Istinti naturali
Inviato: domenica 20 dicembre 2020, 23:49
Istinti naturali.
di Pietro, Miriam e Paola D'Addabbo.
Agata ha gli occhi lucidi, ha in mano il diario scolastico e lo poggia sul tavolo senza rispondere al mio saluto, sale le scale di corsa. La porta della sua camera scivola due volte sui binari, dentro e fuori dalla parete.
Il diario è lì per me. La copertina di tela ha qualche macchia scura, ma non sono gocce di pioggia. Il nastro segnalibro, rosso, fa capolino fra le ultime pagine, le famigerate comunicazioni scuola-famiglia.
***
Ci incontriamo sul pianerottolo. Rosalba bussa con forza, se volesse sfondare la porta le basterebbe usare entrambe le mani anziché una.
La nonna apre, il profumo di biscotti caldi è avvolgente, ha invaso l’appartamento e ora, aperta la diga, trabocca sul pianerottolo.
≪Rosalba, Josephine. Entrate!≫.
Il merlo indiano della nonna le fa eco
≪Entrate. Entraaateee.≫ con una vocetta gracchiante.
L’invito è superfluo per mia cugina, si fionda verso la cucina.
Il merlo la accoglie ≪Buongiorno. Buongiorno.≫ senza ottenere risposta
Vorrei anch’io quei biscotti ma le buone maniere mi impongono di mantenere un po’ di contegno.
≪Ciao nonna, mamma mi ha detto che avevi bisogno di me per una commissione.≫
So già che era solo una scusa.
≪Dopo cara, dopo. Vai con Rosalba, prendi anche tu qualche biscotto.≫
Mi accarezza i capelli con la sua mano rugosa e morbida, l’odore fresco di sapone alla lavanda si mescola con quello caldo del burro e della vaniglia. Mi poggia il palmo dolcemente dietro le spalle, mi guida in cucina, mi indica una sedia. Le briciole hanno invaso il tavolo davanti a Rosalba che mastica con le guance gonfie.
Seduta in punta di sedia prendo un biscotto. Il suo tepore sotto i polpastrelli mi inumidisce la bocca, un singolo morso e il palato è estasiato.
Nonna ci offre una tazza di tè, tradizioni inglesi mai perse.
Disegni di rami, di pesche e di usignoli adornano tre tazzine e la teiera fumante riposti sul vassoio che poggia al centro del tavolo accanto ai biscotti.
Accetto volentieri e ringrazio, mia cugina invece scuote la testa dimenando le trecce bionde.
Bevo dalla mia tazzina, Rosalba mastica vorace, la nonna ci guarda a turno con occhi dolci e amorevoli mentre sorseggia con eleganza. Il merlo zufola di tanto in tanto.
Finiamo di consumare il nostro tè, ci chiede di attendere un attimo. Anche i biscotti sono finiti, Rosalba si agita sulla sedia, impaziente di andare via.
Si risiede composta, la nonna porta due pacchi avvolti da carta regalo e infiocchettati, uno grande quanto il vassoio del tè, l’altro invece un piccolo cubetto.
≪Sono per voi, uno a testa.≫
Rosalba sceglie il pacco grande, uno scatto felino e diventa suo, lo apre strappando la carta. Io slego il nodo dello spago dal pacchettino. La nonna sorride di nuovo.
Mia cugina estrae un oggetto, la forma è davvero quella di un vassoio.
≪Mia sorella lo adorava, lo portava con sè dovunque. Mi fa piacere che lo abbia tu.≫
Una smorfia arriccia il nasino di Rosalba e le strizza gli occhi azzurri. Lo mette in verticale davanti a sé, fa una linguaccia e lo rimette giù.
È uno specchio dalla cornice istoriata con incisioni di piante e animali.
≪Grazie nonna.≫
Il tono di una domanda.
La risposta della nonna è un sorriso, il merlo alle sue spalle ripete con più gentilezza di quanta ne abbia messa mia cugina.
≪Grazie, graaazieee.≫
Il mio pacchetto contiene una spilla antica, un ovale di ceramica dipinta con uno spillone metallico incastonato sul retro. Rosalba me la toglie, la guarda con la stessa espressione di prima. Anche le labbra, già sottili, si stringono in una linea serrata. La lascia sul tavolo davanti a me, ricomincia a agitarsi sulla sedia.
