Il divora-libri - Soraia Patrizi
Inviato: sabato 19 dicembre 2020, 14:54
Il divora-libri
«Buongiorno, signor Russell.»
L’uomo salutò il ragazzo con un cenno del capo. «Buongiorno Albert. Di nuovo al lavoro, vedo.»
Il giovane scrollò le spalle. «Cerco di dare una mano quando posso. Ancora qui per la sua ricerca?»
«Temo di sì, dovrete sopportarmi ancora per un po'. Ed è il momento migliore, considerando i nuovi avvistamenti…»
Albert rabbrividì: «Ne ho sentito parlare. La creatura della foresta sembra aver ripreso coraggio.»
«Ma non ha causato danni, almeno per ora», l’uomo annuì, più a sé stesso che al ragazzo. «Cambiando discorso. Come va con la pratica di magia?»
«Diciamo... diciamo che va.»
«Non ti abbattere, sei ancora giovane. Puoi recuperare.»
Per un secondo l'uomo abbassò lo sguardo verso le mani del ragazzo. In un gesto istintivo, le nascose nelle maniche della felpa. «Certo. C'è ancora tempo. Mi chiami se le serve qualcosa.»
Con un goffo cenno della testa, il signor Russell si allontanò, prendendo posto ad una delle scrivanie libere.
Albert si sedette sulla sua sedia, guardando la finestra che dava su un cielo grigio e nuvoloso d'autunno.
Quando il silenzio si rannicchiò nella stanza, fece sgattaiolare le mani fuori dal loro nascondiglio. Aprì i palmi: la pelle della mano sinistra si era ormai rimarginata, ma la cicatrice dell’ustione era ancora visibile, la pelle raggrinzita dove l’incantesimo aveva fallito.
Nella confusione dei suoi ricordi, il brillio delle zanne bianche della creatura tra gli alberi immersi nell’oscurità lo fece rabbrividire. Le scintille del fuoco che aveva invocato in suo aiuto scoppiettavano di fronte al mostro dalla pelliccia nera, ma il ricordo del dolore e delle grida avevano ben presto cancellato la realtà.
«Signorino Zanti?»
«Sì?» Albert si alzò di scatto, voltandosi verso la scrivania occupata.
«Avrei bisogno del suo aiuto. Può venire qui?»
«Certamente. Cosa le serve?»
«Avete il volume otto dell'enciclopedia sulle creature magiche di Bradburn? Non riesco a trovarlo sullo scaffale.»
Albert corrugò la fronte, voltandosi verso lo scaffale in questione. I primi sette volumi e il nono erano perfettamente in ordine, sfoggiando le loro livree blu, ma c'era un punto vuoto al posto dell'ottavo.
«Controllo che non sia stato preso in prestito.»
Prese la scala e salì al punto vuoto. Incastonato nel legno, in una piccola teca di vetro, c'era una pietra. Albert la toccò con delicatezza, leggendone le informazioni contenute.
«No, è stato solo spostato», alzò lo sguardo.
Il volume otto sulle creature magiche lo guardava dall’alto con le sue lettere d’oro sul dorso.
«Eccolo. Due scaffali più in alto.»
Albert diede una rapida occhiata in giro. Con un sorrisetto, schioccò le dita e il libro scivolò giù dalla mensola, levitando dolcemente verso terra. Il signor Russell tese le braccia come se un bambino stesse per cadere, muovendosi avanti e indietro.
«Albert Zanti!»
Il grido gli fece perdere la concentrazione, e il libro cadde nelle mani del signor Russell.
Albert si voltò, la mano ancora in aria, e sbiancò alla vista della madre.
«A te proprio non importa, vero?»
La donna parlava con voce bassa. Lo aveva portato in una delle stanze sul retro, dove pile di scatole attendevano di essere sistemate, e non si era neanche seduta. Si limitava a guardare il figlio con sguardo truce, le braccia conserte, le labbra che tremavano.
Albert distorse lo sguardo: «Era solo una semplice levitazione, mamma. Ti preoccupi troppo.»
«Non dopo quello che è successo», gli occhi si posarono sulle sue mani.
Albert le nascose sotto le maniche. «Come posso permettere che non accada più se non posso praticare?!»
«Te lo abbiamo detto, dobbiamo essere presenti o io, o tuo padre, o uno dei tuoi insegnanti.»
Albert sospirò, alzando gli occhi al cielo: «Ho sedici anni ormai, mamma. Tutti i miei amici-»
«Non mi interessa cosa fanno i tuoi amici, Al. Queste sono le regole», la madre sospirò, portandosi una mano sulla fronte. Si sedette di fronte al figlio, gli occhi chiusi: «Per favore non... non combinare guai, va bene?»
«Non si è fatto male nessuno», sbuffò lui. «Se fosse stato un libro più vecchio, lo avrei preso con le mie mani.»
La madre lo guardò e sorrise. «Mi fido di te. Va bene?»
Albert continuò a guardare la finestra che dava sulla silenziosa città, per infine alzarsi e uscire senza dire una parola.
La biblioteca era immersa nel silenzio della notte. I primi raggi della luna piena spezzavano l'oscurità, le lampade sul soffitto donavano bagliori dorati agli scaffali. Albert si aggirava per le scrivanie cercando oggetti dimenticati e riponendo in ordine i pochi libri sparsi in giro, i suoi passi che echeggiavano come gocce su un lago. Era raro che ci fossero molti volumi da sistemare, ma per Albert ormai era divenuta un'abitudine, come una sorta di meditazione, controllare ogni scrivania prima di chiudere per la giornata. Era sempre l'ultimo a chiudere, mentre i genitori concludevano le faccende burocratiche.
