Riscoprirsi Altrove
Inviato: mercoledì 16 dicembre 2020, 11:48
RISCOPRIRSI ALTROVE
Gaia si tolse la maglia e la scaraventò sul letto.
«Alexa, metti musica pesa e ignorante!» il led blu del dispositivo non accennava a spegnersi «Alexa, è così difficile?» scalciò per togliersi le scarpe che finirono a pochi centimetri dallo specchio.
“MI DISPIACE, NON RICONOSCO LA TUA VOCE, VUOI PROCEDERE DI NUOVO ALLA REGISTRAZIONE VOCALE?”
Vaffanculo anche te, Alexa! Che andassero a farsi fottere tutti, insieme alla sua stupida illusione di essere come le altre ragazze.
Un’occhiata veloce allo specchio la costrinse a sistemarsi i capelli. Perché erano così stopposi e unti?
Ma li ho lavati stamattina!
Allungò lo sguardo verso il cellulare e niente, non aveva risposto.
Inutile insistere, Elis Todd non ne voleva sapere di lei. E perché avrebbe dovuto? Diede un’occhiata alla sua immagine riflessa nella finestra. Era alta, gobba e insignificante. Fu però attratta dal profilo del seno che si intravedeva tra il vetro e il verde delle persiane chiuse. Non era male in fondo, piccolo ma sodo e attraente. Ma non bastava e avevano ragione quei bastardi della terza F. Avrebbe dato qualsiasi cosa per essere come Gemma. La adorava ma ormai erano sei notti – le aveva contate, cazzo se le aveva contate – che se ne stava con gli occhi spalancati a contare i riflessi della luna sul soffitto e a immaginare la sua migliore amica colpita dalle peggiori disgrazie. Era una brutta persona? No, era solo stufa di vedere gli ammiccamenti dei ragazzi mentre sbirciavano le tette della meravigliosa Gemma e trattavano lei come se fosse stata la bacheca degli avvisi della scuola. Ma poi, c’era bisogno di farle vedere così le tette?
“Gaia, senza di te non saprei proprio come fare, sei la mia migliore amica, lo sai vero?”.
Glielo aveva ripetuto anche quella mattina, prima di umiliarla in cortile solo per fare la splendida con quei tre o quattro imbecilli gonfi di palestra. Certo che non avrebbe saputo come fare; senza di lei avrebbe forse avuto una rivale. E invece con “Gaia lo stambecco ferito” la splendida Gemma aveva campo libero. Stambecco ferito. Chi era stato il primo a chiamarla così? Forse Giacomo, quello con il pacco finto.
Una volta Sergio lo aveva sputtanato rivelando a tutti che ogni mattina si imbottiva le mutande di cotone. Tristezza infinita. Sergio ne era uscito col naso rotto ma in quel momento era diventato l’idolo di tutti gli stambecchi, anche quelli non feriti. Stambecco ferito. Che stronzo.
«Forse li ho lasciati in camera di Gaia, fammi dare un’occhiata e arrivo» la voce della mamma la fece trasalire ma non ebbe il tempo di rimettersi la maglia perché lei entrò senza bussare come se non sapesse della sua presenza e, oh ma che faceva? Neanche la degnava di uno sguardo.
«Mamma, scusa ma bussare è un concetto che hai deciso di eliminare?» non riusciva a crederci, la mamma faceva finta di non vederla né sentirla.
Ma che le ho fatto?
Si sforzò di ricordare e le tornarono davanti le scene della discussione della sera prima.
Però accidenti, tante volte sono salita in camera mandandola a fanculo e mica ha fatto tutto ‘sto teatrino!
Prima di uscire la mamma si voltò. Aveva un’espressione che non ricordava di averle mai visto. Doveva davvero averla fatta incazzare stavolta. Poi la guardò con dolcezza e le sorrise. Dai, allora non era così inviperita, tra poco l’avrebbe chiamata giù per la consueta cioccolata calda.
«Elis caro, puoi fare da solo? Io non ci capisco granché nella stanza di Gaia».
Elis? Elis Todd è qui?
«Mamma digli di aspettare giù, scendo subito!»
Saltò sul letto e agguantò la maglia. Ma no, cazzo, non poteva farsi vedere con i Teletubbies addosso.
Ma cavolo Gaia, anche se fossi una bella gnocca perderesti punti su punti con le cazzate che indossi.
«Arrivo, un attimo» si precipitò verso l’armadio e, porca puttana, che male. Ma dove cazzo aveva sbattuto? Il mignolo del piede cominciò a pulsare e dovette fermarsi e fare un respiro profondo per non urlare dal dolore.
Vaffanculo, era senza speranza.
Ma ora cosa doveva mettersi per presentarsi a Elis in modo decente? Ma perché poi Elis si trovava lì?
«Gaia, posso entrare?» la voce di Elis la costrinse a prendere la solita felpaccia grigia con il logo di Disney Channel.
«Gaia, ci sei? Mi senti?» mamma mia com’era insistente il ragazzo, ma non aveva detto alla mamma che sarebbe scesa?
Si spazzolò al volo i capelli e si diresse verso la porta stando attenta a non apparire troppo ansiosa. Aprì la porta e sorrise per nascondere tutta la vergogna e l’imbarazzo che provava in quel momento ma restò immobile a guardare quel tizio grasso e vestito come se lo avessero immerso nell’arcobaleno che la fissava sorridente.
Gaia lo osservò bene, sembrava proprio lui. Ma che voleva ancora? Aveva già espresso il desiderio e allora? Cos’altro voleva questo ciccione? Forse si era dimenticato qualcosa, o forse non era lui.
