DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA
Inviato: domenica 20 dicembre 2020, 11:15
-Sì mamma, sono pronta, arrivo!- rispondo sbuffando mentre mi infilo la felpa nera.
“Chissà perché non dice mai niente a quell’altra e mette fretta sempre e solo a me”, mi chiedo scendendo le scale.
Entro in cucina e lei è già lì che mi guarda, con la sua aria da perfettina antipatica, il trucco ordinato e i capelli stirati. Mi diverto a prenderla in giro, dicendole che si veste come una bambola, con colori tenui e nauseabondi, ma lei è troppo fine per rispondermi male. Lei è quella chic, io sono quella dark. Io di solito copro i miei capelli con una parrucca nera e ho una serie di piercing finti alle orecchie. Finti sì, ma non vedo l’ora di farli veri. Devo aspettare i 18 anni però, per non dover litigare con i miei e con Dorotea (che chiamo affettuosamente Dorothy), la quale sicuramente starebbe dalla loro parte. E mi farò pure un tatuaggio. Volevo convincere anche Dorothy a farlo, ma lei è troppo snob per queste cose. Però il tatoo me lo immagino già: farò me e lei, come due facce della stessa medaglia. Di fatto è quello che siamo. Fisicamente ci assomigliamo come due gocce d’acqua, le persone potrebbero confondersi se solo scegliessimo gli stessi vestiti. Solo nel carattere siamo diverse, ma non è sempre stato così. Siamo cambiate. Mi ricordo anche esattamente il giorno in cui tutto non fu più lo stesso. Ma ora non ho voglia di pensarci, di pensare a noi: il bianco e il nero, il giorno e la notte, lei dolce e io aggressiva, lei studiosa e io ribelle. Ognuna per la sua strada. Se non fosse che entrambe, quando ci guardiamo allo specchio, non vediamo solo noi stesse, ma anche il riflesso dell’altra. Ve l’ho detto, siamo uguali. Mentre mamma blatera qualcosa, prendo una brioche al volo, la saluto ed esco. Non voglio andare a scuola con Dorothy, viviamo già sotto lo stesso tetto e studiamo le stesse materie. Voglio stare un po’ sola.
Lei però mi raggiunge - ehi, perché non mi hai aspettata?- mi chiede curiosa.
-Non sapevo fossi così veloce a camminare- le dico senza rispondere alla sua domanda, sentendomi braccata. Mentre camminiamo verso la scuola battibecchiamo un po’ come al solito. Ogni tanto sa essere davvero insopportabile. Poi però mi viene l’idea di chiederle di sostituirmi all’interrogazione di inglese del giorno dopo. So com’è fatta Dorothy, sbuffa, ma in fondo mi vuole bene, sa che se non mi aiuta lei, rischio la bocciatura e alla fine cede. Io dovrò solo fingermi lei, vestirmi di rosa così che nessuno si accorga dello scambio.
Il giorno dopo come promesso, mi trovo con indosso un paio di orecchini di perle, una maglietta rosa tenue e un paio di jeans che sembrano usciti dall’armadio di una barbie. Mentre mi trucco, mi chiedo come possa conciarsi così, ma in fondo lo faccio per me. È faticoso mettermi nei suoi panni, avere un sorriso gentile, una buona parola per tutti, una smielata vocazione ad aiutare gli altri. Beh, ci sto proprio stretta in queste vesti!
Ovviamente la mia interrogazione di inglese va alla grande, la prof si complimenta pure per la pronuncia. Dorothy è stata super, le devo un favore, mi trovo a riflettere.
“Ehi, ma da dove mi esce questa generosità?!?” mi dico da sola: un momento nei panni di Dorothy e già penso che potrei fare qualcosa per lei. È meglio che torni la Tea di sempre. Veramente mi chiamo Dorotea, ma quel nome mi fa sembrare troppo preziosa, preferisco il mio diminutivo.
