Non esiste verità negli occhi - Alessandro Canella
Inviato: giovedì 17 dicembre 2020, 0:27
Non esiste verità negli occhi
Alessandro Canella
8 MARZO 00:16
Martin Harris corse al portellone. Senza nemmeno aspettare la piena apertura, s’infilò tra la parete e il pannello scorrevole. Il corridoio era vuoto. Il detective chiese al MindMate di controllare gli ascensori. Nessuno li aveva usati negli ultimi 7 minuti e 9 secondi.
Dagli altoparlanti partì il suono di una sirena.
Harris si lanciò verso le scale. Abbatté la porta tagliafuoco con una spallata e scese i gradini due a due, fino a raggiungere il piano terra. Alla sua destra un portellone conduceva direttamente al parcheggio. Si fermò. Appoggiò entrambe le mani sulla maniglia antipanico e spinse con cautela, stando attento a fare meno rumore possibile.
Il parcheggio era avvolto da una nebbia tanto fitta che nemmeno la luce dei lampioni era in grado di bucarla. Avanzò tra le vetture parcheggiate.
Rumore di passi, da destra.
Piegato sulle ginocchia, si nascose dietro a un’auto e si sporse quel tanto che bastava per sbirciare oltre il cofano. Non vide nulla.
Un ronzio nella testa, la voce di Greg in preda all’agitazione. “Martin, non fare nulla! Torna subito indietro. La squadra d’intervento è già in movimento.”
7 MARZO 23:42
Harris appoggiò l’indice sull’obsoleto touchscreen del distributore automatico e iniziò a scorrere la lista delle bevande calde. Si sforzò di ricordare i gusti dei colleghi. Era certo che Nicole preferisse l’infuso di finocchio – rigorosamente senza zucchero – ma riguardo Mya e Greg… il vuoto. Controllò l’ora segnata sul display: meno di venti minuti a mezzanotte. Rischiava di fare tardi.
Sbatté le palpebre tre volte in rapida successione. Il MindMate si attivò. I nomi dei colleghi apparvero a fianco delle bevande che erano soliti ordinare con maggiore frequenza, seguiti da una percentuale. Harris si collegò al sistema informatico del distributore e inviò l’ordine. Una finestra traslucida al centro del cono visivo lo invitò a scegliere il metodo di pagamento. Optò per i Netcoin. Un’email della banca lo informò in tempo reale del prelievo.
Stava per archiviare la ricevuta nella cartella condivisa col commercialista, quando una voce femminile lo raggiunse alle spalle.
«A quanto pare Scotland Yard non si è ancora decisa a mandarla in pensione, detective.»
Harris si voltò. Davanti a lui una donna sulla quarantina, lineamenti asciutti segnati da una cicatrice sullo zigomo destro. Non ne riconobbe l’identità, non subito. Fu il MindMate a suggerirla.
«Jules?»
La donna sorrise. «Non fingere di avermi riconosciuta da solo. So bene che hai barato.»
«E me ne fai una colpa? Cristo santo, quanti anni sono passati?»
Il MindMate visualizzò un instaPOV datato undici anni prima.
Jules scosse la testa. «Il funerale di David non conta.» Doveva aver visualizzato un’immagine analoga.
«Tredici, allora.» Harris sospirò. «Quando te ne andasti, quello sì che fu un giorno triste.»
«Stronzate. Sono certa che già dopo un’ora avevi trovato un rimpiazzo.»
«Questo è poco ma sicuro; ma nessuno bravo quanto te. Piuttosto, che ci fai da queste parti?»
«Sono qui per una consulenza.»
«Una consulenza? A chi?»
«A te. A quanto pare i miei capi non si fidano troppo dell’ITD per gestire il sospettato fermato a Heathrow. Non mi dirai che non ti avevano informato?»
Harris controllò il messaggio ricevuto meno di un’ora prima. «So solo d’essere stato svegliato per un 10-54. Il rapporto dettagliato ora viene caricato in memoria all’interno degli uffici d’indagine. Nuova procedura. Jules, che sta succedendo?»
Un trillo lo avvisò che l’ordine era pronto per il ritiro.
7 MARZO 23:51
Harris avvicinò l’occhio al rilevatore biometrico. Il portellone della camera oscura scivolò dentro la parete con un risucchio. All’interno tre agenti sprofondati sulle rispettive poltrone con le pupille inquiete e perse nella Rete.
Il detective appoggiò il vassoio su una delle scrivanie, prese l’infuso e lo infilò tra le dita di Nicole.
«Abbiamo ospiti» sussurrò all’orecchio della collega.
Gli occhi di Nicole si placarono.
Con un cenno del capo Harris indicò alle sue spalle.
«Ma che…» Nicole si alzò e corse ad abbracciare la vecchia amica. «Jules, che bello vederti. Pensavo fossi tornata operativa all’estero.»
Jules prese il volto di Nicole tra le mani e la baciò su entrambe le guance. «Ormai sono tre anni che non lavoro più sotto copertura. L’MI6 ha preferito trasferirmi all’intelligence.»
«Tu a fare lavoro d’ufficio? Oddio, tesoro, e cosa aspetti a tornare da noi?»
Harris si schiarì la gola. «Squadra, vi presento Julianna Campbell, per gli amici Jules.» Raccolse le tazze rimaste e le passò a Mya e Greg, nel frattempo riemersi dai rispettivi MindMate. «Jules è un ex membro dell’ITD da tempo passata al lato oscuro, altrimenti noto come Servizi Segreti di Sua Maestà. Jules, loro sono Gregory Parker, esperto di recupero dati, nonché sociopatico privo di qualsiasi filtro tra cervello e bocca, e Mya Trent, ultimo di una lunga e infruttuosa serie di tentativi di colmare il vuoto lasciato dalla tua dipartita.»
