Specchio specchio - Alessio Vallese
Inviato: sabato 19 dicembre 2020, 22:00
Strattono la porta sul retro. È chiusa. Afferro la maniglia per il perno, la sollevo appena e la tiro verso di me. La serratura scatta. Nessun allarme.
Passano gli anni, ma le scuole sono sempre senza soldi. Senza soldi per aggiustare la porta sul retro, senza soldi per un antifurto. Anche dopo vent'anni.
Do un'occhiata intorno, le strade sono deserte. Nemmeno a Marzia piaceva passeggiare in queste giornate buie e nuvolose. Sospiro. Se vedesse cosa sto facendo mi prenderebbe a sberle.
Tiro su col naso ed entro, la porta si richiude con un click dietro di me. Silenzio, solo il pulsare del cuore nelle orecchie. Nemmeno le scarpe sui gradini delle scale emettono alcun suono. Al secondo piano mi affaccio nel corridoio in penombra. A sinistra, in fondo, qualcuno deve aver dimenticato una luce accesa. I soliti sprechi.
Dall'altra parte, alla fine del corridoio un'altra rampa mi porta al piano superiore. Chissà se lo chiamano ancora torretta? Poco più in là, la porta chiusa della mia vecchia aula mi fa strizzare lo stomaco. Quante ne abbiamo combinate io e Max.
Coraggio, un altro piano e ci siamo. Mi frugo nelle tasche ed estraggo la chiave del magazzino. Funzionerà ancora?
Al terzo tentativo la mano si convince a smettere di tremare e la chiave si infila nella toppa. Gira!
La stanza è buia, senza finestre. L'odore di chiuso è stemperato dal profumo di qualche detergente al limone. Scorro una mano sul muro ruvido fino a trovare l'interruttore e lo premo: strizzo gli occhi alla luce improvvisa. All'interno, scatoloni marroni impilati fino al basso soffitto, boccioni dell'acqua pieni e vuoti, un mocio rinsecchito appoggiato in un angolo. Confezioni variopinte di detersivi sono accatastate in ordine sul pavimento di linoleum pulito. Nessun vecchio televisore, proiettore o cassettiera, niente cocci per terra. Scuoto la testa. Cosa mi aspettavo di trovare dopo vent'anni? Ancora i resti dei danni che facevamo?
Lo specchio. Dov'è lo specchio? Dev'essere per forza ancora qui, non è una cosa che si può semplicemente buttare via.
Prendo uno degli imballaggi dalla cima di una pila e lo appoggio a terra. In uno di questi? No, troppo piccoli. Ne sollevo un altro a stento. Qualcosa tintinna, chissà cosa c'è dentro? No, devo trovare lo specchio. Sbircio dietro la parete di scatoloni: niente.
Maledizione.
Il nastro adesivo che chiude il pacco che ho in mano si appiccica a quello di un altro e mi impedisce di appoggiarlo. Do uno strattone per liberarlo ma il ginocchio cede. Urto i boccioni dell'acqua che rovinano a terra assieme al mio culo. Sembra un concerto di percussionisti, che bordello.
Oltre alle chiappe mi fa male la caviglia, uno dei boccioni pieni deve avermi colpito.
Affondo la faccia tra le mani, singhiozzo. Porca puttana. Ma che ci sono venuto a fare qua? Ti pare che possa esserci ancora?
Una sensazione di freddo e umido si espande sul sedere e un odore di disinfettante sale a pizzicarmi il naso. Devo aver rotto qualcosa. Dolorante, mi rialzo.
Dove potrebbe essere? Forse più in fondo, dietro le scatole.
Con un grugnito, tiro l'ultima confezione della pila che stavo smontando e libero un passaggio.
«E lei chi è? Cosa ci fa qui?»
***
La Brunelli chiude I Sepolcri. «Bene ragazzi, riprendiamo con Foscolo dopo la ricreazione.» Si alza ed esce dall'aula, il tacchettio dei suoi passi si perde nell'esplosione di chiacchiericcio dei miei compagni.
Max mi si palesa davanti, ha delle briciole di crackers appiccicate attorno alle labbra e la bocca talmente piena che non riesce a masticare tenendola chiusa. «Ué Bert. Andiamo a spaccare qualcosa?» bofonchia.
Spazzo via dal quaderno alcuni frammenti umidicci di cracker masticato. «Dai, che fai schifo!»
Un profumo di lavanda mi passa accanto. Sposto Max con una mano: il culo della Donati esce ondeggiando dalla porta dell'aula. Oggi è strizzato in un paio di pantaloni di lino bianchi di una taglia più piccola del necessario. Non c'è il segno delle mutande, deve avere addosso un tanga. Oppure niente. Puttana ladra, meglio non pensarci. Max deglutisce i suoi crackers con gli occhi piantati sulla Donati. O per lo meno su una parte di lei.
Appoggio gli occhiali sul banco e mi stropiccio gli occhi. «Spaccherei lei, spaccherei. Qui, adesso, sulla cattedra.»
Max mima il gesto di un pugno che va su e giù. «E invece stasera seghe.»
«Stasera. Domani. Dopodomani.»
Mi sollevo di peso con le mani appoggiate sul banco e inforco di nuovo gli occhiali. In aula siamo rimasti solo io e lui. «Andiamo va'.»
Saliamo le scale, mi frugo nelle tasche ed estraggo la chiave del magazzino. Max la guarda. «Senti, ma… sei sicuro che Celestino non si è accorto che gli abbiamo fregato la chiave?»
«Ancora con 'sta storia! Ti ho detto di sì!»