Ma Elis non lo vedeva? Ah cacchio, Elis! Gaia mise la testa fuori dalla porta per cercarlo ma vide solo il faccione di Orfeo, o come cavolo si chiamava, che copriva gran parte della visuale.
«Principessa Gaia, mi cerchi fuori ma sono qua» Gaia si voltò di scatto e vide Elis che sfogliava il libro di storia che aveva lasciato aperto sulla scrivania. Il ragazzo alzò lo sguardo e le sorrise. Dio mio, era così carino, così diverso da tutti quei cretini che la guardavano come se fosse la ragazza più brutta e goffa del liceo. Ma che ci facevano lì? Forse avrebbe dovuto andars...
«Principessa Gaia, ci sei? Dai che non abbiamo molto tempo!».
Lei continuava a fissarlo mentre da quella splendida bocca uscivano ancora parole carine per lei.
«Elis, mi spieghi perché continui a chiamarmi Principessa? E poi molto tempo per cosa?».
Gaia si avvicinò a lui per chiedere spiegazioni ma si sentì afferrare a un braccio. Si voltò in preda a una sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco.
«Principessa, dovreste essere già pronta e invece cosa vedo? Questa robaccia che vi ostinate a indossare. Dobbiamo sbrigarci o tutto sarà stato invano».
Gaia sentì cedere le gambe e la stanza cominciò a muoversi. Stava male, presto avrebbe avuto una crisi.
«FERMI! Un attimo fermi per favore, basta vi prego» arretrò di qualche passo e con la mano cercò qualcosa a cui appoggiarsi «zitti un momento, datemi due secondi» si lasciò cadere su una sedia e inalò quanta più aria possibile.
«Che ci fai qui Elis e perché cavolo insistete a chiamarmi Principessa? Ma soprattutto perché lui è qui?».
L’ometto colorato la fissò con espressione seria e un brivido la attraversò, spaventandola. Poi lui le sorrise e si grattò la pancia.
«Principessa Gaia, io sono solo quel che voi avete chiesto di vedere e ciò che volete che sia. Il palcoscenico è vuoto, gli attori truccati e le comparse pronte. Che si vada in scena. Vestitevi e smettetela di far domande».
Gaia lo osservava e non capiva da dove provenisse il profumo che si avvertiva quando gesticolava. Sembrava vaniglia ma c’era anche il limone.
«Io ti ho già visto, ti chiami Orfeo, vero? Eri dentro l’armadio, nello specchio. Ma stavo sognando. Mi hai chiesto di Gemma e quello che volevo essere. Ma chi sei?».
La strana figura allargò le braccia e Gaia fu invasa da una nuvola rosa che sapeva proprio di vaniglia e limone, adesso si sentiva benissimo.
«Orfeo Augusto Nardoni, mia adorata Principessa Gaia. Servitore di Terrasogno, per anni itinerante di Mondo Onirico e adesso funzionario delle Lande Sognanti. Mia cara Principessa, potremmo in effetti dire che voi stavate sognando ma anche affermare che la realtà vera era tutta in quello specchio in cui avete gettato i vostri desideri, beh anche quelli un po’ cattivi se vogliamo dirla tutta. Ed è per questo che sono stato costretto a chiamare il prode Todd. Solo un’anima speciale può accompagnare una Principessa nella consapevolezza di quello che è e aggiustare i danni di un desiderio cattivo.»
Ecco, lo sapeva, il tizio grasso e colorato leggeva il pensiero. Beh, desideri cattivi, che poteva farci lei se a volte Gemma era così insopportabile da farle venire in mente cose non proprio piacevoli?
Gaia si voltò verso Elis. Stava sorridendo e la guardava come sognava di essere guardata da lui fin dalla prima liceo.
«Anima speciale? Terrasogno? Ma che significa?» fece un altro respiro profondo e riuscì ad attenuare la nausea che da qualche minuto la stava tormentando.
Elis le si avvicinò e la stanza si fece tutta blu; c’erano solo loro due.
«Gaia, so che è difficile ma adesso devi solo fidarti di me e di Orfeo Augusto. Tu hai desiderato di essere vista come realmente sei e hai chiesto di esplorare un mondo nuovo ed eccoti qua tra profumi e colori» la guardò di nuovo in quel modo e lei sentì il cuore accelerare «non aver paura e seguici. Ti faremo vedere ciò che non vedevi.»
Gaia si alzò e andò verso la finestra. Doveva prendere un po’ d’aria. In quel momento tutto intorno tornò chiaro e la sua stanza le apparve come sempre. Guardò di nuovo Elis poi cercò Orfeo Augusto. Sembrava così reale eppure adesso le tornava in mente. Era un sogno e se lo ricordava bene perché si era ritrovata davanti la faccia sorridente della mamma che le augurava il buongiorno. O forse no. Provò ancora a sforzarsi. Ricordava il sapore in bocca. Che strano. Ma l’uomo colorato era arrivato prima o dopo il sogno?
Ma che cazzo stai dicendo, Gaia?
«Principessa, state bene? Dovete sbrigarvi e vestirvi. Il tempo non è molto».
Orfeo Augusto si era avvicinato a lei ma esitava e continuava a gesticolare come se avesse una mosca che gli ronzava intorno.
Gaia lo guardò per qualche secondo e in quegli occhi blu, con contorni che sembravano multicolore, vide il sogno della notte prima. Non ricordava se fosse proprio quella notte ma adesso che ci pensava era proprio la sera in cui aveva litigato con la mamma.