Mentre saliva le scale per riporre il libro numero otto delle creature magiche lasciato indietro dal signor Russell, un dorso verde attirò la sua attenzione. Era più piccolo rispetto ai suoi fratelli sullo scaffale, la copertina morbida. Corrucciando la fronte e abbozzando un sorriso, lo prese.
«Wow, questo sì che è vecchio», i bordi erano stati consumati dopo anni di utilizzo. «E deve aver ricevuto tanto amore.»
“Il vecchio Tom incontra un amico.”
Ridacchiò. «Questo lo conosco. Cosa ci fa un libro per bambini in questa sezione?»
Sfogliò alcune pagine, cui bordi erano stati tagliati in un semicerchio, zigzagati. «Qualche bambino ha adorato questo libro così tanto da mangiarselo, apparentemente.»
Lo prese con sé, scendendo giù dalla scala, e si sedette alla scrivania.
Mentre controllava che tutto fosse al suo posto prima di chiudere, i suoi occhi si posarono su una pila di libri che lo attendeva da qualche giorno sulla scrivania.
«Ugh, sono tutti da sistemare... se li lascio qui ancora per molto, mia madre si lamenterà parecchio.»
Si guardò intorno. Il silenzio della biblioteca investì le sue orecchie come ovatta. Scrollò le spalle e schioccò le dita. I libri in cima alla pila si alzarono in volo, avvicinandosi al suo viso in una fila ordinata. Si aprivano di fronte ai suoi occhi e Albert controllava la loro posizione negli scaffali, per poi dirigerli nella giusta locazione con un cenno della mano.
Un piccolo vortice di libri lo circondò, volando verso le loro postazioni, riempiendo l’aria con il loro frusciare.
Quando l’ennesimo libro si aprì di fronte agli occhi di Albert, il ragazzo corrucciò la fronte alla mancanza della sua locazione.
Lo prese con le mani, girandolo un paio di volte, ma non c’era alcuna etichetta.
Sbuffò alla mancanza del titolo in copertina. Alzò lo sguardo, guidando gli ultimi libri verso le loro postazioni, per poi tornare alla scrivania con l’intruso.
Tastò con le mani il rivestimento: ruvido, sembrava pelle.
Le pagine al suo interno erano ingiallite dal tempo e la carta era leggera e fragile al suo tocco. Diede un'occhiata ad una delle pagine. Sgranò gli occhi, avvicinando il libro al suo naso: non riconosceva neanche una parola. «Che lingua è?»
Era scritto in un'elegante grafia in corsivo, l'inchiostro che si era sbiadito nel tempo, diventando marrone.
«I numeri li riconosco, però.»
Sfogliando le pagine, vide che i numeri andavano avanti in ordine crescente. 21, 22, 23...
«Abbastanza inutile, se non capisco cosa c'è scritto», continuò a sfogliare, fino a quando non si bloccò su una pagina diversa dalle altre.
Nessuna parola era scritta, bensì un disegno copriva entrambe le pagine. L’inchiostro si era sbiadito nel tempo, ma le parti ombreggiate erano ben visibili. Gli alberi contornavano un cielo nero come la pece e, al centro di tutto, una figura dalla grande testa nera, le sue zanne bianche che brillavano nell’oscurità.
Un brivido di terrore percosse il suo corpo, e le sue mani tremarono.
«Non… non può essere…» gli si seccò la gola, delle lettere al margine attirarono la sua attenzione.
Nella stessa elegante grafia del resto delle pagine era scritto: “il divora-libri”.
Scosse la testa: «No, no… questa è la creatura della foresta…»
Il bagliore delle sue zanne tra i tronchi degli alberi oscuri apparve nella sua mente. La mano prese a prudergli.
In un impeto di realizzazione, sgranò gli occhi, guardando di nuovo le parole al fondo della pagina.
«Aspetta, ma questo è nella mia lingua.»
Tornò indietro, rileggendo le parole delle frasi, ma non riusciva a comprenderle. Socchiuse gli occhi, le lettere avevano qualcosa di famigliare, un ticchettio nella mente che lo intimava a continuare, la risposta era vicina...
Balzò in piedi: «Sono al rovescio!»
Rovistò nei cassetti, una cacofonia di oggetti che ballonzolavano qua e là, fino a quando non trovò lo specchio che la madre usava per sistemarsi i capelli.
Lo posizionò sulla pagina e riuscì a leggere.
Caro diario,
Anche oggi sono andata nella casa nella foresta per incontrare il divora-libri. Sta bene.
Lesse un paio di altre righe, ma la maggior parte erano cose di vita quotidiana, di poca importanza. L'autrice era una maga alle prime armi e una volta a settimana si recava dal divora-libri.
«La creatura nella foresta? Davvero?»
Tornò alla prima pagina. Due semplici righe erano scritte al centro del foglio, con l’inchiostro reso marrone dal tempo. Con il cuore in gola, prese lo specchio.
Diario di Olga Bran.
La sua mente si arrestò.
«La mia… bisnonna?»
Rimase qualche secondo di fronte a quelle pagine, gli occhi sgranati. La mente volava tra idee e leggende, vecchie storie che aveva sentito in famiglia, mentre la notte continuava il suo corso fuori dalla biblioteca silente.
«Perché la mia bisnonna conosceva la creatura nella foresta? E perché lo chiamava il divora-libri?»
Chiuse il diario con attenzione, quasi temesse di potergli fare male, e guardò la copertina. Lo accarezzò un paio di volte, un'idea che prendeva vita nella testa.
«Non c'è una pietra e questo renderà le cose più difficili, però leggere i ricordi dell'autore non è impossibile...»