Riprendo la spilla, è meravigliosa, è come avere per me un pezzo della casa di nonna. Lei si protende verso di me.
≪Cosa ritrae?≫.
Mi meraviglia che non lo sappia. Al centro dell’ovale, davanti a un cielo velato, c’è il busto e il muso piatto, buffo e imbronciato di un cane. Lo mostro alla nonna, sono felicissima.
≪Il mio animale preferito. Grazie nonna.≫
***
Apro il diario di Agata con la stessa inesistente voglia con cui aprivo la bocca di fronte al dentista quando ero bambina.
All’interno la calligrafia svolazzante e riconoscibile della Preside.
- L’alunna Carlini, attraversando il cortile dopo la campanella d’uscita, è stata oggetto delle attenzioni verbali di un gruppo di compagne e ha reagito violentemente alle loro sollecitazioni. In considerazione dell’ottimo rendimento mostrato finora dall’alunna, l’episodio ci sorprende. Si rende necessario un colloquio per un confronto sui provvedimenti da mettere in atto, affinché questo episodio increscioso rimanga un caso isolato. -
La firma della Preside in fondo, dove dovrò mettere anche la mia. Rileggo le frasi una seconda volta, chiudo il diario. Salgo le scale verso la cameretta di mia figlia, i singhiozzi mi raggiungono come pugnalate al cuore, povera piccola.
***
Esco dal palazzo, Rosalba non si vede nè a destra nè a sinistra, mi avvio da sola verso casa. Dietro il primo angolo un cucciolo abbaia a uno specchio, abbandonato accanto ai contenitori della spazzatura. Inconfondibile con i suoi fregi, mia cugina deve averlo abbandonato là per correre dai suoi amici svampiti. Che ingrata.
Il cucciolo smette di abbaiare, mi ha notato e comincia a guaire. Mi guarda con occhi lucidi, neri e profondi, tristi. Prendo la spilla ricevuta dalla nonna, è identico, sembra il suo ritratto.
Mi chino verso di lui, si avvicina lento alla mia mano protesa, annusa. Chissà se, così piccolo, ha già sentito l’odore di lavanda. Si infila sotto le mie dita, concedo la carezza che sembra cercare. Tra le pliche del collo non trovo collare, nessuno in giro sembra cercarlo.
Prendo lo specchio, mi rialzo, faccio qualche passo.
Il cagnolino mi segue con lo sguardo, la testa di lato, un orecchio pendulo e l’altro che gli nasconde un occhio. È così carino.
≪Vieni?≫
Mi raggiunge, proseguiamo insieme verso casa. Lo chiamerò Elliot.
***
Entro nella stanza, Agata è seduta sul letto, il volto fra le mani. Ha ancora la giacca.
≪Ne vuoi parlare?≫.
Mi siedo accanto a lei. Affonda il suo viso sul mio petto.
≪Sono così crudeli. Non volevo.≫
Le cingo le spalle con un braccio, la lascio sfogare.
≪Lo so, amore mio. Lo so. Capitava anche a me, alla tua età, di perdere le staffe.≫
Non ho altre frasi per lei che non suonino retoriche anche a me. La tengo fra le mie braccia, tento di scaldarle l’anima, entrambe in silenzio.
***
Entro in casa, Elliot mi segue saltellando per scalare i gradini, sono pochi per fortuna. Ho notato che lo specchio è sporco, uno dei fregi è unto, rappresenta un gatto acciambellato. Prendo i prodotti dal mobiletto della dispensa, porto tutto in bagno, strofino con attenzione per non raschiare la vernice. Elliot mi osserva seduto in corridoio.
Il naso mi pizzica, non sono mai stata allergica, non trattengo uno starnuto. Porto la mano sul volto per non sputacchiare dovunque, sento qualcosa di strano. Controllo nello specchio, un lungo pelo rigido mi spunta sotto il naso. Un secondo, un terzo, vengono fuori sotto il naso, si drizzano come molle. Anche il naso: meno tozzo, meno largo, più scuro, addirittura nero. Gli occhiali non scivolano a terra perdendo l’appoggio, scompaiono.
Che mi sta succedendo?
Nello specchio del bagno c’è la stessa faccia occhialuta di sempre, le stesse lentiggini, i fondi di due bottiglie davanti agli occhi, la coda alta attaccata alla nuca.