«Sì, ma guarda che anche se sta per andare in pensione non è mica rincoglionito, si accorgerà se gli manca una chiave.»
Giro la chiave nella toppa e gli sorrido. «Infatti ho fatto una copia e poi l'ho rimessa al suo posto.»
Mi guarda con gli occhi sbarrati, come se gli avessi detto che mi sono fatto la Donati. «Genio!» ridacchia.
La stanza odora ancora della birra che abbiamo rovesciato l'altra volta, oltre che del solito sentore di lampadina fulminata che viene dai televisori guasti. Le scope che usiamo come mazze sono in un angolo accanto alla porta, dove le avevamo lasciate.
Prendo in mano un vecchio videoregistratore abbandonato in cima a una pila di sedie. «Chissà perché tengono tutta questa roba inutile. Adesso ci sono i DVD, quando mai useremo ancora un videoregistratore?»
Max osserva un muro di scatoloni. Su di uno di quelli più a portata di mano, qualcuno ha scritto VHS con un pennarello blu. Lo tira giù e lo spalanca.
«Qui ci sono anche le videocassette.» Me ne sventola una sotto il naso. «Ti ricordi che due coglioni il documentario su Giotto che ci aveva fatto vedere Favalli?»
«Boh, mi sa che io ho dormito.»
Scaraventa il documentario su Giotto sul pavimento e ci salta sopra. «Fanculo Favalli!» urla.
La cassetta esplode spargendo detriti di plastica su tutto il pavimento.
Con un altro salto, il mio compare arriva all'angolo delle scope, ne afferra una e la abbatte sul suo solito televisore a tubo catodico. «Brunelli troia!»
Un pezzo di plastica vola via dal suo bersaglio preferito.
Voglio anch'io un bersaglio! Il monitor di un pc lì accanto fa al caso mio: col videoregistratore ne frantumo lo schermo. «Donati voglio scoparti!»
Una quantità di vetri mi finisce sulle maniche della camicia, scuoto le braccia per liberarmene.
«Ehi Bert, dammi una mano!»
Max sale su una sedia e prende uno dei pacchi dalla cima del mucchio. «Occhio che pesa.»
Me lo molla in mano, il peso mi toglie il fiato.
«Cazzo se pesa!»
Sbircia nello spazio lasciato vuoto. «Ehi, c'è qualcosa qui dietro. Spostiamo gli altri scatoloni.»
Che sono ancora più pesanti del primo ed emettono un rumore di liquido che si muove. Saranno detersivi. Trasciniamo gli ultimi due sul pavimento e passiamo dietro la parete di scatole.
Il varco lascia filtrare uno spiraglio di luce che illumina la polvere nell'aria e qualche insetto morto per terra. Una coperta a quadri bucherellata dalle tarme rivela la sagoma di una specie di grande piatto ovale.
***
Sulla porta del magazzino un signore anziano mi guarda dal basso in alto e mi minaccia con una scopa. Se non avesse la schiena piegata dagli anni mi potrebbe fissare dritto negli occhi. Avrà più di ottant'anni.
Alzo le sopracciglia. «Celestino? Sei tu?»
Il vecchietto punta il manico della scopa a un palmo dal mio naso. «Ci conosciamo?»
La voce acuta e nasale è la stessa di quando bestemmiava per le nostre malefatte. L'età l'ha resa solo un po' più roca.
«Ti ricordi di me? Sono Alberto Zuavi, ho fatto il liceo qui vent'anni fa, mi chiamavano tutti Bert.»
Celestino abbassa la sua arma e fissa un punto oltre le mie spalle. «Alberto… Bert… sì, sì, mi ricordo di te! Giravi sempre con quel tuo amico…»
«Max.»
«Sì, sì esatto. Max. Ma tu cosa ci fai qui?»
«Sto cercando uno specchio, di quelli grandi a pavimento, ovale.»
«E lo cerchi qui?»
Con le mani mimo le dimensioni dell'oggetto. «Sì, era alto più o meno così, col supporto di legno. Lo avevamo trovato qui io e Max vent'anni fa. Aveva dei simboli disegnati sul bordo. Dimmi che c'è ancora.»
«Ah, quello specchio. E a che cosa ti serve?»
«Ti prego Celestino, è importante! C'è ancora? Dov'è?»
Celestino sbuffa e mi fa cenno di uscire. «Esci da qui, guarda che casino che hai combinato.»
«Ma–»
«Fuori.»
Col capo chino esco dalla stanza. Celestino la richiude a chiave e mi guarda negli occhi. «Lo specchio non è qui. È nell'altra torretta.»
«Ah, quindi c'è ancora, meno male. Lo avete solo spostato.»
Celestino mi guarda e alza un sopracciglio. «No, è sempre stato lì.»
È vecchio e la memoria deve fargli brutti scherzi. Lo specchio era nel magazzino sopra la mia aula, cioè qui.
Congiungo le mani davanti al petto. «Per favore, posso vederlo?»
Il bidello sbuffa e scuote la testa. «Vieni con me.»
Scendiamo e imbocchiamo il corridoio al secondo piano.
«Celestino, ma tu non dovresti essere in pensione? Come mai sei qui?»
«Oh, ma io sono in pensione. Però non ho niente da fare e, siccome la scuola è sempre senza soldi, ho chiesto se potevo venire a fare un giro ogni tanto per controllare se è tutto a posto. E a quanto pare ho fatto bene. Vuoi dirmi perché vuoi tanto vedere quello specchio?»
Sospiro. «Io e Max lo abbiamo scoperto l'ultimo anno e da allora questa cosa mi ossessiona. Il fatto è che non mi ricordo assolutamente niente di quello specchio. Ricordo solo che lo abbiamo trovato e poi vuoto totale. Ma sono sicuro che è successo qualcosa.»