Era tornata a casa sconvolta per l’ennesima figura di merda fatta a scuola. Ma come poteva essere stata così stronza con lei Gemma? Non aveva bisogno di sottolineare i difetti delle altre ragazze per esaltare la sua bellezza
Era stato così umiliante che quando aveva messo piede in casa e la mamma si era presentata con la lista delle sue mancanze, non ci aveva visto più e le aveva vomitato addosso tutta la sua rabbia.
Poi non ricordava che poche cose. Era salita in camera e si era precipitata nella cabina armadio e aveva trovato la bottiglia di Rum sottratta la sera prima dal mobile bar di sala. Nessuno si era accorto di nulla e quel momento era il più adatto per aprirla. Le lacrime avevano cominciato a scendere e l’immagine dello specchio si era fatta sempre più confusa fino a riempirsi di colori, prima soffusi poi limpidi e decisi. E poi lo specchio era diventato un ometto paffuto e sorridente.
Orfeo Augusto Nardoni, così si era presentato e le aveva parlato di quanto fosse bella e importante per la mamma e le aveva chiesto quale fossero i suoi desideri. Un mondo pieno di colori e senza cattiveria, ecco cosa aveva chiesto.
Era forse troppo chiedere di essere qualcuno di importante per una volta?
Era chiedere la luna se per una volta voleva sparire da questo mondo e gettarsi tra le braccia dei suoi desideri?
Aveva cominciato a urlare e non era più riuscita a sentire le parole di Orfeo Augusto. Sembrava stesse descrivendo non si sa quale paesaggio. Ma sì, forse le aveva parlato di Lande Oniriche o di mondi sognanti ma che cazzo ne sapeva? Era fatta, ecco, quello se lo ricordava bene. Stava sognando di drogarsi, sì, adesso ricordava. Ma perché ora Elis e quello strano tipo erano nella sua stanza? Ed era una Principessa? Forse stava ancora sognando. O magari era fatta sul serio.
Fu scossa dalla mano di Elis che la teneva per un braccio. La stanza era avvolta da una lieve luce blu, come se fosse coperta da una pellicola sottile. C’era una musica ma non era diffusa ovunque, proveniva dall’armadio e un profumo che non riusciva a identificare aveva riempito tutto l’ambiente.
«Gaia, vieni con noi, dobbiamo andare, è quasi scaduto il tempo e devo spiegarti quello che dovrai fare da adesso».
Gaia lo guardò e provò una voglia irrefrenabile di baciarlo. Era così bello potergli finalmente stare vicina e vedere come la guardava. Era tutto quello che aveva desiderato. Finalmente anche lei aveva lo sguardo di qualcuno tutto per sé e in quel momento capì di essere la ragazza più bella del mondo, il mondo che aveva desiderato con tutte le sue forze davanti a quell’omino colorato, quella maledetta sera. Perché maledetta? Una scarica elettrica le percorse la testa da una tempia all'altra lasciandole una scia di dolore intenso.
«Elis, ti prego, dimmi che cos’è successo».
Elis le si avvicinò e, quando si trovò a pochi centimetri da lei, la baciò sulla guancia.
«Prode Elis, non pensate che sia prematuro? Lasciate che l’accompagni aldilà»
Gaia sentì lo sguardo di Orfeo Augusto attraversarla come una lama ma non avvertì dolore, solo una piacevole sensazione di calore. Lasciò che la mano dell’uomo si intrecciasse alla sua e lo seguì nella cabina armadio.
«Sì Gaia, segui Orfeo Augusto e non aver paura. Tutto sta per finire, sei libera. Mi vedrai di là» la voce di Elis la accarezzò spingendola sulla scia dell’uomo arcobaleno, che diventava sempre più rassicurante. Il suo profumo la avvolgeva. Aveva bisogno di star bene adesso. Solo quello.
Mio Dio ma sono drogata?
Cacciò via dalla testa quella voce e si avvicinò allo specchio. Era bellissima, più bella di Gemma, più bella di tutte le Miss Liceo. «Siete incantevole Principessa, lo siete sempre stata» Orfeo Augusto comparve nello specchio e solo allora Gaia si accorse che non era più accanto a lei ma non aveva paura. Stava bene e voleva andare da lui.
Orfeo Augusto allargò le braccia e lei si lasciò cadere in quell’abbraccio. Proseguì senza tener conto del gelo che sembrava lacerarle la pelle e una gradevole sensazione sotto i piedi nudi la accolse. Si guardò intorno. Era finita in un enorme giardino di cui non si vedeva la fine e la cosa che la colpì fu l’assenza di qualsiasi tipo di rumore. Musica, si sentiva solo la musica e poi eccola, la voce di Elis. Il suo Elis.
«Principessa Gaia, da adesso non sarai più costretta a restare nel Mondo Onirico, potrai andartene libera e goderti quello che sei, ciò che sei sempre stata».
Le sue parole la abbracciavano e la facevano sentire al sicuro.
Non aveva più paura ma c’era ancora qualcosa che doveva chiedere, anche se un pensiero tarlo, come se tutto si stesse facendo più chiaro, le tolse il fiato per un attimo.
«Elis, io ho già visto tutto questo, vero? Quel sogno era diverso, c’erano alberi, tanti alberi e non c’era luce ma sono qui da molto tempo, vero?».
Scoppiò a piangere e si accorse del braccio di Orfeo Augusto che la cingeva.
«Principessa, voi siete stata per molto tempo nel Mondo Onirico, ci siete stata perché molte cose dovevate ancora risolvere. Il Mondo Onirico è il luogo del riposo temporaneo e delle missioni incompiute. Voi avete aiutato tante persone da lì, in particolar modo la vostra mamma. Adesso siete pronta per entrare nell’Altrove e tutto sarà come avete sempre desiderato. Non piangete. Siete libera e il male che vi impediva la felicità non esiste più».