Nello specchio della nonna invece c’è un altro volto. Tiro fuori la lingua, lo fa anche lui; un occhiolino, idem. Sono io, come in uno dei filtri di Instagram. Guardo con attenzione lo specchio, cerco la webcam e la presa per la ricarica. Uno scherzetto della nonna? Ma i baffi li sento con le dita.
≪Funziona così, per magia. Strofini e ti trasformi.≫
Un ragazzo sconosciuto nel bagno di casa mia! Stringo al petto lo specchio, piroetto su me stessa, cado seduta sul water. Fortuna che era chiuso.
Non c’è nessuno davanti a me. Un’altra funzione dell’app?
≪Non volevo spaventarti.≫ Elliot mi guarda, la lingua a penzoloni, ansante davanti ai miei piedi. ≪Se mi guardi attraverso lo specchio vedrai diverso anche me.≫
Apro la bocca senza proferire parola, avrei molte domande ma non posso articolare suono.
Mi tiro un pizzico sull’avambraccio, nei romanzi è l’unico modo per scoprire se si sta sognando o meno. Dolore, ma se avessi sognato anche quello?
Giro lo specchio, per inquadrare Elliot. Dentro il riflesso non c’è un cane rugoso e paffuto, ma un giovanotto alto e slanciato. Capelli neri, vestiti troppo grandi, ha i risvolti sia ai jeans che alle maniche della camicia. Un principio di peluria bruna adombra il mento.
≪Lo specchio era per Rosalba, devi ridarlo a lei.≫
Agito i baffi, tiro su i piedi sul coperchio del water, avvinghio lo specchio.
≪No. Lei lo ha buttato. Ora è mio.≫
***
Rimaniamo abbracciate per un po’, i singhiozzi si diradano e le lacrime si asciugano, l’abbraccio ora è una tenera coccola fra madre e figlia.
Le sfilo la giacca.
≪Ho una storia da raccontarti. Ti va di ascoltarla?≫
Mi guarda con una muta domanda in occhi che scioglierebbero il cuore a un orso.
≪Riguarda quel che è successo oggi, piccola mia, ma in un modo speciale.≫
Si appoggia di nuovo a me, era molto più piccola di così l’ultima volta che le ho raccontato una favola.
***
Fatico a convincere mia madre, non vuole che vada alla festa con lo zaino, non si addice al vestito da principessa che mi ha fatto indossare. La promessa di lasciarlo a papà dopo che mi avrà fatto scendere è l’unica mediazione che riesco a strappare.
La saluto con un bacio volante, se la lasciassi avvicinare rovinerebbe il trucco che fatica a nascondere piccoli brufoli, lei ricambia allo stesso modo per fortuna.
Papà accosta, scendo con lo zaino e vado a riporlo dietro. Sollevo la chiusura, lo specchio mostra la solita me, imbellettata a sufficienza per nascondere gli sfoghi sul viso e niente di più. Accarezzo una delle rose della cornice dello specchio, il brutto anatroccolo scompare sostituita dalla sfavillante regina delle feste, tutta glitter e corone di fiori.
Richiudo lo zaino, anche il vano bagagli.
Saluto papà attraverso il finestrino.
≪Finalmente un sorriso, ranocchietta. Temevo non volessi andarci a questa festa.≫
Vero, ma ora è diverso. Ora sono diversa, sono felice.
Gli regalo un bacio sulla guancia, l’impronta malva delle labbra è una medaglia al merito.
Supero il cancelletto, la musica arriva fin qua, gli ospiti si muovono dietro le finestre con le tende aperte. Anche Rosalba è già dentro, seduta da sola su un divanetto.
L’uscio è aperto, saluto due ragazzi che non conosco, loro ricambiano, tornano a parlare fra loro. Nessun commento, nessuno scherno. Funziona.
Comincia la festa anche per me.
***
L’inizio di questa storia è complicato. Non è il solito C’era Una Volta.
≪Ricordi lo scorso anno, le lezioni su Darwin? Ne eri entusiasta.≫
Fa cenno di sì.
≪Papà lo era anche più di me. Mi ha portato in laboratorio. Lo ricordo bene.≫
La guardo di sottecchi per fingermi imbronciata.
