Latona
Inviato: giovedì 17 dicembre 2020, 10:06
Le gambe nude di Viviana formicolano, la porcellana fredda intirizzisce le cosce.
I battiti del cuore aumentano di pari passo alla morsa allo stomaco e il bagno le sembra più stretto del solito.
Il condizionatore d’aria, il lavandino, l’armadietto dei medicinali incassato nel muro; tutti ansiosi quanto lei di sapere il risultato. Persino il water sotto il suo sedere è in trepidante attesa di sapere se lei sia in cinta.
Forse quando non guardi le pareti, loro se ne approfittano e si avvicinano.
Viviana si gratta la cicatrice che ha sul mento con una scatolina che tiene in mano.
La gira e l’avvicina agli occhi.
"Una volta effettuato il doppio prelievo, il test uro-ematico di gravidanza impiegherà dai 2 ai 12 minuti per effettuare il esponso. Attendere la fine delle vibrazioni per guardare il display."
La donna sbuffa.
Minuti? Forse è un errore di stampa e doveva esserci scritto anni. Dio, ancora non ha finito questo stramaledetto cosino ronzante?
Il test non smette di tremarle tra le punte delle dita dell’altra mano.
Viviana riprende a leggere le iscrizioni sulla confezione.
Colore blu: esito negativo
Colore rosso: esito positivo
Deglutisce. Il test vibra ancora più forte.
Viviana contrae i glutei e una volta in più si rammarica della tonicità persa negli anni.
E chi ha avuto più il tempo di allenarsi?
Proprio quando Viviana decide di alzarsi, il test di gravidanza si ferma.
[…]
Viviana Spencer recupera lo zaino di scuola dal suo armadietto, se lo mette in spalla e si avvia verso l’androne delle scale.
L’unico segno di vita nella palestra è il rumore ritmico dei suoi stivaletti sul pavimento in coccio.
Nessuno alla reception.
Nessuno nell’ufficio della sensei.
Nessuno nello sgabuzzino dei robot aspirapolvere dalla porta color senape.
La ragazzina rimugina.
Sono sempre l’ultima ad uscire dalla doccia.
Il pensiero le passa in un battibaleno, scoppia come una bolla di sapone contro il ditino di un bimbo.
Si ma sono già andati via tutti, no? Sia le compagne di corso che l’insegnante. E fino a domani la palestra è mia!
Il tintinnio argenteo del portachiavi a forma di shuriken che sta roteando col dito indice le dà ragione.
Il sole pomeridiano filtra dalla porta a vetri e lambisce il pavimento fino alle prime mattonelle della tromba delle scale.
Sulla bacheca elettronica degli avvisi, incastonata sulla parete destra, scorrono frasi in maiuscolo.
“Non disonorare te stesso evitando la fatica. Parcheggia lontano dal palazzo e cammina!”
La sua preferita.
Sensei Morisaki, sei la numero uno!
Viviana agita la tessera magnetica di fronte alla serratura QR, il portone si apre emettendo un pigolio elettronico e un rumore secco.
La ragazzina esce e richiude il portone a vetri dietro di sé. La tessera magnetica svolazza di nuovo.
Un altro “bip” ed un altro “clac”.
Infila portachiavi e cartoncino nella tasca posteriore dei jeans.
La pressione spigolosa dello shuriken sulla sua natica le strappa un sorriso: significa responsabilità ma anche la libertà di poter avere un posticino solo per lei, seppur solo per una sera.
Viviana ha una fugace visione di sé stessa, caruccia e ben vestita, nello stesso punto in cui si trova adesso ma sotto un cielo nero e bluastro.
La sé stessa immaginaria estrae la tessera dalla sua pochette con le perline e…
Torna nel momento presente, sbalzata da una forza invisibile.
Il sorriso diventa una risata. Attraversa la strada.
La luce ramata del sole è spalmata sull’asfalto, sui marciapiedi e ve ne sono residui filiformi sulle foglie delle palme che dondolano alla brezza pomeridiana.
Studentesse chiacchierine in uniforme bivaccano davanti l’ingresso della gelateria.
Poco più in là, due vigilesse squadrano una ad una le auto parcheggiate sul ciglio della strada con il tablet delle multe tra le mani conserte dietro la schiena.
Viviana aggira una panchina dove siedono due donne in camicia indaco con lo sguardo incatenato ad un laptop retto da una delle due. Carpisce soltanto uno spizzico di un discorso proveniente dalle casse audio.
«…e le previsioni finanziare danno per certo che l’Isola di Latona registrerà per il decimo anno di fila l’incremento più alto di prodotto interno lordo e stipendi pro-capite di tutto il mondo, senza contare la…»
La ragazzina poggia una mano sullo steccato che delimita la pineta e lo salta.
Il contenuto dello zaino sobbalza e le sbatte contro la schiena.
La pressione del portachiavi c’è ancora: va tutto bene.
I trochi dei pini marittimi tracciano lunghe ombre nere sul terreno sabbioso.
Non si muove una foglia.
Dopo pochi passi tra rovi e radici, Viviana ode il chiaro rombo di un’onda che si infrange al posto del borbottare del traffico.
«Vivi! Siamo qui!»
Lei allunga il collo.
Lilia, Jabira e Rebecca.
Le tre ragazze, sedute ad un tavolo con panche in legno inchiodate al suolo, oscillano le loro braccia sopra le loro teste.
Alla loro sinistra, un buco nella fila di pini contiene al suo interno il turchese del cielo e l’acquamarina del Mediterraneo che si baciano sulla linea soffusa dell’orizzonte.