Gaia inspirò a lungo per accogliere quella fragranza che non era solo piacevole ma lasciava un senso di benessere totale. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, fare un sacco di domande ma non sapeva da dove cominciare. Spostò lo sguardo dove si trovava Elis per assicurarsi che fosse ancora lì. Sorrideva e in quel momento le fece l’occhiolino.
Può chiamarsi come vuole questo posto, ma è il Paradiso!
Poi la sua attenzione fu rapita da quella finestra sospesa nell’aria. Ma che diavolo era?
Fece due passi per guardarla meglio, accidenti, quella forma le era familiare. Aspetta, ma quella era la sua camera e quella era lei!
«Elis, ma che succede?» sentiva la presenza del ragazzo ma non riusciva a voltarsi perché attratta dalle immagini che vedeva da quella specie di oblò.
Deve essere lo specchio sulla scrivania, si vedono il letto e l’armadio.
Osservò la sua stanza e vide quegli orribili scatoloni. Ma da dove venivano? Riconobbe subito la scena. Lei entrava come una furia e agguantava il coniglietto di ceramica sulla scrivania per poi scaraventarlo contro l’armadio. Era così pallida e magra, ma com’era possibile? Non aveva ancora cominciato la dieta.
Sentì la nausea tornare a riaffacciarsi ma deglutì con forza e tornò a concentrarsi su quelle immagini.
Il suo sguardo si spostò sul calendario di Frozen che dominava la stanza dalla libreria. 20 luglio 2014?
Ma che significava? No, era il 2018, ne era sicura. Indietreggiò e si portò le mani sugli occhi. C’era qualcosa che non tornava, no, non poteva essere quella cosa.
Il Mondo Onirico. Le Anime Speciali, la missione temporanea, sua madre. Gridò con tutte le forze e cominciò a correre ma si accorse subito di essere ancora ferma dove si trovava.
Cercò Elis e capì da come la guardava che la verità era una sola. Tornò all’oblò e si lasciò di nuovo catturare da quella maledetta sera.
La Gaia dell’oblò adesso era distesa sul letto ma un’ombra si staccò dal suo corpo, si alzò e si fece chiara in mezzo alla stanza.
Porca troia, un’altra me!
La nuova sé stessa si avvicinò all’armadio aperto e iniziò a urlare come se ce l’avesse con qualcuno poi, col viso pieno di lacrime e gli occhi gonfi, allargò le braccia e – non poteva essere, cazzo – si tuffò nello specchio.
Gaia si piegò sulle ginocchia e le sentì affondare nel prato multicolore che emanava un gradevole profumo di, che cos’era? Origano forse ma era piacevole, come tutto lì intorno. Adesso ricordava tutto e l’immagine della mamma che le augurava il buongiorno le si presentò nitida davanti. Ma no, non le aveva detto nulla, era muta e triste. Avevano fatto la pace ma lei piangeva. Cercò il viso di Elis, aveva bisogno di lui adesso e, come se l’avesse sentita, il ragazzo le si materializzò davanti.
«Elis, sono morta vero? Da quattro anni. Che è successo Elis? Perché non ricordo niente? Ma...e tu? Sei morto anche tu Elis?» si accorse di essersi aggrappata alle sue spalle e si staccò, ma il ragazzo le prese le mani.
«Gaia, Principessa delle Anime Sole, cerca di calmare il tuo cuore adesso. Ce l’abbiamo fatta e da oggi potrai riposare nell’Altrove, come tutti gli altri. No, non sono morto» si fermò e la guardò.
La faceva impazzire quando sorrideva così e adesso - mamma che bello che era - si sistemava anche il ciuffo in quel modo che la mandava in bambola.
«Gaia, diciamo che sono un viaggiatore, di più non posso dirti. Credimi però: tutto quello che hai sempre pensato fosse la verità era apparenza di ciò che volevi vedere. Tutto si comporta come tu chiedi e vuoi che faccia. Adesso riposati».
Gaia chiuse gli occhi e lasciò che il resto delle lacrime le bagnasse il viso.
«Elis ma di cosa sono morta? Elis?» aprì gli occhi e il ragazzo non c’era più. Guardò ovunque, sembrava sparito anche l’ometto arcobaleno. Si distese sul prato e l’erba fresca la avvolse. Sentì le palpebre diventare pesanti fino a chiudersi. I colori la abbracciarono e tutto svanì.
***
«Gaia, sveglia! Devi alzarti! Hai dormito un sacco» la voce la riportò sull’erba fresca. Ma no, non era sul prato, era un letto! Aprì gli occhi e aspettò di abituarsi alla luce.
«Buongiorno dormigliona! Ma quanto hai dormito?» era la voce della mamma? Era così dolce e sì dai, era la sua mamma!
Gaia sentì un calore diffondersi per tutto il corpo. Non vedeva l’ora di abbracciarla. Aveva sognato tutto e ora la aspettava la cioccolata calda. No, la mamma aveva fatto la marmellata, riconosceva il profumo.
«Mamma, ma che ore sono?».
«Benedetta figliola, a dirti la verità non credo sia così importante contare le ore».
«Mamma, ma che discorsi fai? Quanto ho dormito?».
Una luce violacea svelò l’identità della donna che le stava davanti. Gaia sentì lo stomaco precipitare.
«Tesoro caro, quanto mi piacerebbe essere la tua mamma ma sono solo Matilde, moglie di Orfeo Augusto e addetta alle mansioni di accoglienza di Altrove. Ho l’incarico di portarti un po’ a giro; ci divertiremo e vedremo tante belle cose; presto bambina mia, vestiti e andiamo!».
