Future Flash
Inviato: martedì 19 gennaio 2021, 0:42
La prof esce e lascia la porta aperta, nel corridoio una mandria di studenti corre verso la mensa. I panini alla rigatina di Baffo finiscono nel giro di due minuti, non ha neanche senso provarci. Appoggio un piede alla gamba del banco e mi dondolo sulla sedia.
Marco poggia il culo sul mio banco. «Ehi Andre, l’hai vista questa app?»
Mi mette lo schermo del cellulare davanti al naso, la luce mi acceca. Tiro indietro la testa e perdo l’equilibrio. Sbatto la mano contro il banco dietro al mio e blocco la caduta. Salvo. Mi sa che ho menato l’astuccio di Ale, ma non credo di aver rotto nulla. Per fortuna lui era già uscito.
«Cazzo fai? Mi stavo per ammazzare.»
«Lamentati poco e guarda qua.»
Sullo schermo c’è un suo selfie. Ha il solito sorrisetto da scemo e fa il segno della vittoria.
«Eh, cosa devo vedere?»
«Dai che ci arrivi.»
Nella foto i suoi capelli sono lunghi fino alle spalle. Marco si indica la testa. Li ha sempre portati corti e anche oggi non superano la base del collo.
«Okay, ti sei portato una parrucca da casa? Siamo già a carnevale?»
«No scemo, è questa app.»
Riprende il cell in mano e scorre tra le schermate. Mi indica un’icona a forma di ingranaggio blu sfumato: Future Flash.
«Sarebbe?»
Marco alza il cellulare, scatta una foto e mi mostra lo schermo. Sono io, col sopracciglio alzato, lo sguardo incazzato e un dito medio alzato. Aspetta, non ho alzato il medio. E il banco dietro di me è vuoto, dov’è finito l’astuccio di Ale?
Marco si porta il cellulare davanti alla faccia e sorride. «Dicono che questa app faccia delle foto sul futuro. Una specie di macchina fotografica del tempo.»
Sbuffo e mi ributto in avanti. Prendo il mio cell sotto al banco e apro lo store.
«Carino, in pratica aggiunge e toglie robe a caso nell’immagine.»
«Sì, credo di sì. Però è fatta bene.»
In effetti la foto era molto realistica. Quella sembrava proprio la mia mano. Cerco Future Flash nello store, è al primo posto. Due milioni di download, niente male per un’app scherzo del genere. La scarico anch’io.
«Hai già provato a vedere se magari fa anche i raggi x sulla Rinaldi?»
Ride. «Ovvio, niente da fare. Il massimo che è venuto fuori è un vestito un po’ più spinto. Non credo che l’abbiano programmato per questo.»
«Peccato.»
Download completato. È pure leggera. Immagino che i calcoli li faccia un server esterno, il cellulare deve solo fare la foto, inviarla e ricevere il risultato. Lineare.
Apro l’applicazione, si apre subito la fotocamera con il pulsantone rosso a lato per scattare. Niente opzioni di zoom o flash, peggio della fotocamera di whatsapp.
In fondo all’aula Giorgio sta scrivendo qualcosa sul suo quaderno. I suoi capelli alla emo sono sempre più sporchi ogni giorno che passa, non si lava mai? Sposto il cell dietro di me, faccio sporgere la fotocamera sopra il bordo del banco di Ale e gli scatto una foto. La sua immagine rimane impressa e compare una rotella che gira in mezzo allo schermo. Si fa tutto nero per un istante, la foto si aggiorna. Giorgio è in piedi tra i banchi e tiene in mano una pistola. I suoi capelli sono rasati a zero, sul volto ha degli schizzi di sangue. Mostro il cellulare a Marco.
I suoi occhi scorrono sull’immagine. «Okay, questo è un po’ inquietante.»
«Un po’? Credo sia illegale una cosa del genere.»
Marco ride e mi tira un pugno sulla spalla.
«Dai Andre non fare il pisciasotto.»
Gli faccio il dito medio. Ho una sensazione di déjà-vù.
Vediamo se è l’intelligenza artificiale a essere bacata. Scatto una foto a Marco. L’immagine carica e si aggiorna. Sembra lo stesso Marco che ho davanti. Dietro di lui c’è la porta dell’aula, Ale è tornato dentro e lo sta guardando con il braccio lanciato in avanti. Cosa sta facendo?
Marco mi guarda. «Beh? Cosa c’è? Sono diventato Rambo?»
«No, sembra...»
Dietro la testa di Marco c’è una macchia color terra. Sembra il pallone da rugby con cui gioca Ale. Di solito durante la ricreazione gioca in corridoio.
Ale entra in aula. «Palla!»
Lancia la sua palla da rubgy e colpisce Marco in testa.
«Ahi! Ale quella palla te la ficco in—»
Tiro un calcio alla scarpa di Marco.
«Marco?» Mi trema la voce.