Celestino si ferma emettendo un gemito e chiude gli occhi. Si porta una mano sopra una chiappa, sospira. «La sciatica. Diventerai vecchio anche tu, prima o poi. Il tuo amico non si ricorda niente?»
«Max dice che si è rotto e lo abbiamo rimesso dov'era, ma io sono sicuro che c'è dell'altro. Ce la fai? Vuoi sederti un po'?»
Indica la luce accesa in fondo al corridoio e riprende a muoversi. Zoppica. «Quella è la saletta che uso come ufficio. Mi siedo lì. Devo anche prendere le chiavi dell'altro magazzino.»
Lo prendo sottobraccio e lo sostengo. «A proposito, ma se lo specchio è sempre stato nell'altra torretta, com'è possibile che io abbia la chiave del magazzino sbagliato? È la stessa che usavo da ragazzino.»
Celestino mi guarda e sorride con metà della bocca. «Piuttosto, perché vieni qui proprio adesso, dopo vent'anni, se eri così tanto ossessionato?»
Ecco, sapevo che saremmo arrivati a questo. Mi sale un nodo alla gola.
«Durante il primo anno di università ho conosciuto una ragazza. Stare con lei mi ha fatto bene. Non che non pensassi più allo specchio, però non gli davo importanza.»
Annuisce. «Vieni, mi riposo un attimo.»
Si infila nel suo stanzino, un ripostiglio con spazio appena sufficiente per una sedia e un tavolino. L'aria odora di agrumi. Sul tavolo, una scorza di mandarino fa da segnalibro a un volume con gli angoli consumati e i bordi delle pagine punteggiati di muffa. Stephen Hawking. Curiosa lettura per un bidello ottantenne.
Lo aiuto a sedersi e lui indica sul muro un pannello forato a cui sono appese una ventina di chiavi. «Prendi quella chiave lì. No, quella più in basso. Sì, quella.»
«Ok, grazie Celestino. Allora vado–»
«No!» Mi afferra un braccio. «Vengo anch'io.»
«Ma hai mal di schiena.»
«Fra un attimo mi passa.»
«Ma io…»
«Hai fretta? Hai aspettato vent'anni, potrai aspettare un vecchio per cinque minuti.»
Maledizione. Dai Celestino, devo vedere quel dannato specchio.
Mollo la chiave sul tavolo e cammino avanti e indietro per la microscopica stanza.
Il bidello si sposta sulla sedia, non riesce a trovare una posizione comoda. «Intanto puoi finire di raccontarmi la tua storia. Hai trovato una donna, e quindi?»
Sospiro e mi appoggio col sedere al tavolo. «Sono stato bene con Marzia, non ho più dato peso allo specchio. Poi però il mese scorso…»
Fa male. Deglutisco e prendo fiato. «Il mese scorso un tizio che guidava ubriaco me l'ha portata via. Non mi è rimasto più niente, all'improvviso mi sono ritrovato di nuovo solo. E a pensare a quel diavolo di specchio. Non so, forse sono ancora sconvolto dalla sua morte, o forse sono solo pazzo, ma devo sapere.»
Celestino annuisce e si alza con un grugnito.
«Chissà, magari vederlo potrà aiutarti, anche se non so come.»
Estrae un bastone da passeggio da dietro la porta, prende la chiave sul tavolo e mi spinge per un braccio. «Andiamo.»
Arranca su per le scale e lo seguo al suo passo fino al secondo piano della torretta.
Gira la chiave nella serratura e spalanca la porta. «Eccoci qui. Questo è il tuo magazzino.»
Lo spingo di lato ed entro.
***
Max mi aiuta a togliere la coperta con uno strattone. Una nuvola di polvere ci avvolge e ne respiro una bella boccata. Tossisco disperato fino a quando non mi si liberano i polmoni. Il sapore di terra sulla lingua però non va via.
«E che cazzo! Da quanto era qui 'sta cosa?»
La coperta nascondeva uno specchio a pavimento, ovale, alto più o meno come me, con la struttura di legno.
Mi ci piazzo davanti, la mia figura si riflette per intero. Il riflesso di Max dietro di me non è nitido, sembra come sfocato. Lungo tutto il bordo, dei graffi segnano la cornice di legno, sembrano lettere di qualche alfabeto.
Qualcosa mi sfiora un orecchio e va a schiantarsi contro lo specchio, infrangendone il vetro.
«Vaffanculo Brunelli!»
Mi giro di scatto a guardare Max. «Ma sei cretino? Che cazzo fai? Mi hai fatto il pelo, volevi spaccarmi la testa?»
Max tira a sé il cavo dell'alimentatore per pc che ha usato a mo' di frusta per spaccare lo specchio. Ridacchia.
Un pezzo di vetro grande come il palmo della mia mano è appoggiato sopra una scarpa. Scrollo il piede per liberarmene: non si muove, deve essersi impigliato nei lacci. Lo prendo ma mi scivola e mi taglia un polpastrello. «Ahia brutta merda!»
Una goccia di sangue cade su un frammento di specchio. «Max, sei una testa di cazzo! Adesso mi sono pure tagliato. Vaffanculo!»
«Eh, dai, scusa. Guarda che non ti ho mica tagliato io!»
Mi succhio il dito tagliato e prendo un fazzoletto dalla tasca. Lo avvolgo attorno al dito.
Per terra, il sangue è sparito ma il vetro ne conserva il riflesso.
«Ma cosa… Max, hai visto anche tu?»
«Cosa?»