Gaia si tolse la maglia e la scaraventò sul letto.
«Alexa, metti musica pesa e ignorante!» il led blu del dispositivo non accennava a spegnersi «Alexa, è così difficile?» scalciò per togliersi le scarpe che finirono a pochi centimetri dallo specchio.
“MI DISPIACE, NON RICONOSCO LA TUA VOCE, VUOI PROCEDERE DI NUOVO ALLA REGISTRAZIONE VOCALE?”
Vaffanculo anche te, Alexa! Che andassero a farsi fottere tutti, insieme alla sua stupida illusione di essere come le altre ragazze.
Un’occhiata veloce allo specchio la costrinse a sistemarsi i capelli. Perché erano così stopposi e unti?
Ma li ho lavati stamattina!
Allungò lo sguardo verso il cellulare e niente, non aveva risposto.
Inutile insistere, Elis Todd non ne voleva sapere di lei. E perché avrebbe dovuto? Diede un’occhiata alla sua immagine riflessa nella finestra. Era alta, gobba e insignificante. Fu però attratta dal profilo del seno che si intravedeva tra il vetro e il verde delle persiane chiuse. Non era male in fondo, piccolo ma sodo e attraente. Ma non bastava e avevano ragione quei bastardi della terza F. Avrebbe dato qualsiasi cosa per essere come Gemma. La adorava ma ormai erano sei notti – le aveva contate, cazzo se le aveva contate – che se ne stava con gli occhi spalancati a contare i riflessi della luna sul soffitto e a immaginare la sua migliore amica colpita dalle peggiori disgrazie. Era una brutta persona? No, era solo stufa di vedere gli ammiccamenti dei ragazzi mentre sbirciavano le tette della meravigliosa Gemma e trattavano lei come se fosse stata la bacheca degli avvisi della scuola. Ma poi, c’era bisogno di farle vedere così le tette?
“Gaia, senza di te non saprei proprio come fare, sei la mia migliore amica, lo sai vero?”.
Glielo aveva ripetuto anche quella mattina, prima di umiliarla in cortile solo per fare la splendida con quei tre o quattro imbecilli gonfi di palestra. Certo che non avrebbe saputo come fare; senza di lei avrebbe forse avuto una rivale. E invece con “Gaia lo stambecco ferito” la splendida Gemma aveva campo libero. Stambecco ferito. Chi era stato il primo a chiamarla così? Forse Giacomo, quello con il pacco finto.
Una volta Sergio lo aveva sputtanato rivelando a tutti che ogni mattina si imbottiva le mutande di cotone. Tristezza infinita. Sergio ne era uscito col naso rotto ma in quel momento era diventato l’idolo di tutti gli stambecchi, anche quelli non feriti. Stambecco ferito. Che stronzo.
«Forse li ho lasciati in camera di Gaia, fammi dare un’occhiata e arrivo» la voce della mamma la fece trasalire ma non ebbe il tempo di rimettersi la maglia perché lei entrò senza bussare come se non sapesse della sua presenza e, oh ma che faceva? Neanche la degnava di uno sguardo.
«Mamma, scusa ma bussare è un concetto che hai deciso di eliminare?» non riusciva a crederci, la mamma faceva finta di non vederla né sentirla.
Ma che le ho fatto?
Si sforzò di ricordare e le tornarono davanti le scene della discussione della sera prima.
Però accidenti, tante volte sono salita in camera mandandola a fanculo e mica ha fatto tutto ‘sto teatrino!
Prima di uscire la mamma si voltò. Aveva un’espressione che non ricordava di averle mai visto. Doveva davvero averla fatta incazzare stavolta. Poi la guardò con dolcezza e le sorrise. Dai, allora non era così inviperita, tra poco l’avrebbe chiamata giù per la consueta cioccolata calda.
«Elis caro, puoi fare da solo? Io non ci capisco granché nella stanza di Gaia».
Elis? Elis Todd è qui?
«Mamma digli di aspettare giù, scendo subito!»
Saltò sul letto e agguantò la maglia. Ma no, cazzo, non poteva farsi vedere con i Teletubbies addosso.
Ma cavolo Gaia, anche se fossi una bella gnocca perderesti punti su punti con le cazzate che indossi.
«Arrivo, un attimo» si precipitò verso l’armadio e, porca puttana, che male. Ma dove cazzo aveva sbattuto? Il mignolo del piede cominciò a pulsare e dovette fermarsi e fare un respiro profondo per non urlare dal dolore.
Vaffanculo, era senza speranza.
Ma ora cosa doveva mettersi per presentarsi a Elis in modo decente? Ma perché poi Elis si trovava lì?
«Gaia, posso entrare?» la voce di Elis la costrinse a prendere la solita felpaccia grigia con il logo di Disney Channel.
«Gaia, ci sei? Mi senti?» mamma mia com’era insistente il ragazzo, ma non aveva detto alla mamma che sarebbe scesa?
Si spazzolò al volo i capelli e si diresse verso la porta stando attenta a non apparire troppo ansiosa. Aprì la porta e sorrise per nascondere tutta la vergogna e l’imbarazzo che provava in quel momento ma restò immobile a guardare quel tizio grasso e vestito come se lo avessero immerso nell’arcobaleno che la fissava sorridente.
Gaia lo osservò bene, sembrava proprio lui. Ma che voleva ancora? Aveva già espresso il desiderio e allora? Cos’altro voleva questo ciccione? Forse si era dimenticato qualcosa, o forse non era lui.
