaaah! Mi hai rotto il naso!»
«Già, è l’effetto collaterale di quando ci si scopa il ragazzo delle altre.»
Sergio era in palese conflitto interiore: la gestualità del suo corpo alternava implorazione all’indirizzo della ormai ex ragazza e soccorso verso l’amante a terra.
Sabrina decise di aiutarlo a scegliere, lasciandogli andare una ginocchiata nelle palle sufficiente a spedirle entrambe nelle buche d’angolo di un ipotetico biliardo.
Sergio si accartocciò lentamente e si lasciò cadere sul corpo già inerme di Vanessa cadavere putrefatto.
Poteva bastare.
Sabrina gettò un’occhiata al groviglio di escrementi di cane che aveva lasciato sul marciapiede, poi si voltò e fece per riprendere la via di casa. Non percorse che un paio di metri quando, folgorata da un’impellente necessità di chiarezza, ritornò sui suoi passi. Diede un paio di calcetti al ginocchio di Sergio per attirare la sua attenzione: «Mi sembra evidente che da oggi non stiamo più insieme. Giusto?»
«Giushto.» Rispose lui con voce acutissima, quasi in falsetto.
«Bene.» Sabrina riprese la via di casa.
L’uccello era sparito. Doveva essere davvero un parto della sua mente. Una vocina dentro che, per una volta, le aveva fatto fare quello che voleva, anziché quello che deve fare una brava ragazza.
Non aveva più quel magone di prima in fondo allo stomaco, ma le tremavano le ginocchia per il calo di adrenalina e cominciava a farsi mille film in cui feroci sbirri venivano ad arrestarla per aggressione a mano libera contro coppia di stronzi. Chissà se esisteva un reato del genere?
C’era di bello che, per una volta nella vita, aveva deciso di agire, di muoversi, di far capire agli altri che non potevano farle del male impunemente. Beh, forse aveva un tantinello esagerato, ma il messaggio era passato di sicuro.
Girato l’angolo guardò ancora una volta nello specchio convesso. I due amanti clandestini stavano provando a rimettersi in piedi e Vanessa vedova sconsolata piangeva col viso appoggiato al petto del suo ragazzo. Bene, così gli sporcherà il maglione di sangue.
Certo, con tutto quel movimento atletico l’assorbente poteva essersi spostato. Sabrina si guardò tra le gambe e scorse la macchiolina rossa che non avrebbe mai voluto vedere. Sul retro la situazione doveva essere ben peggiore.
Era spuntato un bel sole e non faceva più così freddo come al mattino: tolse il giubbotto e se lo legò in vita. Fa schifo, ma almeno ha la sua porca utilità.
«È stata mamma a costringerti a mettere quell’affare, vero?» Come non detto, la sua allucinazione piccioniforme era ricomparsa al suo fianco.
Lei continuò a fingere di ignorarla, lo sguardo fisso dinanzi a sé. «Che vuoi saperne, tu? Sei solo un’invenzione dei miei neuroni che hanno fatto cilecca. Chissà se dovrò prendere dei farmaci per cancellarti?»
«Che buffa che sei diventata. Ma davvero non ti ricordi più di me?»
Sabrina fece una smorfia: l’uccellaccio stava diventando invadente. Ora magari sarebbe venuto a raccontarle una di quelle storie da narrativa per l’infanzia, in cui una creaturina passa la vita a sorvegliare il bambino a cui è stata assegnata. Erano stupidaggini che non aveva mai sopportato.
«No, non mi ricordo di aver frequentato volatili negli ultimi sedici anni, ma magari mi sbaglio.»
«Sicura?» L’uccellino andò a posarsi sulla sua mano, la guardò fissa coi suoi occhi neri e fece il gesto di beccare una briciola di pane dal suo palmo.
Un ricordo la travolse improvviso.
Aveva sei anni e stava seduta su una panchina assieme a suo padre. Ci andavano tutte le domeniche, a quel parco, e tutte le volte papà rubava da casa un pezzettino di pane da sbriciolare per gli uccelli.
«Che buffi che sono i piccioni! Sembra che camminino dando testate all’aria, non è vero papà?»