Mentre mi strucco allo specchio e vedo Dorothy cancellarsi dalla mia faccia, lei entra in bagno con me. Cerco di cacciarla fuori, ma lei mi guarda e sta lì, forse vuole dirmi qualcosa. Io ho sempre voluto privacy in bagno e lei lo sa bene. Ma non esce, continua a fissarmi muta e la cosa mi irrita non poco. Chiudo gli occhi, come se potessi farla sparire, ma quando li riapro lei è ancora lì che mi osserva, forse mi giudica o forse mi biasima. D’altronde c’era anche lei quel fatidico giorno. Sbatto le palpebre più volte, sento che sto per innervosirmi. Ad un certo punto faccio per tirarle dietro il suo profumo, ma è come se non fossimo qui. È come se avessimo 5 anni in meno e la mia mente percorre inorridita i ricordi di quella volta che ho pensato di poterla eliminare dalla mia vita. Ma la scena si svolge solo in un dejà-vu per fortuna e quando riapro gli occhi il profumo è intatto nelle mie mani. Dorothy deve aver capito ed è uscita dal bagno. Voglio piangere, non mi si sbaverebbe neanche il trucco da dark lady. Voglio chiederle scusa per quella che sono diventata. Da una parte desidero essere perfettina come lei, ma dall’altra parte è il nero il colore che mi si addice, per quanto in profondità possa andare la mia anima. Esco dal bagno per cercarla, potrebbe essersi spaventata. Voglio rassicurarla, ma non la trovo. Non c’è in camera, né in sala, né nel giardino. La tachicardia mi sale e inizio a correre all’impazzata su e giù per la casa. La cerco anche in cantina e nel garage. Esco per strada, penso che non potrà essere andata lontano. Ma non so neanche quanto tempo sia passato dall’ultimo istante in cui l’ho vista. Lei tira fuori il peggio di me, ma senza la sua presenza mi sento persa. Io sono il suo opposto, la sua ombra, il suo riflesso. Senza lei non sono nulla. È come guardare dentro uno specchio e non vedere niente. Sono sudata e trafelata, torno in bagno per sciacquarmi il volto, evitando di vedere il mio riflesso, per paura di cosa potrei scorgere. Apro l’acqua fredda e mi lavo la faccia in modo asettico e quando riapro gli occhi la rivedo lì, seduta a fissarmi nuovamente.
-Ma dov’eri finita?- mi arrabbio
-Mi hai fatto spaventare!-
Lei sorride e la mia tachicardia migliora. Sento la porta di casa che si chiude e la mamma che mi chiama. “Abbiamo l’appuntamento per la visita alle cinque, ti ricordi?”. Dorothy ovviamente si ricorda, io no. Forse era qui per questo, per decidere chi delle due dovesse andare dallo strizzacervelli oggi.
-È un dottore, non dovresti chiamarlo così- mi rimprovera Dorothy che sa leggere nei miei pensieri.
-Forse dovresti andarci tu -aggiunge- eri piuttosto agitata prima-
La odio quando fa così. E pensare che fino a poco fa temevo di averla persa, ora la strangolerei. Se non fosse che lei è parte di me. Ecco perché era in bagno prima, per metterci d’accordo su chi sarebbe andata a parlare col dott. Welston. Un senso di nausea mi sopraggiunge, se va Dorothy ci toglieremo questo supplizio in breve tempo, se vado io sarà un percorso a vita. Tocca a lei andare, deve farlo per noi. Lei, al contrario, non sembra della stessa idea. Iniziamo a battibeccare, finché mamma non arriva e ci tira fuori dal bagno. Abbiamo 5 minuti per prepararci.
Sedute sul lettino del dott. Welston ritroviamo la nostra capacità di convivere, lei il bene e io il male, lei la salvezza e io la perdizione, lei il bianco e io il nero, lei il giorno e io la notte. Ma ognuna non può vivere senza l’altra.
-Come stai oggi?- Ci chiede lo strizzacervelli.
-Parlo con Dorotea o con Teodora? Chi risponderà alle mie domande?-
Risponderemo entrambe, prima Dorothy si farà spazio nella mia testa, con la sua visione saggia e oggettiva, per poi lasciare il posto a Tea e alla sua indole distruttiva. Filos e Tanathos, come due facce della stessa medaglia.