Ma Elis non lo vedeva? Ah cacchio, Elis! Gaia mise la testa fuori dalla porta per cercarlo ma vide solo il faccione di Orfeo, o come cavolo si chiamava, che copriva gran parte della visuale.
«Principessa Gaia, mi cerchi fuori ma sono qua» Gaia si voltò di scatto e vide Elis che sfogliava il libro di storia che aveva lasciato aperto sulla scrivania. Il ragazzo alzò lo sguardo e le sorrise. Dio mio, era così carino, così diverso da tutti quei cretini che la guardavano come se fosse la ragazza più brutta e goffa del liceo. Ma che ci facevano lì? Forse avrebbe dovuto andars...
«Principessa Gaia, ci sei? Dai che non abbiamo molto tempo!».
Lei continuava a fissarlo mentre da quella splendida bocca uscivano ancora parole carine per lei.
«Elis, mi spieghi perché continui a chiamarmi Principessa? E poi molto tempo per cosa?».
Gaia si avvicinò a lui per chiedere spiegazioni ma si sentì afferrare a un braccio. Si voltò in preda a una sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco.
«Principessa, dovreste essere già pronta e invece cosa vedo? Questa robaccia che vi ostinate a indossare. Dobbiamo sbrigarci o tutto sarà stato invano».
Gaia sentì cedere le gambe e la stanza cominciò a muoversi. Stava male, presto avrebbe avuto una crisi.
«FERMI! Un attimo fermi per favore, basta vi prego» arretrò di qualche passo e con la mano cercò qualcosa a cui appoggiarsi «zitti un momento, datemi due secondi» si lasciò cadere su una sedia e inalò quanta più aria possibile.
«Che ci fai qui Elis e perché cavolo insistete a chiamarmi Principessa? Ma soprattutto perché lui è qui?».
L’ometto colorato la fissò con espressione seria e un brivido la attraversò, spaventandola. Poi lui le sorrise e si grattò la pancia.
«Principessa Gaia, io sono solo quel che voi avete chiesto di vedere e ciò che volete che sia. Il palcoscenico è vuoto, gli attori truccati e le comparse pronte. Che si vada in scena. Vestitevi e smettetela di far domande».
Gaia lo osservava e non capiva da dove provenisse il profumo che si avvertiva quando gesticolava. Sembrava vaniglia ma c’era anche il limone.
«Io ti ho già visto, ti chiami Orfeo, vero? Eri dentro l’armadio, nello specchio. Ma stavo sognando. Mi hai chiesto di Gemma e quello che volevo essere. Ma chi sei?».
La strana figura allargò le braccia e Gaia fu invasa da una nuvola rosa che sapeva proprio di vaniglia e limone, adesso si sentiva benissimo.
«Orfeo Augusto Nardoni, mia adorata Principessa Gaia. Servitore di Terrasogno, per anni itinerante di Mondo Onirico e adesso funzionario delle Lande Sognanti. Mia cara Principessa, potremmo in effetti dire che voi stavate sognando ma anche affermare che la realtà vera era tutta in quello specchio in cui avete gettato i vostri desideri, beh anche quelli un po’ cattivi se vogliamo dirla tutta. Ed è per questo che sono stato costretto a chiamare il prode Todd. Solo un’anima speciale può accompagnare una Principessa nella consapevolezza di quello che è e aggiustare i danni di un desiderio cattivo.»
Ecco, lo sapeva, il tizio grasso e colorato leggeva il pensiero. Beh, desideri cattivi, che poteva farci lei se a volte Gemma era così insopportabile da farle venire in mente cose non proprio piacevoli?
Gaia si voltò verso Elis. Stava sorridendo e la guardava come sognava di essere guardata da lui fin dalla prima liceo.
«Anima speciale? Terrasogno? Ma che significa?» fece un altro respiro profondo e riuscì ad attenuare la nausea che da qualche minuto la stava tormentando.
Elis le si avvicinò e la stanza si fece tutta blu; c’erano solo loro due.
«Gaia, so che è difficile ma adesso devi solo fidarti di me e di Orfeo Augusto. Tu hai desiderato di essere vista come realmente sei e hai chiesto di esplorare un mondo nuovo ed eccoti qua tra profumi e colori» la guardò di nuovo in quel modo e lei sentì il cuore accelerare «non aver paura e seguici. Ti faremo vedere ciò che non vedevi.»
Gaia si alzò e andò verso la finestra. Doveva prendere un po’ d’aria. In quel momento tutto intorno tornò chiaro e la sua stanza le apparve come sempre. Guardò di nuovo Elis poi cercò Orfeo Augusto. Sembrava così reale eppure adesso le tornava in mente. Era un sogno e se lo ricordava bene perché si era ritrovata davanti la faccia sorridente della mamma che le augurava il buongiorno. O forse no. Provò ancora a sforzarsi. Ricordava il sapore in bocca. Che strano. Ma l’uomo colorato era arrivato prima o dopo il sogno?
Ma che cazzo stai dicendo, Gaia?
«Principessa, state bene? Dovete sbrigarvi e vestirvi. Il tempo non è molto».
Orfeo Augusto si era avvicinato a lei ma esitava e continuava a gesticolare come se avesse una mosca che gli ronzava intorno.
Gaia lo guardò per qualche secondo e in quegli occhi blu, con contorni che sembravano multicolore, vide il sogno della notte prima. Non ricordava se fosse proprio quella notte ma adesso che ci pensava era proprio la sera in cui aveva litigato con la mamma.