Lui aveva sorriso, il sorriso più bello del mondo sul viso dell’uomo migliore. «Già, sono davvero buffi. Lo sai che si adattano a qualsiasi clima? Si trovano in quasi tutto il mondo. Ovunque tu possa andare a finire, uno di loro ti troverà sempre.»
«Allora da grande mi voglio sposare con un piccione!» Aveva fatto la buffona come al solito, sapeva cosa sarebbe successo.
Papà infatti l’aveva riempita di solletico: «Ah, pensi già a sposarti, malandrina!»
Lei aveva riso fin quasi a farsi la pipì addosso. «Basta, papà, basta!»
Lui si era fermato a fissarla sognando a occhi aperti, come faceva spesso: «Tutte le volte che avrai bisogno di me, mi trasformerò in piccione per venirti a salvare.»
Papà…
«Papà, sei tu?» Sabrina sentì le lacrime bussarle dietro gli occhi.
L’uccello le svolazzò attorno. Si posò sulla spalla e le appoggiò il becco all’orecchio: «Io ci sarò sempre, tutte le volte in cui ci sarà bisogno di me!»
E se ne volò via, lasciando Sabrina a fissare il cielo col cuore gonfio di infinito e lacrime dolci di miele che le scorrevano sul viso.
C’è un piccione morto sul marciapiede, il sole è coperto di nuvole e la scuola è solo a due passi.
Lo specchio parabolico sull’angolo della strada non aveva mentito. Il cadavere del volatile era proprio lì. Sabrina si fermò a osservarlo: sembrava l’avessero conficcato a forza nell’angolo tra la parete grigia del palazzo e il marciapiede. Doveva essere morto di freddo e quella posizione assurda era il ricordo del suo ultimo anelito di sopravvivenza. Voglio vivere tu tu tu tuuuuu, vado a rintanarmi dove non fa così freddo, tu tu tu tuuuu! Tac, morto! Peccato, perché aveva dei colori stupendi.
Si strinse nelle spalle. Il giubbotto pesante che mamma l’aveva costretta a indossare le nascondeva tutte le forme, ma quantomeno la teneva abbastanza calda. Così non farò la fine del sorbetto di uccello lì a terra.
L’amaro in bocca però non se ne andò.
«Mamma, ma sembro un palombaro con ‘sto coso addosso!»
«Ti prendi un mal di gola al mese e perdi settimane di scuola: ti ho comprato questo con i miei risparmi e questo di metti.» Mamma aveva sollevato lo sguardo solo per un attimo, gli occhi socchiusi quasi a sfidarla, e poi aveva ripreso a tagliare le carote. Sabrina aveva dovuto tirar fuori tutto il suo coraggio per balbettare una protesta.
«Ma mamma, quello rosa gelato che mi hanno comprato i nonni lo scorso Natale è caldo allo stesso modo e più carino…»
«È vecchio, consumato sulle maniche e puzza!»
Mamma aveva assunto quella sua espressione che non ammetteva repliche e Sabrina aveva, come sempre, tollerato il buio compresso che le si era piazzato in fondo allo stomaco.
Papà non l’avrebbe mai permesso! Lui le lasciava scegliere i vestiti più carini, non metteva mai in discussione le sue decisioni, non era per niente invadente. «Io sono felice se tu sei felice. Se poi agli altri non piaci, chi se ne frega? L’importante è piacere a se stessi.» Lo ripeteva sempre come un mantra. Era stato il padre migliore del mondo, fino a quando il cancro non glielo aveva portato via. Dopo era iniziata la tirannide matriarcale.
Sergio fuori da scuola se ne stava coi suoi amichetti a cazzeggiare. Sabrina gli lanciò solo un gesto rapido di saluto, qualcosa che voleva dire ”La tua ragazza è arrivata, se vuoi ci sono, ora tocca a te”.
È bene che non me le faccia girare oggi, che mi sono anche venute e il rischio di mettersi a piangere davanti a tutti come una scema è altissimo.
Lui si accese una Marlboro a testa bassa, rispondendo con un veloce cenno del capo. Era chiaro che il Signorino non aveva tempo da perdere con lei. Sabrina deglutì per mandare giù quel grumo che le aveva annodato la gola. Poco male, staremo un po’ assieme all’uscita. Non conta la durata, ma la qualità! Il pensiero la fece sorridere, riportandole alla memoria i tentativi maldestri fatti un paio di sere prima a casa sua.