«Qui, il sangue.»
Si avvicina, tiene ancora in mano il cavo dell'alimentatore che gli penzola all'altezza del ginocchio. «Quale sangue?»
Il pezzo di vetro ora è pulito, non ci sono né la macchia, né il suo riflesso. «Mi era caduta una goccia di sangue qui sul vetro e ora è sparita, sembra che se la sia bevuta.»
«Ma va', te lo sarai immaginato. Guardalo lì, il tuo sangue.»
Indica una macchia rossa sul pavimento.
«Sarà…»
Max torna alla sua posizione. Fa roteare l'alimentatore sopra la testa come un lazo. «Altro giro, altra frustata. Levati da lì!»
Stringe gli occhi e protende il viso in avanti. L'alimentatore rallenta attorno alla sua testa e scende fino a fermarsi. Il mio compare mi guarda con la bocca mezza aperta. «Ma di cosa è fatto il pannello?»
Mi giro a guardare lo specchio rotto. In effetti la superficie scura che prima era nascosta dal vetro sembra ricoperta da una patina lucida che però non riflette alcunché. È un colore indefinito che somiglia al marrone. Colpisco col palmo della mano l'esterno della cornice. Il pannello vibra e si formano delle increspature. È come aver scrollato una vasca di budino al cioccolato.
Allungo un dito e ne tocco la superficie.
***
Il magazzino odora di birra e lampadine fulminate. Premo l'interruttore della luce e un neon ronza e sfarfalla per qualche secondo. Un neon. Non sapevo che ce ne fossero ancora in circolazione.
Pile di scatoloni creano una parete in fondo alla stanza, alcuni sono spostati lasciando come un passaggio per il retro. Avanzo verso un televisore a tubo catodico ammaccato, deve avere almeno trent'anni.
Accanto, un oggetto nero e lucido è infilato nello schermo sfondato di un monitor da computer che avrà la stessa età del televisore. Lo tiro fuori in un tintinnare di vetro in frantumi. È un videoregistratore, lo rimetto nel monitor.
Qualcosa scricchiola e mi preme sotto i piedi. Una videocassetta sfasciata, impronte di scarpe sul nastro stropicciato e detriti di plastica ovunque. Poco più in là, nel passaggio fra gli scatoloni, frammenti di vetro riflettono la luce del neon che illumina la stanza.
Oltre i vetri, troneggia quello che una volta era stato uno specchio a pavimento, ovale, alto più o meno come me. Il vetro lo ha rotto Max quella volta e ora è sparso per terra. La cornice di legno intarsiata è ricoperta di graffi e sostiene ancora qualche brandello su cui si riflettono la mia immagine nitida e uno sfocato Celestino che è entrato nella stanza.
La superficie dietro il vetro è una specie di gelatina marrone scuro, in qualche modo lucida, ma che non riflette nessuna immagine. Sembra di specchiarsi in un budino.
Celestino si avvicina. «Ecco il tuo specchio.»
«Sembra di sì.»
Tocco la sostanza gelatinosa e la mano affonda all'interno. La ritraggo di scatto.
«E ora cos'hai intenzione di fare?» chiede il bidello alle mie spalle.
Prendo fiato. «Vedere cosa c'è dall'altra parte.»
Chiudo gli occhi e con un passo mi infilo dentro il budino.
***
Un frammento di vetro attaccato alla cornice dello specchio riflette un ragazzino sui diciott'anni, con gli occhiali e qualche pelo sparuto sul viso. Assomiglia un sacco a me quando avevo la sua età.
Qualcosa mi scuote la spalla. «Bert! Ehi Bert! Bert!»
Conosco questa voce. Mi giro, sgrano gli occhi. «Max? Max, sei davvero tu?»
«No, tua sorella! Che ti è preso? Ti sei rincoglionito?»
Mi fa male un dito, c'è legato attorno un fazzoletto. Ah già, mi ero tagliato col vetro.
«Ma stai bene?»
«Mi gira un po' la testa… cos'è successo?»
«Non lo so, dimmelo tu. Sei rimasto tipo dieci secondi immobile, incantato davanti a quello specchio rotto. Ti avevo detto che il pannello mi sembrava strano, tu l'hai toccato e bam!, ti sei bloccato.»
«Dieci secondi… ma… e Celestino?»
«Celestino? Dove?» Max si gira di scatto. «Non farmi scherzi del cazzo.»
«Non so Max, mi ricordo che non ero più al liceo. Avevo vissuto tipo altri vent'anni e poi ero tornato alla scuola a cercare lo specchio.»
«Vent'anni. E poi sei tornato a cercare lo specchio. E magari ti eri pure sposato con la Donati. Ti sei fatto robe strane prima di venire a scuola?»
Sposato… Mi giro verso lo specchio rotto e ne sfioro la superficie scura e lucida. Solida.
Affiora il ricordo di un volto abbronzato, sorridente, circondato da una nuvola di riccioli neri. Chissà chi è? Le associo il nome di Marzia, ma non conosco nessuna Marzia.
«Non so perché, ma ero tornato nella scuola e Celestino mi ha aiutato a tornare qua passando attraverso lo specchio.»
Max è sulla porta del magazzino. «Ué Alice, andiamo ché sta per suonare la campanella. Me lo racconti dopo, così mi dici anche di che cosa ti sei fatto, ché lo voglio anch'io.»
Lancio un'ultima occhiata allo specchio. Sul fondo scuro, l'immagine sbiadita di un vecchietto imbocca una porta e se ne va chiudendosela alle spalle.
Uno strattone mi costringe a fare un passo per non cadere.