Era tornata a casa sconvolta per l’ennesima figura di merda fatta a scuola. Ma come poteva essere stata così stronza con lei Gemma? Non aveva bisogno di sottolineare i difetti delle altre ragazze per esaltare la sua bellezza
Era stato così umiliante che quando aveva messo piede in casa e la mamma si era presentata con la lista delle sue mancanze, non ci aveva visto più e le aveva vomitato addosso tutta la sua rabbia.
Poi non ricordava che poche cose. Era salita in camera e si era precipitata nella cabina armadio e aveva trovato la bottiglia di Rum sottratta la sera prima dal mobile bar di sala. Nessuno si era accorto di nulla e quel momento era il più adatto per aprirla. Le lacrime avevano cominciato a scendere e l’immagine dello specchio si era fatta sempre più confusa fino a riempirsi di colori, prima soffusi poi limpidi e decisi. E poi lo specchio era diventato un ometto paffuto e sorridente.
Orfeo Augusto Nardoni, così si era presentato e le aveva parlato di quanto fosse bella e importante per la mamma e le aveva chiesto quale fossero i suoi desideri. Un mondo pieno di colori e senza cattiveria, ecco cosa aveva chiesto.
Era forse troppo chiedere di essere qualcuno di importante per una volta?
Era chiedere la luna se per una volta voleva sparire da questo mondo e gettarsi tra le braccia dei suoi desideri?
Aveva cominciato a urlare e non era più riuscita a sentire le parole di Orfeo Augusto. Sembrava stesse descrivendo non si sa quale paesaggio. Ma sì, forse le aveva parlato di Lande Oniriche o di mondi sognanti ma che cazzo ne sapeva? Era fatta, ecco, quello se lo ricordava bene. Stava sognando di drogarsi, sì, adesso ricordava. Ma perché ora Elis e quello strano tipo erano nella sua stanza? Ed era una Principessa? Forse stava ancora sognando. O magari era fatta sul serio.
Fu scossa dalla mano di Elis che la teneva per un braccio. La stanza era avvolta da una lieve luce blu, come se fosse coperta da una pellicola sottile. C’era una musica ma non era diffusa ovunque, proveniva dall’armadio e un profumo che non riusciva a identificare aveva riempito tutto l’ambiente.
«Gaia, vieni con noi, dobbiamo andare, è quasi scaduto il tempo e devo spiegarti quello che dovrai fare da adesso».
Gaia lo guardò e provò una voglia irrefrenabile di baciarlo. Era così bello potergli finalmente stare vicina e vedere come la guardava. Era tutto quello che aveva desiderato. Finalmente anche lei aveva lo sguardo di qualcuno tutto per sé e in quel momento capì di essere la ragazza più bella del mondo, il mondo che aveva desiderato con tutte le sue forze davanti a quell’omino colorato, quella maledetta sera. Perché maledetta? Una scarica elettrica le percorse la testa da una tempia all'altra lasciandole una scia di dolore intenso.
«Elis, ti prego, dimmi che cos’è successo».
Elis le si avvicinò e, quando si trovò a pochi centimetri da lei, la baciò sulla guancia.
«Prode Elis, non pensate che sia prematuro? Lasciate che l’accompagni aldilà»
Gaia sentì lo sguardo di Orfeo Augusto attraversarla come una lama ma non avvertì dolore, solo una piacevole sensazione di calore. Lasciò che la mano dell’uomo si intrecciasse alla sua e lo seguì nella cabina armadio.
«Sì Gaia, segui Orfeo Augusto e non aver paura. Tutto sta per finire, sei libera. Mi vedrai di là» la voce di Elis la accarezzò spingendola sulla scia dell’uomo arcobaleno, che diventava sempre più rassicurante. Il suo profumo la avvolgeva. Aveva bisogno di star bene adesso. Solo quello.
Mio Dio ma sono drogata?
Cacciò via dalla testa quella voce e si avvicinò allo specchio. Era bellissima, più bella di Gemma, più bella di tutte le Miss Liceo. «Siete incantevole Principessa, lo siete sempre stata» Orfeo Augusto comparve nello specchio e solo allora Gaia si accorse che non era più accanto a lei ma non aveva paura. Stava bene e voleva andare da lui.
Orfeo Augusto allargò le braccia e lei si lasciò cadere in quell’abbraccio. Proseguì senza tener conto del gelo che sembrava lacerarle la pelle e una gradevole sensazione sotto i piedi nudi la accolse. Si guardò intorno. Era finita in un enorme giardino di cui non si vedeva la fine e la cosa che la colpì fu l’assenza di qualsiasi tipo di rumore. Musica, si sentiva solo la musica e poi eccola, la voce di Elis. Il suo Elis.
«Principessa Gaia, da adesso non sarai più costretta a restare nel Mondo Onirico, potrai andartene libera e goderti quello che sei, ciò che sei sempre stata».
Le sue parole la abbracciavano e la facevano sentire al sicuro.
Non aveva più paura ma c’era ancora qualcosa che doveva chiedere, anche se un pensiero tarlo, come se tutto si stesse facendo più chiaro, le tolse il fiato per un attimo.
«Elis, io ho già visto tutto questo, vero? Quel sogno era diverso, c’erano alberi, tanti alberi e non c’era luce ma sono qui da molto tempo, vero?».
Scoppiò a piangere e si accorse del braccio di Orfeo Augusto che la cingeva.
«Principessa, voi siete stata per molto tempo nel Mondo Onirico, ci siete stata perché molte cose dovevate ancora risolvere. Il Mondo Onirico è il luogo del riposo temporaneo e delle missioni incompiute. Voi avete aiutato tante persone da lì, in particolar modo la vostra mamma. Adesso siete pronta per entrare nell’Altrove e tutto sarà come avete sempre desiderato. Non piangete. Siete libera e il male che vi impediva la felicità non esiste più».