Pensa se fossero arrivate l’altro ieri, mentre lui mi scavava negli slip non si sa bene in cerca di cosa. No! Dalla vergogna sarei morta e se mi avessero resuscitata sarei morta un’altra volta!
Oltrepassò l’ingresso e salì le scale.
Anna l’attendeva sul primo gradino: «Non ti fermi con Sergio? Neanche un bacino?»
Chissà perché tutti dovevano farsi gli affari suoi in quella classe? «Stamattina non mi sembra in vena di coccole.» Sabrina si afferrò al corrimano e si tirò su con enorme fatica. Come se la gravità volesse trattenerla, chissà perché, al pianterreno.
Anna si sbuffò via un ciuffo di capelli dagli occhi. «Mamma mia che carattere che hai! Possibile che non ti rendi conto di quanto vali? Quello dovrebbe accendere un cero alla Madonna tutti i giorni per ringraziarla di averti tutta per sé, e invece fa il prezioso! Io fossi in te andrei lì e me lo bacerei davanti a tutti. Così, tanto per mettere le cose in chiaro.»
Se la sua compagna di banco aveva un pregio era quello di riuscire sempre a farla ridere, anche quando le regalava quelle verità scomode. Le labbra le si stirarono ma non rispose, anche perché ormai erano arrivate al piano.
Vanessa occhi belli era già al posto di combattimento. Stava appoggiata di spalle alla parete accanto alla porta, mani dietro il sedere e schiena leggermente arcuata, chioma fluente lasciata libera di acchiappare pesci nella rete. Quanto mi sta sul cazzo!
Sabrina la oltrepassò senza degnarla di uno sguardo, che sarebbe servito solo ad accrescerle l’autostima.
La stilettata arrivò vigliacca quando ormai era quasi dentro. «Ciao splendore, nel guardaroba non avevi niente di meglio?»
Non lo so, vogliamo controllare? Magari ti ci potrei infilare a forza di calci nel culo! Ma fu Anna a rispondere al posto suo: «Sicuramente potrai prestarci qualcosa tu, visto che vieni a scuola tutti i giorni vestita come a un matrimonio… o a un funerale.»
Lo sguardo da killer con cui l’amica sottolineò la frase sortì l’effetto sperato: Vanessa figa di mogano sorrise isterica e volse lo sguardo altrove.
Questa scuola è più faticosa di una battuta di pesca allo squalo.
«E quindi l’asse di un segmento…»
Niente da fare, Sabrina non riusciva a capire neanche una delle parole del professor Masini, con quella sgradevole sensazione di guazzetto nelle mutande. Devo andare a cambiarmi l’assorbente, altrimenti qui finisce in tragedia.
«…è quella retta che cade perpendicolare al segmento stesso…»
Alzò la mano cercando in tutti i modi di farsi notare: sul volto l’espressione disperata di ordinanza, che di solito capiscono alla prima solo le prof femmine.
«…nel suo punto di mezzo.» Macché, non ci arriva. Come volevasi dimostrare. Uomini…
“Scusi professore, dovrei andare in bagno”. Le sarebbe bastata quella piccola frase, ma non riusciva a pronunciarla. Non voleva interrompere e farsi notare dall’intera classe. Tutti avrebbero capito e le avrebbero guardato il culo per vedere se c’erano macchie rosse e magari, almeno a giudicare dalla sensazione sgradevole che sentiva tra le gambe, ce le avrebbero pure trovate.
Per tentare di essere più esplicita possibile alzò la borsetta colorata dal contenuto inequivocabile.
Nulla, il genio continuò la propria spiegazione come se lei non esistesse.
In fondo mancavano meno di dieci minuti al suono della campanella. Ci sarebbe andata durante la ricreazione: sempre di non cominciare a sgocciolare in giro!
D’un tratto, inaspettata, arrivò la salvezza. «Devo lasciarvi dieci minuti prima, non mi fate fare brutta figura col preside.»
Sabrina quasi pianse per il sollievo: «Mi scusi professore, posso andare in bagno?»
«Certamente, vai pure! Gli altri tutti in classe, mi raccomando.»