Viviana allunga il passo.
Una runner dalla chioma di paglia le sfreccia davanti, mostrandole un sorriso di panna e facendole un cenno di scusa con la mano.
Lei ricambia e le getta un ultimo sguardo sulle gambe lunghe e sui fianchi disegnati col compasso, inguainati in leggings rossi come il peccato.
Vivi saluta tutte e si siede accanto a Rebecca nell’ultimo spicchio di panca libero.
Jabira si distende inondando con la sua cascata di ricci d’ebano le cosce di Lilia.
Dopo uno scambio poco convinto di pizzicotti tra loro due, Lilia comincia a pettinarle i capelli infilando le lunghe dita in quel cespuglio cresposo.
«Allora, piccola Viv? Che ti ha detto la tua sensei?» le chiede Lilia, senza guardarla.
Viviana inclina il busto, solleva il suo fondoschiena ed estrae il suo contenuto.
Lascia cadere la tessera magnetica sulla superficie sbeccata del tavolo, lo shuriken tintinna.
Un ululato di iena sovraeccitata proviene da sotto il tavolo.
Jabira si alza di scatto e per una manciata di millimetri non sferra una testata al mento di Lilia.
«Bel colpo, verginella! Allora stasera è la gran sera! Sai, mi mancherà chiamarti “verginella”, ti si addice così tanto che ormai non potrei chiamarti in nessun altro modo!»
Colpetti a raffica cominciarono a sferzare il collo esposto di Viviana.
Alla sua sinistra, col volto semicoperto da un frangettone color platino, Rebecca si mordicchia la lingua e non sembra voler smettere di darle coppini tanto presto.
«Tranquilla, tesoro. Potremo continuare a chiamare verginella Rebecca, no?» dice Lilia cantilenando.
I colpetti si interrompono.
«…tanto non sarà per adesso che scoprirà le gioie dell’amore!»
Rebecca scosta il ciuffo e rivela due occhi ridotti a fessure.
«Dai amore, non prenderla in giro. Lei è una “straight”, risponde soltanto a quello che le dice il cuore.» il tono con cui Jabira scandisce quella parola è già di per se una presa in giro certificata alle orecchie di Viviana.
«Meh. Non sa che si perde.» Lilia affonda per l’ennesima volta le mani nel canestro ricciuto di Jabira, l’avvicina a sé e la bacia.
Viviana arriccia le labbra.
Stasera avrò anch’io la mia razione di sbaciucchi infuocati? Certo che quando amoreggiano sono bellissime…
«Ma come fanno a piacerti i ragazzi, Rebecca?» Lilia non molla la preda «Io quando li vedo in video o in foto su Internet mi viene la nausea. Quei capelli sottili, la camminata da gorilla, quella paccottiglia che pende loro tra le gambe…»
Jabira scoppia a ridere, Rebecca è congelata.
«E poi vuoi aspettare davvero i ventuno anni per poter uscire da Latona e incontrarne uno? Nemmeno puoi portartelo qua, tra l’altro!»
Rebecca si scioglie quel tanto che basta per abbozzare una replica.
«Piantala.»
Viviana si gratta il naso. L’attenzione era scivolata via da lei in fretta e non ne sente così tanto la mancanza.
«Ma innamorati di una donna, no? Puoi costruirti una famiglia facilmente, tutte hanno un lavoro e poi quando vorrai dei figli, zacchete!» Lilia mima il taglio di una forbice con l’indice e il medio «ti prelevano delle cellule “straminali” dalla cresta “idilliaca”, le convertono in spermatozoi, te li sparano dentro e bingo! Sei in cinta! Oppure ingravidano la tua compagna, puoi addirittura scegliere!»
«Guarda che si chiamano staminali, non “straminali”. E non idilliaca, ma iliaca.» sentenzia Rebecca.
Jabira circonda le spalle della sua ragazza.
«Causa persa, cara Rebe. Il suo tre in biologia brilla di luce propria tanto quanto il quattro in storia: la mia piccola asinella manco sa che in origine il nome dell’isola di Latona era Cipro. Nel compito ha scritto “Chitro”.»
Si erge la prima risata di gruppo da quando Viv è lì con loro.
Tre ragazze orientali escono dalla fenditura tra i pini, tirandosi addosso un frisbee a led giallo evidenziatore. Avevano tutte jeans sotto, bikini sopra e una chioma corvina simile alla coda di una sirena.
«Buone, ragazze! Stasera è la sera di Viviana!» Lilia batte le mani due volte «Hai già deciso cosa metterti? Non abbiamo proprio la stessa taglia, ma io avrei un perizomino da prestarti che fa indurire i cap…»
«Non farmi venire l’ansia, Lilia! Voglio solo un appuntamento tranquillo, niente di che…»
L’alta temperatura della bugia appena detta le fluisce nelle gote e nell’incavo dei seni; Viviana spera nella penombra degli alberi per non farsi beccare possibili rossori.
Rebecca tira su col naso e sputa per terra.
«Ma dai, Viv. Ormai sono tre settimane che vi frequentate. Vuoi dirci che Erin non abbia intenzione di fare LA mossa, stasera? Noi la conosciamo poco ma in giro dicono tutte che sia una tipa riservata e schiva. Di solito le tipe del genere sono fuoco vivo sotto le lenzuola! E nemmeno hai mai voluto presentarcela, mannaggia a te!»
Viviana si alza dalla panca e sistema lo zaino sulla spalla.
Riprende la tessera e se la infila con forza nella medesima tasca di prima.