≪Tu e il lavoro siete le sue due passioni, ma non preoccuparti, non sono gelosa.≫
Le prendo il mento fra le dita, mi dà una spintarella schernendosi.
≪Ha sposato te, non il suo lavoro.≫
La risposta che mi darebbe lui. Hanno un bellissimo rapporto.
≪D’accordo, d’accordo. Tuo padre pensa che l’evoluzione spieghi tutto, che non valga solo per la biologia. La cultura, la morale, tutto cambia lentamente, ma conserva in sé ciò che è stato prima. La musica ad esempio. Non ci sarebbe Sfera Ebbasta se non ci fosse stato Mozart. Anzi, c’è un po’ di Mozart in Sfera Ebbasta.≫
Mi sembra perplessa, mi piacerebbe riuscire ad essere più chiara. Riproviamo.
***
La pausa per la ricreazione è finita, resto qualche istante più degli altri fuori dall’aula, sono sola. Corro al vano sotto le scale, sposto i vecchi banchi accatastati e prendo lo specchio. Per il compito in classe di matematica scelgo il delfino.
Il volto si allunga in un muso grigio, il naso si sposta dietro la nuca allargandosi in uno sfiatatoio. Lo specchietto da trucco conferma che per il mondo nulla apparirà cambiato. Sono preparata alla gran sete che mi assale, dovrò tenere una bottiglietta d’acqua sul banco durante la prova. Una buona scusa anche con il prof, la coda al bar dell’istituto per comprarla.
Nascondo lo specchio, risposto i banchi.
Esco dal vano e corro in classe, sfioro Rosalba che torna anche lei, molto più serafica.
Il suo sguardo mi ghiaccia le vene, soprattutto quando non guarda più me ma il vano scale da cui uscivo.
≪Il compito.≫ le ricordo.
Rientriamo insieme in aula, il professore ci squadra rapace e distribuisce a tutti il foglio dei quesiti. Non lui né la matematica mi fanno paura ora.
I problemi, le equazioni, la penna scorre sulle quattro pagine di protocollo. I numeri mi parlano la loro lingua che oggi è anche la mia, la mente è lucida.
Attendo che due compagne consegnino e lascino l’aula, mi alzo per consegnare anch’io. Rosalba di slancio mi precede alla cattedra, mi risiedo per attendere il mio turno. Il professore scorre le pagine, la prova di mia cugina è incompleta. Lei fa spallucce ed esce comunque.
Consegno anche io. Il professore prende il mio elaborato e fa il solito controllo. Scorre le pagine, il viso si illumina. Mi guarda da sopra le lenti, mi fa cenno di andare. Tutta la classe punta gli occhi su di me.
Vado a recuperare lo specchio, sposto i banchi nel sottoscale, non lo trovo.
≪Questo è mio.≫
Rosalba ha lo specchio, valuto le probabilità di riuscire ad ingannarla, le chance di riaverlo. Le mostro il panno con cui l’avvolgo per proteggerlo.
≪Pensavo non lo volessi. Posso coprirlo?≫
Se riuscissi a sfiorarlo, potrei avere una chance. Diventare un ghepardo, correre via.
Mi prende per il bavero, tende l’altro braccio e allontana lo specchio. Lancio un’occhiata in quella direzione. Un gorilla strangola un delfino.
Ha scoperto tutto.
Il mio cucciolo entra nell’atrio, viene da noi, abbaia, capisco i suoi rimproveri.
Rosalba mi lascia ≪Ne riparleremo, altrove. A casa.≫
***
Il punto è che non è affatto facile spiegare questa cosa con la scienza.
≪In tutti noi c’è un po’ di ogni essere che ci ha preceduti, il DNA ne porta le tracce. Così me lo ha spiegato lui. Ma forse è più facile mostrartelo.≫
Le prendo la mano, mi segue, la porto davanti allo sgabuzzino, ne estraggo uno specchio dalla foggia antiquata, con la cornice tutta fregi, piante e animali intrecciati. La invito a specchiarsi.
≪Serve a fare pace con ogni parte di noi. E con gli altri.≫
Le prendo la mano e la porto a sfiorare la rosa.
La sua espressione è dubbiosa. Sono certa che pensi ad uno scherzo. La invito a toccare altri fregi, sente le trasformazioni come le ho sentite io quando ne avevo bisogno, lo leggo sul suo viso.