Era quasi certa di averla scampata quando il sibilo di Vanessa arpia di satana la raggiunse: «Qualcuno ha le perdite…» Un coro di risatine sommesse la accompagnò mentre si richiudeva la porta alle spalle.
Aveva quasi finito di risistemarsi quando suonò la campanella della ricreazione. Mi devo sbrigare, tra un po’ il bagno si riempirà di svampite che fumano e se con questa nausea sento anche odore di sigaretta va a finire che vomito in faccia a qualcuno.
«E quindi ti sei fatto la Quaranta?»
Sabrina drizzò le orecchie. Notizia gustosissima, qualcuno nel bagno dei ragazzi sparla di Vanessa labbra calienti: troppo succulenta per non restare a origliare.
«Fatti i cazzi tuoi, OK?»
Chi è? Mi pare di conoscerla questa voce.
«Eh no,Sergio, non te la cavi così, sei tu che hai lanciato il sasso e ora ci racconti per filo e per segno come è avvenuta la monta.»
La testa di Sabrina cominciò a girare. No, non è il mio Sergio. Signore, fa’ che non sia lui!
«Ragazzi, se lo viene a sapere Sabrina mi mettete nei casini. Smettetela, è come se non fosse mai successo!»
Doveva essere vera quella storia che quando uno muore gli passa tutta la vita davanti, perché nel momento stesso in cui il suo amore veniva fatto a pezzi a colpi di accetta, Sabrina si vide scorrere dinanzi agli occhi tutti i momenti belli passati con Sergio: le prime uscite in gruppo; il primo bacio nella camera di Valentina il giorno del suo compleanno, in mezzo ai cappotti gettati sul letto; i pomeriggi di baci a ripetere scienze a casa sua, fino a quell’ultimo in cui aveva lasciato che le mani di lui si gettassero in esplorazioni tremanti.
Insieme al ricordo scesero le lacrime: amare come il veleno.
La campanella suonò la fine della scuola. Sabrina raccolse il libro di chimica con movimenti svogliati: si sentiva pesante, come se le avessero caricato un quintale di zavorra sulla schiena e i ganci per sostenerla fossero stati infilati a forza da qualche parte vicino al suo ombelico.
Indossò il giubbino tubolare ecclesiastico e si issò lo zaino in spalla.
Scese le scale cauta, per lo stordimento che il ciclo le regalava sempre i primi giorni.
Fuori Sergio l’aspettava con a fianco i suoi degni amici. Vanessa scopa ragazzi altrui era dall’altra parte della strada a tener d’occhio la sua conquista segreta da una distanza di sicurezza.
Scenata, due schiaffi a lei e tre a lui, o rimandiamo a domani?
«Facciamo la strada assieme?» Sergio bugiardo e assassino come il diavolo incarnato vinse il record mondiale di sorriso falso.
Rimandiamo a domani, oggi non ce la faccio.
«No, scusa amo’, ho promesso a Silvia che mi fermo da lei per portarle i compiti.»
Il ragazzo si guardò la punta delle scarpe: «OK.» Fa pure l’uomo deluso, lo stronzo!
Sabrina girò l’angolo e proseguì sul marciapiede a testa bassa.
«Ora Vanessa avrà campo libero. Ma se sei contenta così…»
Sabrina si bloccò. Prese a guardarsi attorno frenetica, a destra, poi a sinistra. Nessuno.
«Ehi, quaggiù!» Il piccione morto aveva ripreso vita e le stava parlando. Va bene essere devastata dal dolore e dalla delusione, ma essere già da ricovero mi sembra un po’ troppo.
«Ascolta, tu non stai parlando, perché sei morto.» E già le sembrò troppo rispondere. Continuò per la sua strada facendo finta che non ci fosse.
L’uccello cominciò a passeggiarle a fianco agitando leggermente le ali. «A dire il vero questa mattina mi sono solo svegliato tardi. La notte tira un vento d’inferno e l’unico posto in cui si riesce a stare un po’ temperati è l’angolo tra la parete e il marciapiede.»
«Oh, ma com’è interessante. Dai, spiegami altre gustose teorie di termodinamica da volatili.»