«Magari in futuro. L’unica cosa certa è che ci vediamo nel dojo stasera alle undici. Vi racconterò tutto domani, brutte arrapate che non siete altro!»
Poco prima di girarsi verso la strada, Viv intravede Lilia fare il segno della vittoria con entrambe le dita per poi incastrarle tra loro a ripetizione.
-
Viviana Spencer atterra sulla tettoia spiovente del garage. Si guarda intorno.
Le poche case limitrofe sono distanti, nessun vicino alla finestra incuriosito da una sedicenne che compie un salto di tre metri dalla propria camera da letto.
Stringe le cinghie del suo zainetto sulle clavicole.
L’arietta fine di tarda primavera le solletica la pelle, invitandola ad esporne altra sotto la luna gravida e luminosa. Nessuna stella.
Viviana afferra il bordo sporgente della tettoia e si lascia penzolare.
Molla la presa.
L’acciottolato le preme sotto i piedi scalzi ed esegue una capriola.
La retta annuale che sborsa la mia famiglia per il corso di arti marziali non è sprecata.
Sbircia da dietro la parete del garage: la finestra del soggiorno è illuminata.
Mamma Margaret doveva essere ancora al lavoro sul suo portatile.
Vivi si accuccia, si sfila lo zaino e lo apre.
Tira fuori il suo cheongsam nuovo, ancora imbustato.
Il miglior regalo di compleanno della storia dei compleanni.
Lo libera dalla neoplastica, ne analizza ogni cucitura e appiattisce pieghe inesistenti sul tessuto rosso fuoco. La fantasia a rose corre per tutto il lato destro e termina in un’esplosione di petali attorno la scollatura.
Al riparo dell’alta aiuola, si sfila tuta e t-shirt.
Il cheongsam le avvolge la testa e poi la vita. Lo spacchetto laterale sinistro lascia scoperta gran parte della coscia.
Lo smart-D-watch vibra.
Viviana gira il polso.
“Sono arrivata al dojo, ti aspetto davanti l’ingresso♥. E.”
Lo stomaco le fa un salto all’indietro, simile a quelli della sua sensei durante le lezioni.
Ho fatto bene a cambiarmi prima di partire, così arriverò già pronta!
Tira fuori dallo zaino un paio di ballerine in tinta con lo cheongsam.
Le mette e le solette intonse si adattano alle piante dei piedi.
Si dà un’ultima controllatina generale con la fotocamera retroversa dello smart-D-watch.
Ok, si va!
Esce dal cancello posteriore e sale sull’aero-scooter che aveva dimenticato di rimettere in garage.
Avvia il motore strusciando l’indice sul display e il mezzo comincia a divorare la strada.
Il vento forte le scombina i capelli e se ne compiace: Erin le ha fatto dozzine di complimenti su come sia intrigante col caschetto spettinato.
Arrivata all’incrocio deserto, accosta e si volta verso casa sua.
La Maserati-Dodici-T di mamma Teresa imbocca il viale dalla parte opposta e raggiunge il cancello principale di casa.
Anche stasera la prima ministra di Latona ha dovuto fare gli straordinari.
Viviana ripassa a mente la routine serale a cui ha assistito un migliaio di volte: Mamma Teresa schiocca un bacio a mamma Margaret, sbocconcella la cena tenuta in caldo, pigola una buonanotte davanti la camera di sua figlia e va a letto.
E se proprio questa sera proverà ad entrare nella mia stanza, troverà la porta chiusa e una musica di sottofondo a dirle che sono già sotto le coperte.
Viv riparte.
-
Viviana infila il suo paio di ballerine in uno dei vani liberi della scarpiera.
Il contatto ruvido del tatami sotto i piedi scalzi le distende i nervi: un dettaglio quotidiano in una situazione eccezionale.
«Guarda, Viviana.»
Erin abbozza una posizione di guardia da serie TV sul Kung Fu davanti la parete a specchio.
Viv sorride.
«Abbassa i fianchi e distanzia i piedi.»
Erin ubbidisce.
«Sai, dovresti proprio darmi delle lezioni, sono così fuori forma.»
«Ma io non sono una sensei. Sono un’allieva come tante qua.»
Un’allieva a cui lasciano le chiavi per un appuntamento romantico clandestino, però.
Dalla finestra fanno capolino le luci dei lampioni, opache e incapaci di raggiungere il centro della stanza. La sagoma umana per i colpi si staglia immobile in un angolo, nella penombra.
Un colpo di clacson da fuori soffoca per un attimo la Bossa Nova riprodotta dallo smart-D-watch di Viviana appoggiato al davanzale.
L’orologio di seconda mano di Erin, lì accanto, tace.
Viviana rimira la sua ragazza.
Erin è ancora intenta ad aggiustare la sua posa. Il riflesso davanti a lei la imita in ogni movimento.
Viv si passa la mano tra i capelli.
Morbidi come non li aveva mai sentiti prima. Morbidi da toccare.
Deglutisce.
«Non sono così brava da insegnare a qualcuna, ma se è solo per una posa posso aiutarti, dai.»
Viv si piazza alle spalle di Erin e col naso le sfiora il collo senza volerlo.
Vaniglia e mandarino.
Il cuore comincia a bussarle sul petto, sembra voglia evadere dalla sua cassa toracica.
La biondina col caschetto e l’abito cinese, dall’altra parte dello specchio, si mordicchia il labbro inferiore.
Viviana spinge il piede destro di Erin con il proprio una manciata di centimetri più avanti, le afferra con delicatezza le braccia e gliele piega in un angolo più acuto.