«Sempre belle parole, capo.» Greg buttò giù il suo espresso extralungo. «Allora, sentiamo: a cosa dobbiamo questo onore?»
Harris guardò l’amica. «Jules?»
La donna si avvicinò allo specchio unidirezionale che dava sulla sala interrogatori, le mani in tasca e le spalle leggermente incurvate.
«Oggi, intorno alle 17:30, all’aeroporto di Heathrow è stato fermato un ragazzo: Zaki al-Saba, quindici anni, figlio di Asad al-Saba, ambasciatore del Birkistan a Londra. Al momento del passaggio sotto gli scanner è stato rilevato un ritardo nell’upload delle chiavi d’identificazione da parte del suo MindMate. Nulla d’inconsueto con visitatori provenienti da paesi con standard tecnologici inferiori ai nostri. Tuttavia, qualcuno ha richiesto un controllo più approfondito, al termine del quale è risultata una partizione da quasi 25 petabyte bloccata da un protocollo crittografico sconosciuto.»
Greg lanciò la tazzina di carta verso il cestino. Mancò il bersaglio. «Abbastanza da contenere una coscienza umana clandestina. Tutto questo non risponde però alla mia domanda.»
Jules si appoggiò al vetro. «Due mesi fa Zaki ha subito un sequestro lampo della durata di sette ore. Abbiamo controllato i conti legati direttamente o indirettamente alla famiglia al-Saba: non risulta pagato alcun riscatto.» La donna spostò lo sguardo su ogni membro della squadra. «Credo sia superfluo sottolineare che quanto sto per dire dovrà rimanere confidenziale.»
Harris e i suoi uomini annuirono.
«Abbiamo ragione di credere che dentro la testa di Zaki si nasconda Hakam al-Tawil.»
«Cazzo…» sfuggì dalla bocca di Mya.
Greg si alzò a riprendere la tazzina. «Un attimo, vorresti farci credere che il leader del Fronte di Liberazione Mediorientale avrebbe lasciato il suo rifugio nascosto nel culo del mondo soltanto per farsi catturare come il più coglione dei clandestini digitali?»
«Al-Tawil non è uno stupido. Confida nell’immunità politica di al-Saba e nell’appoggio di una sua cellula attiva proprio qua a Londra.»
«Ma perché venire di persona anziché mandare un uomo di fiducia?»
«E il giorno in cui le grandi città d’occidente inizieranno a bruciare, io sarò lì, in piedi, di fronte a voi, e riderò delle fiamme che vi avvolgeranno», disse Mya, citando uno dei più famosi videomessaggi di al-Tawil.
In quel momento le luci della stanza sfumarono dal bianco al rosso.
«A quanto pare il nostro ospite è arrivato», disse Harris.
Jules si avviò verso l’uscita. «Ti aspetto dall’altra parte.»
Mya attese che il portellone si richiudesse. «Che ne pensate?»
«In tutta onestà?» Nicole si sistemò i polsini della camicia. «Penso che se è davvero al-Tawil l’ospite di Zaki, non esiste agente migliore di Jules per identificarlo.»
Mya guardò la collega con aria confusa. «Che intendi?»
«Nove anni fa anche lei fu rapita dall’FLM durante una missione. Solo che nel suo caso la prigionia non fu altrettanto breve.»
«Di quanto parliamo?»
Fu Greg a rispondere, gli occhi tornati irrequieti. «A giudicare dai rapporti, sei anni.»
8 MARZO 00:21
Harris prese fiato. “Senti, Greg, conosco Jules da una vita, so di poterla far ragionare.”
“No, cazzo, tu conoscevi la Jules di dieci anni fa, non questa. Ascoltami bene: quella stronza ci ha preso per il culo fin dall’inizio!”
Harris s’infilò tra due volanti.
“Di che stai parlando?”
“La traduzione. Parlo della fottuta traduzione! Credo di aver fatto una cazzata.”
7 MARZO 23:56
Harris entrò nella sala interrogatori.
Seduto al lato opposto del grande tavolo centrale, Zaki aspettava in silenzio, le mani conserte. Attorno alla fronte un anello inibitorio bloccava ogni funzione del suo MindMate.
Harris andò a sedersi. Lo raggiunse un messaggio di Jules. “Sarai tu a condurre l’interrogatorio. Io mi limiterò a fornire assistenza.”
“Pensi possa riconoscerti a livello inconscio?”
“Lo spero.”
Harris avviò la registrazione. «Ore 23:57 del 7 marzo 2048. Ha inizio l’interrogatorio di Zaki al-Saba. Sono presenti gli agenti Martin Harris e Julianna Campbell.» Harris si piegò in avanti. «Dimmi, Zaki, sei stato informato del motivo per cui ti trovi qua?»
Il ragazzo spostò lo sguardo da Harris a Jules e poi di nuovo su Harris. «Mi hanno detto che c’è qualcosa che non va nel mio MindMate, che c’è un errore nella memoria. Non so altro. Per favore, posso parlare con mio padre? Lui potrà darvi tutte le risposte che volete.»
«Parliamo del tuo rapimento», riprese Harris, ignorando la richiesta. «Due mesi fa qualcuno ti ha rapito per sette ore. Cos’è successo quel giorno?»
«Io… Io non so… Loro mi hanno preso mentre tornavo da scuola.»
«Chi sono loro?»
«Non so. Ricordo che mi hanno coperto la bocca e mi sono addormentato. Quando mi sono svegliato ero dentro un furgone in movimento. Poi il furgone si è fermato e due tizi mi hanno buttato fuori, sulla strada. Non so altro, giuro.»
Harris incrociò le braccia al petto. «Zaki, voglio essere onesto con te. Se ti trovi qui non è per qualcosa che hai fatto. Abbiamo ragione di pensare che durante il tuo sequestro qualcuno abbia caricato una seconda coscienza nel tuo MindMate allo scopo di farle raggiungere il nostro paese. Se così fosse, una volta uscito dall’aeroporto saresti stato avvicinato da un complice dei tuoi rapitori che con una parola chiave avrebbe sbloccato la coscienza parassita, cancellando di fatto la tua.»
