Petali e schegge
Inviato: domenica 20 dicembre 2020, 22:47
Il campanello trilla: sono qui per me.
Mi butto sul letto: mi schiaccio il seno, ma non mi importa.
Frammenti di vetro e petali rossi sono sparpagliati sul pavimento. Come ci teneva mamma al parquet. Mi ammazzerebbe.
A proposito, forse è meglio se lascio un messaggio di addio. Prendo il pad, apro i messaggi. L’ultimo ricevuto è sempre quello.
Saretta610: MUORI PUTTANA
Sì, alla fine vi accontento…
Il campanello suona ancora, non c’è tempo. Lascio il pad, prendo la scheggia più grossa e scopro il polso. È un pezzo di specchio colorato di bianco, l’ala dell’angioletto. Dio, mi trema la mano.
C’è qualcuno dietro di me. Chi è entrato? La porta della camera era chiusa…
Non riesco a girarmi. Mi manca l’aria, la luce è più fievole. Ruoto il pezzo di specchio: vi si riflettono occhi feroci e un sorriso maligno. L’ombra alle sue spalle è densa, come ali nere. Protende una mano… o è un artiglio?
Il suo tocco è caldo, dalla nuca scivola lungo la schiena. “Non erano questi i patti, Sara.”
Mi mordo le labbra. “Sei venuto a prendermi l’anima…”
***
Mamma si trascina al tavolo. Ha i capelli sfatti e le occhiaie, ancora più del solito. Stira le labbra in un sorriso. “Cosa abbiamo qui?”
Guarda la sedia di papà, il mazzo di rose bianche che ci ho posato sopra.
“Sara, chi è il tuo cavaliere?”
Stringo le spalle. “Gabriel.”
“È carino?”
Il microonde suona, tiro fuori la zuppa. “Bello, gentile e ricco.”
“E che ci fa con te?”
Grazie tante, mamma. Anche se è quello che si chiede tutta la scuola.
“Le tue amiche che dicono?”
“Sono contente per me.”
Mi hanno giusto isolata.
Mamma si mette una mano dietro la schiena e si siede con un mugugno.
Verso la zuppa in due piatti. “Ti fa ancora male? Non ce l’hai fatta ad andare al magazzino, vero?”
“Sto lavorando da casa. Mi hanno fatto una concessione speciale: te l’avevo detto che non denunciare l’infortunio era la cosa migliore da fare…” Porta il cucchiaio alla bocca. “È fredda.”
“Da’ qua, te la scaldo.”
Agita la mano: “No, lascia. Ho cinque minuti di pausa, l’eccesso viene decurtato dalla paga. Anzi...”
Solleva il piatto e trangugia. Le mani le tremano, un rivolo di zuppa le cola dalla bocca e si infila nel colletto del vecchio maglione.
Sorride. “Così possiamo parlare. Non vuoi parlarmi di quel… come hai detto che si chiama?”
“Solo se poi mi dici del lavoro.”
Annuisce, seria.
Poso il cucchiaio. “Gabriel è il ragazzo più figo della scuola. Scherza con tutte, ma non ha mai chiesto a nessuna di uscire. Poi un mese fa ha iniziato a farmi una corte serrata.” Mi stringo nelle spalle.“
“Siete già usciti assieme?”
“Un paio di volte, nel parco della scuola.”
“Mi sembra un po’ poco.”
“Ho parecchio da studiare, dovresti saperlo bene.”
Mamma guarda il pavimento. Forse ho calcato troppo.
“Certo, tesoro” mormora. “Non possiamo permetterci che tu fallisca un esame. Quand’è il prossimo?”
“Domani...”
Posa le mani sul tavolo.
“Allora finisci la cena e vai a studiare; sparecchio io, dopo.”
Non c’è rimasta male. Per fortuna. Le strizzo l’occhio. “Aspetta, devi spiegarmi come sposti i colli da qui. Telecinesi?”
“Meglio: guardo i droni che lo fanno, e segnalo se fanno errori. Una volta era un lavoraccio frenetico, ma ora sono sempre più abili.”
E quando lo saranno abbastanza, ti manderanno a casa.
Si alza in piedi. Contrae il viso in una smorfia, la mano le corre alla schiena.
“Mamma, perché non riapri il negozio?”
“Da sola non ce la farei, e tu devi pensare a studiare. Meriti di meglio: arriverai più in alto che puoi e otterrai un buon impiego.”
“Per il negozio non pensavo a me…”
Prendo fiato. Dai, Sara, è da tanto che vuoi dirglielo.
“Se tu lo chiamassi, papà tornerebbe e…”
“No!” Mamma zoppica verso la porta, afferra lo stipite. “Non voglio più saperne nulla!”
“Non dovresti più fare quel lavoro pietoso, io potrei studiare serena… e saremmo di nuovo una famiglia!”
“È grazie a lui che viviamo così, che devo prendere le medicine! La nostra famiglia l’ha distrutta lui!” Esce, la sua voce arriva dal corridoio: “Ci ha rovinato la vita!”
“Tu stai rovinando la mia!” le grido dietro.
Il pad mi manda un messaggio acustico, una mail.
Saretta610. Un nuovo nick dedicato a me? Che simpatiche le mie compagne.
Apro il messaggio.
Saretta610: MUORI PUTTANA
Mi siedo sul letto e tuffo il naso tra le rose, vorrei ubriacarmi del loro profumo.
Spero che gli appunti bastino per l’esame. È sempre più difficile da quando devo arrangiarmi per tutto; né le compagne, né la prof mi prestano più la licenza per un testo specializzato. Ok, in classe c’è invidia perché esco con un ragazzo ricco, ma la prof resta un mistero. Tutti quei bei discorsi sulla società iniqua, sui ricchi che possono permettersi gli esami di riparazione e avere una seconda possibilità che ai poveracci come me è negata… poi di punto in bianco mi volta le spalle. E ancora non mi vedevo con Gabriel. Peccato, poter studiare anche sui testi specializzati era un bell’aiuto. Grazie tante, Professoressa Zhang.