Si gira, con la mano si regge la testa «Cazzo vuoi?»
«Queste foto potrebbero non venire da un futuro tanto lontano.»
Dal fondo dell’aula prorompe uno scatto metallico.
Marco poggia il culo sul mio banco. «Ehi Andre, l’hai vista questa app?»
Mi mette lo schermo del cellulare davanti al naso, la luce mi acceca. Tiro indietro la testa e perdo l’equilibrio. Sbatto la mano contro il banco dietro al mio e blocco la caduta. Salvo. Mi sa che ho menato l’astuccio di Ale, ma non credo di aver rotto nulla. Per fortuna lui era già uscito.
«Cazzo fai? Mi stavo per ammazzare.»
«Lamentati poco e guarda qua.»
Sullo schermo c’è un suo selfie. Ha il solito sorrisetto da scemo e fa il segno della vittoria.
«Eh, cosa devo vedere?»
«Dai che ci arrivi.»
Nella foto i suoi capelli sono lunghi fino alle spalle. Marco si indica la testa. Li ha sempre portati corti e anche oggi non superano la base del collo.
«Okay, ti sei portato una parrucca da casa? Siamo già a carnevale?»
«No scemo, è questa app.»
Riprende il cell in mano e scorre tra le schermate. Mi indica un’icona a forma di ingranaggio blu sfumato: Future Flash.
«Sarebbe?»
Marco alza il cellulare, scatta una foto e mi mostra lo schermo. Sono io, col sopracciglio alzato, lo sguardo incazzato e un dito medio alzato. Aspetta, non ho alzato il medio. E il banco dietro di me è vuoto, dov’è finito l’astuccio di Ale?
Marco si porta il cellulare davanti alla faccia e sorride. «Dicono che questa app faccia delle foto sul futuro. Una specie di macchina fotografica del tempo.»
Sbuffo e mi ributto in avanti. Prendo il mio cell sotto al banco e apro lo store.
«Carino, in pratica aggiunge e toglie robe a caso nell’immagine.»
«Sì, credo di sì. Però è fatta bene.»
In effetti la foto era molto realistica. Quella sembrava proprio la mia mano. Cerco Future Flash nello store, è al primo posto. Due milioni di download, niente male per un’app scherzo del genere. La scarico anch’io.
«Hai già provato a vedere se magari fa anche i raggi x sulla Rinaldi?»
Ride. «Ovvio, niente da fare. Il massimo che è venuto fuori è un vestito un po’ più spinto. Non credo che l’abbiano programmato per questo.»
«Peccato.»
Download completato. È pure leggera. Immagino che i calcoli li faccia un server esterno, il cellulare deve solo fare la foto, inviarla e ricevere il risultato. Lineare.
Apro l’applicazione, si apre subito la fotocamera con il pulsantone rosso a lato per scattare. Niente opzioni di zoom o flash, peggio della fotocamera di whatsapp.
In fondo all’aula Giorgio sta scrivendo qualcosa sul suo quaderno. I suoi capelli alla emo sono sempre più sporchi ogni giorno che passa, non si lava mai? Sposto il cell dietro di me, faccio sporgere la fotocamera sopra il bordo del banco di Ale e gli scatto una foto. La sua immagine rimane impressa e compare una rotella che gira in mezzo allo schermo. Si fa tutto nero per un istante, la foto si aggiorna. Giorgio è in piedi tra i banchi e tiene in mano una pistola. I suoi capelli sono rasati a zero, sul volto ha degli schizzi di sangue. Mostro il cellulare a Marco.
I suoi occhi scorrono sull’immagine. «Okay, questo è un po’ inquietante.»
«Un po’? Credo sia illegale una cosa del genere.»
Marco ride e mi tira un pugno sulla spalla.
«Dai Andre non fare il pisciasotto.»
Gli faccio il dito medio. Ho una sensazione di déjà-vù.
Vediamo se è l’intelligenza artificiale a essere bacata. Scatto una foto a Marco. L’immagine carica e si aggiorna. Sembra lo stesso Marco che ho davanti. Dietro di lui c’è la porta dell’aula, Ale è tornato dentro e lo sta guardando con il braccio lanciato in avanti. Cosa sta facendo?
Marco mi guarda. «Beh? Cosa c’è? Sono diventato Rambo?»
«No, sembra...»
Dietro la testa di Marco c’è una macchia color terra. Sembra il pallone da rugby con cui gioca Ale. Di solito durante la ricreazione gioca in corridoio.
Ale entra in aula. «Palla!»
Lancia la sua palla da rubgy e colpisce Marco in testa.
«Ahi! Ale quella palla te la ficco in—»
Tiro un calcio alla scarpa di Marco.
«Marco?» Mi trema la voce.
Si gira, con la mano si regge la testa «Cazzo vuoi?»
«Queste foto potrebbero non venire da un futuro tanto lontano.»
Dal fondo dell’aula prorompe uno scatto metallico.