Lo spacco laterale del cheongsam è divenuto una voragine: intravede uno spicchio delle sue mutandine nello specchio.
«Questa è la Kamae; viene tradotta come “posizione” ma la parola originale esprime un concetto più esteso di guardia, sia fisica che mentale…»
La Bossa Nova rallenta, le note più basse cominciano a battere sulle tempie.
La pelle di Erin è dura, il contatto genera pelle d’oca. In questo momento non ricorda se esiste qualcosa che non le piaccia a questo mondo.
Erin, ti ho lanciato ogni possibile appiglio, approfittane!
«Mentale, si…» sussurra.
«Ma anche fisica…» le risponde Erin.
Lei si volta e ora sono faccia a faccia.
Viv chiude gli occhi, le guance e le orecchie incandescenti come fornaci.
Una raffica di esplosioni le trafigge i timpani, perde la presa su Erin, non sente più il tatami sotto la pianta dei piedi e nell’istante in cui spalanca gli occhi non distingue il sopra dal sotto.
Vetri che si rompono, un dolore caldo e sottile le sferza il mento e poi l’impatto con una superficie ruvida.
Risate dal corridoio, qualcuno entra dalla porta messa per orizzontale.
«Beccate! Beccate Beccate! Viv, dovresti chiudere bene la porta quando hai un appuntamento segr…» la frase muore prima di concludersi.
Odore di polvere da sparo le punge il naso.
Lilia e Jabira emergono da nuvolette generate da mozziconi di petardi spezzati.
Le ragazze si inchiodano. Le labbra tremano ad entrambe.
«Oddiodiodio…noi non…»
Rebecca, sotto l’arcata della porta, lancia un urlo e si porta le mani sul volto.
Viviana si alza.
«Adesso suonerà l’allarme antincendio, cazzo! Non l’ho disattivato!»
Le sue amiche la ignorano, fissano qualcosa alle sue spalle.
Qualcosa di caldo le cola sulla nuca.
Viv si gira.
Erin è in piedi. Una ragnatela di sangue le serpeggia tra le scaglie di vetro intinte per tutto il corpo.
La camicia ora è una mappa dagli oceani vermigli ed è squarciata in più punti.
Erin si passa le mani sul volto e fa cadere interi lembi di pelle sul tatami.
Lilia, Jabira e Rebecca corrono via.
La tromba delle scale vomita parole di scuse imbevute di panico.
Le viscere di Viviana si capovolgono, la implorano di distogliere lo sguardo ma non riesce. Sotto la pelle che si stacca dal volto di Erin non c’è carne ma altra pelle.
Sul tatami, i lembi hanno un aspetto plasticoso.
Il piccolo seno di Erin casca da sotto la camicia sbrindellata e fa il rumore di un budino che cade sulla tovaglia.
Ora emerge un petto meno pronunciato ma più tozzo e ornato di un ciuffo di peli neri nel mezzo.
Un segnale acustico divampa per l’edificio e si divora le note della Bossa Nova.
La chioma di Erin raggiunge il tatami nella sua interezza, dalla coda di cavallo fino alla frangetta color ebano.
Sulla testa compare una spazzola di capelli altrettanto neri e folti ma meno voluminosi.
«Viviana, perdonami.»
La voce è più cavernosa.
Erin si passa la mano all’altezza della gola: un bozzo osceno le si gonfia davanti al collo.
Si toglie la camicia e la getta a terra.
Viviana soffoca la paura che ha di essere scoperta e il dolore liquido che non smette di torturarle il mento, giusto il tempo di unire i puntini e comprendere cos’ha di fronte.
«Un…ragazzo?»
«Non lasciare che mi arrestino, Viv. Se mi beccano mi sbattono via da Latona e sarei fottuto.»
L’allarme si spegne. Dalle finestre aperte giunge il rumore delle volanti che frenano davanti l’ingresso del palazzo.
[…]
Il display è blu.
Esito negativo.
Viviana si alza dal water. Le viscere, sparite durante l’attesa del risultato, sembra le siano state sostituite con altre fatte di piombo.
La lista mentale di cose da fare nel caso il test fosse stato positivo si scioglie e le si assembra un groppo in gola dal retrogusto amaro.
Butta il test di gravidanza nel cestino accanto al lavandino e si tira su mutandina e pantalone.
Sospira.
Raggiunge lo specchio del bagno e liscia il suo tailleur blu oltremare.
La chioma bionda e vaporosa sfiora le spalline del vestito.
Ribelle, perché a lui piace così.
Viv compie un salto mentale all’indietro e torna al porto di Famagosta di due mesi fa, sulla nave clandestina attraccata, sotto una pioggia autunnale che tamburella sul suo ombrello.
Erin, coperto da capo e piedi da un cappotto che può aver rubato dall’armadio di Horatio Nelson, le fa l’occhiolino e la invita sottocoperta con un inchino.
«Signora Spencer, il consiglio è pronto.» una voce fuori dalla porta la risucchia nel bagno del Ministero.
Viviana recupera il tablet presidenziale appoggiato sul lavandino.
«Eccomi!»
Esce.
La sua assistente Mindy la segue a distanza e, giunte a destinazione, le spalanca la porta della Sala Riunioni.
«Grazie.» sorride Viviana.
L’intero corpo politico della Repubblica Indipendente e Femminile di Latona, sprofondato su poltroncine color mogano attorno ad un tavolo, la segue con lo sguardo.
Si accomoda a capotavola.
Viv schiarisce la voce, accende il tablet.
Si guarda indietro,
Dalla vetrata a muro, il mar Mediterraneo è una sterminata pianura blu.