Poso i fiori sulla scrivania, davanti allo specchio che mi ha regalato papà. L’angioletto e il diavoletto senza volto, dipinti in azzurro, oro e rosso, sono un po’ impolverati. Il riflesso del mio viso è nell’ovale del diavoletto.
Faccio un’espressione da monella. “Sara, perché non lasci stare e pensi un po’ a spassartela? Gabriel si stuferà di te, se uscite col contagocce. Per darvi giusto qualche bacino, poi...”
Mi sposto nell’angioletto. “Prima gli studi! Se fallisci gli esami, è finita: sarai assegnata a un lavoro modesto. E poi come potrai prenderti cura di mamma, che ormai non ce la fa più?”
Diavoletto: “Tua madre fa fatica a tenersi un lavoro di merda e va avanti ad antidepressivi, piuttosto che dare una seconda possibilità a papà. Ti sta trascinando nel suo schifo e se glielo permetti diventerai una fallita come lei.”
Oh, basta!
Non riesco a concentrarmi, devo fare pace con mamma.
La sua camera è illuminata solo dalla luce del monitor. Mamma è riversa sulla console, russa forte. Sullo schermo lampeggia una scritta: - Controllo presenza operatore - e 08. 07, 06…
Premo un tasto. La scritta sparisce. Compare il magazzino, i droni commissionatori che vanno avanti e indietro. In un angolo in basso c’è scritto: 2h 43’ alla fine del turno. Tocco mamma. Niente da fare, è una specie di sasso che ronfa.
Guardare quei droni non sarà difficile. Prendo una coperta per mamma e una sedia per me.
Fine turno. Scuoto mamma su una spalla. Mugugna, gira la testa dall’altra parte.
Certo non posso sollevarla di peso. Sbadiglio. Gli occhi mi pizzicano, niente ripasso. Meglio andare a lett—
La console manda un bip. Mamma ha ricevuto un messaggio.
BlacKitty: Ciao amore. Sei sveglia?
Chi accidenti è?
Scatto in piedi, la sedia cade a terra. Mamma smette di russare per un momento. Dai, Svegliati! Ho qualcosa da chiederti!
Stringo i pugni. Stai calma, Sara.
Allora in quella sua cartella protetta...
La apro.
Digitare la password
BlacKitty
Una sfilza di immagini, mamma in una camera da letto. Scorro veloce: si bacia con un tizio dai lunghi capelli neri. Avanti. No, è una donna. Occhi a mandorla. Avanti.
Oddio! La Professoressa Zhang!
Mamma se la fa con la prof!
Mi mordicchio un’unghia, ripenso a stamattina.
***
Entro in aula e un mazzo di rose bianche campeggia su uno dei banchi. Il mio.
Oddio, Gabriel. Dev’essere stato lui.
Le ragazze mi arpionano a occhiatacce. Prendo il pad, mando un messaggio.
Mi metti in imbarazzo!
C’è un messaggio automatico della scuola. Sono attesa dalla professoressa Zhang. Che abbia già i risultati della prova? Mancano dieci minuti all’inizio della lezione. Mi precipito per il corridoio.
Il pad trilla.
Gabriel: Se domani esci con me, smetto. Te lo giuro.
Ecco l’aula insegnanti. Sento la voce della Zhang da dentro.
“E anche questa volta la tua sufficienza l’hai strappata. Arrivederci.”
Mi fermo, digito. “Dopo le lezioni. Solito posto.”
Attraverso la porta e sbatto il naso contro il petto di uno che sta uscendo.
“Ahia!” grido.
Arretro, sbatto le palpebre e metto a fuoco. Alto, una massa di capelli crespi rasati sulle tempie, sguardo corrucciato e labbra carnose, disegnate su quella pelle ambrata su cui ogni tanto fantastico.
“C-ciao, Damien…” Mi pinzo il naso tra due dita. È ancora dritto, voglio sperare. “N-non preoccuparti, sto bene…”
Annuisce, serio. Mica si scusa, né si sposta. E ha quegli occhi neri che ti scavano dentro… mi faccio piccola e lo lascio passare. Mi tiene lo sguardo addosso finché non passa oltre.
“Sara” fa la Zhang. ”Non ho tutto il giorno.”
Entro in aula. La prof è seduta dietro un banco: accavalla le gambe sottili e mi porge un foglio.
“Prova passata. Ma il tuo rendimento è in costante calo.”
Prendo il foglio e lo stringo al petto. Non guardo neanche il voto.
La Zhang si aggiusta gli occhiali. “Se mantieni questo trend, concluderai la tua carriera di studente entro i prossimi sei mesi, otto al massimo.”
Mi si mozza il fiato.
“Lei… lei dice?”
“Non io, l’elaboratore ministeriale. Ma ero tenuta a riferirtelo.” Intreccia le dita. “In modo che tu possa riflettere sullo sviluppo che intendi dare al tuo futuro.”
Tra le mie dita il foglio si accartoccia. “Io voglio andare avanti, voglio studiare!”
“Mi fa piacere sentirlo” dice, con voce piatta.
“Allora mi aiuti!”
La Zhang scatta in piedi. “L’aiuto che posso darti è trasmetterti una buona istruzione. Ma per stavolta farò di più, quindi ascoltami bene.”
“Sì…”
“Considererò questa tua uscita uno scatto adolescenziale, anziché una richiesta di favoritismi. Viceversa, dovrei riferire al comitato di presidenza. Ti è chiaro?”
Ho un groppo in gola: annuisco.
La Zhang si sistema il tailleur e torna a sedere. “È tutto.”
***
Hai capito perché ora mi tratta così! Niente favoritismi, certo.
Seleziono qualche foto e upload su Anonisocial. Non sapranno mai da dove vengono, ma vedrai che gireranno, eccome.
Dò un bacino a mamma e torno in camera mia.
Eccoti servita, professoressa Zhang. Vedrai che abbasserai la cresta. E spero che mamma ti lasci, dopo tutto questo. Lei non è tipa da resistere da sola: si deciderà a tornare con papà. E saremo di nuovo una famiglia.
Mi guardo allo specchio. Angioletto o diavoletto? Oggi sono stata più diavoletto, ma è a fin di bene.