Gaia inspirò a lungo per accogliere quella fragranza che non era solo piacevole ma lasciava un senso di benessere totale. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, fare un sacco di domande ma non sapeva da dove cominciare. Spostò lo sguardo dove si trovava Elis per assicurarsi che fosse ancora lì. Sorrideva e in quel momento le fece l’occhiolino.
Può chiamarsi come vuole questo posto, ma è il Paradiso!
Poi la sua attenzione fu rapita da quella finestra sospesa nell’aria. Ma che diavolo era?
Fece due passi per guardarla meglio, accidenti, quella forma le era familiare. Aspetta, ma quella era la sua camera e quella era lei!
«Elis, ma che succede?» sentiva la presenza del ragazzo ma non riusciva a voltarsi perché attratta dalle immagini che vedeva da quella specie di oblò.
Deve essere lo specchio sulla scrivania, si vedono il letto e l’armadio.
Osservò la sua stanza e vide quegli orribili scatoloni. Ma da dove venivano? Riconobbe subito la scena. Lei entrava come una furia e agguantava il coniglietto di ceramica sulla scrivania per poi scaraventarlo contro l’armadio. Era così pallida e magra, ma com’era possibile? Non aveva ancora cominciato la dieta.
Sentì la nausea tornare a riaffacciarsi ma deglutì con forza e tornò a concentrarsi su quelle immagini.
Il suo sguardo si spostò sul calendario di Frozen che dominava la stanza dalla libreria. 20 luglio 2014?
Ma che significava? No, era il 2018, ne era sicura. Indietreggiò e si portò le mani sugli occhi. C’era qualcosa che non tornava, no, non poteva essere quella cosa.
Il Mondo Onirico. Le Anime Speciali, la missione temporanea, sua madre. Gridò con tutte le forze e cominciò a correre ma si accorse subito di essere ancora ferma dove si trovava.
Cercò Elis e capì da come la guardava che la verità era una sola. Tornò all’oblò e si lasciò di nuovo catturare da quella maledetta sera.
La Gaia dell’oblò adesso era distesa sul letto ma un’ombra si staccò dal suo corpo, si alzò e si fece chiara in mezzo alla stanza.
Porca troia, un’altra me!
La nuova sé stessa si avvicinò all’armadio aperto e iniziò a urlare come se ce l’avesse con qualcuno poi, col viso pieno di lacrime e gli occhi gonfi, allargò le braccia e – non poteva essere, cazzo – si tuffò nello specchio.
Gaia si piegò sulle ginocchia e le sentì affondare nel prato multicolore che emanava un gradevole profumo di, che cos’era? Origano forse ma era piacevole, come tutto lì intorno. Adesso ricordava tutto e l’immagine della mamma che le augurava il buongiorno le si presentò nitida davanti. Ma no, non le aveva detto nulla, era muta e triste. Avevano fatto la pace ma lei piangeva. Cercò il viso di Elis, aveva bisogno di lui adesso e, come se l’avesse sentita, il ragazzo le si materializzò davanti.
«Elis, sono morta vero? Da quattro anni. Che è successo Elis? Perché non ricordo niente? Ma...e tu? Sei morto anche tu Elis?» si accorse di essersi aggrappata alle sue spalle e si staccò, ma il ragazzo le prese le mani.
«Gaia, Principessa delle Anime Sole, cerca di calmare il tuo cuore adesso. Ce l’abbiamo fatta e da oggi potrai riposare nell’Altrove, come tutti gli altri. No, non sono morto» si fermò e la guardò.
La faceva impazzire quando sorrideva così e adesso - mamma che bello che era - si sistemava anche il ciuffo in quel modo che la mandava in bambola.
«Gaia, diciamo che sono un viaggiatore, di più non posso dirti. Credimi però: tutto quello che hai sempre pensato fosse la verità era apparenza di ciò che volevi vedere. Tutto si comporta come tu chiedi e vuoi che faccia. Adesso riposati».
Gaia chiuse gli occhi e lasciò che il resto delle lacrime le bagnasse il viso.
«Elis ma di cosa sono morta? Elis?» aprì gli occhi e il ragazzo non c’era più. Guardò ovunque, sembrava sparito anche l’ometto arcobaleno. Si distese sul prato e l’erba fresca la avvolse. Sentì le palpebre diventare pesanti fino a chiudersi. I colori la abbracciarono e tutto svanì.
***
«Gaia, sveglia! Devi alzarti! Hai dormito un sacco» la voce la riportò sull’erba fresca. Ma no, non era sul prato, era un letto! Aprì gli occhi e aspettò di abituarsi alla luce.
«Buongiorno dormigliona! Ma quanto hai dormito?» era la voce della mamma? Era così dolce e sì dai, era la sua mamma!
Gaia sentì un calore diffondersi per tutto il corpo. Non vedeva l’ora di abbracciarla. Aveva sognato tutto e ora la aspettava la cioccolata calda. No, la mamma aveva fatto la marmellata, riconosceva il profumo.
«Mamma, ma che ore sono?».
«Benedetta figliola, a dirti la verità non credo sia così importante contare le ore».
«Mamma, ma che discorsi fai? Quanto ho dormito?».
Una luce violacea svelò l’identità della donna che le stava davanti. Gaia sentì lo stomaco precipitare.
«Tesoro caro, quanto mi piacerebbe essere la tua mamma ma sono solo Matilde, moglie di Orfeo Augusto e addetta alle mansioni di accoglienza di Altrove. Ho l’incarico di portarti un po’ a giro; ci divertiremo e vedremo tante belle cose; presto bambina mia, vestiti e andiamo!».