≪Abbiamo un bel po’ di aneddoti da raccontarti, io e zia Josephine.≫
di Pietro, Miriam e Paola D'Addabbo.
Agata ha gli occhi lucidi, ha in mano il diario scolastico e lo poggia sul tavolo senza rispondere al mio saluto, sale le scale di corsa. La porta della sua camera scivola due volte sui binari, dentro e fuori dalla parete.
Il diario è lì per me. La copertina di tela ha qualche macchia scura, ma non sono gocce di pioggia. Il nastro segnalibro, rosso, fa capolino fra le ultime pagine, le famigerate comunicazioni scuola-famiglia.
***
Ci incontriamo sul pianerottolo. Rosalba bussa con forza, se volesse sfondare la porta le basterebbe usare entrambe le mani anziché una.
La nonna apre, il profumo di biscotti caldi è avvolgente, ha invaso l’appartamento e ora, aperta la diga, trabocca sul pianerottolo.
≪Rosalba, Josephine. Entrate!≫.
Il merlo indiano della nonna le fa eco
≪Entrate. Entraaateee.≫ con una vocetta gracchiante.
L’invito è superfluo per mia cugina, si fionda verso la cucina.
Il merlo la accoglie ≪Buongiorno. Buongiorno.≫ senza ottenere risposta
Vorrei anch’io quei biscotti ma le buone maniere mi impongono di mantenere un po’ di contegno.
≪Ciao nonna, mamma mi ha detto che avevi bisogno di me per una commissione.≫
So già che era solo una scusa.
≪Dopo cara, dopo. Vai con Rosalba, prendi anche tu qualche biscotto.≫
Mi accarezza i capelli con la sua mano rugosa e morbida, l’odore fresco di sapone alla lavanda si mescola con quello caldo del burro e della vaniglia. Mi poggia il palmo dolcemente dietro le spalle, mi guida in cucina, mi indica una sedia. Le briciole hanno invaso il tavolo davanti a Rosalba che mastica con le guance gonfie.
Seduta in punta di sedia prendo un biscotto. Il suo tepore sotto i polpastrelli mi inumidisce la bocca, un singolo morso e il palato è estasiato.
Nonna ci offre una tazza di tè, tradizioni inglesi mai perse.
Disegni di rami, di pesche e di usignoli adornano tre tazzine e la teiera fumante riposti sul vassoio che poggia al centro del tavolo accanto ai biscotti.
Accetto volentieri e ringrazio, mia cugina invece scuote la testa dimenando le trecce bionde.
Bevo dalla mia tazzina, Rosalba mastica vorace, la nonna ci guarda a turno con occhi dolci e amorevoli mentre sorseggia con eleganza. Il merlo zufola di tanto in tanto.
Finiamo di consumare il nostro tè, ci chiede di attendere un attimo. Anche i biscotti sono finiti, Rosalba si agita sulla sedia, impaziente di andare via.
Si risiede composta, la nonna porta due pacchi avvolti da carta regalo e infiocchettati, uno grande quanto il vassoio del tè, l’altro invece un piccolo cubetto.
≪Sono per voi, uno a testa.≫
Rosalba sceglie il pacco grande, uno scatto felino e diventa suo, lo apre strappando la carta. Io slego il nodo dello spago dal pacchettino. La nonna sorride di nuovo.
Mia cugina estrae un oggetto, la forma è davvero quella di un vassoio.
≪Mia sorella lo adorava, lo portava con sè dovunque. Mi fa piacere che lo abbia tu.≫
Una smorfia arriccia il nasino di Rosalba e le strizza gli occhi azzurri. Lo mette in verticale davanti a sé, fa una linguaccia e lo rimette giù.
È uno specchio dalla cornice istoriata con incisioni di piante e animali.
≪Grazie nonna.≫
Il tono di una domanda.
La risposta della nonna è un sorriso, il merlo alle sue spalle ripete con più gentilezza di quanta ne abbia messa mia cugina.
≪Grazie, graaazieee.≫
Il mio pacchetto contiene una spilla antica, un ovale di ceramica dipinta con uno spillone metallico incastonato sul retro. Rosalba me la toglie, la guarda con la stessa espressione di prima. Anche le labbra, già sottili, si stringono in una linea serrata. La lascia sul tavolo davanti a me, ricomincia a agitarsi sulla sedia.