Gli occhi mi si chiudono dal sonno, ma dò un ultimo sguardo alle mie rose bianche. Le sistemo nel vaso d’acqua e al centro del mazzo ne sbuca una che non avevo notato. È scarlatta.
Mi guardo riflessa sul pad. Il trucco che usa mamma è economico, ma ne ho usato il meno possibile, e non mi sembra di essere male. Tra gli alberi del parco spira una brezza fresca, mi stringo nel mio cappottino, da due soldi pure quello. Già mi sembra strano che io interessi a Gabriel, mi chiedo cosa ne penserebbe poi la sua famigl—
Un fruscio, alle mie spalle. Mi giro. Il sole del pomeriggio mi abbaglia. Il ragazzo alto che cammina verso di me ha le mani ficcate nella tasca della giacca di pelle.
“Damien?”
“Ciao, Sara.”
Quella voce profonda è la sua. Mi sposto per guardarlo in viso. Eccolo, il bel tenebroso.
“Scusami, per un momento ti avevo scambiato per un altro.”
Alza le spalle da atleta. “E cosa c’è da scusarsi?”
“Hai ragione, scus... “ Faccio una risatina, mi sembra una specie di belato. “Come mai sei qui?”
Aggrotta la fronte, e il suo sguardo si fa ancora più severo. “Per il tuo stesso motivo, la lezione è saltata. La Zhang è stata ricevuta dal preside.”
“Oh, sì…”
“E ha chiesto un trasferimento, con procedura d’urgenza che le hanno accordato.” Si passa la mano sulla nuca rasata. ”Da domani insegnerà in un’altra città.”
Deglutisco. “Ah… E tu come lo sai?”
“Lo so e basta. Sei libera di non credermi.”
Mi sento rabbrividire. Forse è questo vento freddo.
“No, ti credo. Ma, se sei così ben informato, saprai dirmi perché è successo...”
China la testa di lato. “Lo sai.”
Calma, Sara. Respira. Gioca coi capelli, arriccia una ciocca col dito, così. E sorridi.
“Non capisco…”
Damien sbuffa. Mi si avvicina e alza la mano, col palmo verso l’alto. “Dammi la mano.”
O santo cielo, e se Gabriel arrivasse adesso? Non posso, io…
Il suo palmo è caldo e un po’ ruvido. Chiude le mani sulle mie, il tocco è fermo e gentile. È proprio come lo immaginavo.
Si china verso di me.
“Sara, di cosa hai paura?.”
Il suo taglio di occhi, mi ricorda quelli di Gabriel. Ma Damien li ha neri, non azzurri. Quanto è bello.
“Di essere sola, Damien.”
Lui annuisce. Il suo viso serio e sicuro è un invito a parlare.
“Gabriel vorrebbe che uscissimo di più. Mia madre ha bisogno di me per tenersi il suo lavoro, o senza quello saremmo perdute. E gli studi sono sempre più difficoltosi.”
“E allora?”
“Come allora? Lo sai come funziona il nuovo ordinamento? Esami continui, a livello crescente. Quando raggiungi il tuo limite, indicherà il tuo lavoro per la vita.”
“Per la vita…” Le sue labbra danzano lente, la sua voce cupa. “La tua vita dipende da te, Sara. Devi spezzare tutte queste catene. Solo così sarai libera.”
“Ma io ho paura!”
“La paura è un problema solo se lasci che ti fermi. E queste sono false sicurezze.”
Mi stringo al suo petto, lui mi cinge tra le braccia.
“Damien, come faccio a capire cosa voglio?
Per la prima volta, mi sorride.
“Chiediti qual è la cosa più importante, per te qui e ora.”
“Baciarti…”
Oddio, l’ho detto veramente? Ora si scioglierà dall’abbraccio e…
“Allora, fallo.”
Al diavolo tutto, gli ficco la lingua in bocca.
“Uh-uhm…”
Chi si è schiarito la voce? Spingo sul petto di Damien, mi separo da lui. Gabriel è davanti a me, I raggi obliqui del sole incendiano i suoi capelli d’oro. Una rosa rossa tra due dita, con l’altra mano si sistema la cravatta celeste e si liscia la giacca candida del suo completo.
“Se ho interrotto qualcosa…”
“No!” dico. “Posso spiegarti…”
Damien si è già defilato.
Gabriel fa un sorriso mesto e mi porge la rosa. “Hai ragione, Sara. È giunto il momento di chiarirci.”
Gabriel si siede sulla fontana e con la punta delle dita accarezza l’acqua.
“Alleluia, Sara! Il nostro rapporto va a gonfie vele. Già la prima crisi.”
Giocherello con la rosa. “Davvero, Gabriel, non so cosa mi sia preso.”
Mi lancia un sorriso sbarazzino, con quei suoi denti candidi. “Oh andiamo, mia cara. Finora siamo usciti solo qualche volta, credi che voglia farti una scenata di gelosia? Il problema tra noi è più profondo.”
“V-vuoi lasciarmi?”
Sospira, i suoi zigomi alti si rilassano in un sorriso serafico. “Solo se mi costringi a farlo.”
Dalla mano mi sale una fitta di dolore, ma non allento la stretta sulla rosa. “Senti, Gabriel. So di essere stata scorretta, ma tu non torturarmi così! Dimmi cosa vuoi!”
Si alza in piedi si avvicina.
“Non possiamo continuare così, a vederci una volta ogni due settimane. Una passeggiata mano nella mano, un bacetto e alla prossima.”
Lascio cadere la rosa, gli afferro il bavero della giacca. Se la farà smacchiare, pazienza; tanto è ricco.
Mi mordo le labbra, le parole non mi escono. Lui stringe le mie mani tra le sue.
“Sara, Sara…” Si china su di me, mi bacia. Questa volta però è diverso. Le sue labbra si schiudono, la sua lingua esplora la mia bocca. Non me l’aspettavo ma… mi piace.
Ci separiamo, senza fretta. Come se volesse assaporarmi un’ultima volta. Mi stringo a lui e lo bacio ancora.