Gli occhi di Zaki si spalancarono. «Cosa? Perché allora mi interrogate? Dovete toglierla subito! Voi dovete!»
«Per farlo dovremmo rimuovere chirurgicamente il tuo MindMate. Si tratta di un’operazione invasiva e preferiremmo eseguirla solo necessario.» Harris appoggiò una mano sul tavolo, davanti a Jules.
La donna si alzò e raggiunse l’altro lato del tavolo. Cliccò su un pannello. Da un vano laterale uscì un cavo d’interfaccia biodigitale.
«L’agente Campbell ti collegherà al nostro sistema informatico. Ciò che faremo sarà verificare la corrispondenza tra le tue azioni consapevoli e le onde cerebrali subconsce, così d’accertare la presenza della seconda coscienza. Non proverai dolore.»
Zaki alzò lo sguardo su Jules.
La donna afferrò la mascella del ragazzo e la piegò di lato. «Non muoverti.» Con un gesto deciso infilò il connettore nell’ingresso posto dietro l’orecchio sinistro.
«Ora, Zaki, dirò alcune parole e tu dovrai rispondere con la prima cosa che ti verrà in mente, non importa quanto stupida o priva di senso possa sembrare. Mi raccomando: una sola parola per risposta. Tutto chiaro?»
Zaki annuì.
«Iniziamo. Banana.»
«Cucchiaio.»
«Scuola.»
«Mattoni.»
«Azzurro.»
«Camicia.»
«Sangue.»
«Mano.»
«Delfino.»
Il ragazzo aprì la bocca; la richiuse. «Non so come tradurre quello che ho in testa. Posso usare la mia lingua?»
Harris fece segno di continuare.
«Rashi.»
«Spruzzo», tradusse Jules.
Un messaggio automatico inviato dal software linguistico confermò.
Harris continuò. «Libro.»
«Polvere.»
«Strada.»
«Buco.»
«Rancore.»
Il ragazzo esitò. «Non conosco questa parola.»
«Daghina», disse Jules.
Il ragazzo rimase in silenzio.
«Veloce, Zaki!»
«Al'abwayn!»
«Genitore.»
«Contat—»
«No, ora basta. Sono stanco di questo gioco.»
Harris alzò un dito. «Non sei tu a decidere, Zaki!»
Il ragazzo si strappò il cavo e lo lanciò contro Jules.
Harris si passò una mano sugli occhi, quando la voce di Mya li raggiunse. “Tornate qua, in fretta.”
Harris rientrò nella camera oscura a grandi passi. «Che succede?»
Mya trasmise un fotogramma proveniente da una delle telecamere di sorveglianza. «Asad al-Saba. È arrivato pochi minuti fa minacciando ritorsioni politiche se suo figlio non verrà immediatamente liberato.»
«Cosa? È stato informato delle ragioni del fermo?»
«La cosa non sembra interessargli. Il capitano ha già mosso l’ufficio legale, ma per il momento l’ordine è di rilasciare il ragazzo.»
«Merda! Cosa dicono i dati raccolti?»
Nicole scosse la testa. «Corrispondenza solo parziale tra azione e pensiero, non abbastanza per affermare con certezza che la testa di Zaki sia occupata da una coscienza clandestina.»
Greg allargò le braccia. «E allora i petabyte criptati? Dai ragazzi, vogliamo farci prendere per il culo?»
Harris si appoggiò a una scrivania. «Jules, tu che dici?»
La donna fissava il pavimento, seduta. Sembrava esausta. «Quando oggi pomeriggio mi hanno chiamata per il fermo di Zaki, ho pensato “è fatta”. Ora però… Non so, davvero.» Si alzò. «Se permetti, Martin, vorrei essere io a riaccompagnare Zaki.»
Harris piegò le labbra in un sorriso forzato. «È stato bello riaverti in squadra, anche se per poco.»
I due si abbracciarono e lo stesso fece Jules con Nicole. Harris osservò l’amica uscire dalla stanza per poi ricomparire dall’altro lato dello specchio. Attraverso le casse, sentirono Jules parlare in arabo. In uno slancio di felicità Zaki abbracciò la donna, per poi ricomporsi. I due uscirono.
Nella stanza calò il silenzio.
«Allora è davvero finita?» Nicole si guardò intorno. «Lo lasciamo andare e tanti saluti?»
Harris scosse la testa. «No. Lo terremo sotto monitoraggio. Controlleremo ogni suo movimento, ogni contatto, ogni conversazione. Se davvero c’è al-Tawil dentro Zaki, stai certa che lo beccheremo.»
Greg alzò una mano. «Credi si possa ottenere un mandato anche per il padre? Insomma, tutta questa storia del riscatto che non si trova non vi fa scattare nessuno campanello d’allarme?»
Mya alzò le spalle. «Il Birkistan è nostro alleato nella lotta all’FLM.»
«Ufficialmente.»
Harris si stropicciò la faccia. Anche lui cominciava a sentire il peso di quella notte. «Vuoi trovare le prove di un complotto internazionale, Greg? Bene, fallo. Hai credo ancora dieci secondi prima che Zaki venga riconsegnato alla famiglia.»
Greg scrocchiò le ossa del collo. «Me li farò bastare. Mya, caricami in memoria la registrazione dell’interrogatorio comprensiva dei dati raccolti. Sento che qualcosa ci sfugge.»
Nicole si avvicinò ad Harris e gli appoggiò una mano sulla spalla. «Mi spiace, Martin.»
Harris non rispose.
«Senti, mi occupo io del rapporto. Stavo anche pensando che forse potremmo…»
La donna si bloccò. I suoi occhi vibravano, impegnati a scambiare informazioni.