Riprendo la spilla, è meravigliosa, è come avere per me un pezzo della casa di nonna. Lei si protende verso di me.
≪Cosa ritrae?≫.
Mi meraviglia che non lo sappia. Al centro dell’ovale, davanti a un cielo velato, c’è il busto e il muso piatto, buffo e imbronciato di un cane. Lo mostro alla nonna, sono felicissima.
≪Il mio animale preferito. Grazie nonna.≫
***
Apro il diario di Agata con la stessa inesistente voglia con cui aprivo la bocca di fronte al dentista quando ero bambina.
All’interno la calligrafia svolazzante e riconoscibile della Preside.
- L’alunna Carlini, attraversando il cortile dopo la campanella d’uscita, è stata oggetto delle attenzioni verbali di un gruppo di compagne e ha reagito violentemente alle loro sollecitazioni. In considerazione dell’ottimo rendimento mostrato finora dall’alunna, l’episodio ci sorprende. Si rende necessario un colloquio per un confronto sui provvedimenti da mettere in atto, affinché questo episodio increscioso rimanga un caso isolato. -
La firma della Preside in fondo, dove dovrò mettere anche la mia. Rileggo le frasi una seconda volta, chiudo il diario. Salgo le scale verso la cameretta di mia figlia, i singhiozzi mi raggiungono come pugnalate al cuore, povera piccola.
***
Esco dal palazzo, Rosalba non si vede nè a destra nè a sinistra, mi avvio da sola verso casa. Dietro il primo angolo un cucciolo abbaia a uno specchio, abbandonato accanto ai contenitori della spazzatura. Inconfondibile con i suoi fregi, mia cugina deve averlo abbandonato là per correre dai suoi amici svampiti. Che ingrata.
Il cucciolo smette di abbaiare, mi ha notato e comincia a guaire. Mi guarda con occhi lucidi, neri e profondi, tristi. Prendo la spilla ricevuta dalla nonna, è identico, sembra il suo ritratto.
Mi chino verso di lui, si avvicina lento alla mia mano protesa, annusa. Chissà se, così piccolo, ha già sentito l’odore di lavanda. Si infila sotto le mie dita, concedo la carezza che sembra cercare. Tra le pliche del collo non trovo collare, nessuno in giro sembra cercarlo.
Prendo lo specchio, mi rialzo, faccio qualche passo.
Il cagnolino mi segue con lo sguardo, la testa di lato, un orecchio pendulo e l’altro che gli nasconde un occhio. È così carino.
≪Vieni?≫
Mi raggiunge, proseguiamo insieme verso casa. Lo chiamerò Elliot.
***
Entro nella stanza, Agata è seduta sul letto, il volto fra le mani. Ha ancora la giacca.
≪Ne vuoi parlare?≫.
Mi siedo accanto a lei. Affonda il suo viso sul mio petto.
≪Sono così crudeli. Non volevo.≫
Le cingo le spalle con un braccio, la lascio sfogare.
≪Lo so, amore mio. Lo so. Capitava anche a me, alla tua età, di perdere le staffe.≫
Non ho altre frasi per lei che non suonino retoriche anche a me. La tengo fra le mie braccia, tento di scaldarle l’anima, entrambe in silenzio.
***
Entro in casa, Elliot mi segue saltellando per scalare i gradini, sono pochi per fortuna. Ho notato che lo specchio è sporco, uno dei fregi è unto, rappresenta un gatto acciambellato. Prendo i prodotti dal mobiletto della dispensa, porto tutto in bagno, strofino con attenzione per non raschiare la vernice. Elliot mi osserva seduto in corridoio.
Il naso mi pizzica, non sono mai stata allergica, non trattengo uno starnuto. Porto la mano sul volto per non sputacchiare dovunque, sento qualcosa di strano. Controllo nello specchio, un lungo pelo rigido mi spunta sotto il naso. Un secondo, un terzo, vengono fuori sotto il naso, si drizzano come molle. Anche il naso: meno tozzo, meno largo, più scuro, addirittura nero. Gli occhiali non scivolano a terra perdendo l’appoggio, scompaiono.
Che mi sta succedendo?
Nello specchio del bagno c’è la stessa faccia occhialuta di sempre, le stesse lentiggini, i fondi di due bottiglie davanti agli occhi, la coda alta attaccata alla nuca.