“Chissà perché non dice mai niente a quell’altra e mette fretta sempre e solo a me”, mi chiedo scendendo le scale.
Entro in cucina e lei è già lì che mi guarda, con la sua aria da perfettina antipatica, il trucco ordinato e i capelli stirati. Mi diverto a prenderla in giro, dicendole che si veste come una bambola, con colori tenui e nauseabondi, ma lei è troppo fine per rispondermi male. Lei è quella chic, io sono quella dark. Io di solito copro i miei capelli con una parrucca nera e ho una serie di piercing finti alle orecchie. Finti sì, ma non vedo l’ora di farli veri. Devo aspettare i 18 anni però, per non dover litigare con i miei e con Dorotea (che chiamo affettuosamente Dorothy), la quale sicuramente starebbe dalla loro parte. E mi farò pure un tatuaggio. Volevo convincere anche Dorothy a farlo, ma lei è troppo snob per queste cose. Però il tatoo me lo immagino già: farò me e lei, come due facce della stessa medaglia. Di fatto è quello che siamo. Fisicamente ci assomigliamo come due gocce d’acqua, le persone potrebbero confondersi se solo scegliessimo gli stessi vestiti. Solo nel carattere siamo diverse, ma non è sempre stato così. Siamo cambiate. Mi ricordo anche esattamente il giorno in cui tutto non fu più lo stesso. Ma ora non ho voglia di pensarci, di pensare a noi: il bianco e il nero, il giorno e la notte, lei dolce e io aggressiva, lei studiosa e io ribelle. Ognuna per la sua strada. Se non fosse che entrambe, quando ci guardiamo allo specchio, non vediamo solo noi stesse, ma anche il riflesso dell’altra. Ve l’ho detto, siamo uguali. Mentre mamma blatera qualcosa, prendo una brioche al volo, la saluto ed esco. Non voglio andare a scuola con Dorothy, viviamo già sotto lo stesso tetto e studiamo le stesse materie. Voglio stare un po’ sola.
Lei però mi raggiunge - ehi, perché non mi hai aspettata?- mi chiede curiosa.
-Non sapevo fossi così veloce a camminare- le dico senza rispondere alla sua domanda, sentendomi braccata. Mentre camminiamo verso la scuola battibecchiamo un po’ come al solito. Ogni tanto sa essere davvero insopportabile. Poi però mi viene l’idea di chiederle di sostituirmi all’interrogazione di inglese del giorno dopo. So com’è fatta Dorothy, sbuffa, ma in fondo mi vuole bene, sa che se non mi aiuta lei, rischio la bocciatura e alla fine cede. Io dovrò solo fingermi lei, vestirmi di rosa così che nessuno si accorga dello scambio.
Il giorno dopo come promesso, mi trovo con indosso un paio di orecchini di perle, una maglietta rosa tenue e un paio di jeans che sembrano usciti dall’armadio di una barbie. Mentre mi trucco, mi chiedo come possa conciarsi così, ma in fondo lo faccio per me. È faticoso mettermi nei suoi panni, avere un sorriso gentile, una buona parola per tutti, una smielata vocazione ad aiutare gli altri. Beh, ci sto proprio stretta in queste vesti!
Ovviamente la mia interrogazione di inglese va alla grande, la prof si complimenta pure per la pronuncia. Dorothy è stata super, le devo un favore, mi trovo a riflettere.
“Ehi, ma da dove mi esce questa generosità?!?” mi dico da sola: un momento nei panni di Dorothy e già penso che potrei fare qualcosa per lei. È meglio che torni la Tea di sempre. Veramente mi chiamo Dorotea, ma quel nome mi fa sembrare troppo preziosa, preferisco il mio diminutivo.