«Che succede?», domandò Harris.
«È l’accettazione. Chiedono perché non è stato ancora richiesto il codice di sblocco dell’anello di Zaki.» Nicole si portò una mano alla bocca. «Oddio, non penserai che Jules…»
Harris si girò verso i colleghi. «Fate bloccare i cancelli d’uscita!»
8 MARZO 00:23
“Con calma, Greg. Spiegati.”
“Parlo di quando Jules è andata a prelevare Zaki. In quel momento il software di controllo linguistico era disattivo, tanto ormai l’interrogatorio era concluso, giusto? Beh, sono stato un idiota. Jules non stava dicendo a Zaki che era libero di andare: stava attivando il codice di sblocco!”
Harris mise una mano a terra. La testa gli girava. Si sedette, appoggiando la schiena alla portiera.
“Mi hai sentito, Martin? È lei la cellula dormiente! Ti pre—”
Harris chiuse la chiamata.
Un duplice bip echeggiò nell’aria.
Non c’era più tempo. Harris lasciò da parte ogni cautela e si mise a correre tra le corsie. Intravide una figura di spalle aprire la portiera di un’auto e fare segno a un’altra, più piccola, di entrare.
«Dunque è vero. È questo che sei diventata? La pedina di un terrorista?»
La donna appoggiò una mano sulla portiera. «Ti sbagli, Martin. Ti sei sempre sbagliato. Su di me. Su quello che facciamo. Su tutto.»
«Se è davvero così, allora spiegami. Perché quello che vedono i miei occhi è soltanto un’ex collega passata dalla parte del nemico.»
Jules si voltò. «Mi spiace averti mentito. Mi spiace aver mentito a tutti voi.»
La donna chiuse gli occhi. Harris non ne era sicuro, ma gli sembrò che stesse piangendo.
«Ma la colpa è soltanto vostra.» Gli occhi di Jules si riaprirono, sul volto soltanto rabbia. «Per tre anni ho aspettato che qualcuno venisse a salvarmi da quell’inferno. Tre anni di torture, di sputi, di cibo servito nel fango, di notti passate a divertire gli uomini di al-Tawil. Poi un giorno ho capito: nessuno sarebbe venuto a salvarmi, per il semplice fatto che non dovevo essere salvata. Ero esattamente dove il mio paese voleva che fossi, vicino al cuore del nemico. E allora ho fatto esattamente quello per cui ero stata addestrata: ho mentito, mi sono sottomessa, ho finto di convertirmi alla causa, mi sono guadagnata la fiducia dei miei carcerieri. Mi ci sono voluti due anni, e solo allora sono stata contattata attraverso un canale criptato che nemmeno i tecnici dell’FLM erano riusciti a inibire. Mi fu data una missione: scoprire i piani di al-Tawil. E ci sono riuscita; cazzo se ci sono riuscita! Così sono potuta tornare a casa. Non perché mi fossi meritata la salvezza, ma solo perché ormai non servivo più. Ma ad essere prelevata fui io, ed io soltanto. Solo che durante quei sei anni non ero più soltanto io.»
Dalla stazione giunse un rumore di porte spalancate. Le luci delle torce installate sui fucili della squadra d’intervento oscillarono nella nebbia.
Jules si girò verso quello che fino a pochi minuti prima era Zaki. Gli fece segno di uscire. «Lui è Rajaa, mio figlio.»
Una dozzina di agenti circondarono Martin e Jules, le armi puntate. Il detective alzò il pugno, facendo segno di non agire.
«Negli ultimi tre anni ho fatto di tutto per riaverlo. Ho superato qualunque test psicologico per dimostrare la mia idoneità al servizio, facendo ancora una volta quello per cui ero stata addestrata. Una volta reintegrata ho richiesto d’entrare nell’intelligence. Mi ci è voluto del tempo, ma alla fine l’ho ritrovato. Avevo però bisogno di un modo per farlo arrivare qui, per salvarlo.» Jules fece un lungo respiro. «Ho deciso di sfruttare tutti i miei agganci, anche quelli che non avrei voluto. Ed ecco arrivare una chance: Zaki, studente modello figlio di un politico e con in programma un viaggio nel nostro paese per motivi di studio.» Jules si fermò. «Ecco, volevi la verità? Ora la conosci. Come ti senti adesso, detective?»
Martin avanzò di un passo. «Jules, mi dispiace. Non immaginavo…» Un altro passo. «Sai però che non potrò lasciarti andare.»
Jules annuì. «Lo so. Ed è per questo che dispiace anche a me.» Le sue palpebre sbatterono tre volte.
Una notifica informò Harris di un file da 25 petabyte in arrivo. Il download fu immediato. Senza alcuna autorizzazione, l’archivio dati si scompattò, per poi replicarsi. Copie e copie di una coscienza estranea sommersero la mente del detective, la riempirono.
Jules, la faccia schiacciata sul tavolo mentre mani invisibili le strappano i vestiti.
Jules, le gambe divaricate che partorisce nella solitudine di una cella.
Jules, avvolta da una tunica, i dorsi delle mani tenuti sollevati e ricoperti di sangue.
Jules, il coltello in mano, a sezionare la testa di un uomo, ad affondare le mani per estrarne il contenuto.
Jules, che trasmette informazioni, che ne tiene molte altre per sé.
Jules, suo figlio scortato dentro una camionetta.
Jules, che intravede una vecchia conoscenza e va a salutarla.
Jules, che osservava tutti quegli uomini davanti a sé, ciechi e immobili, che stringe suo figlio tra la nebbia.
E mentre la vista si faceva sempre più torbida, Harris vide per un’ultima volta sé stesso attraverso gli occhi di Jules. Cadde in ginocchio. Avrebbe voluto piangere, eppure non poté fare a meno di sorridere un’ultima volta all’amica, prima che il buio lo inghiottisse.