Nello specchio della nonna invece c’è un altro volto. Tiro fuori la lingua, lo fa anche lui; un occhiolino, idem. Sono io, come in uno dei filtri di Instagram. Guardo con attenzione lo specchio, cerco la webcam e la presa per la ricarica. Uno scherzetto della nonna? Ma i baffi li sento con le dita.
≪Funziona così, per magia. Strofini e ti trasformi.≫
Un ragazzo sconosciuto nel bagno di casa mia! Stringo al petto lo specchio, piroetto su me stessa, cado seduta sul water. Fortuna che era chiuso.
Non c’è nessuno davanti a me. Un’altra funzione dell’app?
≪Non volevo spaventarti.≫ Elliot mi guarda, la lingua a penzoloni, ansante davanti ai miei piedi. ≪Se mi guardi attraverso lo specchio vedrai diverso anche me.≫
Apro la bocca senza proferire parola, avrei molte domande ma non posso articolare suono.
Mi tiro un pizzico sull’avambraccio, nei romanzi è l’unico modo per scoprire se si sta sognando o meno. Dolore, ma se avessi sognato anche quello?
Giro lo specchio, per inquadrare Elliot. Dentro il riflesso non c’è un cane rugoso e paffuto, ma un giovanotto alto e slanciato. Capelli neri, vestiti troppo grandi, ha i risvolti sia ai jeans che alle maniche della camicia. Un principio di peluria bruna adombra il mento.
≪Lo specchio era per Rosalba, devi ridarlo a lei.≫
Agito i baffi, tiro su i piedi sul coperchio del water, avvinghio lo specchio.
≪No. Lei lo ha buttato. Ora è mio.≫
***
Rimaniamo abbracciate per un po’, i singhiozzi si diradano e le lacrime si asciugano, l’abbraccio ora è una tenera coccola fra madre e figlia.
Le sfilo la giacca.
≪Ho una storia da raccontarti. Ti va di ascoltarla?≫
Mi guarda con una muta domanda in occhi che scioglierebbero il cuore a un orso.
≪Riguarda quel che è successo oggi, piccola mia, ma in un modo speciale.≫
Si appoggia di nuovo a me, era molto più piccola di così l’ultima volta che le ho raccontato una favola.
***
Fatico a convincere mia madre, non vuole che vada alla festa con lo zaino, non si addice al vestito da principessa che mi ha fatto indossare. La promessa di lasciarlo a papà dopo che mi avrà fatto scendere è l’unica mediazione che riesco a strappare.
La saluto con un bacio volante, se la lasciassi avvicinare rovinerebbe il trucco che fatica a nascondere piccoli brufoli, lei ricambia allo stesso modo per fortuna.
Papà accosta, scendo con lo zaino e vado a riporlo dietro. Sollevo la chiusura, lo specchio mostra la solita me, imbellettata a sufficienza per nascondere gli sfoghi sul viso e niente di più. Accarezzo una delle rose della cornice dello specchio, il brutto anatroccolo scompare sostituita dalla sfavillante regina delle feste, tutta glitter e corone di fiori.
Richiudo lo zaino, anche il vano bagagli.
Saluto papà attraverso il finestrino.
≪Finalmente un sorriso, ranocchietta. Temevo non volessi andarci a questa festa.≫
Vero, ma ora è diverso. Ora sono diversa, sono felice.
Gli regalo un bacio sulla guancia, l’impronta malva delle labbra è una medaglia al merito.
Supero il cancelletto, la musica arriva fin qua, gli ospiti si muovono dietro le finestre con le tende aperte. Anche Rosalba è già dentro, seduta da sola su un divanetto.
L’uscio è aperto, saluto due ragazzi che non conosco, loro ricambiano, tornano a parlare fra loro. Nessun commento, nessuno scherno. Funziona.
Comincia la festa anche per me.
***
L’inizio di questa storia è complicato. Non è il solito C’era Una Volta.
≪Ricordi lo scorso anno, le lezioni su Darwin? Ne eri entusiasta.≫
Fa cenno di sì.
≪Papà lo era anche più di me. Mi ha portato in laboratorio. Lo ricordo bene.≫
La guardo di sottecchi per fingermi imbronciata.
≪Tu e il lavoro siete le sue due passioni, ma non preoccuparti, non sono gelosa.≫
Le prendo il mento fra le dita, mi dà una spintarella schernendosi.