«Cosa fai lì imbambolato?» Max mi tira per un braccio. «Muoviti, ché se arriviamo tardi la Brunelli ci incula!»
«Sì, andiamo.»
Passano gli anni, ma le scuole sono sempre senza soldi. Senza soldi per aggiustare la porta sul retro, senza soldi per un antifurto. Anche dopo vent'anni.
Do un'occhiata intorno, le strade sono deserte. Nemmeno a Marzia piaceva passeggiare in queste giornate buie e nuvolose. Sospiro. Se vedesse cosa sto facendo mi prenderebbe a sberle.
Tiro su col naso ed entro, la porta si richiude con un click dietro di me. Silenzio, solo il pulsare del cuore nelle orecchie. Nemmeno le scarpe sui gradini delle scale emettono alcun suono. Al secondo piano mi affaccio nel corridoio in penombra. A sinistra, in fondo, qualcuno deve aver dimenticato una luce accesa. I soliti sprechi.
Dall'altra parte, alla fine del corridoio un'altra rampa mi porta al piano superiore. Chissà se lo chiamano ancora torretta? Poco più in là, la porta chiusa della mia vecchia aula mi fa strizzare lo stomaco. Quante ne abbiamo combinate io e Max.
Coraggio, un altro piano e ci siamo. Mi frugo nelle tasche ed estraggo la chiave del magazzino. Funzionerà ancora?
Al terzo tentativo la mano si convince a smettere di tremare e la chiave si infila nella toppa. Gira!
La stanza è buia, senza finestre. L'odore di chiuso è stemperato dal profumo di qualche detergente al limone. Scorro una mano sul muro ruvido fino a trovare l'interruttore e lo premo: strizzo gli occhi alla luce improvvisa. All'interno, scatoloni marroni impilati fino al basso soffitto, boccioni dell'acqua pieni e vuoti, un mocio rinsecchito appoggiato in un angolo. Confezioni variopinte di detersivi sono accatastate in ordine sul pavimento di linoleum pulito. Nessun vecchio televisore, proiettore o cassettiera, niente cocci per terra. Scuoto la testa. Cosa mi aspettavo di trovare dopo vent'anni? Ancora i resti dei danni che facevamo?
Lo specchio. Dov'è lo specchio? Dev'essere per forza ancora qui, non è una cosa che si può semplicemente buttare via.
Prendo uno degli imballaggi dalla cima di una pila e lo appoggio a terra. In uno di questi? No, troppo piccoli. Ne sollevo un altro a stento. Qualcosa tintinna, chissà cosa c'è dentro? No, devo trovare lo specchio. Sbircio dietro la parete di scatoloni: niente.
Maledizione.
Il nastro adesivo che chiude il pacco che ho in mano si appiccica a quello di un altro e mi impedisce di appoggiarlo. Do uno strattone per liberarlo ma il ginocchio cede. Urto i boccioni dell'acqua che rovinano a terra assieme al mio culo. Sembra un concerto di percussionisti, che bordello.
Oltre alle chiappe mi fa male la caviglia, uno dei boccioni pieni deve avermi colpito.
Affondo la faccia tra le mani, singhiozzo. Porca puttana. Ma che ci sono venuto a fare qua? Ti pare che possa esserci ancora?
Una sensazione di freddo e umido si espande sul sedere e un odore di disinfettante sale a pizzicarmi il naso. Devo aver rotto qualcosa. Dolorante, mi rialzo.
Dove potrebbe essere? Forse più in fondo, dietro le scatole.
Con un grugnito, tiro l'ultima confezione della pila che stavo smontando e libero un passaggio.
«E lei chi è? Cosa ci fa qui?»
***
La Brunelli chiude I Sepolcri. «Bene ragazzi, riprendiamo con Foscolo dopo la ricreazione.» Si alza ed esce dall'aula, il tacchettio dei suoi passi si perde nell'esplosione di chiacchiericcio dei miei compagni.
Max mi si palesa davanti, ha delle briciole di crackers appiccicate attorno alle labbra e la bocca talmente piena che non riesce a masticare tenendola chiusa. «Ué Bert. Andiamo a spaccare qualcosa?» bofonchia.
Spazzo via dal quaderno alcuni frammenti umidicci di cracker masticato. «Dai, che fai schifo!»
Un profumo di lavanda mi passa accanto. Sposto Max con una mano: il culo della Donati esce ondeggiando dalla porta dell'aula. Oggi è strizzato in un paio di pantaloni di lino bianchi di una taglia più piccola del necessario. Non c'è il segno delle mutande, deve avere addosso un tanga. Oppure niente. Puttana ladra, meglio non pensarci. Max deglutisce i suoi crackers con gli occhi piantati sulla Donati. O per lo meno su una parte di lei.
Appoggio gli occhiali sul banco e mi stropiccio gli occhi. «Spaccherei lei, spaccherei. Qui, adesso, sulla cattedra.»
Max mima il gesto di un pugno che va su e giù. «E invece stasera seghe.»
«Stasera. Domani. Dopodomani.»
Mi sollevo di peso con le mani appoggiate sul banco e inforco di nuovo gli occhiali. In aula siamo rimasti solo io e lui. «Andiamo va'.»
Saliamo le scale, mi frugo nelle tasche ed estraggo la chiave del magazzino. Max la guarda. «Senti, ma… sei sicuro che Celestino non si è accorto che gli abbiamo fregato la chiave?»
«Ancora con 'sta storia! Ti ho detto di sì!»
«Sì, ma guarda che anche se sta per andare in pensione non è mica rincoglionito, si accorgerà se gli manca una chiave.»