Mentre mi strucco allo specchio e vedo Dorothy cancellarsi dalla mia faccia, lei entra in bagno con me. Cerco di cacciarla fuori, ma lei mi guarda e sta lì, forse vuole dirmi qualcosa. Io ho sempre voluto privacy in bagno e lei lo sa bene. Ma non esce, continua a fissarmi muta e la cosa mi irrita non poco. Chiudo gli occhi, come se potessi farla sparire, ma quando li riapro lei è ancora lì che mi osserva, forse mi giudica o forse mi biasima. D’altronde c’era anche lei quel fatidico giorno. Sbatto le palpebre più volte, sento che sto per innervosirmi. Ad un certo punto faccio per tirarle dietro il suo profumo, ma è come se non fossimo qui. È come se avessimo 5 anni in meno e la mia mente percorre inorridita i ricordi di quella volta che ho pensato di poterla eliminare dalla mia vita. Ma la scena si svolge solo in un dejà-vu per fortuna e quando riapro gli occhi il profumo è intatto nelle mie mani. Dorothy deve aver capito ed è uscita dal bagno. Voglio piangere, non mi si sbaverebbe neanche il trucco da dark lady. Voglio chiederle scusa per quella che sono diventata. Da una parte desidero essere perfettina come lei, ma dall’altra parte è il nero il colore che mi si addice, per quanto in profondità possa andare la mia anima. Esco dal bagno per cercarla, potrebbe essersi spaventata. Voglio rassicurarla, ma non la trovo. Non c’è in camera, né in sala, né nel giardino. La tachicardia mi sale e inizio a correre all’impazzata su e giù per la casa. La cerco anche in cantina e nel garage. Esco per strada, penso che non potrà essere andata lontano. Ma non so neanche quanto tempo sia passato dall’ultimo istante in cui l’ho vista. Lei tira fuori il peggio di me, ma senza la sua presenza mi sento persa. Io sono il suo opposto, la sua ombra, il suo riflesso. Senza lei non sono nulla. È come guardare dentro uno specchio e non vedere niente. Sono sudata e trafelata, torno in bagno per sciacquarmi il volto, evitando di vedere il mio riflesso, per paura di cosa potrei scorgere. Apro l’acqua fredda e mi lavo la faccia in modo asettico e quando riapro gli occhi la rivedo lì, seduta a fissarmi nuovamente.
-Ma dov’eri finita?- mi arrabbio
-Mi hai fatto spaventare!-
Lei sorride e la mia tachicardia migliora. Sento la porta di casa che si chiude e la mamma che mi chiama. “Abbiamo l’appuntamento per la visita alle cinque, ti ricordi?”. Dorothy ovviamente si ricorda, io no. Forse era qui per questo, per decidere chi delle due dovesse andare dallo strizzacervelli oggi.
-È un dottore, non dovresti chiamarlo così- mi rimprovera Dorothy che sa leggere nei miei pensieri.
-Forse dovresti andarci tu -aggiunge- eri piuttosto agitata prima-
La odio quando fa così. E pensare che fino a poco fa temevo di averla persa, ora la strangolerei. Se non fosse che lei è parte di me. Ecco perché era in bagno prima, per metterci d’accordo su chi sarebbe andata a parlare col dott. Welston. Un senso di nausea mi sopraggiunge, se va Dorothy ci toglieremo questo supplizio in breve tempo, se vado io sarà un percorso a vita. Tocca a lei andare, deve farlo per noi. Lei, al contrario, non sembra della stessa idea. Iniziamo a battibeccare, finché mamma non arriva e ci tira fuori dal bagno. Abbiamo 5 minuti per prepararci.
Sedute sul lettino del dott. Welston ritroviamo la nostra capacità di convivere, lei il bene e io il male, lei la salvezza e io la perdizione, lei il bianco e io il nero, lei il giorno e io la notte. Ma ognuna non può vivere senza l’altra.
-Come stai oggi?- Ci chiede lo strizzacervelli.
-Parlo con Dorotea o con Teodora? Chi risponderà alle mie domande?-
Risponderemo entrambe, prima Dorothy si farà spazio nella mia testa, con la sua visione saggia e oggettiva, per poi lasciare il posto a Tea e alla sua indole distruttiva. Filos e Tanathos, come due facce della stessa medaglia.