Al prossimo incontro.
«La riunione può cominciare.»
I battiti del cuore aumentano di pari passo alla morsa allo stomaco e il bagno le sembra più stretto del solito.
Il condizionatore d’aria, il lavandino, l’armadietto dei medicinali incassato nel muro; tutti ansiosi quanto lei di sapere il risultato. Persino il water sotto il suo sedere è in trepidante attesa di sapere se lei sia in cinta.
Forse quando non guardi le pareti, loro se ne approfittano e si avvicinano.
Viviana si gratta la cicatrice che ha sul mento con una scatolina che tiene in mano.
La gira e l’avvicina agli occhi.
"Una volta effettuato il doppio prelievo, il test uro-ematico di gravidanza impiegherà dai 2 ai 12 minuti per effettuare il esponso. Attendere la fine delle vibrazioni per guardare il display."
La donna sbuffa.
Minuti? Forse è un errore di stampa e doveva esserci scritto anni. Dio, ancora non ha finito questo stramaledetto cosino ronzante?
Il test non smette di tremarle tra le punte delle dita dell’altra mano.
Viviana riprende a leggere le iscrizioni sulla confezione.
Colore blu: esito negativo
Colore rosso: esito positivo
Deglutisce. Il test vibra ancora più forte.
Viviana contrae i glutei e una volta in più si rammarica della tonicità persa negli anni.
E chi ha avuto più il tempo di allenarsi?
Proprio quando Viviana decide di alzarsi, il test di gravidanza si ferma.
[…]
Viviana Spencer recupera lo zaino di scuola dal suo armadietto, se lo mette in spalla e si avvia verso l’androne delle scale.
L’unico segno di vita nella palestra è il rumore ritmico dei suoi stivaletti sul pavimento in coccio.
Nessuno alla reception.
Nessuno nell’ufficio della sensei.
Nessuno nello sgabuzzino dei robot aspirapolvere dalla porta color senape.
La ragazzina rimugina.
Sono sempre l’ultima ad uscire dalla doccia.
Il pensiero le passa in un battibaleno, scoppia come una bolla di sapone contro il ditino di un bimbo.
Si ma sono già andati via tutti, no? Sia le compagne di corso che l’insegnante. E fino a domani la palestra è mia!
Il tintinnio argenteo del portachiavi a forma di shuriken che sta roteando col dito indice le dà ragione.
Il sole pomeridiano filtra dalla porta a vetri e lambisce il pavimento fino alle prime mattonelle della tromba delle scale.
Sulla bacheca elettronica degli avvisi, incastonata sulla parete destra, scorrono frasi in maiuscolo.
“Non disonorare te stesso evitando la fatica. Parcheggia lontano dal palazzo e cammina!”
La sua preferita.
Sensei Morisaki, sei la numero uno!
Viviana agita la tessera magnetica di fronte alla serratura QR, il portone si apre emettendo un pigolio elettronico e un rumore secco.
La ragazzina esce e richiude il portone a vetri dietro di sé. La tessera magnetica svolazza di nuovo.
Un altro “bip” ed un altro “clac”.
Infila portachiavi e cartoncino nella tasca posteriore dei jeans.
La pressione spigolosa dello shuriken sulla sua natica le strappa un sorriso: significa responsabilità ma anche la libertà di poter avere un posticino solo per lei, seppur solo per una sera.
Viviana ha una fugace visione di sé stessa, caruccia e ben vestita, nello stesso punto in cui si trova adesso ma sotto un cielo nero e bluastro.
La sé stessa immaginaria estrae la tessera dalla sua pochette con le perline e…
Torna nel momento presente, sbalzata da una forza invisibile.
Il sorriso diventa una risata. Attraversa la strada.
La luce ramata del sole è spalmata sull’asfalto, sui marciapiedi e ve ne sono residui filiformi sulle foglie delle palme che dondolano alla brezza pomeridiana.
Studentesse chiacchierine in uniforme bivaccano davanti l’ingresso della gelateria.
Poco più in là, due vigilesse squadrano una ad una le auto parcheggiate sul ciglio della strada con il tablet delle multe tra le mani conserte dietro la schiena.
Viviana aggira una panchina dove siedono due donne in camicia indaco con lo sguardo incatenato ad un laptop retto da una delle due. Carpisce soltanto uno spizzico di un discorso proveniente dalle casse audio.
«…e le previsioni finanziare danno per certo che l’Isola di Latona registrerà per il decimo anno di fila l’incremento più alto di prodotto interno lordo e stipendi pro-capite di tutto il mondo, senza contare la…»
La ragazzina poggia una mano sullo steccato che delimita la pineta e lo salta.
Il contenuto dello zaino sobbalza e le sbatte contro la schiena.
La pressione del portachiavi c’è ancora: va tutto bene.
I trochi dei pini marittimi tracciano lunghe ombre nere sul terreno sabbioso.
Non si muove una foglia.
Dopo pochi passi tra rovi e radici, Viviana ode il chiaro rombo di un’onda che si infrange al posto del borbottare del traffico.
«Vivi! Siamo qui!»
Lei allunga il collo.
Lilia, Jabira e Rebecca.
Le tre ragazze, sedute ad un tavolo con panche in legno inchiodate al suolo, oscillano le loro braccia sopra le loro teste.
Alla loro sinistra, un buco nella fila di pini contiene al suo interno il turchese del cielo e l’acquamarina del Mediterraneo che si baciano sulla linea soffusa dell’orizzonte.
Viviana allunga il passo.