Alessandro Canella
8 MARZO 00:16
Martin Harris corse al portellone. Senza nemmeno aspettare la piena apertura, s’infilò tra la parete e il pannello scorrevole. Il corridoio era vuoto. Il detective chiese al MindMate di controllare gli ascensori. Nessuno li aveva usati negli ultimi 7 minuti e 9 secondi.
Dagli altoparlanti partì il suono di una sirena.
Harris si lanciò verso le scale. Abbatté la porta tagliafuoco con una spallata e scese i gradini due a due, fino a raggiungere il piano terra. Alla sua destra un portellone conduceva direttamente al parcheggio. Si fermò. Appoggiò entrambe le mani sulla maniglia antipanico e spinse con cautela, stando attento a fare meno rumore possibile.
Il parcheggio era avvolto da una nebbia tanto fitta che nemmeno la luce dei lampioni era in grado di bucarla. Avanzò tra le vetture parcheggiate.
Rumore di passi, da destra.
Piegato sulle ginocchia, si nascose dietro a un’auto e si sporse quel tanto che bastava per sbirciare oltre il cofano. Non vide nulla.
Un ronzio nella testa, la voce di Greg in preda all’agitazione. “Martin, non fare nulla! Torna subito indietro. La squadra d’intervento è già in movimento.”
7 MARZO 23:42
Harris appoggiò l’indice sull’obsoleto touchscreen del distributore automatico e iniziò a scorrere la lista delle bevande calde. Si sforzò di ricordare i gusti dei colleghi. Era certo che Nicole preferisse l’infuso di finocchio – rigorosamente senza zucchero – ma riguardo Mya e Greg… il vuoto. Controllò l’ora segnata sul display: meno di venti minuti a mezzanotte. Rischiava di fare tardi.
Sbatté le palpebre tre volte in rapida successione. Il MindMate si attivò. I nomi dei colleghi apparvero a fianco delle bevande che erano soliti ordinare con maggiore frequenza, seguiti da una percentuale. Harris si collegò al sistema informatico del distributore e inviò l’ordine. Una finestra traslucida al centro del cono visivo lo invitò a scegliere il metodo di pagamento. Optò per i Netcoin. Un’email della banca lo informò in tempo reale del prelievo.
Stava per archiviare la ricevuta nella cartella condivisa col commercialista, quando una voce femminile lo raggiunse alle spalle.
«A quanto pare Scotland Yard non si è ancora decisa a mandarla in pensione, detective.»
Harris si voltò. Davanti a lui una donna sulla quarantina, lineamenti asciutti segnati da una cicatrice sullo zigomo destro. Non ne riconobbe l’identità, non subito. Fu il MindMate a suggerirla.
«Jules?»
La donna sorrise. «Non fingere di avermi riconosciuta da solo. So bene che hai barato.»
«E me ne fai una colpa? Cristo santo, quanti anni sono passati?»
Il MindMate visualizzò un instaPOV datato undici anni prima.
Jules scosse la testa. «Il funerale di David non conta.» Doveva aver visualizzato un’immagine analoga.
«Tredici, allora.» Harris sospirò. «Quando te ne andasti, quello sì che fu un giorno triste.»
«Stronzate. Sono certa che già dopo un’ora avevi trovato un rimpiazzo.»
«Questo è poco ma sicuro; ma nessuno bravo quanto te. Piuttosto, che ci fai da queste parti?»
«Sono qui per una consulenza.»
«Una consulenza? A chi?»
«A te. A quanto pare i miei capi non si fidano troppo dell’ITD per gestire il sospettato fermato a Heathrow. Non mi dirai che non ti avevano informato?»
Harris controllò il messaggio ricevuto meno di un’ora prima. «So solo d’essere stato svegliato per un 10-54. Il rapporto dettagliato ora viene caricato in memoria all’interno degli uffici d’indagine. Nuova procedura. Jules, che sta succedendo?»
Un trillo lo avvisò che l’ordine era pronto per il ritiro.
7 MARZO 23:51
Harris avvicinò l’occhio al rilevatore biometrico. Il portellone della camera oscura scivolò dentro la parete con un risucchio. All’interno tre agenti sprofondati sulle rispettive poltrone con le pupille inquiete e perse nella Rete.
Il detective appoggiò il vassoio su una delle scrivanie, prese l’infuso e lo infilò tra le dita di Nicole.
«Abbiamo ospiti» sussurrò all’orecchio della collega.
Gli occhi di Nicole si placarono.
Con un cenno del capo Harris indicò alle sue spalle.
«Ma che…» Nicole si alzò e corse ad abbracciare la vecchia amica. «Jules, che bello vederti. Pensavo fossi tornata operativa all’estero.»
Jules prese il volto di Nicole tra le mani e la baciò su entrambe le guance. «Ormai sono tre anni che non lavoro più sotto copertura. L’MI6 ha preferito trasferirmi all’intelligence.»
«Tu a fare lavoro d’ufficio? Oddio, tesoro, e cosa aspetti a tornare da noi?»
Harris si schiarì la gola. «Squadra, vi presento Julianna Campbell, per gli amici Jules.» Raccolse le tazze rimaste e le passò a Mya e Greg, nel frattempo riemersi dai rispettivi MindMate. «Jules è un ex membro dell’ITD da tempo passata al lato oscuro, altrimenti noto come Servizi Segreti di Sua Maestà. Jules, loro sono Gregory Parker, esperto di recupero dati, nonché sociopatico privo di qualsiasi filtro tra cervello e bocca, e Mya Trent, ultimo di una lunga e infruttuosa serie di tentativi di colmare il vuoto lasciato dalla tua dipartita.»
«Sempre belle parole, capo.» Greg buttò giù il suo espresso extralungo. «Allora, sentiamo: a cosa dobbiamo questo onore?»