Giro la chiave nella toppa e gli sorrido. «Infatti ho fatto una copia e poi l'ho rimessa al suo posto.»
Mi guarda con gli occhi sbarrati, come se gli avessi detto che mi sono fatto la Donati. «Genio!» ridacchia.
La stanza odora ancora della birra che abbiamo rovesciato l'altra volta, oltre che del solito sentore di lampadina fulminata che viene dai televisori guasti. Le scope che usiamo come mazze sono in un angolo accanto alla porta, dove le avevamo lasciate.
Prendo in mano un vecchio videoregistratore abbandonato in cima a una pila di sedie. «Chissà perché tengono tutta questa roba inutile. Adesso ci sono i DVD, quando mai useremo ancora un videoregistratore?»
Max osserva un muro di scatoloni. Su di uno di quelli più a portata di mano, qualcuno ha scritto VHS con un pennarello blu. Lo tira giù e lo spalanca.
«Qui ci sono anche le videocassette.» Me ne sventola una sotto il naso. «Ti ricordi che due coglioni il documentario su Giotto che ci aveva fatto vedere Favalli?»
«Boh, mi sa che io ho dormito.»
Scaraventa il documentario su Giotto sul pavimento e ci salta sopra. «Fanculo Favalli!» urla.
La cassetta esplode spargendo detriti di plastica su tutto il pavimento.
Con un altro salto, il mio compare arriva all'angolo delle scope, ne afferra una e la abbatte sul suo solito televisore a tubo catodico. «Brunelli troia!»
Un pezzo di plastica vola via dal suo bersaglio preferito.
Voglio anch'io un bersaglio! Il monitor di un pc lì accanto fa al caso mio: col videoregistratore ne frantumo lo schermo. «Donati voglio scoparti!»
Una quantità di vetri mi finisce sulle maniche della camicia, scuoto le braccia per liberarmene.
«Ehi Bert, dammi una mano!»
Max sale su una sedia e prende uno dei pacchi dalla cima del mucchio. «Occhio che pesa.»
Me lo molla in mano, il peso mi toglie il fiato.
«Cazzo se pesa!»
Sbircia nello spazio lasciato vuoto. «Ehi, c'è qualcosa qui dietro. Spostiamo gli altri scatoloni.»
Che sono ancora più pesanti del primo ed emettono un rumore di liquido che si muove. Saranno detersivi. Trasciniamo gli ultimi due sul pavimento e passiamo dietro la parete di scatole.
Il varco lascia filtrare uno spiraglio di luce che illumina la polvere nell'aria e qualche insetto morto per terra. Una coperta a quadri bucherellata dalle tarme rivela la sagoma di una specie di grande piatto ovale.
***
Sulla porta del magazzino un signore anziano mi guarda dal basso in alto e mi minaccia con una scopa. Se non avesse la schiena piegata dagli anni mi potrebbe fissare dritto negli occhi. Avrà più di ottant'anni.
Alzo le sopracciglia. «Celestino? Sei tu?»
Il vecchietto punta il manico della scopa a un palmo dal mio naso. «Ci conosciamo?»
La voce acuta e nasale è la stessa di quando bestemmiava per le nostre malefatte. L'età l'ha resa solo un po' più roca.
«Ti ricordi di me? Sono Alberto Zuavi, ho fatto il liceo qui vent'anni fa, mi chiamavano tutti Bert.»
Celestino abbassa la sua arma e fissa un punto oltre le mie spalle. «Alberto… Bert… sì, sì, mi ricordo di te! Giravi sempre con quel tuo amico…»
«Max.»
«Sì, sì esatto. Max. Ma tu cosa ci fai qui?»
«Sto cercando uno specchio, di quelli grandi a pavimento, ovale.»
«E lo cerchi qui?»
Con le mani mimo le dimensioni dell'oggetto. «Sì, era alto più o meno così, col supporto di legno. Lo avevamo trovato qui io e Max vent'anni fa. Aveva dei simboli disegnati sul bordo. Dimmi che c'è ancora.»
«Ah, quello specchio. E a che cosa ti serve?»
«Ti prego Celestino, è importante! C'è ancora? Dov'è?»
Celestino sbuffa e mi fa cenno di uscire. «Esci da qui, guarda che casino che hai combinato.»
«Ma–»
«Fuori.»
Col capo chino esco dalla stanza. Celestino la richiude a chiave e mi guarda negli occhi. «Lo specchio non è qui. È nell'altra torretta.»
«Ah, quindi c'è ancora, meno male. Lo avete solo spostato.»
Celestino mi guarda e alza un sopracciglio. «No, è sempre stato lì.»
È vecchio e la memoria deve fargli brutti scherzi. Lo specchio era nel magazzino sopra la mia aula, cioè qui.
Congiungo le mani davanti al petto. «Per favore, posso vederlo?»
Il bidello sbuffa e scuote la testa. «Vieni con me.»
Scendiamo e imbocchiamo il corridoio al secondo piano.
«Celestino, ma tu non dovresti essere in pensione? Come mai sei qui?»
«Oh, ma io sono in pensione. Però non ho niente da fare e, siccome la scuola è sempre senza soldi, ho chiesto se potevo venire a fare un giro ogni tanto per controllare se è tutto a posto. E a quanto pare ho fatto bene. Vuoi dirmi perché vuoi tanto vedere quello specchio?»
Sospiro. «Io e Max lo abbiamo scoperto l'ultimo anno e da allora questa cosa mi ossessiona. Il fatto è che non mi ricordo assolutamente niente di quello specchio. Ricordo solo che lo abbiamo trovato e poi vuoto totale. Ma sono sicuro che è successo qualcosa.»