Ci stacchiamo quando lo decido io. Quanta radiosità nei suoi grandi occhi azzurri! Mi cinge il fianco.
“Voglio che tu sia la mia donna.”
“In.. che senso? Vuoi fare l’amore?”
Annuisce. “Non solo. Voglio avere con te un vero rapporto di coppia. Uscire, amarci, vederci tutti i giorni. La vita è breve, Sara; e se la passeremo assieme, sarà meravigliosa. Hai la mia parola.”
“Ma io… non posso. Devo studiare.”
Scuote la testa. “Certo, ma non come una pazza, non più. E se dovessi fare un passo falso, e tutti dovrebbero averne diritto… ti pagherò io gli esami di riparazione.”
Sarebbe meraviglioso!
Cerco di sciogliermi dal suo abbraccio. “E se dovessi cambiare idea? Se mi lasciassi dopo che ti sei stancato di me?”
Mi fa l’occhiolino. “Sei una ragazza intelligente, non ti basta la mia parola. È giusto. Per cui, se vuoi un contratto scritto, io non ho nessun problema in merito.”
“Un contratto di che?”
Alza le sopracciglia. “Beh, non è molto romantico, ma immagino che dovremmo metterla giù in qualche modo pratico.” Solleva lo sguardo al cielo. “Che ne dici di… sei mesi di questa tutela dall’ultima volta che facciamo l’amore?”
“E… come lo documentiamo, scusa?”
Che discorso sciocco! Eppure sento che è meglio essere molto chiari. Sarà perché mi alletta. E come non potrebbe? È un ragazzo bellissimo, gentile, e mi offre una vita da sogno. Se un giorno ci sposassimo poi…
Gabriel si stringe nelle spalle. “Stai pensando a filmarci? Va bene. Naturalmente la registrazione la terresti solo tu.”
Prendo fiato. “È... è tutto bellissimo. Quello che mi proponi, quanto ci tieni a me…”
Mi scruta. “Ci vuoi pensare su, vero?”
“Posso?”
Gabriel socchiude gli occhi come un gatto, mi libera dall’abbraccio.
“Uhm… sì. Ma lascia che ti dica una cosa, mia dolce Sara. Mi impegno per essere un ragazzo dalle molte qualità: ma la pazienza non è tra queste.”
Si sistema la giacca. Nel punto dove l’ho toccata con le mani sanguinanti è ancora bianca, immacolata.
Entro in casa. “Mamma?”
Vado in bagno e mi lavo la faccia. I suoi antidepressivi sono lì. Che stia ancora lavorando da casa? Corro in camera sua: non c’è.
“Mamma!”
Non dovrebbe uscire senza le medicine!
Un trillo: è una chiamata. Vado alla console: utenza municipale. Accetto.
“Sara?”
“Sì? Chi parla?”
“Ciao Sara. Sono una psicologa del servizio municipale. Sono lieta che tu sia in ca—”
“Perchè mi chiama? Dov’è mia mamma?”
“Un agente sta venendo a prenderti, si identificherà e tu gli aprirai. Ti porterà all’ospedale centrale. Lì ci vedremo di persona e ti racconterò tutto quello che—”
Chiudo la comunicazione.
Mamma! Oddio!
Corro in camera, guardo lo specchio dell’angioletto e del diavoletto. Prendo il vaso con le rose.
Non saremo più una famiglia!
Scaglio il vaso contro lo specchio. Petali e schegge ovunque.
***
“Sei venuto a prendermi l’anima…”
Gabriel si siede sul letto. “Quella puoi tenertela, per ora. Piuttosto, è il tuo corpo che mi interessa. Ma questo te l’avevo già detto.”
“Tu…”
“Guarda quanti petali rossi. Non sei stata una brava ragazza, ultimamente. A proposito, condoglianze.”
Scatto verso di lui, lo sfregio con la mia scheggia. Mi guarda, impassibile. Il taglio sulla guancia svanisce senza una sola goccia di sangue.
“Sempre meglio!” Sogghigna. “Certo che gli angeli custodi non fanno più il loro dovere.”
Sorride all’angolo buio della mia camera. Damien è lì, a braccia incrociate.
“Damien!” grido. “Salvami, ti prego!”
Corro verso di lui, lo abbraccio. Non si sottrae, né ricambia. I suoi occhi neri luccicano.
“Non sono il custode di nessuno.”
“Dimmi che non è troppo tardi! Sarò brava…”
Sospira verso Gabriel. “Chi glielo dice?”
“Tu sei più autorevole.”
Damien mi prende per le spalle. “Sara… senza tanti giri di parole: Gabriel è un buon diavolo, io… un angelo ribelle. Ci vogliamo bene. Ma le nostre essenze sono incompatibili, non possiamo consumare la nostra passione in modo diretto. Ci serve un medium.”
“Un… che?”
Alle mie spalle, Gabriel si schiarisce la voce. “Un tramite fisico. Possiamo amarci solo attraverso il tuo corpo.”
Damien annuisce. “La tua anima ha una buona risonanza. Ci abbiamo messo un po’ a trovarti, in mezzo a tante ragazz—.”
Mi spingo via da lui. “Voi due… eravate d’accordo!”
Gabriel si è spostato sulla porta, a braccia incrociate. “Diciamo che per nostra natura abbiamo modi diversi di perseguire lo stesso fine. Lui voleva spiegarti tutto al momento giusto, e che tu scegliessi liberamente di stare con noi. Io preferivo risparmiarti i dettagli e indurti ad accettare offrendoti condizioni vantaggiose. Ma…”
Damien tamburella con le dita sul vetro della finestra. “Non ci aspettavamo che tu portassi tua madre al suicidio… per poi fare lo stesso!” C’è rammarico, nella sua voce.
Ha ragione, sono… orribile. Lascio cadere le spalle. “E adesso?”
“Morta non ci servi.” Gabriel ridacchia. “Devo farti i miei complimenti, Sara. Pur senza volerlo hai rilanciato la posta e ottenuto il meglio da entrambi. Ora conosci la verità, e la mia offerta è ancora valida.”
Mi porge una scheggia seghettata: spiccano le corna del diavoletto.