≪Ha sposato te, non il suo lavoro.≫
La risposta che mi darebbe lui. Hanno un bellissimo rapporto.
≪D’accordo, d’accordo. Tuo padre pensa che l’evoluzione spieghi tutto, che non valga solo per la biologia. La cultura, la morale, tutto cambia lentamente, ma conserva in sé ciò che è stato prima. La musica ad esempio. Non ci sarebbe Sfera Ebbasta se non ci fosse stato Mozart. Anzi, c’è un po’ di Mozart in Sfera Ebbasta.≫
Mi sembra perplessa, mi piacerebbe riuscire ad essere più chiara. Riproviamo.
***
La pausa per la ricreazione è finita, resto qualche istante più degli altri fuori dall’aula, sono sola. Corro al vano sotto le scale, sposto i vecchi banchi accatastati e prendo lo specchio. Per il compito in classe di matematica scelgo il delfino.
Il volto si allunga in un muso grigio, il naso si sposta dietro la nuca allargandosi in uno sfiatatoio. Lo specchietto da trucco conferma che per il mondo nulla apparirà cambiato. Sono preparata alla gran sete che mi assale, dovrò tenere una bottiglietta d’acqua sul banco durante la prova. Una buona scusa anche con il prof, la coda al bar dell’istituto per comprarla.
Nascondo lo specchio, risposto i banchi.
Esco dal vano e corro in classe, sfioro Rosalba che torna anche lei, molto più serafica.
Il suo sguardo mi ghiaccia le vene, soprattutto quando non guarda più me ma il vano scale da cui uscivo.
≪Il compito.≫ le ricordo.
Rientriamo insieme in aula, il professore ci squadra rapace e distribuisce a tutti il foglio dei quesiti. Non lui né la matematica mi fanno paura ora.
I problemi, le equazioni, la penna scorre sulle quattro pagine di protocollo. I numeri mi parlano la loro lingua che oggi è anche la mia, la mente è lucida.
Attendo che due compagne consegnino e lascino l’aula, mi alzo per consegnare anch’io. Rosalba di slancio mi precede alla cattedra, mi risiedo per attendere il mio turno. Il professore scorre le pagine, la prova di mia cugina è incompleta. Lei fa spallucce ed esce comunque.
Consegno anche io. Il professore prende il mio elaborato e fa il solito controllo. Scorre le pagine, il viso si illumina. Mi guarda da sopra le lenti, mi fa cenno di andare. Tutta la classe punta gli occhi su di me.
Vado a recuperare lo specchio, sposto i banchi nel sottoscale, non lo trovo.
≪Questo è mio.≫
Rosalba ha lo specchio, valuto le probabilità di riuscire ad ingannarla, le chance di riaverlo. Le mostro il panno con cui l’avvolgo per proteggerlo.
≪Pensavo non lo volessi. Posso coprirlo?≫
Se riuscissi a sfiorarlo, potrei avere una chance. Diventare un ghepardo, correre via.
Mi prende per il bavero, tende l’altro braccio e allontana lo specchio. Lancio un’occhiata in quella direzione. Un gorilla strangola un delfino.
Ha scoperto tutto.
Il mio cucciolo entra nell’atrio, viene da noi, abbaia, capisco i suoi rimproveri.
Rosalba mi lascia ≪Ne riparleremo, altrove. A casa.≫
***
Il punto è che non è affatto facile spiegare questa cosa con la scienza.
≪In tutti noi c’è un po’ di ogni essere che ci ha preceduti, il DNA ne porta le tracce. Così me lo ha spiegato lui. Ma forse è più facile mostrartelo.≫
Le prendo la mano, mi segue, la porto davanti allo sgabuzzino, ne estraggo uno specchio dalla foggia antiquata, con la cornice tutta fregi, piante e animali intrecciati. La invito a specchiarsi.
≪Serve a fare pace con ogni parte di noi. E con gli altri.≫
Le prendo la mano e la porto a sfiorare la rosa.
La sua espressione è dubbiosa. Sono certa che pensi ad uno scherzo. La invito a toccare altri fregi, sente le trasformazioni come le ho sentite io quando ne avevo bisogno, lo leggo sul suo viso.
≪Abbiamo un bel po’ di aneddoti da raccontarti, io e zia Josephine.≫