Celestino si ferma emettendo un gemito e chiude gli occhi. Si porta una mano sopra una chiappa, sospira. «La sciatica. Diventerai vecchio anche tu, prima o poi. Il tuo amico non si ricorda niente?»
«Max dice che si è rotto e lo abbiamo rimesso dov'era, ma io sono sicuro che c'è dell'altro. Ce la fai? Vuoi sederti un po'?»
Indica la luce accesa in fondo al corridoio e riprende a muoversi. Zoppica. «Quella è la saletta che uso come ufficio. Mi siedo lì. Devo anche prendere le chiavi dell'altro magazzino.»
Lo prendo sottobraccio e lo sostengo. «A proposito, ma se lo specchio è sempre stato nell'altra torretta, com'è possibile che io abbia la chiave del magazzino sbagliato? È la stessa che usavo da ragazzino.»
Celestino mi guarda e sorride con metà della bocca. «Piuttosto, perché vieni qui proprio adesso, dopo vent'anni, se eri così tanto ossessionato?»
Ecco, sapevo che saremmo arrivati a questo. Mi sale un nodo alla gola.
«Durante il primo anno di università ho conosciuto una ragazza. Stare con lei mi ha fatto bene. Non che non pensassi più allo specchio, però non gli davo importanza.»
Annuisce. «Vieni, mi riposo un attimo.»
Si infila nel suo stanzino, un ripostiglio con spazio appena sufficiente per una sedia e un tavolino. L'aria odora di agrumi. Sul tavolo, una scorza di mandarino fa da segnalibro a un volume con gli angoli consumati e i bordi delle pagine punteggiati di muffa. Stephen Hawking. Curiosa lettura per un bidello ottantenne.
Lo aiuto a sedersi e lui indica sul muro un pannello forato a cui sono appese una ventina di chiavi. «Prendi quella chiave lì. No, quella più in basso. Sì, quella.»
«Ok, grazie Celestino. Allora vado–»
«No!» Mi afferra un braccio. «Vengo anch'io.»
«Ma hai mal di schiena.»
«Fra un attimo mi passa.»
«Ma io…»
«Hai fretta? Hai aspettato vent'anni, potrai aspettare un vecchio per cinque minuti.»
Maledizione. Dai Celestino, devo vedere quel dannato specchio.
Mollo la chiave sul tavolo e cammino avanti e indietro per la microscopica stanza.
Il bidello si sposta sulla sedia, non riesce a trovare una posizione comoda. «Intanto puoi finire di raccontarmi la tua storia. Hai trovato una donna, e quindi?»
Sospiro e mi appoggio col sedere al tavolo. «Sono stato bene con Marzia, non ho più dato peso allo specchio. Poi però il mese scorso…»
Fa male. Deglutisco e prendo fiato. «Il mese scorso un tizio che guidava ubriaco me l'ha portata via. Non mi è rimasto più niente, all'improvviso mi sono ritrovato di nuovo solo. E a pensare a quel diavolo di specchio. Non so, forse sono ancora sconvolto dalla sua morte, o forse sono solo pazzo, ma devo sapere.»
Celestino annuisce e si alza con un grugnito.
«Chissà, magari vederlo potrà aiutarti, anche se non so come.»
Estrae un bastone da passeggio da dietro la porta, prende la chiave sul tavolo e mi spinge per un braccio. «Andiamo.»
Arranca su per le scale e lo seguo al suo passo fino al secondo piano della torretta.
Gira la chiave nella serratura e spalanca la porta. «Eccoci qui. Questo è il tuo magazzino.»
Lo spingo di lato ed entro.
***
Max mi aiuta a togliere la coperta con uno strattone. Una nuvola di polvere ci avvolge e ne respiro una bella boccata. Tossisco disperato fino a quando non mi si liberano i polmoni. Il sapore di terra sulla lingua però non va via.
«E che cazzo! Da quanto era qui 'sta cosa?»
La coperta nascondeva uno specchio a pavimento, ovale, alto più o meno come me, con la struttura di legno.
Mi ci piazzo davanti, la mia figura si riflette per intero. Il riflesso di Max dietro di me non è nitido, sembra come sfocato. Lungo tutto il bordo, dei graffi segnano la cornice di legno, sembrano lettere di qualche alfabeto.
Qualcosa mi sfiora un orecchio e va a schiantarsi contro lo specchio, infrangendone il vetro.
«Vaffanculo Brunelli!»
Mi giro di scatto a guardare Max. «Ma sei cretino? Che cazzo fai? Mi hai fatto il pelo, volevi spaccarmi la testa?»
Max tira a sé il cavo dell'alimentatore per pc che ha usato a mo' di frusta per spaccare lo specchio. Ridacchia.
Un pezzo di vetro grande come il palmo della mia mano è appoggiato sopra una scarpa. Scrollo il piede per liberarmene: non si muove, deve essersi impigliato nei lacci. Lo prendo ma mi scivola e mi taglia un polpastrello. «Ahia brutta merda!»
Una goccia di sangue cade su un frammento di specchio. «Max, sei una testa di cazzo! Adesso mi sono pure tagliato. Vaffanculo!»
«Eh, dai, scusa. Guarda che non ti ho mica tagliato io!»
Mi succhio il dito tagliato e prendo un fazzoletto dalla tasca. Lo avvolgo attorno al dito.
Per terra, il sangue è sparito ma il vetro ne conserva il riflesso.
«Ma cosa… Max, hai visto anche tu?»
«Cosa?»
«Qui, il sangue.»
Si avvicina, tiene ancora in mano il cavo dell'alimentatore che gli penzola all'altezza del ginocchio. «Quale sangue?»