“Serve solo una firma.”
Mi butto sul letto: mi schiaccio il seno, ma non mi importa.
Frammenti di vetro e petali rossi sono sparpagliati sul pavimento. Come ci teneva mamma al parquet. Mi ammazzerebbe.
A proposito, forse è meglio se lascio un messaggio di addio. Prendo il pad, apro i messaggi. L’ultimo ricevuto è sempre quello.
Saretta610: MUORI PUTTANA
Sì, alla fine vi accontento…
Il campanello suona ancora, non c’è tempo. Lascio il pad, prendo la scheggia più grossa e scopro il polso. È un pezzo di specchio colorato di bianco, l’ala dell’angioletto. Dio, mi trema la mano.
C’è qualcuno dietro di me. Chi è entrato? La porta della camera era chiusa…
Non riesco a girarmi. Mi manca l’aria, la luce è più fievole. Ruoto il pezzo di specchio: vi si riflettono occhi feroci e un sorriso maligno. L’ombra alle sue spalle è densa, come ali nere. Protende una mano… o è un artiglio?
Il suo tocco è caldo, dalla nuca scivola lungo la schiena. “Non erano questi i patti, Sara.”
Mi mordo le labbra. “Sei venuto a prendermi l’anima…”
***
Mamma si trascina al tavolo. Ha i capelli sfatti e le occhiaie, ancora più del solito. Stira le labbra in un sorriso. “Cosa abbiamo qui?”
Guarda la sedia di papà, il mazzo di rose bianche che ci ho posato sopra.
“Sara, chi è il tuo cavaliere?”
Stringo le spalle. “Gabriel.”
“È carino?”
Il microonde suona, tiro fuori la zuppa. “Bello, gentile e ricco.”
“E che ci fa con te?”
Grazie tante, mamma. Anche se è quello che si chiede tutta la scuola.
“Le tue amiche che dicono?”
“Sono contente per me.”
Mi hanno giusto isolata.
Mamma si mette una mano dietro la schiena e si siede con un mugugno.
Verso la zuppa in due piatti. “Ti fa ancora male? Non ce l’hai fatta ad andare al magazzino, vero?”
“Sto lavorando da casa. Mi hanno fatto una concessione speciale: te l’avevo detto che non denunciare l’infortunio era la cosa migliore da fare…” Porta il cucchiaio alla bocca. “È fredda.”
“Da’ qua, te la scaldo.”
Agita la mano: “No, lascia. Ho cinque minuti di pausa, l’eccesso viene decurtato dalla paga. Anzi...”
Solleva il piatto e trangugia. Le mani le tremano, un rivolo di zuppa le cola dalla bocca e si infila nel colletto del vecchio maglione.
Sorride. “Così possiamo parlare. Non vuoi parlarmi di quel… come hai detto che si chiama?”
“Solo se poi mi dici del lavoro.”
Annuisce, seria.
Poso il cucchiaio. “Gabriel è il ragazzo più figo della scuola. Scherza con tutte, ma non ha mai chiesto a nessuna di uscire. Poi un mese fa ha iniziato a farmi una corte serrata.” Mi stringo nelle spalle.“
“Siete già usciti assieme?”
“Un paio di volte, nel parco della scuola.”
“Mi sembra un po’ poco.”
“Ho parecchio da studiare, dovresti saperlo bene.”
Mamma guarda il pavimento. Forse ho calcato troppo.
“Certo, tesoro” mormora. “Non possiamo permetterci che tu fallisca un esame. Quand’è il prossimo?”
“Domani...”
Posa le mani sul tavolo.
“Allora finisci la cena e vai a studiare; sparecchio io, dopo.”
Non c’è rimasta male. Per fortuna. Le strizzo l’occhio. “Aspetta, devi spiegarmi come sposti i colli da qui. Telecinesi?”
“Meglio: guardo i droni che lo fanno, e segnalo se fanno errori. Una volta era un lavoraccio frenetico, ma ora sono sempre più abili.”
E quando lo saranno abbastanza, ti manderanno a casa.
Si alza in piedi. Contrae il viso in una smorfia, la mano le corre alla schiena.
“Mamma, perché non riapri il negozio?”
“Da sola non ce la farei, e tu devi pensare a studiare. Meriti di meglio: arriverai più in alto che puoi e otterrai un buon impiego.”
“Per il negozio non pensavo a me…”
Prendo fiato. Dai, Sara, è da tanto che vuoi dirglielo.
“Se tu lo chiamassi, papà tornerebbe e…”
“No!” Mamma zoppica verso la porta, afferra lo stipite. “Non voglio più saperne nulla!”
“Non dovresti più fare quel lavoro pietoso, io potrei studiare serena… e saremmo di nuovo una famiglia!”
“È grazie a lui che viviamo così, che devo prendere le medicine! La nostra famiglia l’ha distrutta lui!” Esce, la sua voce arriva dal corridoio: “Ci ha rovinato la vita!”
“Tu stai rovinando la mia!” le grido dietro.
Il pad mi manda un messaggio acustico, una mail.
Saretta610. Un nuovo nick dedicato a me? Che simpatiche le mie compagne.
Apro il messaggio.
Saretta610: MUORI PUTTANA
Mi siedo sul letto e tuffo il naso tra le rose, vorrei ubriacarmi del loro profumo.
Spero che gli appunti bastino per l’esame. È sempre più difficile da quando devo arrangiarmi per tutto; né le compagne, né la prof mi prestano più la licenza per un testo specializzato. Ok, in classe c’è invidia perché esco con un ragazzo ricco, ma la prof resta un mistero. Tutti quei bei discorsi sulla società iniqua, sui ricchi che possono permettersi gli esami di riparazione e avere una seconda possibilità che ai poveracci come me è negata… poi di punto in bianco mi volta le spalle. E ancora non mi vedevo con Gabriel. Peccato, poter studiare anche sui testi specializzati era un bell’aiuto. Grazie tante, Professoressa Zhang.