Lo disse senza guardarlo: non voleva certo che qualcuno si accorgesse che stava parlando da sola.
«Era per chiacchierare. In realtà volevo farti notare che se scappi - come fai sempre - dai problemi, Vanessa ti fotte il ragazzo. Ma se sei contenta così…»
Un moto di rabbia la spinse a fermarsi e a rivolgersi al suo improbabile interlocutore: «Allora, parliamoci chiaro: tu sei solo un’allucinazione. Ho visto sei volte “A Beautiful Mind” e so perfettamente come riconoscerti. E io non accetto consigli da un parto delle mia mente che, a quanto pare» e fece una smorfia indicandolo «è malata!»
Il piccione la fissò con uno sguardo che, se fosse stato umano, sarebbe stato di rimprovero. «Sei una testona. Ti chiedo solo di prendere il coraggio a due mani per una volta nella vita e tornare all’angolo della strada. Vedi, c’è lo specchio parabolico lì all’incrocio, per le auto. Dai un occhiata dentro e dimmi quello che vedi. Solo questo: dammi retta solo stavolta e ti prometto che non ti disturberò più.»
«Se serve a farti sparire lo faccio di sicuro!»
Sabrina tornò sui suoi passi pestando i piedi, con quel rompiscatole del volatile che le continuava a saltellare a fianco.
«Sto guardando nelle specchio, contento?»
«Sei sicura? Guarda davvero.»
Sabrina riportò gli occhi in alto con uno sbuffo. Quell’attrezzo le consentiva di osservare la facciata della scuola senza esser vista. La superficie convessa non rimandava immagini troppo chiare, ma si poteva intuire con un certo grado di sicurezza che Vanessa se ne stava stretta al suo Sergio davanti all’edificio e che lui stava tentando di operarle le tonsille con la lingua.
Le montò una furia degna di Wolverine quando Fenice gli si rivolta contro.
Girò l’angolo e si piazzò dinanzi agli amanti clandestini con i pugni sui fianchi: «Che c’è, Sergio, è la tua nuova ragazza o ti hanno vomitato sul giubbotto?»
I due si girarono a guardarla con espressioni impagabili: un misto di vergogna, paura, stupore e voglia di seppellirsi.
Sergio si aggiudicò subito il premio per la frase più banale: «Non è come pensi!»
BUM!
Il colpo le venne fuori come se non avesse fatto altro che studiare arti marziali per tutta la vita. Si diede la spinta, roteò su se stessa e alzò la gamba all’altezza della faccia di lui. Ahimè, il calcio arrivò preciso anche sul volto di Vanessa punching-ball di merda: ma cosa poteva pretendere il mondo da lei? Mica era una professionista!
«Ahia, ma fei impaffita?» Sergio aveva ancora la forza per parlare. A dire il vero non riusciva a esprimersi in maniera troppo chiara senza gli incisivi superiori. Vanessa pozza di piscio, invece, era a terra e si teneva le mani a coppa sotto il suo ex delicato nasino all’insù mentre il sangue le sgorgava copioso. «Aaaaaah! Mi hai rotto il naso!»
«Già, è l’effetto collaterale di quando ci si scopa il ragazzo delle altre.»
Sergio era in palese conflitto interiore: la gestualità del suo corpo alternava implorazione all’indirizzo della ormai ex ragazza e soccorso verso l’amante a terra.
Sabrina decise di aiutarlo a scegliere, lasciandogli andare una ginocchiata nelle palle sufficiente a spedirle entrambe nelle buche d’angolo di un ipotetico biliardo.
Sergio si accartocciò lentamente e si lasciò cadere sul corpo già inerme di Vanessa cadavere putrefatto.
Poteva bastare.
Sabrina gettò un’occhiata al groviglio di escrementi di cane che aveva lasciato sul marciapiede, poi si voltò e fece per riprendere la via di casa. Non percorse che un paio di metri quando, folgorata da un’impellente necessità di chiarezza, ritornò sui suoi passi. Diede un paio di calcetti al ginocchio di Sergio per attirare la sua attenzione: «Mi sembra evidente che da oggi non stiamo più insieme. Giusto?»
«Giushto.» Rispose lui con voce acutissima, quasi in falsetto.