Una runner dalla chioma di paglia le sfreccia davanti, mostrandole un sorriso di panna e facendole un cenno di scusa con la mano.
Lei ricambia e le getta un ultimo sguardo sulle gambe lunghe e sui fianchi disegnati col compasso, inguainati in leggings rossi come il peccato.
Vivi saluta tutte e si siede accanto a Rebecca nell’ultimo spicchio di panca libero.
Jabira si distende inondando con la sua cascata di ricci d’ebano le cosce di Lilia.
Dopo uno scambio poco convinto di pizzicotti tra loro due, Lilia comincia a pettinarle i capelli infilando le lunghe dita in quel cespuglio cresposo.
«Allora, piccola Viv? Che ti ha detto la tua sensei?» le chiede Lilia, senza guardarla.
Viviana inclina il busto, solleva il suo fondoschiena ed estrae il suo contenuto.
Lascia cadere la tessera magnetica sulla superficie sbeccata del tavolo, lo shuriken tintinna.
Un ululato di iena sovraeccitata proviene da sotto il tavolo.
Jabira si alza di scatto e per una manciata di millimetri non sferra una testata al mento di Lilia.
«Bel colpo, verginella! Allora stasera è la gran sera! Sai, mi mancherà chiamarti “verginella”, ti si addice così tanto che ormai non potrei chiamarti in nessun altro modo!»
Colpetti a raffica cominciarono a sferzare il collo esposto di Viviana.
Alla sua sinistra, col volto semicoperto da un frangettone color platino, Rebecca si mordicchia la lingua e non sembra voler smettere di darle coppini tanto presto.
«Tranquilla, tesoro. Potremo continuare a chiamare verginella Rebecca, no?» dice Lilia cantilenando.
I colpetti si interrompono.
«…tanto non sarà per adesso che scoprirà le gioie dell’amore!»
Rebecca scosta il ciuffo e rivela due occhi ridotti a fessure.
«Dai amore, non prenderla in giro. Lei è una “straight”, risponde soltanto a quello che le dice il cuore.» il tono con cui Jabira scandisce quella parola è già di per se una presa in giro certificata alle orecchie di Viviana.
«Meh. Non sa che si perde.» Lilia affonda per l’ennesima volta le mani nel canestro ricciuto di Jabira, l’avvicina a sé e la bacia.
Viviana arriccia le labbra.
Stasera avrò anch’io la mia razione di sbaciucchi infuocati? Certo che quando amoreggiano sono bellissime…
«Ma come fanno a piacerti i ragazzi, Rebecca?» Lilia non molla la preda «Io quando li vedo in video o in foto su Internet mi viene la nausea. Quei capelli sottili, la camminata da gorilla, quella paccottiglia che pende loro tra le gambe…»
Jabira scoppia a ridere, Rebecca è congelata.
«E poi vuoi aspettare davvero i ventuno anni per poter uscire da Latona e incontrarne uno? Nemmeno puoi portartelo qua, tra l’altro!»
Rebecca si scioglie quel tanto che basta per abbozzare una replica.
«Piantala.»
Viviana si gratta il naso. L’attenzione era scivolata via da lei in fretta e non ne sente così tanto la mancanza.
«Ma innamorati di una donna, no? Puoi costruirti una famiglia facilmente, tutte hanno un lavoro e poi quando vorrai dei figli, zacchete!» Lilia mima il taglio di una forbice con l’indice e il medio «ti prelevano delle cellule “straminali” dalla cresta “idilliaca”, le convertono in spermatozoi, te li sparano dentro e bingo! Sei in cinta! Oppure ingravidano la tua compagna, puoi addirittura scegliere!»
«Guarda che si chiamano staminali, non “straminali”. E non idilliaca, ma iliaca.» sentenzia Rebecca.
Jabira circonda le spalle della sua ragazza.
«Causa persa, cara Rebe. Il suo tre in biologia brilla di luce propria tanto quanto il quattro in storia: la mia piccola asinella manco sa che in origine il nome dell’isola di Latona era Cipro. Nel compito ha scritto “Chitro”.»
Si erge la prima risata di gruppo da quando Viv è lì con loro.
Tre ragazze orientali escono dalla fenditura tra i pini, tirandosi addosso un frisbee a led giallo evidenziatore. Avevano tutte jeans sotto, bikini sopra e una chioma corvina simile alla coda di una sirena.
«Buone, ragazze! Stasera è la sera di Viviana!» Lilia batte le mani due volte «Hai già deciso cosa metterti? Non abbiamo proprio la stessa taglia, ma io avrei un perizomino da prestarti che fa indurire i cap…»
«Non farmi venire l’ansia, Lilia! Voglio solo un appuntamento tranquillo, niente di che…»
L’alta temperatura della bugia appena detta le fluisce nelle gote e nell’incavo dei seni; Viviana spera nella penombra degli alberi per non farsi beccare possibili rossori.
Rebecca tira su col naso e sputa per terra.
«Ma dai, Viv. Ormai sono tre settimane che vi frequentate. Vuoi dirci che Erin non abbia intenzione di fare LA mossa, stasera? Noi la conosciamo poco ma in giro dicono tutte che sia una tipa riservata e schiva. Di solito le tipe del genere sono fuoco vivo sotto le lenzuola! E nemmeno hai mai voluto presentarcela, mannaggia a te!»
Viviana si alza dalla panca e sistema lo zaino sulla spalla.
Riprende la tessera e se la infila con forza nella medesima tasca di prima.
«Magari in futuro. L’unica cosa certa è che ci vediamo nel dojo stasera alle undici. Vi racconterò tutto domani, brutte arrapate che non siete altro!»