Chiuse gli occhi, concentrandosi sulla sensazione che la pelle del rivestimento dava sulla sua mano. Ruvido, gli solleticava il palmo sano.
Entrò nei ricordi.
La foresta era immersa nel buio della notte d'estate. Un paio di lucciole giocavano a nascondino tra i tronchi, un vecchio gufo che bubolava lontano.
I suoi passi erano camuffati dall'erba soffice che veniva schiacciata a terra, mentre trovava la strada da seguire accarezzando la corteccia degli alberi.
Alzò lo sguardo quando raggiunse una vecchia radura, un tronco caduto al suo centro. La luna piena splendeva su di esso, rendendolo d'argento.
«Scusa l'attesa», disse la ragazzina. Rovistò nel suo cappotto, cacciando fuori un libro dalla copertina verde. «Mi stavano facendo molte domande.»
Una figura nera come la pece - che fino a quel momento era parsa solo come un'ombra - si mosse vicino al tronco. Due piccoli occhi e denti bianchi brillavano sulla sua pelliccia nera, un piccolo sorriso sul suo volto.
«Nessun problema.»
La ragazzina si sedette accanto alla creatura, poggiando il libro sulle sue gambe. Il mostro poggiò il suo muso appuntito sulla testa della ragazzina, mentre con gli occhi seguiva il movimento delle pagine.
«Allora», disse lei, alzando lo sguardo. «Dove eravamo rimasti?»
Albert scosse la testa, come colto da un fulmine. Quella ragazzina era Olga?
E stava leggendo un libro alla creatura?
L'immagine della copertina verde comparve nella sua testa. Volse un poco lo sguardo, senza neanche pensarci, e vide il vecchio libro che aveva trovato sullo scaffale.
Lo prese in mano: “Il vecchio Tom incontra un amico.”
Lo rigirò nella sua mano.
«Questo era il libro che stava leggendo. Lo conosco anche io. Parla di un mostro che...» sgranò gli occhi. «Un mostro che fa amicizia con un bambino...»
La mano ustionata prese a bruciargli. La strinse in un pugno.
La sua bisnonna aveva avuto lo stesso incontro che lui aveva avuto anni prima?
«Forse… se riuscissi ad incontrarlo di nuovo…»
Guardò la sua mano, aprendo lentamente il palmo.
Prese un cappotto, stipò il libro nel suo zaino e, assicurandosi di aver chiuso la biblioteca, corse verso la fermata dell'autobus.
La notte stellata portava con sé gli strascichi della giornata. Un vento freddo lo fece rabbrividire, facendogli stringere il libro al petto e serrare i denti.
Raggiunse la fermata dell'autobus. Un signore stava fumando una sigaretta accanto a lui, guardandolo di sottecchi. Il ragazzo lo salutò con un cenno della testa, continuando a stringere i denti.
L'autobus arrivò, le luci accese che ne accentuavano i sedili vuoti, ed entrambi salirono.
Albert prese posto in un sedile indietro, poggiando la testa sul finestrino, prima di ritirarla, la testa che gli gelava.
Infine, si strinse in sé stesso, rimanendo in silenzio per tutta la corsa, tremando di paura.
La città dormiente sfrecciava sotto ai suoi occhi. Il signore che era salito con lui scese dopo un paio di fermate, e dopo di lui nessun altro salì. Albert si alzò dal suo posto per sedersi al sedile vicino alla porta d’entrata, abbozzando un sorriso quando l’autista sgranò gli occhi nel vederlo.
Sfrecciarono sotto lampioni e attraversarono strade vuote, fino a quando non uscirono fuori dalla città. Un paio di case immerse nel verde resero vive le loro presenze con lampade fuori dalla porta, per poi sparire nel buio della notte.
Infine, chiese di scendere.
«Davvero?»
«Davvero.»
«La creatura della foresta vive qui.»
«Lo so.»
L'autista lo guardò e parve voler dire qualcosa, ma infine scosse la testa, fermò il mezzo, e biascicò un “Buona serata", ricambiato.
Albert guardò il mezzo sfrecciare via, ingoiato da una fila di alberi, la luce dei suoi fari a intermittenza tra i tronchi, fino a quando non scomparve.
Rimase fermo un istante. La luna piena dava un poco di luce, donando una sfumatura blu ed eterea al mondo. Sospirando di nuovo e stringendo il libro al petto, voltò le spalle alla strada e s'incamminò tra gli alberi.
La foresta buia mancava delle giocose prestazioni delle lucciole, in quella notte d'autunno.
La luna piena regalava bagliori spettrali alle foglie e agli alberi, mentre il vento freddo tra i rami gli fece stringere i denti.
La notte era buia come allora. Chiudendo gli occhi per ritrovare il coraggio, fece qualche respiro.
Iniziò a camminare.
Rannicchiò la testa tra le spalle quando l’erba umidiccia gli bagnò l’orlo dei pantaloni e la suola delle scarpe, ma non si fermò.
Ogni passo era calcolato, il cuore che gli stava facendo esplodere la testa.
Un ululato lontano lo immobilizzò, mozzandogli il fiato.
Si guardò intorno, stringendo il libro come se potesse proteggerlo dalle insidie. Soffiò, guardando le nuvolette bianche uscire dalla sua bocca.
Si passò la lingua sulle labbra, raccogliendo coraggio ad ogni respiro. Chiuse gli occhi ed infine annuì.
Stringendo le labbra, aprì il palmo della mano sinistra. La pelle cicatrizzata assumeva ombre bizzarre sotto la luce lunare e, in uno battito di ciglia, fece scintillare un fuoco.