Il pezzo di vetro ora è pulito, non ci sono né la macchia, né il suo riflesso. «Mi era caduta una goccia di sangue qui sul vetro e ora è sparita, sembra che se la sia bevuta.»
«Ma va', te lo sarai immaginato. Guardalo lì, il tuo sangue.»
Indica una macchia rossa sul pavimento.
«Sarà…»
Max torna alla sua posizione. Fa roteare l'alimentatore sopra la testa come un lazo. «Altro giro, altra frustata. Levati da lì!»
Stringe gli occhi e protende il viso in avanti. L'alimentatore rallenta attorno alla sua testa e scende fino a fermarsi. Il mio compare mi guarda con la bocca mezza aperta. «Ma di cosa è fatto il pannello?»
Mi giro a guardare lo specchio rotto. In effetti la superficie scura che prima era nascosta dal vetro sembra ricoperta da una patina lucida che però non riflette alcunché. È un colore indefinito che somiglia al marrone. Colpisco col palmo della mano l'esterno della cornice. Il pannello vibra e si formano delle increspature. È come aver scrollato una vasca di budino al cioccolato.
Allungo un dito e ne tocco la superficie.
***
Il magazzino odora di birra e lampadine fulminate. Premo l'interruttore della luce e un neon ronza e sfarfalla per qualche secondo. Un neon. Non sapevo che ce ne fossero ancora in circolazione.
Pile di scatoloni creano una parete in fondo alla stanza, alcuni sono spostati lasciando come un passaggio per il retro. Avanzo verso un televisore a tubo catodico ammaccato, deve avere almeno trent'anni.
Accanto, un oggetto nero e lucido è infilato nello schermo sfondato di un monitor da computer che avrà la stessa età del televisore. Lo tiro fuori in un tintinnare di vetro in frantumi. È un videoregistratore, lo rimetto nel monitor.
Qualcosa scricchiola e mi preme sotto i piedi. Una videocassetta sfasciata, impronte di scarpe sul nastro stropicciato e detriti di plastica ovunque. Poco più in là, nel passaggio fra gli scatoloni, frammenti di vetro riflettono la luce del neon che illumina la stanza.
Oltre i vetri, troneggia quello che una volta era stato uno specchio a pavimento, ovale, alto più o meno come me. Il vetro lo ha rotto Max quella volta e ora è sparso per terra. La cornice di legno intarsiata è ricoperta di graffi e sostiene ancora qualche brandello su cui si riflettono la mia immagine nitida e uno sfocato Celestino che è entrato nella stanza.
La superficie dietro il vetro è una specie di gelatina marrone scuro, in qualche modo lucida, ma che non riflette nessuna immagine. Sembra di specchiarsi in un budino.
Celestino si avvicina. «Ecco il tuo specchio.»
«Sembra di sì.»
Tocco la sostanza gelatinosa e la mano affonda all'interno. La ritraggo di scatto.
«E ora cos'hai intenzione di fare?» chiede il bidello alle mie spalle.
Prendo fiato. «Vedere cosa c'è dall'altra parte.»
Chiudo gli occhi e con un passo mi infilo dentro il budino.
***
Un frammento di vetro attaccato alla cornice dello specchio riflette un ragazzino sui diciott'anni, con gli occhiali e qualche pelo sparuto sul viso. Assomiglia un sacco a me quando avevo la sua età.
Qualcosa mi scuote la spalla. «Bert! Ehi Bert! Bert!»
Conosco questa voce. Mi giro, sgrano gli occhi. «Max? Max, sei davvero tu?»
«No, tua sorella! Che ti è preso? Ti sei rincoglionito?»
Mi fa male un dito, c'è legato attorno un fazzoletto. Ah già, mi ero tagliato col vetro.
«Ma stai bene?»
«Mi gira un po' la testa… cos'è successo?»
«Non lo so, dimmelo tu. Sei rimasto tipo dieci secondi immobile, incantato davanti a quello specchio rotto. Ti avevo detto che il pannello mi sembrava strano, tu l'hai toccato e bam!, ti sei bloccato.»
«Dieci secondi… ma… e Celestino?»
«Celestino? Dove?» Max si gira di scatto. «Non farmi scherzi del cazzo.»
«Non so Max, mi ricordo che non ero più al liceo. Avevo vissuto tipo altri vent'anni e poi ero tornato alla scuola a cercare lo specchio.»
«Vent'anni. E poi sei tornato a cercare lo specchio. E magari ti eri pure sposato con la Donati. Ti sei fatto robe strane prima di venire a scuola?»
Sposato… Mi giro verso lo specchio rotto e ne sfioro la superficie scura e lucida. Solida.
Affiora il ricordo di un volto abbronzato, sorridente, circondato da una nuvola di riccioli neri. Chissà chi è? Le associo il nome di Marzia, ma non conosco nessuna Marzia.
«Non so perché, ma ero tornato nella scuola e Celestino mi ha aiutato a tornare qua passando attraverso lo specchio.»
Max è sulla porta del magazzino. «Ué Alice, andiamo ché sta per suonare la campanella. Me lo racconti dopo, così mi dici anche di che cosa ti sei fatto, ché lo voglio anch'io.»
Lancio un'ultima occhiata allo specchio. Sul fondo scuro, l'immagine sbiadita di un vecchietto imbocca una porta e se ne va chiudendosela alle spalle.
Uno strattone mi costringe a fare un passo per non cadere.
«Cosa fai lì imbambolato?» Max mi tira per un braccio. «Muoviti, ché se arriviamo tardi la Brunelli ci incula!»
«Sì, andiamo.»