Poso i fiori sulla scrivania, davanti allo specchio che mi ha regalato papà. L’angioletto e il diavoletto senza volto, dipinti in azzurro, oro e rosso, sono un po’ impolverati. Il riflesso del mio viso è nell’ovale del diavoletto.
Faccio un’espressione da monella. “Sara, perché non lasci stare e pensi un po’ a spassartela? Gabriel si stuferà di te, se uscite col contagocce. Per darvi giusto qualche bacino, poi...”
Mi sposto nell’angioletto. “Prima gli studi! Se fallisci gli esami, è finita: sarai assegnata a un lavoro modesto. E poi come potrai prenderti cura di mamma, che ormai non ce la fa più?”
Diavoletto: “Tua madre fa fatica a tenersi un lavoro di merda e va avanti ad antidepressivi, piuttosto che dare una seconda possibilità a papà. Ti sta trascinando nel suo schifo e se glielo permetti diventerai una fallita come lei.”
Oh, basta!
Non riesco a concentrarmi, devo fare pace con mamma.
La sua camera è illuminata solo dalla luce del monitor. Mamma è riversa sulla console, russa forte. Sullo schermo lampeggia una scritta: - Controllo presenza operatore - e 08. 07, 06…
Premo un tasto. La scritta sparisce. Compare il magazzino, i droni commissionatori che vanno avanti e indietro. In un angolo in basso c’è scritto: 2h 43’ alla fine del turno. Tocco mamma. Niente da fare, è una specie di sasso che ronfa.
Guardare quei droni non sarà difficile. Prendo una coperta per mamma e una sedia per me.
Fine turno. Scuoto mamma su una spalla. Mugugna, gira la testa dall’altra parte.
Certo non posso sollevarla di peso. Sbadiglio. Gli occhi mi pizzicano, niente ripasso. Meglio andare a lett—
La console manda un bip. Mamma ha ricevuto un messaggio.
BlacKitty: Ciao amore. Sei sveglia?
Chi accidenti è?
Scatto in piedi, la sedia cade a terra. Mamma smette di russare per un momento. Dai, Svegliati! Ho qualcosa da chiederti!
Stringo i pugni. Stai calma, Sara.
Allora in quella sua cartella protetta...
La apro.
Digitare la password
BlacKitty
Una sfilza di immagini, mamma in una camera da letto. Scorro veloce: si bacia con un tizio dai lunghi capelli neri. Avanti. No, è una donna. Occhi a mandorla. Avanti.
Oddio! La Professoressa Zhang!
Mamma se la fa con la prof!
Mi mordicchio un’unghia, ripenso a stamattina.
***
Entro in aula e un mazzo di rose bianche campeggia su uno dei banchi. Il mio.
Oddio, Gabriel. Dev’essere stato lui.
Le ragazze mi arpionano a occhiatacce. Prendo il pad, mando un messaggio.
Mi metti in imbarazzo!
C’è un messaggio automatico della scuola. Sono attesa dalla professoressa Zhang. Che abbia già i risultati della prova? Mancano dieci minuti all’inizio della lezione. Mi precipito per il corridoio.
Il pad trilla.
Gabriel: Se domani esci con me, smetto. Te lo giuro.
Ecco l’aula insegnanti. Sento la voce della Zhang da dentro.
“E anche questa volta la tua sufficienza l’hai strappata. Arrivederci.”
Mi fermo, digito. “Dopo le lezioni. Solito posto.”
Attraverso la porta e sbatto il naso contro il petto di uno che sta uscendo.
“Ahia!” grido.
Arretro, sbatto le palpebre e metto a fuoco. Alto, una massa di capelli crespi rasati sulle tempie, sguardo corrucciato e labbra carnose, disegnate su quella pelle ambrata su cui ogni tanto fantastico.
“C-ciao, Damien…” Mi pinzo il naso tra due dita. È ancora dritto, voglio sperare. “N-non preoccuparti, sto bene…”
Annuisce, serio. Mica si scusa, né si sposta. E ha quegli occhi neri che ti scavano dentro… mi faccio piccola e lo lascio passare. Mi tiene lo sguardo addosso finché non passa oltre.
“Sara” fa la Zhang. ”Non ho tutto il giorno.”
Entro in aula. La prof è seduta dietro un banco: accavalla le gambe sottili e mi porge un foglio.
“Prova passata. Ma il tuo rendimento è in costante calo.”
Prendo il foglio e lo stringo al petto. Non guardo neanche il voto.
La Zhang si aggiusta gli occhiali. “Se mantieni questo trend, concluderai la tua carriera di studente entro i prossimi sei mesi, otto al massimo.”
Mi si mozza il fiato.
“Lei… lei dice?”
“Non io, l’elaboratore ministeriale. Ma ero tenuta a riferirtelo.” Intreccia le dita. “In modo che tu possa riflettere sullo sviluppo che intendi dare al tuo futuro.”
Tra le mie dita il foglio si accartoccia. “Io voglio andare avanti, voglio studiare!”
“Mi fa piacere sentirlo” dice, con voce piatta.
“Allora mi aiuti!”
La Zhang scatta in piedi. “L’aiuto che posso darti è trasmetterti una buona istruzione. Ma per stavolta farò di più, quindi ascoltami bene.”
“Sì…”
“Considererò questa tua uscita uno scatto adolescenziale, anziché una richiesta di favoritismi. Viceversa, dovrei riferire al comitato di presidenza. Ti è chiaro?”
Ho un groppo in gola: annuisco.
La Zhang si sistema il tailleur e torna a sedere. “È tutto.”
***
Hai capito perché ora mi tratta così! Niente favoritismi, certo.
Seleziono qualche foto e upload su Anonisocial. Non sapranno mai da dove vengono, ma vedrai che gireranno, eccome.
Dò un bacino a mamma e torno in camera mia.
Eccoti servita, professoressa Zhang. Vedrai che abbasserai la cresta. E spero che mamma ti lasci, dopo tutto questo. Lei non è tipa da resistere da sola: si deciderà a tornare con papà. E saremo di nuovo una famiglia.
Mi guardo allo specchio. Angioletto o diavoletto? Oggi sono stata più diavoletto, ma è a fin di bene.