Il cuore gli batteva forte, mentre con affanno guardava la fiamma danzare a pochi centimetri dalla sua pelle. Gli pizzicava, ma non abbastanza da fargli male.
«Bene», disse, sospirando. «Ora devo solo tenerlo così. Terrà a bada gli animali selvatici.»
Camminò, tenendo gli occhi fissi sulla fiamma, che tremolò al primo passo. Con il fiato sospeso, riprese a respirare solo dopo qualche passo.
I bagliori di fiamma sui tronchi allungavano le ombre, fino a quando non raggiunse una radura.
Una vecchia casa di pietra sorgeva al centro di essa, dimenticata dagli uomini ma non dalla foresta, che l’abbracciava con il suo muschio e file di piante rampicanti. Una parte del tetto era crollata, la corona di un albero che fuoriusciva da esso.
Una delle finestre era accesa, una figura nera che appariva vicino la luce.
La fiamma sparì dalla sua mano, mossa a sorpresa.
Si avvicinò alla porta e bussò.
Albert rimase immobile, il cuore che batteva all'impazzata, di fronte alla figura nera che gli aprì la porta.
Testa irsuta da dove spuntavano zanne bianche, due grandi occhi gialli che lo osservavano, spuntando fuori dall'abisso nero in cui erano conficcati. Mosse le due orecchie sulla testa, inclinandola.
«Chi sei?»
Le sue gambe gli bruciavano, intimandogli di scappare, lasciare tutto e tornare a casa. Il palmo prese a pulsargli, gli occhi lucidi e il fiato corto. Le labbra erano premute in un’unica linea rosa.
Il mostro avvicinò la testa: «Stai bene?»
Il ragazzo rinsavì. Toccò il libro sotto il cappotto: «Sì, sto bene. Sono... sono Albert Zanti.»
Il mostro corrucciò la fronte: «Piacere di conoscerti. È raro che io abbia visite. Ti sei perso?»
La mente stava minacciando di spegnersi, perciò si affrettò a rovistare nel cappotto. Alla vista del libro dalla copertina verde, il mostro sgranò gli occhi. Si spostarono prima sul libro, e poi sul ragazzo.
Aprì le mani e Albert, con delicatezza, gli porse il libro. I suoi artigli lo toccarono con delicatezza neonata, mentre lo portava al suo muso.
Sulle sue labbra, un'unica parola: «Olga...» alzò lo sguardo. «Dove l'hai trovato?»
«Nella biblioteca di famiglia. Ho trovato anche il suo diario… e ho scoperto di te.»
«Conosci Olga?» nei suoi occhi c'era un piccolo bagliore di speranza. Albert si chiese per quanto tempo il mostro avesse vissuto lì.
«Solo di nome. Era la mia bisnonna.»
La creatura non rispose e i suoi occhi tremarono. Annuì lentamente: «Entra dentro, su. Fa freddo, e voi umani siete così fragili.»
Albert strabuzzò gli occhi alla vista della casa. Un albero sorreggeva parte del soffitto, da cui tronco spuntavano mensole piene di libri. Pile e pile di altri libri traboccavano da ogni dove, facendogli prudere le mani dalla voglia di organizzarli.
La creatura si muoveva leggiadra tra di essi, arrivando di fronte ad un camino acceso, offrendogli un posto con un cenno della mano. Albert impiegò un secondo per accettare.
Il divora-libri teneva il libro tra le mani con delicatezza, come se avesse potuto sgretolarsi al minimo sforzo.
«Sai, fu Olga a cambiarmi.»
La voce della creatura si era riempita di dolcezza, ed Albert dovette impiegare un secondo per capire che era stato proprio lui a parlare.
«Veniva ogni giorno a leggere questo libro», lo alzò, mostrando la copertina. «Lo conosci?»
«L'ho letto quando ero piccolo.»
La creatura annuì lentamente, guardando di nuovo la copertina. «Sai di cosa tratta, no?»
«Un mostro va in città e conosce un amico.»
«Esattamente. Mi ero... ritrovato in quel personaggio. Per un momento, mi sono sentito parte del mondo anche io.»
La creatura guardò il fuoco. Nei suoi grandi occhi bianchi le scintille si riflettevano.
«Io ti ho già visto in passato, non è vero?»
Albert si freddò. Tornò a quella notte nella foresta, molti anni prima. Il fuoco gli prudeva il palmo.
«Sì.»
Il divora-libri poggiò il libro su una pila di tomi e avvicinò le sue mani a quelle di Albert. Il ragazzo sussultò quando la mano nera della creatura lo toccò con una delicatezza inaspettata, girando il palmo.
Annuì: «Mi ricordo. Ti sei bruciato con il tuo stesso incantesimo. Ti avevo spaventato?»
«Io…» abbassò lo sguardo, imbarazzato. «Sì.»
La creatura ridacchiò: «Perdonami. Anche se alla fine sono stato io a portarti fuori dalla foresta. I tuoi genitori ti stavano aspettando.»
Albert sussultò: «Hai incontrato i miei?!»
«Oh, no. Mi sono ritirato nella mia foresta. Ma ovviamente non potevo lasciarti lì.»
Sorrise, lasciandogli la mano.
Si volse verso il fuoco, lo scoppiettio che riempì l’aria con la sua giovialità.
«Albert, giusto?»
«Sì.»
«Io non ho veramente un nome, ma Olga me ne diede uno», rimase in silenzio qualche secondo, lo scoppiettare del fuoco l’unico suono. «Puoi chiamarmi Tom.»
Albert ridacchiò: «Mi è famigliare.»