Harris guardò l’amica. «Jules?»
La donna si avvicinò allo specchio unidirezionale che dava sulla sala interrogatori, le mani in tasca e le spalle leggermente incurvate.
«Oggi, intorno alle 17:30, all’aeroporto di Heathrow è stato fermato un ragazzo: Zaki al-Saba, quindici anni, figlio di Asad al-Saba, ambasciatore del Birkistan a Londra. Al momento del passaggio sotto gli scanner è stato rilevato un ritardo nell’upload delle chiavi d’identificazione da parte del suo MindMate. Nulla d’inconsueto con visitatori provenienti da paesi con standard tecnologici inferiori ai nostri. Tuttavia, qualcuno ha richiesto un controllo più approfondito, al termine del quale è risultata una partizione da quasi 25 petabyte bloccata da un protocollo crittografico sconosciuto.»
Greg lanciò la tazzina di carta verso il cestino. Mancò il bersaglio. «Abbastanza da contenere una coscienza umana clandestina. Tutto questo non risponde però alla mia domanda.»
Jules si appoggiò al vetro. «Due mesi fa Zaki ha subito un sequestro lampo della durata di sette ore. Abbiamo controllato i conti legati direttamente o indirettamente alla famiglia al-Saba: non risulta pagato alcun riscatto.» La donna spostò lo sguardo su ogni membro della squadra. «Credo sia superfluo sottolineare che quanto sto per dire dovrà rimanere confidenziale.»
Harris e i suoi uomini annuirono.
«Abbiamo ragione di credere che dentro la testa di Zaki si nasconda Hakam al-Tawil.»
«Cazzo…» sfuggì dalla bocca di Mya.
Greg si alzò a riprendere la tazzina. «Un attimo, vorresti farci credere che il leader del Fronte di Liberazione Mediorientale avrebbe lasciato il suo rifugio nascosto nel culo del mondo soltanto per farsi catturare come il più coglione dei clandestini digitali?»
«Al-Tawil non è uno stupido. Confida nell’immunità politica di al-Saba e nell’appoggio di una sua cellula attiva proprio qua a Londra.»
«Ma perché venire di persona anziché mandare un uomo di fiducia?»
«E il giorno in cui le grandi città d’occidente inizieranno a bruciare, io sarò lì, in piedi, di fronte a voi, e riderò delle fiamme che vi avvolgeranno», disse Mya, citando uno dei più famosi videomessaggi di al-Tawil.
In quel momento le luci della stanza sfumarono dal bianco al rosso.
«A quanto pare il nostro ospite è arrivato», disse Harris.
Jules si avviò verso l’uscita. «Ti aspetto dall’altra parte.»
Mya attese che il portellone si richiudesse. «Che ne pensate?»
«In tutta onestà?» Nicole si sistemò i polsini della camicia. «Penso che se è davvero al-Tawil l’ospite di Zaki, non esiste agente migliore di Jules per identificarlo.»
Mya guardò la collega con aria confusa. «Che intendi?»
«Nove anni fa anche lei fu rapita dall’FLM durante una missione. Solo che nel suo caso la prigionia non fu altrettanto breve.»
«Di quanto parliamo?»
Fu Greg a rispondere, gli occhi tornati irrequieti. «A giudicare dai rapporti, sei anni.»
8 MARZO 00:21
Harris prese fiato. “Senti, Greg, conosco Jules da una vita, so di poterla far ragionare.”
“No, cazzo, tu conoscevi la Jules di dieci anni fa, non questa. Ascoltami bene: quella stronza ci ha preso per il culo fin dall’inizio!”
Harris s’infilò tra due volanti.
“Di che stai parlando?”
“La traduzione. Parlo della fottuta traduzione! Credo di aver fatto una cazzata.”
7 MARZO 23:56
Harris entrò nella sala interrogatori.
Seduto al lato opposto del grande tavolo centrale, Zaki aspettava in silenzio, le mani conserte. Attorno alla fronte un anello inibitorio bloccava ogni funzione del suo MindMate.
Harris andò a sedersi. Lo raggiunse un messaggio di Jules. “Sarai tu a condurre l’interrogatorio. Io mi limiterò a fornire assistenza.”
“Pensi possa riconoscerti a livello inconscio?”
“Lo spero.”
Harris avviò la registrazione. «Ore 23:57 del 7 marzo 2048. Ha inizio l’interrogatorio di Zaki al-Saba. Sono presenti gli agenti Martin Harris e Julianna Campbell.» Harris si piegò in avanti. «Dimmi, Zaki, sei stato informato del motivo per cui ti trovi qua?»
Il ragazzo spostò lo sguardo da Harris a Jules e poi di nuovo su Harris. «Mi hanno detto che c’è qualcosa che non va nel mio MindMate, che c’è un errore nella memoria. Non so altro. Per favore, posso parlare con mio padre? Lui potrà darvi tutte le risposte che volete.»
«Parliamo del tuo rapimento», riprese Harris, ignorando la richiesta. «Due mesi fa qualcuno ti ha rapito per sette ore. Cos’è successo quel giorno?»
«Io… Io non so… Loro mi hanno preso mentre tornavo da scuola.»
«Chi sono loro?»
«Non so. Ricordo che mi hanno coperto la bocca e mi sono addormentato. Quando mi sono svegliato ero dentro un furgone in movimento. Poi il furgone si è fermato e due tizi mi hanno buttato fuori, sulla strada. Non so altro, giuro.»
Harris incrociò le braccia al petto. «Zaki, voglio essere onesto con te. Se ti trovi qui non è per qualcosa che hai fatto. Abbiamo ragione di pensare che durante il tuo sequestro qualcuno abbia caricato una seconda coscienza nel tuo MindMate allo scopo di farle raggiungere il nostro paese. Se così fosse, una volta uscito dall’aeroporto saresti stato avvicinato da un complice dei tuoi rapitori che con una parola chiave avrebbe sbloccato la coscienza parassita, cancellando di fatto la tua.»