Gli occhi mi si chiudono dal sonno, ma dò un ultimo sguardo alle mie rose bianche. Le sistemo nel vaso d’acqua e al centro del mazzo ne sbuca una che non avevo notato. È scarlatta.
Mi guardo riflessa sul pad. Il trucco che usa mamma è economico, ma ne ho usato il meno possibile, e non mi sembra di essere male. Tra gli alberi del parco spira una brezza fresca, mi stringo nel mio cappottino, da due soldi pure quello. Già mi sembra strano che io interessi a Gabriel, mi chiedo cosa ne penserebbe poi la sua famigl—
Un fruscio, alle mie spalle. Mi giro. Il sole del pomeriggio mi abbaglia. Il ragazzo alto che cammina verso di me ha le mani ficcate nella tasca della giacca di pelle.
“Damien?”
“Ciao, Sara.”
Quella voce profonda è la sua. Mi sposto per guardarlo in viso. Eccolo, il bel tenebroso.
“Scusami, per un momento ti avevo scambiato per un altro.”
Alza le spalle da atleta. “E cosa c’è da scusarsi?”
“Hai ragione, scus... “ Faccio una risatina, mi sembra una specie di belato. “Come mai sei qui?”
Aggrotta la fronte, e il suo sguardo si fa ancora più severo. “Per il tuo stesso motivo, la lezione è saltata. La Zhang è stata ricevuta dal preside.”
“Oh, sì…”
“E ha chiesto un trasferimento, con procedura d’urgenza che le hanno accordato.” Si passa la mano sulla nuca rasata. ”Da domani insegnerà in un’altra città.”
Deglutisco. “Ah… E tu come lo sai?”
“Lo so e basta. Sei libera di non credermi.”
Mi sento rabbrividire. Forse è questo vento freddo.
“No, ti credo. Ma, se sei così ben informato, saprai dirmi perché è successo...”
China la testa di lato. “Lo sai.”
Calma, Sara. Respira. Gioca coi capelli, arriccia una ciocca col dito, così. E sorridi.
“Non capisco…”
Damien sbuffa. Mi si avvicina e alza la mano, col palmo verso l’alto. “Dammi la mano.”
O santo cielo, e se Gabriel arrivasse adesso? Non posso, io…
Il suo palmo è caldo e un po’ ruvido. Chiude le mani sulle mie, il tocco è fermo e gentile. È proprio come lo immaginavo.
Si china verso di me.
“Sara, di cosa hai paura?.”
Il suo taglio di occhi, mi ricorda quelli di Gabriel. Ma Damien li ha neri, non azzurri. Quanto è bello.
“Di essere sola, Damien.”
Lui annuisce. Il suo viso serio e sicuro è un invito a parlare.
“Gabriel vorrebbe che uscissimo di più. Mia madre ha bisogno di me per tenersi il suo lavoro, o senza quello saremmo perdute. E gli studi sono sempre più difficoltosi.”
“E allora?”
“Come allora? Lo sai come funziona il nuovo ordinamento? Esami continui, a livello crescente. Quando raggiungi il tuo limite, indicherà il tuo lavoro per la vita.”
“Per la vita…” Le sue labbra danzano lente, la sua voce cupa. “La tua vita dipende da te, Sara. Devi spezzare tutte queste catene. Solo così sarai libera.”
“Ma io ho paura!”
“La paura è un problema solo se lasci che ti fermi. E queste sono false sicurezze.”
Mi stringo al suo petto, lui mi cinge tra le braccia.
“Damien, come faccio a capire cosa voglio?
Per la prima volta, mi sorride.
“Chiediti qual è la cosa più importante, per te qui e ora.”
“Baciarti…”
Oddio, l’ho detto veramente? Ora si scioglierà dall’abbraccio e…
“Allora, fallo.”
Al diavolo tutto, gli ficco la lingua in bocca.
“Uh-uhm…”
Chi si è schiarito la voce? Spingo sul petto di Damien, mi separo da lui. Gabriel è davanti a me, I raggi obliqui del sole incendiano i suoi capelli d’oro. Una rosa rossa tra due dita, con l’altra mano si sistema la cravatta celeste e si liscia la giacca candida del suo completo.
“Se ho interrotto qualcosa…”
“No!” dico. “Posso spiegarti…”
Damien si è già defilato.
Gabriel fa un sorriso mesto e mi porge la rosa. “Hai ragione, Sara. È giunto il momento di chiarirci.”
Gabriel si siede sulla fontana e con la punta delle dita accarezza l’acqua.
“Alleluia, Sara! Il nostro rapporto va a gonfie vele. Già la prima crisi.”
Giocherello con la rosa. “Davvero, Gabriel, non so cosa mi sia preso.”
Mi lancia un sorriso sbarazzino, con quei suoi denti candidi. “Oh andiamo, mia cara. Finora siamo usciti solo qualche volta, credi che voglia farti una scenata di gelosia? Il problema tra noi è più profondo.”
“V-vuoi lasciarmi?”
Sospira, i suoi zigomi alti si rilassano in un sorriso serafico. “Solo se mi costringi a farlo.”
Dalla mano mi sale una fitta di dolore, ma non allento la stretta sulla rosa. “Senti, Gabriel. So di essere stata scorretta, ma tu non torturarmi così! Dimmi cosa vuoi!”
Si alza in piedi si avvicina.
“Non possiamo continuare così, a vederci una volta ogni due settimane. Una passeggiata mano nella mano, un bacetto e alla prossima.”
Lascio cadere la rosa, gli afferro il bavero della giacca. Se la farà smacchiare, pazienza; tanto è ricco.
Mi mordo le labbra, le parole non mi escono. Lui stringe le mie mani tra le sue.
“Sara, Sara…” Si china su di me, mi bacia. Questa volta però è diverso. Le sue labbra si schiudono, la sua lingua esplora la mia bocca. Non me l’aspettavo ma… mi piace.
Ci separiamo, senza fretta. Come se volesse assaporarmi un’ultima volta. Mi stringo a lui e lo bacio ancora.
Ci stacchiamo quando lo decido io. Quanta radiosità nei suoi grandi occhi azzurri! Mi cinge il fianco.