«Beh, forse non sono andato in città, ma ho trovato comunque un amico.»
«Buongiorno, signor Russell.»
L’uomo salutò il ragazzo con un cenno del capo. «Buongiorno Albert. Di nuovo al lavoro, vedo.»
Il giovane scrollò le spalle. «Cerco di dare una mano quando posso. Ancora qui per la sua ricerca?»
«Temo di sì, dovrete sopportarmi ancora per un po'. Ed è il momento migliore, considerando i nuovi avvistamenti…»
Albert rabbrividì: «Ne ho sentito parlare. La creatura della foresta sembra aver ripreso coraggio.»
«Ma non ha causato danni, almeno per ora», l’uomo annuì, più a sé stesso che al ragazzo. «Cambiando discorso. Come va con la pratica di magia?»
«Diciamo... diciamo che va.»
«Non ti abbattere, sei ancora giovane. Puoi recuperare.»
Per un secondo l'uomo abbassò lo sguardo verso le mani del ragazzo. In un gesto istintivo, le nascose nelle maniche della felpa. «Certo. C'è ancora tempo. Mi chiami se le serve qualcosa.»
Con un goffo cenno della testa, il signor Russell si allontanò, prendendo posto ad una delle scrivanie libere.
Albert si sedette sulla sua sedia, guardando la finestra che dava su un cielo grigio e nuvoloso d'autunno.
Quando il silenzio si rannicchiò nella stanza, fece sgattaiolare le mani fuori dal loro nascondiglio. Aprì i palmi: la pelle della mano sinistra si era ormai rimarginata, ma la cicatrice dell’ustione era ancora visibile, la pelle raggrinzita dove l’incantesimo aveva fallito.
Nella confusione dei suoi ricordi, il brillio delle zanne bianche della creatura tra gli alberi immersi nell’oscurità lo fece rabbrividire. Le scintille del fuoco che aveva invocato in suo aiuto scoppiettavano di fronte al mostro dalla pelliccia nera, ma il ricordo del dolore e delle grida avevano ben presto cancellato la realtà.
«Signorino Zanti?»
«Sì?» Albert si alzò di scatto, voltandosi verso la scrivania occupata.
«Avrei bisogno del suo aiuto. Può venire qui?»
«Certamente. Cosa le serve?»
«Avete il volume otto dell'enciclopedia sulle creature magiche di Bradburn? Non riesco a trovarlo sullo scaffale.»
Albert corrugò la fronte, voltandosi verso lo scaffale in questione. I primi sette volumi e il nono erano perfettamente in ordine, sfoggiando le loro livree blu, ma c'era un punto vuoto al posto dell'ottavo.
«Controllo che non sia stato preso in prestito.»
Prese la scala e salì al punto vuoto. Incastonato nel legno, in una piccola teca di vetro, c'era una pietra. Albert la toccò con delicatezza, leggendone le informazioni contenute.
«No, è stato solo spostato», alzò lo sguardo.
Il volume otto sulle creature magiche lo guardava dall’alto con le sue lettere d’oro sul dorso.
«Eccolo. Due scaffali più in alto.»
Albert diede una rapida occhiata in giro. Con un sorrisetto, schioccò le dita e il libro scivolò giù dalla mensola, levitando dolcemente verso terra. Il signor Russell tese le braccia come se un bambino stesse per cadere, muovendosi avanti e indietro.
«Albert Zanti!»
Il grido gli fece perdere la concentrazione, e il libro cadde nelle mani del signor Russell.
Albert si voltò, la mano ancora in aria, e sbiancò alla vista della madre.
«A te proprio non importa, vero?»
La donna parlava con voce bassa. Lo aveva portato in una delle stanze sul retro, dove pile di scatole attendevano di essere sistemate, e non si era neanche seduta. Si limitava a guardare il figlio con sguardo truce, le braccia conserte, le labbra che tremavano.
Albert distorse lo sguardo: «Era solo una semplice levitazione, mamma. Ti preoccupi troppo.»
«Non dopo quello che è successo», gli occhi si posarono sulle sue mani.
Albert le nascose sotto le maniche. «Come posso permettere che non accada più se non posso praticare?!»
«Te lo abbiamo detto, dobbiamo essere presenti o io, o tuo padre, o uno dei tuoi insegnanti.»
Albert sospirò, alzando gli occhi al cielo: «Ho sedici anni ormai, mamma. Tutti i miei amici-»
«Non mi interessa cosa fanno i tuoi amici, Al. Queste sono le regole», la madre sospirò, portandosi una mano sulla fronte. Si sedette di fronte al figlio, gli occhi chiusi: «Per favore non... non combinare guai, va bene?»
«Non si è fatto male nessuno», sbuffò lui. «Se fosse stato un libro più vecchio, lo avrei preso con le mie mani.»
La madre lo guardò e sorrise. «Mi fido di te. Va bene?»
Albert continuò a guardare la finestra che dava sulla silenziosa città, per infine alzarsi e uscire senza dire una parola.
La biblioteca era immersa nel silenzio della notte. I primi raggi della luna piena spezzavano l'oscurità, le lampade sul soffitto donavano bagliori dorati agli scaffali. Albert si aggirava per le scrivanie cercando oggetti dimenticati e riponendo in ordine i pochi libri sparsi in giro, i suoi passi che echeggiavano come gocce su un lago. Era raro che ci fossero molti volumi da sistemare, ma per Albert ormai era divenuta un'abitudine, come una sorta di meditazione, controllare ogni scrivania prima di chiudere per la giornata. Era sempre l'ultimo a chiudere, mentre i genitori concludevano le faccende burocratiche.