Poco prima di girarsi verso la strada, Viv intravede Lilia fare il segno della vittoria con entrambe le dita per poi incastrarle tra loro a ripetizione.
-
Viviana Spencer atterra sulla tettoia spiovente del garage. Si guarda intorno.
Le poche case limitrofe sono distanti, nessun vicino alla finestra incuriosito da una sedicenne che compie un salto di tre metri dalla propria camera da letto.
Stringe le cinghie del suo zainetto sulle clavicole.
L’arietta fine di tarda primavera le solletica la pelle, invitandola ad esporne altra sotto la luna gravida e luminosa. Nessuna stella.
Viviana afferra il bordo sporgente della tettoia e si lascia penzolare.
Molla la presa.
L’acciottolato le preme sotto i piedi scalzi ed esegue una capriola.
La retta annuale che sborsa la mia famiglia per il corso di arti marziali non è sprecata.
Sbircia da dietro la parete del garage: la finestra del soggiorno è illuminata.
Mamma Margaret doveva essere ancora al lavoro sul suo portatile.
Vivi si accuccia, si sfila lo zaino e lo apre.
Tira fuori il suo cheongsam nuovo, ancora imbustato.
Il miglior regalo di compleanno della storia dei compleanni.
Lo libera dalla neoplastica, ne analizza ogni cucitura e appiattisce pieghe inesistenti sul tessuto rosso fuoco. La fantasia a rose corre per tutto il lato destro e termina in un’esplosione di petali attorno la scollatura.
Al riparo dell’alta aiuola, si sfila tuta e t-shirt.
Il cheongsam le avvolge la testa e poi la vita. Lo spacchetto laterale sinistro lascia scoperta gran parte della coscia.
Lo smart-D-watch vibra.
Viviana gira il polso.
“Sono arrivata al dojo, ti aspetto davanti l’ingresso♥. E.”
Lo stomaco le fa un salto all’indietro, simile a quelli della sua sensei durante le lezioni.
Ho fatto bene a cambiarmi prima di partire, così arriverò già pronta!
Tira fuori dallo zaino un paio di ballerine in tinta con lo cheongsam.
Le mette e le solette intonse si adattano alle piante dei piedi.
Si dà un’ultima controllatina generale con la fotocamera retroversa dello smart-D-watch.
Ok, si va!
Esce dal cancello posteriore e sale sull’aero-scooter che aveva dimenticato di rimettere in garage.
Avvia il motore strusciando l’indice sul display e il mezzo comincia a divorare la strada.
Il vento forte le scombina i capelli e se ne compiace: Erin le ha fatto dozzine di complimenti su come sia intrigante col caschetto spettinato.
Arrivata all’incrocio deserto, accosta e si volta verso casa sua.
La Maserati-Dodici-T di mamma Teresa imbocca il viale dalla parte opposta e raggiunge il cancello principale di casa.
Anche stasera la prima ministra di Latona ha dovuto fare gli straordinari.
Viviana ripassa a mente la routine serale a cui ha assistito un migliaio di volte: Mamma Teresa schiocca un bacio a mamma Margaret, sbocconcella la cena tenuta in caldo, pigola una buonanotte davanti la camera di sua figlia e va a letto.
E se proprio questa sera proverà ad entrare nella mia stanza, troverà la porta chiusa e una musica di sottofondo a dirle che sono già sotto le coperte.
Viv riparte.
-
Viviana infila il suo paio di ballerine in uno dei vani liberi della scarpiera.
Il contatto ruvido del tatami sotto i piedi scalzi le distende i nervi: un dettaglio quotidiano in una situazione eccezionale.
«Guarda, Viviana.»
Erin abbozza una posizione di guardia da serie TV sul Kung Fu davanti la parete a specchio.
Viv sorride.
«Abbassa i fianchi e distanzia i piedi.»
Erin ubbidisce.
«Sai, dovresti proprio darmi delle lezioni, sono così fuori forma.»
«Ma io non sono una sensei. Sono un’allieva come tante qua.»
Un’allieva a cui lasciano le chiavi per un appuntamento romantico clandestino, però.
Dalla finestra fanno capolino le luci dei lampioni, opache e incapaci di raggiungere il centro della stanza. La sagoma umana per i colpi si staglia immobile in un angolo, nella penombra.
Un colpo di clacson da fuori soffoca per un attimo la Bossa Nova riprodotta dallo smart-D-watch di Viviana appoggiato al davanzale.
L’orologio di seconda mano di Erin, lì accanto, tace.
Viviana rimira la sua ragazza.
Erin è ancora intenta ad aggiustare la sua posa. Il riflesso davanti a lei la imita in ogni movimento.
Viv si passa la mano tra i capelli.
Morbidi come non li aveva mai sentiti prima. Morbidi da toccare.
Deglutisce.
«Non sono così brava da insegnare a qualcuna, ma se è solo per una posa posso aiutarti, dai.»
Viv si piazza alle spalle di Erin e col naso le sfiora il collo senza volerlo.
Vaniglia e mandarino.
Il cuore comincia a bussarle sul petto, sembra voglia evadere dalla sua cassa toracica.
La biondina col caschetto e l’abito cinese, dall’altra parte dello specchio, si mordicchia il labbro inferiore.
Viviana spinge il piede destro di Erin con il proprio una manciata di centimetri più avanti, le afferra con delicatezza le braccia e gliele piega in un angolo più acuto.
Lo spacco laterale del cheongsam è divenuto una voragine: intravede uno spicchio delle sue mutandine nello specchio.