Gli occhi di Zaki si spalancarono. «Cosa? Perché allora mi interrogate? Dovete toglierla subito! Voi dovete!»
«Per farlo dovremmo rimuovere chirurgicamente il tuo MindMate. Si tratta di un’operazione invasiva e preferiremmo eseguirla solo necessario.» Harris appoggiò una mano sul tavolo, davanti a Jules.
La donna si alzò e raggiunse l’altro lato del tavolo. Cliccò su un pannello. Da un vano laterale uscì un cavo d’interfaccia biodigitale.
«L’agente Campbell ti collegherà al nostro sistema informatico. Ciò che faremo sarà verificare la corrispondenza tra le tue azioni consapevoli e le onde cerebrali subconsce, così d’accertare la presenza della seconda coscienza. Non proverai dolore.»
Zaki alzò lo sguardo su Jules.
La donna afferrò la mascella del ragazzo e la piegò di lato. «Non muoverti.» Con un gesto deciso infilò il connettore nell’ingresso posto dietro l’orecchio sinistro.
«Ora, Zaki, dirò alcune parole e tu dovrai rispondere con la prima cosa che ti verrà in mente, non importa quanto stupida o priva di senso possa sembrare. Mi raccomando: una sola parola per risposta. Tutto chiaro?»
Zaki annuì.
«Iniziamo. Banana.»
«Cucchiaio.»
«Scuola.»
«Mattoni.»
«Azzurro.»
«Camicia.»
«Sangue.»
«Mano.»
«Delfino.»
Il ragazzo aprì la bocca; la richiuse. «Non so come tradurre quello che ho in testa. Posso usare la mia lingua?»
Harris fece segno di continuare.
«Rashi.»
«Spruzzo», tradusse Jules.
Un messaggio automatico inviato dal software linguistico confermò.
Harris continuò. «Libro.»
«Polvere.»
«Strada.»
«Buco.»
«Rancore.»
Il ragazzo esitò. «Non conosco questa parola.»
«Daghina», disse Jules.
Il ragazzo rimase in silenzio.
«Veloce, Zaki!»
«Al'abwayn!»
«Genitore.»
«Contat—»
«No, ora basta. Sono stanco di questo gioco.»
Harris alzò un dito. «Non sei tu a decidere, Zaki!»
Il ragazzo si strappò il cavo e lo lanciò contro Jules.
Harris si passò una mano sugli occhi, quando la voce di Mya li raggiunse. “Tornate qua, in fretta.”
Harris rientrò nella camera oscura a grandi passi. «Che succede?»
Mya trasmise un fotogramma proveniente da una delle telecamere di sorveglianza. «Asad al-Saba. È arrivato pochi minuti fa minacciando ritorsioni politiche se suo figlio non verrà immediatamente liberato.»
«Cosa? È stato informato delle ragioni del fermo?»
«La cosa non sembra interessargli. Il capitano ha già mosso l’ufficio legale, ma per il momento l’ordine è di rilasciare il ragazzo.»
«Merda! Cosa dicono i dati raccolti?»
Nicole scosse la testa. «Corrispondenza solo parziale tra azione e pensiero, non abbastanza per affermare con certezza che la testa di Zaki sia occupata da una coscienza clandestina.»
Greg allargò le braccia. «E allora i petabyte criptati? Dai ragazzi, vogliamo farci prendere per il culo?»
Harris si appoggiò a una scrivania. «Jules, tu che dici?»
La donna fissava il pavimento, seduta. Sembrava esausta. «Quando oggi pomeriggio mi hanno chiamata per il fermo di Zaki, ho pensato “è fatta”. Ora però… Non so, davvero.» Si alzò. «Se permetti, Martin, vorrei essere io a riaccompagnare Zaki.»
Harris piegò le labbra in un sorriso forzato. «È stato bello riaverti in squadra, anche se per poco.»
I due si abbracciarono e lo stesso fece Jules con Nicole. Harris osservò l’amica uscire dalla stanza per poi ricomparire dall’altro lato dello specchio. Attraverso le casse, sentirono Jules parlare in arabo. In uno slancio di felicità Zaki abbracciò la donna, per poi ricomporsi. I due uscirono.
Nella stanza calò il silenzio.
«Allora è davvero finita?» Nicole si guardò intorno. «Lo lasciamo andare e tanti saluti?»
Harris scosse la testa. «No. Lo terremo sotto monitoraggio. Controlleremo ogni suo movimento, ogni contatto, ogni conversazione. Se davvero c’è al-Tawil dentro Zaki, stai certa che lo beccheremo.»
Greg alzò una mano. «Credi si possa ottenere un mandato anche per il padre? Insomma, tutta questa storia del riscatto che non si trova non vi fa scattare nessuno campanello d’allarme?»
Mya alzò le spalle. «Il Birkistan è nostro alleato nella lotta all’FLM.»
«Ufficialmente.»
Harris si stropicciò la faccia. Anche lui cominciava a sentire il peso di quella notte. «Vuoi trovare le prove di un complotto internazionale, Greg? Bene, fallo. Hai credo ancora dieci secondi prima che Zaki venga riconsegnato alla famiglia.»
Greg scrocchiò le ossa del collo. «Me li farò bastare. Mya, caricami in memoria la registrazione dell’interrogatorio comprensiva dei dati raccolti. Sento che qualcosa ci sfugge.»
Nicole si avvicinò ad Harris e gli appoggiò una mano sulla spalla. «Mi spiace, Martin.»
Harris non rispose.
«Senti, mi occupo io del rapporto. Stavo anche pensando che forse potremmo…»
La donna si bloccò. I suoi occhi vibravano, impegnati a scambiare informazioni.