Mentre saliva le scale per riporre il libro numero otto delle creature magiche lasciato indietro dal signor Russell, un dorso verde attirò la sua attenzione. Era più piccolo rispetto ai suoi fratelli sullo scaffale, la copertina morbida. Corrucciando la fronte e abbozzando un sorriso, lo prese.
«Wow, questo sì che è vecchio», i bordi erano stati consumati dopo anni di utilizzo. «E deve aver ricevuto tanto amore.»
“Il vecchio Tom incontra un amico.”
Ridacchiò. «Questo lo conosco. Cosa ci fa un libro per bambini in questa sezione?»
Sfogliò alcune pagine, cui bordi erano stati tagliati in un semicerchio, zigzagati. «Qualche bambino ha adorato questo libro così tanto da mangiarselo, apparentemente.»
Lo prese con sé, scendendo giù dalla scala, e si sedette alla scrivania.
Mentre controllava che tutto fosse al suo posto prima di chiudere, i suoi occhi si posarono su una pila di libri che lo attendeva da qualche giorno sulla scrivania.
«Ugh, sono tutti da sistemare... se li lascio qui ancora per molto, mia madre si lamenterà parecchio.»
Si guardò intorno. Il silenzio della biblioteca investì le sue orecchie come ovatta. Scrollò le spalle e schioccò le dita. I libri in cima alla pila si alzarono in volo, avvicinandosi al suo viso in una fila ordinata. Si aprivano di fronte ai suoi occhi e Albert controllava la loro posizione negli scaffali, per poi dirigerli nella giusta locazione con un cenno della mano.
Un piccolo vortice di libri lo circondò, volando verso le loro postazioni, riempiendo l’aria con il loro frusciare.
Quando l’ennesimo libro si aprì di fronte agli occhi di Albert, il ragazzo corrucciò la fronte alla mancanza della sua locazione.
Lo prese con le mani, girandolo un paio di volte, ma non c’era alcuna etichetta.
Sbuffò alla mancanza del titolo in copertina. Alzò lo sguardo, guidando gli ultimi libri verso le loro postazioni, per poi tornare alla scrivania con l’intruso.
Tastò con le mani il rivestimento: ruvido, sembrava pelle.
Le pagine al suo interno erano ingiallite dal tempo e la carta era leggera e fragile al suo tocco. Diede un'occhiata ad una delle pagine. Sgranò gli occhi, avvicinando il libro al suo naso: non riconosceva neanche una parola. «Che lingua è?»
Era scritto in un'elegante grafia in corsivo, l'inchiostro che si era sbiadito nel tempo, diventando marrone.
«I numeri li riconosco, però.»
Sfogliando le pagine, vide che i numeri andavano avanti in ordine crescente. 21, 22, 23...
«Abbastanza inutile, se non capisco cosa c'è scritto», continuò a sfogliare, fino a quando non si bloccò su una pagina diversa dalle altre.
Nessuna parola era scritta, bensì un disegno copriva entrambe le pagine. L’inchiostro si era sbiadito nel tempo, ma le parti ombreggiate erano ben visibili. Gli alberi contornavano un cielo nero come la pece e, al centro di tutto, una figura dalla grande testa nera, le sue zanne bianche che brillavano nell’oscurità.
Un brivido di terrore percosse il suo corpo, e le sue mani tremarono.
«Non… non può essere…» gli si seccò la gola, delle lettere al margine attirarono la sua attenzione.
Nella stessa elegante grafia del resto delle pagine era scritto: “il divora-libri”.
Scosse la testa: «No, no… questa è la creatura della foresta…»
Il bagliore delle sue zanne tra i tronchi degli alberi oscuri apparve nella sua mente. La mano prese a prudergli.
In un impeto di realizzazione, sgranò gli occhi, guardando di nuovo le parole al fondo della pagina.
«Aspetta, ma questo è nella mia lingua.»
Tornò indietro, rileggendo le parole delle frasi, ma non riusciva a comprenderle. Socchiuse gli occhi, le lettere avevano qualcosa di famigliare, un ticchettio nella mente che lo intimava a continuare, la risposta era vicina...
Balzò in piedi: «Sono al rovescio!»
Rovistò nei cassetti, una cacofonia di oggetti che ballonzolavano qua e là, fino a quando non trovò lo specchio che la madre usava per sistemarsi i capelli.
Lo posizionò sulla pagina e riuscì a leggere.
Caro diario,
Anche oggi sono andata nella casa nella foresta per incontrare il divora-libri. Sta bene.
Lesse un paio di altre righe, ma la maggior parte erano cose di vita quotidiana, di poca importanza. L'autrice era una maga alle prime armi e una volta a settimana si recava dal divora-libri.
«La creatura nella foresta? Davvero?»
Tornò alla prima pagina. Due semplici righe erano scritte al centro del foglio, con l’inchiostro reso marrone dal tempo. Con il cuore in gola, prese lo specchio.
Diario di Olga Bran.
La sua mente si arrestò.
«La mia… bisnonna?»
Rimase qualche secondo di fronte a quelle pagine, gli occhi sgranati. La mente volava tra idee e leggende, vecchie storie che aveva sentito in famiglia, mentre la notte continuava il suo corso fuori dalla biblioteca silente.
«Perché la mia bisnonna conosceva la creatura nella foresta? E perché lo chiamava il divora-libri?»
Chiuse il diario con attenzione, quasi temesse di potergli fare male, e guardò la copertina. Lo accarezzò un paio di volte, un'idea che prendeva vita nella testa.
«Non c'è una pietra e questo renderà le cose più difficili, però leggere i ricordi dell'autore non è impossibile...»