«Questa è la Kamae; viene tradotta come “posizione” ma la parola originale esprime un concetto più esteso di guardia, sia fisica che mentale…»
La Bossa Nova rallenta, le note più basse cominciano a battere sulle tempie.
La pelle di Erin è dura, il contatto genera pelle d’oca. In questo momento non ricorda se esiste qualcosa che non le piaccia a questo mondo.
Erin, ti ho lanciato ogni possibile appiglio, approfittane!
«Mentale, si…» sussurra.
«Ma anche fisica…» le risponde Erin.
Lei si volta e ora sono faccia a faccia.
Viv chiude gli occhi, le guance e le orecchie incandescenti come fornaci.
Una raffica di esplosioni le trafigge i timpani, perde la presa su Erin, non sente più il tatami sotto la pianta dei piedi e nell’istante in cui spalanca gli occhi non distingue il sopra dal sotto.
Vetri che si rompono, un dolore caldo e sottile le sferza il mento e poi l’impatto con una superficie ruvida.
Risate dal corridoio, qualcuno entra dalla porta messa per orizzontale.
«Beccate! Beccate Beccate! Viv, dovresti chiudere bene la porta quando hai un appuntamento segr…» la frase muore prima di concludersi.
Odore di polvere da sparo le punge il naso.
Lilia e Jabira emergono da nuvolette generate da mozziconi di petardi spezzati.
Le ragazze si inchiodano. Le labbra tremano ad entrambe.
«Oddiodiodio…noi non…»
Rebecca, sotto l’arcata della porta, lancia un urlo e si porta le mani sul volto.
Viviana si alza.
«Adesso suonerà l’allarme antincendio, cazzo! Non l’ho disattivato!»
Le sue amiche la ignorano, fissano qualcosa alle sue spalle.
Qualcosa di caldo le cola sulla nuca.
Viv si gira.
Erin è in piedi. Una ragnatela di sangue le serpeggia tra le scaglie di vetro intinte per tutto il corpo.
La camicia ora è una mappa dagli oceani vermigli ed è squarciata in più punti.
Erin si passa le mani sul volto e fa cadere interi lembi di pelle sul tatami.
Lilia, Jabira e Rebecca corrono via.
La tromba delle scale vomita parole di scuse imbevute di panico.
Le viscere di Viviana si capovolgono, la implorano di distogliere lo sguardo ma non riesce. Sotto la pelle che si stacca dal volto di Erin non c’è carne ma altra pelle.
Sul tatami, i lembi hanno un aspetto plasticoso.
Il piccolo seno di Erin casca da sotto la camicia sbrindellata e fa il rumore di un budino che cade sulla tovaglia.
Ora emerge un petto meno pronunciato ma più tozzo e ornato di un ciuffo di peli neri nel mezzo.
Un segnale acustico divampa per l’edificio e si divora le note della Bossa Nova.
La chioma di Erin raggiunge il tatami nella sua interezza, dalla coda di cavallo fino alla frangetta color ebano.
Sulla testa compare una spazzola di capelli altrettanto neri e folti ma meno voluminosi.
«Viviana, perdonami.»
La voce è più cavernosa.
Erin si passa la mano all’altezza della gola: un bozzo osceno le si gonfia davanti al collo.
Si toglie la camicia e la getta a terra.
Viviana soffoca la paura che ha di essere scoperta e il dolore liquido che non smette di torturarle il mento, giusto il tempo di unire i puntini e comprendere cos’ha di fronte.
«Un…ragazzo?»
«Non lasciare che mi arrestino, Viv. Se mi beccano mi sbattono via da Latona e sarei fottuto.»
L’allarme si spegne. Dalle finestre aperte giunge il rumore delle volanti che frenano davanti l’ingresso del palazzo.
[…]
Il display è blu.
Esito negativo.
Viviana si alza dal water. Le viscere, sparite durante l’attesa del risultato, sembra le siano state sostituite con altre fatte di piombo.
La lista mentale di cose da fare nel caso il test fosse stato positivo si scioglie e le si assembra un groppo in gola dal retrogusto amaro.
Butta il test di gravidanza nel cestino accanto al lavandino e si tira su mutandina e pantalone.
Sospira.
Raggiunge lo specchio del bagno e liscia il suo tailleur blu oltremare.
La chioma bionda e vaporosa sfiora le spalline del vestito.
Ribelle, perché a lui piace così.
Viv compie un salto mentale all’indietro e torna al porto di Famagosta di due mesi fa, sulla nave clandestina attraccata, sotto una pioggia autunnale che tamburella sul suo ombrello.
Erin, coperto da capo e piedi da un cappotto che può aver rubato dall’armadio di Horatio Nelson, le fa l’occhiolino e la invita sottocoperta con un inchino.
«Signora Spencer, il consiglio è pronto.» una voce fuori dalla porta la risucchia nel bagno del Ministero.
Viviana recupera il tablet presidenziale appoggiato sul lavandino.
«Eccomi!»
Esce.
La sua assistente Mindy la segue a distanza e, giunte a destinazione, le spalanca la porta della Sala Riunioni.
«Grazie.» sorride Viviana.
L’intero corpo politico della Repubblica Indipendente e Femminile di Latona, sprofondato su poltroncine color mogano attorno ad un tavolo, la segue con lo sguardo.
Si accomoda a capotavola.
Viv schiarisce la voce, accende il tablet.
Si guarda indietro,
Dalla vetrata a muro, il mar Mediterraneo è una sterminata pianura blu.
Al prossimo incontro.
«La riunione può cominciare.»