“Voglio che tu sia la mia donna.”
“In.. che senso? Vuoi fare l’amore?”
Annuisce. “Non solo. Voglio avere con te un vero rapporto di coppia. Uscire, amarci, vederci tutti i giorni. La vita è breve, Sara; e se la passeremo assieme, sarà meravigliosa. Hai la mia parola.”
“Ma io… non posso. Devo studiare.”
Scuote la testa. “Certo, ma non come una pazza, non più. E se dovessi fare un passo falso, e tutti dovrebbero averne diritto… ti pagherò io gli esami di riparazione.”
Sarebbe meraviglioso!
Cerco di sciogliermi dal suo abbraccio. “E se dovessi cambiare idea? Se mi lasciassi dopo che ti sei stancato di me?”
Mi fa l’occhiolino. “Sei una ragazza intelligente, non ti basta la mia parola. È giusto. Per cui, se vuoi un contratto scritto, io non ho nessun problema in merito.”
“Un contratto di che?”
Alza le sopracciglia. “Beh, non è molto romantico, ma immagino che dovremmo metterla giù in qualche modo pratico.” Solleva lo sguardo al cielo. “Che ne dici di… sei mesi di questa tutela dall’ultima volta che facciamo l’amore?”
“E… come lo documentiamo, scusa?”
Che discorso sciocco! Eppure sento che è meglio essere molto chiari. Sarà perché mi alletta. E come non potrebbe? È un ragazzo bellissimo, gentile, e mi offre una vita da sogno. Se un giorno ci sposassimo poi…
Gabriel si stringe nelle spalle. “Stai pensando a filmarci? Va bene. Naturalmente la registrazione la terresti solo tu.”
Prendo fiato. “È... è tutto bellissimo. Quello che mi proponi, quanto ci tieni a me…”
Mi scruta. “Ci vuoi pensare su, vero?”
“Posso?”
Gabriel socchiude gli occhi come un gatto, mi libera dall’abbraccio.
“Uhm… sì. Ma lascia che ti dica una cosa, mia dolce Sara. Mi impegno per essere un ragazzo dalle molte qualità: ma la pazienza non è tra queste.”
Si sistema la giacca. Nel punto dove l’ho toccata con le mani sanguinanti è ancora bianca, immacolata.
Entro in casa. “Mamma?”
Vado in bagno e mi lavo la faccia. I suoi antidepressivi sono lì. Che stia ancora lavorando da casa? Corro in camera sua: non c’è.
“Mamma!”
Non dovrebbe uscire senza le medicine!
Un trillo: è una chiamata. Vado alla console: utenza municipale. Accetto.
“Sara?”
“Sì? Chi parla?”
“Ciao Sara. Sono una psicologa del servizio municipale. Sono lieta che tu sia in ca—”
“Perchè mi chiama? Dov’è mia mamma?”
“Un agente sta venendo a prenderti, si identificherà e tu gli aprirai. Ti porterà all’ospedale centrale. Lì ci vedremo di persona e ti racconterò tutto quello che—”
Chiudo la comunicazione.
Mamma! Oddio!
Corro in camera, guardo lo specchio dell’angioletto e del diavoletto. Prendo il vaso con le rose.
Non saremo più una famiglia!
Scaglio il vaso contro lo specchio. Petali e schegge ovunque.
***
“Sei venuto a prendermi l’anima…”
Gabriel si siede sul letto. “Quella puoi tenertela, per ora. Piuttosto, è il tuo corpo che mi interessa. Ma questo te l’avevo già detto.”
“Tu…”
“Guarda quanti petali rossi. Non sei stata una brava ragazza, ultimamente. A proposito, condoglianze.”
Scatto verso di lui, lo sfregio con la mia scheggia. Mi guarda, impassibile. Il taglio sulla guancia svanisce senza una sola goccia di sangue.
“Sempre meglio!” Sogghigna. “Certo che gli angeli custodi non fanno più il loro dovere.”
Sorride all’angolo buio della mia camera. Damien è lì, a braccia incrociate.
“Damien!” grido. “Salvami, ti prego!”
Corro verso di lui, lo abbraccio. Non si sottrae, né ricambia. I suoi occhi neri luccicano.
“Non sono il custode di nessuno.”
“Dimmi che non è troppo tardi! Sarò brava…”
Sospira verso Gabriel. “Chi glielo dice?”
“Tu sei più autorevole.”
Damien mi prende per le spalle. “Sara… senza tanti giri di parole: Gabriel è un buon diavolo, io… un angelo ribelle. Ci vogliamo bene. Ma le nostre essenze sono incompatibili, non possiamo consumare la nostra passione in modo diretto. Ci serve un medium.”
“Un… che?”
Alle mie spalle, Gabriel si schiarisce la voce. “Un tramite fisico. Possiamo amarci solo attraverso il tuo corpo.”
Damien annuisce. “La tua anima ha una buona risonanza. Ci abbiamo messo un po’ a trovarti, in mezzo a tante ragazz—.”
Mi spingo via da lui. “Voi due… eravate d’accordo!”
Gabriel si è spostato sulla porta, a braccia incrociate. “Diciamo che per nostra natura abbiamo modi diversi di perseguire lo stesso fine. Lui voleva spiegarti tutto al momento giusto, e che tu scegliessi liberamente di stare con noi. Io preferivo risparmiarti i dettagli e indurti ad accettare offrendoti condizioni vantaggiose. Ma…”
Damien tamburella con le dita sul vetro della finestra. “Non ci aspettavamo che tu portassi tua madre al suicidio… per poi fare lo stesso!” C’è rammarico, nella sua voce.
Ha ragione, sono… orribile. Lascio cadere le spalle. “E adesso?”
“Morta non ci servi.” Gabriel ridacchia. “Devo farti i miei complimenti, Sara. Pur senza volerlo hai rilanciato la posta e ottenuto il meglio da entrambi. Ora conosci la verità, e la mia offerta è ancora valida.”
Mi porge una scheggia seghettata: spiccano le corna del diavoletto.
“Serve solo una firma.”