Chiuse gli occhi, concentrandosi sulla sensazione che la pelle del rivestimento dava sulla sua mano. Ruvido, gli solleticava il palmo sano.
Entrò nei ricordi.
La foresta era immersa nel buio della notte d'estate. Un paio di lucciole giocavano a nascondino tra i tronchi, un vecchio gufo che bubolava lontano.
I suoi passi erano camuffati dall'erba soffice che veniva schiacciata a terra, mentre trovava la strada da seguire accarezzando la corteccia degli alberi.
Alzò lo sguardo quando raggiunse una vecchia radura, un tronco caduto al suo centro. La luna piena splendeva su di esso, rendendolo d'argento.
«Scusa l'attesa», disse la ragazzina. Rovistò nel suo cappotto, cacciando fuori un libro dalla copertina verde. «Mi stavano facendo molte domande.»
Una figura nera come la pece - che fino a quel momento era parsa solo come un'ombra - si mosse vicino al tronco. Due piccoli occhi e denti bianchi brillavano sulla sua pelliccia nera, un piccolo sorriso sul suo volto.
«Nessun problema.»
La ragazzina si sedette accanto alla creatura, poggiando il libro sulle sue gambe. Il mostro poggiò il suo muso appuntito sulla testa della ragazzina, mentre con gli occhi seguiva il movimento delle pagine.
«Allora», disse lei, alzando lo sguardo. «Dove eravamo rimasti?»
Albert scosse la testa, come colto da un fulmine. Quella ragazzina era Olga?
E stava leggendo un libro alla creatura?
L'immagine della copertina verde comparve nella sua testa. Volse un poco lo sguardo, senza neanche pensarci, e vide il vecchio libro che aveva trovato sullo scaffale.
Lo prese in mano: “Il vecchio Tom incontra un amico.”
Lo rigirò nella sua mano.
«Questo era il libro che stava leggendo. Lo conosco anche io. Parla di un mostro che...» sgranò gli occhi. «Un mostro che fa amicizia con un bambino...»
La mano ustionata prese a bruciargli. La strinse in un pugno.
La sua bisnonna aveva avuto lo stesso incontro che lui aveva avuto anni prima?
«Forse… se riuscissi ad incontrarlo di nuovo…»
Guardò la sua mano, aprendo lentamente il palmo.
Prese un cappotto, stipò il libro nel suo zaino e, assicurandosi di aver chiuso la biblioteca, corse verso la fermata dell'autobus.
La notte stellata portava con sé gli strascichi della giornata. Un vento freddo lo fece rabbrividire, facendogli stringere il libro al petto e serrare i denti.
Raggiunse la fermata dell'autobus. Un signore stava fumando una sigaretta accanto a lui, guardandolo di sottecchi. Il ragazzo lo salutò con un cenno della testa, continuando a stringere i denti.
L'autobus arrivò, le luci accese che ne accentuavano i sedili vuoti, ed entrambi salirono.
Albert prese posto in un sedile indietro, poggiando la testa sul finestrino, prima di ritirarla, la testa che gli gelava.
Infine, si strinse in sé stesso, rimanendo in silenzio per tutta la corsa, tremando di paura.
La città dormiente sfrecciava sotto ai suoi occhi. Il signore che era salito con lui scese dopo un paio di fermate, e dopo di lui nessun altro salì. Albert si alzò dal suo posto per sedersi al sedile vicino alla porta d’entrata, abbozzando un sorriso quando l’autista sgranò gli occhi nel vederlo.
Sfrecciarono sotto lampioni e attraversarono strade vuote, fino a quando non uscirono fuori dalla città. Un paio di case immerse nel verde resero vive le loro presenze con lampade fuori dalla porta, per poi sparire nel buio della notte.
Infine, chiese di scendere.
«Davvero?»
«Davvero.»
«La creatura della foresta vive qui.»
«Lo so.»
L'autista lo guardò e parve voler dire qualcosa, ma infine scosse la testa, fermò il mezzo, e biascicò un “Buona serata", ricambiato.
Albert guardò il mezzo sfrecciare via, ingoiato da una fila di alberi, la luce dei suoi fari a intermittenza tra i tronchi, fino a quando non scomparve.
Rimase fermo un istante. La luna piena dava un poco di luce, donando una sfumatura blu ed eterea al mondo. Sospirando di nuovo e stringendo il libro al petto, voltò le spalle alla strada e s'incamminò tra gli alberi.
La foresta buia mancava delle giocose prestazioni delle lucciole, in quella notte d'autunno.
La luna piena regalava bagliori spettrali alle foglie e agli alberi, mentre il vento freddo tra i rami gli fece stringere i denti.
La notte era buia come allora. Chiudendo gli occhi per ritrovare il coraggio, fece qualche respiro.
Iniziò a camminare.
Rannicchiò la testa tra le spalle quando l’erba umidiccia gli bagnò l’orlo dei pantaloni e la suola delle scarpe, ma non si fermò.
Ogni passo era calcolato, il cuore che gli stava facendo esplodere la testa.
Un ululato lontano lo immobilizzò, mozzandogli il fiato.
Si guardò intorno, stringendo il libro come se potesse proteggerlo dalle insidie. Soffiò, guardando le nuvolette bianche uscire dalla sua bocca.
Si passò la lingua sulle labbra, raccogliendo coraggio ad ogni respiro. Chiuse gli occhi ed infine annuì.
Stringendo le labbra, aprì il palmo della mano sinistra. La pelle cicatrizzata assumeva ombre bizzarre sotto la luce lunare e, in uno battito di ciglia, fece scintillare un fuoco.