«Bene.» Sabrina riprese la via di casa.
L’uccello era sparito. Doveva essere davvero un parto della sua mente. Una vocina dentro che, per una volta, le aveva fatto fare quello che voleva, anziché quello che deve fare una brava ragazza.
Non aveva più quel magone di prima in fondo allo stomaco, ma le tremavano le ginocchia per il calo di adrenalina e cominciava a farsi mille film in cui feroci sbirri venivano ad arrestarla per aggressione a mano libera contro coppia di stronzi. Chissà se esisteva un reato del genere?
C’era di bello che, per una volta nella vita, aveva deciso di agire, di muoversi, di far capire agli altri che non potevano farle del male impunemente. Beh, forse aveva un tantinello esagerato, ma il messaggio era passato di sicuro.
Girato l’angolo guardò ancora una volta nello specchio convesso. I due amanti clandestini stavano provando a rimettersi in piedi e Vanessa vedova sconsolata piangeva col viso appoggiato al petto del suo ragazzo. Bene, così gli sporcherà il maglione di sangue.
Certo, con tutto quel movimento atletico l’assorbente poteva essersi spostato. Sabrina si guardò tra le gambe e scorse la macchiolina rossa che non avrebbe mai voluto vedere. Sul retro la situazione doveva essere ben peggiore.
Era spuntato un bel sole e non faceva più così freddo come al mattino: tolse il giubbotto e se lo legò in vita. Fa schifo, ma almeno ha la sua porca utilità.
«È stata mamma a costringerti a mettere quell’affare, vero?» Come non detto, la sua allucinazione piccioniforme era ricomparsa al suo fianco.
Lei continuò a fingere di ignorarla, lo sguardo fisso dinanzi a sé. «Che vuoi saperne, tu? Sei solo un’invenzione dei miei neuroni che hanno fatto cilecca. Chissà se dovrò prendere dei farmaci per cancellarti?»
«Che buffa che sei diventata. Ma davvero non ti ricordi più di me?»
Sabrina fece una smorfia: l’uccellaccio stava diventando invadente. Ora magari sarebbe venuto a raccontarle una di quelle storie da narrativa per l’infanzia, in cui una creaturina passa la vita a sorvegliare il bambino a cui è stata assegnata. Erano stupidaggini che non aveva mai sopportato.
«No, non mi ricordo di aver frequentato volatili negli ultimi sedici anni, ma magari mi sbaglio.»
«Sicura?» L’uccellino andò a posarsi sulla sua mano, la guardò fissa coi suoi occhi neri e fece il gesto di beccare una briciola di pane dal suo palmo.
Un ricordo la travolse improvviso.
Aveva sei anni e stava seduta su una panchina assieme a suo padre. Ci andavano tutte le domeniche, a quel parco, e tutte le volte papà rubava da casa un pezzettino di pane da sbriciolare per gli uccelli.
«Che buffi che sono i piccioni! Sembra che camminino dando testate all’aria, non è vero papà?»
Lui aveva sorriso, il sorriso più bello del mondo sul viso dell’uomo migliore. «Già, sono davvero buffi. Lo sai che si adattano a qualsiasi clima? Si trovano in quasi tutto il mondo. Ovunque tu possa andare a finire, uno di loro ti troverà sempre.»
«Allora da grande mi voglio sposare con un piccione!» Aveva fatto la buffona come al solito, sapeva cosa sarebbe successo.
Papà infatti l’aveva riempita di solletico: «Ah, pensi già a sposarti, malandrina!»
Lei aveva riso fin quasi a farsi la pipì addosso. «Basta, papà, basta!»
Lui si era fermato a fissarla sognando a occhi aperti, come faceva spesso: «Tutte le volte che avrai bisogno di me, mi trasformerò in piccione per venirti a salvare.»
Papà…
«Papà, sei tu?» Sabrina sentì le lacrime bussarle dietro gli occhi.
L’uccello le svolazzò attorno. Si posò sulla spalla e le appoggiò il becco all’orecchio: «Io ci sarò sempre, tutte le volte in cui ci sarà bisogno di me!»
E se ne volò via, lasciando Sabrina a fissare il cielo col cuore gonfio di infinito e lacrime dolci di miele che le scorrevano sul viso.