«Che succede?», domandò Harris.
«È l’accettazione. Chiedono perché non è stato ancora richiesto il codice di sblocco dell’anello di Zaki.» Nicole si portò una mano alla bocca. «Oddio, non penserai che Jules…»
Harris si girò verso i colleghi. «Fate bloccare i cancelli d’uscita!»
8 MARZO 00:23
“Con calma, Greg. Spiegati.”
“Parlo di quando Jules è andata a prelevare Zaki. In quel momento il software di controllo linguistico era disattivo, tanto ormai l’interrogatorio era concluso, giusto? Beh, sono stato un idiota. Jules non stava dicendo a Zaki che era libero di andare: stava attivando il codice di sblocco!”
Harris mise una mano a terra. La testa gli girava. Si sedette, appoggiando la schiena alla portiera.
“Mi hai sentito, Martin? È lei la cellula dormiente! Ti pre—”
Harris chiuse la chiamata.
Un duplice bip echeggiò nell’aria.
Non c’era più tempo. Harris lasciò da parte ogni cautela e si mise a correre tra le corsie. Intravide una figura di spalle aprire la portiera di un’auto e fare segno a un’altra, più piccola, di entrare.
«Dunque è vero. È questo che sei diventata? La pedina di un terrorista?»
La donna appoggiò una mano sulla portiera. «Ti sbagli, Martin. Ti sei sempre sbagliato. Su di me. Su quello che facciamo. Su tutto.»
«Se è davvero così, allora spiegami. Perché quello che vedono i miei occhi è soltanto un’ex collega passata dalla parte del nemico.»
Jules si voltò. «Mi spiace averti mentito. Mi spiace aver mentito a tutti voi.»
La donna chiuse gli occhi. Harris non ne era sicuro, ma gli sembrò che stesse piangendo.
«Ma la colpa è soltanto vostra.» Gli occhi di Jules si riaprirono, sul volto soltanto rabbia. «Per tre anni ho aspettato che qualcuno venisse a salvarmi da quell’inferno. Tre anni di torture, di sputi, di cibo servito nel fango, di notti passate a divertire gli uomini di al-Tawil. Poi un giorno ho capito: nessuno sarebbe venuto a salvarmi, per il semplice fatto che non dovevo essere salvata. Ero esattamente dove il mio paese voleva che fossi, vicino al cuore del nemico. E allora ho fatto esattamente quello per cui ero stata addestrata: ho mentito, mi sono sottomessa, ho finto di convertirmi alla causa, mi sono guadagnata la fiducia dei miei carcerieri. Mi ci sono voluti due anni, e solo allora sono stata contattata attraverso un canale criptato che nemmeno i tecnici dell’FLM erano riusciti a inibire. Mi fu data una missione: scoprire i piani di al-Tawil. E ci sono riuscita; cazzo se ci sono riuscita! Così sono potuta tornare a casa. Non perché mi fossi meritata la salvezza, ma solo perché ormai non servivo più. Ma ad essere prelevata fui io, ed io soltanto. Solo che durante quei sei anni non ero più soltanto io.»
Dalla stazione giunse un rumore di porte spalancate. Le luci delle torce installate sui fucili della squadra d’intervento oscillarono nella nebbia.
Jules si girò verso quello che fino a pochi minuti prima era Zaki. Gli fece segno di uscire. «Lui è Rajaa, mio figlio.»
Una dozzina di agenti circondarono Martin e Jules, le armi puntate. Il detective alzò il pugno, facendo segno di non agire.
«Negli ultimi tre anni ho fatto di tutto per riaverlo. Ho superato qualunque test psicologico per dimostrare la mia idoneità al servizio, facendo ancora una volta quello per cui ero stata addestrata. Una volta reintegrata ho richiesto d’entrare nell’intelligence. Mi ci è voluto del tempo, ma alla fine l’ho ritrovato. Avevo però bisogno di un modo per farlo arrivare qui, per salvarlo.» Jules fece un lungo respiro. «Ho deciso di sfruttare tutti i miei agganci, anche quelli che non avrei voluto. Ed ecco arrivare una chance: Zaki, studente modello figlio di un politico e con in programma un viaggio nel nostro paese per motivi di studio.» Jules si fermò. «Ecco, volevi la verità? Ora la conosci. Come ti senti adesso, detective?»
Martin avanzò di un passo. «Jules, mi dispiace. Non immaginavo…» Un altro passo. «Sai però che non potrò lasciarti andare.»
Jules annuì. «Lo so. Ed è per questo che dispiace anche a me.» Le sue palpebre sbatterono tre volte.
Una notifica informò Harris di un file da 25 petabyte in arrivo. Il download fu immediato. Senza alcuna autorizzazione, l’archivio dati si scompattò, per poi replicarsi. Copie e copie di una coscienza estranea sommersero la mente del detective, la riempirono.
Jules, la faccia schiacciata sul tavolo mentre mani invisibili le strappano i vestiti.
Jules, le gambe divaricate che partorisce nella solitudine di una cella.
Jules, avvolta da una tunica, i dorsi delle mani tenuti sollevati e ricoperti di sangue.
Jules, il coltello in mano, a sezionare la testa di un uomo, ad affondare le mani per estrarne il contenuto.
Jules, che trasmette informazioni, che ne tiene molte altre per sé.
Jules, suo figlio scortato dentro una camionetta.
Jules, che intravede una vecchia conoscenza e va a salutarla.
Jules, che osservava tutti quegli uomini davanti a sé, ciechi e immobili, che stringe suo figlio tra la nebbia.
E mentre la vista si faceva sempre più torbida, Harris vide per un’ultima volta sé stesso attraverso gli occhi di Jules. Cadde in ginocchio. Avrebbe voluto piangere, eppure non poté fare a meno di sorridere un’ultima volta all’amica, prima che il buio lo inghiottisse.