Il cuore gli batteva forte, mentre con affanno guardava la fiamma danzare a pochi centimetri dalla sua pelle. Gli pizzicava, ma non abbastanza da fargli male.
«Bene», disse, sospirando. «Ora devo solo tenerlo così. Terrà a bada gli animali selvatici.»
Camminò, tenendo gli occhi fissi sulla fiamma, che tremolò al primo passo. Con il fiato sospeso, riprese a respirare solo dopo qualche passo.
I bagliori di fiamma sui tronchi allungavano le ombre, fino a quando non raggiunse una radura.
Una vecchia casa di pietra sorgeva al centro di essa, dimenticata dagli uomini ma non dalla foresta, che l’abbracciava con il suo muschio e file di piante rampicanti. Una parte del tetto era crollata, la corona di un albero che fuoriusciva da esso.
Una delle finestre era accesa, una figura nera che appariva vicino la luce.
La fiamma sparì dalla sua mano, mossa a sorpresa.
Si avvicinò alla porta e bussò.
Albert rimase immobile, il cuore che batteva all'impazzata, di fronte alla figura nera che gli aprì la porta.
Testa irsuta da dove spuntavano zanne bianche, due grandi occhi gialli che lo osservavano, spuntando fuori dall'abisso nero in cui erano conficcati. Mosse le due orecchie sulla testa, inclinandola.
«Chi sei?»
Le sue gambe gli bruciavano, intimandogli di scappare, lasciare tutto e tornare a casa. Il palmo prese a pulsargli, gli occhi lucidi e il fiato corto. Le labbra erano premute in un’unica linea rosa.
Il mostro avvicinò la testa: «Stai bene?»
Il ragazzo rinsavì. Toccò il libro sotto il cappotto: «Sì, sto bene. Sono... sono Albert Zanti.»
Il mostro corrucciò la fronte: «Piacere di conoscerti. È raro che io abbia visite. Ti sei perso?»
La mente stava minacciando di spegnersi, perciò si affrettò a rovistare nel cappotto. Alla vista del libro dalla copertina verde, il mostro sgranò gli occhi. Si spostarono prima sul libro, e poi sul ragazzo.
Aprì le mani e Albert, con delicatezza, gli porse il libro. I suoi artigli lo toccarono con delicatezza neonata, mentre lo portava al suo muso.
Sulle sue labbra, un'unica parola: «Olga...» alzò lo sguardo. «Dove l'hai trovato?»
«Nella biblioteca di famiglia. Ho trovato anche il suo diario… e ho scoperto di te.»
«Conosci Olga?» nei suoi occhi c'era un piccolo bagliore di speranza. Albert si chiese per quanto tempo il mostro avesse vissuto lì.
«Solo di nome. Era la mia bisnonna.»
La creatura non rispose e i suoi occhi tremarono. Annuì lentamente: «Entra dentro, su. Fa freddo, e voi umani siete così fragili.»
Albert strabuzzò gli occhi alla vista della casa. Un albero sorreggeva parte del soffitto, da cui tronco spuntavano mensole piene di libri. Pile e pile di altri libri traboccavano da ogni dove, facendogli prudere le mani dalla voglia di organizzarli.
La creatura si muoveva leggiadra tra di essi, arrivando di fronte ad un camino acceso, offrendogli un posto con un cenno della mano. Albert impiegò un secondo per accettare.
Il divora-libri teneva il libro tra le mani con delicatezza, come se avesse potuto sgretolarsi al minimo sforzo.
«Sai, fu Olga a cambiarmi.»
La voce della creatura si era riempita di dolcezza, ed Albert dovette impiegare un secondo per capire che era stato proprio lui a parlare.
«Veniva ogni giorno a leggere questo libro», lo alzò, mostrando la copertina. «Lo conosci?»
«L'ho letto quando ero piccolo.»
La creatura annuì lentamente, guardando di nuovo la copertina. «Sai di cosa tratta, no?»
«Un mostro va in città e conosce un amico.»
«Esattamente. Mi ero... ritrovato in quel personaggio. Per un momento, mi sono sentito parte del mondo anche io.»
La creatura guardò il fuoco. Nei suoi grandi occhi bianchi le scintille si riflettevano.
«Io ti ho già visto in passato, non è vero?»
Albert si freddò. Tornò a quella notte nella foresta, molti anni prima. Il fuoco gli prudeva il palmo.
«Sì.»
Il divora-libri poggiò il libro su una pila di tomi e avvicinò le sue mani a quelle di Albert. Il ragazzo sussultò quando la mano nera della creatura lo toccò con una delicatezza inaspettata, girando il palmo.
Annuì: «Mi ricordo. Ti sei bruciato con il tuo stesso incantesimo. Ti avevo spaventato?»
«Io…» abbassò lo sguardo, imbarazzato. «Sì.»
La creatura ridacchiò: «Perdonami. Anche se alla fine sono stato io a portarti fuori dalla foresta. I tuoi genitori ti stavano aspettando.»
Albert sussultò: «Hai incontrato i miei?!»
«Oh, no. Mi sono ritirato nella mia foresta. Ma ovviamente non potevo lasciarti lì.»
Sorrise, lasciandogli la mano.
Si volse verso il fuoco, lo scoppiettio che riempì l’aria con la sua giovialità.
«Albert, giusto?»
«Sì.»
«Io non ho veramente un nome, ma Olga me ne diede uno», rimase in silenzio qualche secondo, lo scoppiettare del fuoco l’unico suono. «Puoi chiamarmi Tom.»
Albert ridacchiò: «Mi è famigliare.»
«Beh, forse non sono andato in città, ma ho trovato comunque un amico.»